11
CAPITOLO I
Elton Mayo: tra scienza e “human relations”
1. Una mente eclettica
1
Elton Mayo nasce ad Adelaide, in Australia, il 26 dicembre 1880.
Nipote di un famoso chirurgo inglese, Elton Mayo segue fin da subito le orme del
nonno intraprendendo la carriera medica. Tuttavia, gli studi in medicina non
avranno buon seguito e nel corso del 1900 decide di abbandonare il corso di laurea.
Nonostante tale fallimento, non si dovranno dimenticare queste sue particolari
attitudini in quanto i successivi studi di psicologia saranno indirizzati in particolare
modo alla “psicologia medica del lavoro applicata al lavoro di fabbrica” (Michele
La Rosa et al., 2006, pag. 189).
Nel 1911 la mente eclettica del giovane Elton Mayo emerge: consegue la laurea in
filosofia, dando alla luce uno spirito inquieto alla ricerca di aspetti del sapere per
quel tempo pure abbastanza problematici.
Nel 1922 Mayo, diventato nel frattempo uomo maturo, decide di recarsi negli Stati
Uniti attribuendo una svolta definitiva alla propria vita professionale. É proprio
negli States che Mayo si dedica quasi esclusivamente a studi di psicologia
industriale a prevalente orientamento medico, lascito forse degli studi iniziali.
Nel 1923 si stabilisce a Filadelfia, ed operando come consulente presso alcune
fabbriche riesce a condurre ricerche empiriche incentrando la sua attenzione
particolarmente sull’incremento di produttività che l’introduzione di pause di
riposo consentiva (Michele La Rosa et al., 2006, pag. 190).
Nel 1928 si ha un’altra importante svolta professionale: Elton Mayo inizia la
propria attività di consulenza presso la Western Electric Company all’Hawthorne
Works nell’Illinois, la quale aveva stabilimenti a Cicero e Chicago. Quest’ultimi
1
Il seguente paragrafo è tratto da Michele La Rosa, Roberto Rizza, Paolo Zurla, Lavoro e società
industriale: da Adam Smith a Karl Polanyi, 2006, Angeli, Milano
12
sono luoghi estremamente rilevanti, in quanto teatro dei suoi più famosi e noti
esperimenti.
Nel 1939, dopo l’incontro con Pierre Janet
2
, Elton Mayo terrà un ciclo di lezioni
presso la New School for Social Research di New York (poi pubblicate nel 1948
“Some Notes on the Psychology of Pierre Janet”, Harvard Unversity Press,
Cambridge) sui temi di psicologia.
Nonostante ciò, ben presto cesserà di occuparsi di psicologia per volgere la sua
attenzione alla sociologia, in particolare quella industriale.
A seguito poi di una parziale paralisi, la mente eclettica di un uomo in bilico tra
medicina, filosofia, sociologia e psicologia si spegne il 1 settembre 1949 a Giulford
nel Surrey.
2
Janet, Pierre. - Psichiatra e psicologo francese (Parigi 1859 - ivi 1947). Direttore del laboratorio
di psicologia della Salpêtrière, insegnò (1895-1902) alla Sorbona. Con G. Dumas fondò il Journal
de psychologie normale et pathologique (1904-37). Interessato a precisare l'importanza dei fattori
psicologici nelle manifestazioni psiconevrotiche, scopo principale della sua ricerca fu lo studio
eziologico delle nevrosi. Tra le sue opere: L'automatisme psychologique (1889); Les obsessions
et la psychasthénie (1903).
http://www.treccani.it/enciclopedia/pierre-janet/ , consultato il 10 gennaio del 2018
13
2. Le ricerche di Hawthorne
La mente eclettica di Mayo viene ricordata soprattutto per aver dato alla luce una
filosofia tanto innovativa per l’epoca, quanto attuabile ai giorni nostri: la teoria delle
human relations, basata sostanzialmente sugli esperimenti condotti negli
stabilimenti di Hawthorne.
Tali studi, in un primo momento incentrati su problemi come quello del salario, si
concentrarono sempre di più sul peso della variabile “uomo” nell’ambito aziendale.
Ed è questa la vera novità: includere l’Uomo all’interno della dinamica aziendale,
non più come un mero esecutore della volontà dirigenziale, ma come co-
protagonista di una realtà sempre più articolata.
Al fine di comprendere al meglio il nucleo teorico sul quale si basano tali studi,
appare utile ripercorrere i vari momenti di dette ricerche. È importante altresì
ricordare che tali esperimenti presentano alcuni elementi “idealtipici” delle ricerche
sociologiche sui problemi del lavoro, e vengono quindi spesso presi in
considerazione per effettuare indagini “classiche” sulle quali confrontarci ancora
oggi (Michele La Rosa et al., 2006, pag. 191).
La protagonista di detti esperimenti, la Western Electric Company, produceva
materiale telefonico in alcuni stabilimenti situati nei pressi di Chicago e Cicero, in
Illinois. Curiosa era la presenza accentuata di manodopera femminile tra i
trentamila operai coinvolti nell’attività lavorativa (Elton Mayo, I problemi umani
della civiltà industriale, 1933).
Per volontà della Western Electric Company un primo esperimento iniziò nel 1924
e si concentrò sugli effetti dell’illuminazione. È importante sottolineare che, almeno
in questa prima fase, il progetto fu intrapreso interamente dall’Azienda stessa, non
avvalendosi di alcun tipo di consulenza dall’esterno. Per lo sviluppo
dell’esperimento si separarono due gruppi di operai che effettuavano lo stesso
lavoro, collocandoli in due ambienti illuminati nello stesso modo. Successivamente
poi si diminuì gradualmente l’illuminazione in uno solo degli ambienti, volendo
dimostrare come questa incidesse in larga misura sulla produttività. A seguito di
tale primo esperimento, si ebbe però un risultato imprevisto: tale diminuzione
14
dell’illuminazione che avrebbe dovuto incidere sulla produttività, in realtà non ebbe
effetti rilevanti.
Michele La Rosa et al. (2006) affermano che “poiché i presupposti erano quelli
tipicamente tayloriani, vale a dire fondati esclusivamente sull’analisi ed il controllo
di fattori ed elementi fisici (perché questi erano, secondo Taylor, gli unici elementi
che erano in grado di poter influire sulla produzione), la ricerca non poté fornire
alcun elemento esplicativo ed in particolare non poté fornire ipotesi esplicative sul
rapporto fra illuminazione e produttività e, più in generale, fra elementi fisico-
strumentali propri della struttura in esame e l’andamento della produzione”.
Si nota quindi, già in questa prima fase sperimentale, che l’elemento cruciale della
ricerca di Mayo sia stata la critica ai presupposti del taylorismo. A tal fine è utile
riprendere quest’ultima teoria, la quale verrà illustrata nel terzo paragrafo di questo
capitolo.
Nonostante questo primo fallimento l’Azienda decise di riproporre nuovamente
l’esperimento, avviando una collaborazione con il Dipartimento per la ricerca
industriale dell’Università di Harvard, diretto proprio da Elton Mayo. Volontà
dell’Azienda era capire se la monotonia e la fatica
3
fossero variabili significative
ed incidenti sul lavoro nelle fabbriche. L’attenzione quindi si stava spostando su un
diverso oggetto di studio: se in precedenza ci si interrogava sul ruolo
dell’illuminazione (variabile fisica), ora invece stava prendendo piede l’idea che
fosse l’Uomo il vero protagonista. Interessante a tal proposito è la considerazione
di Mayo, il quale dimostra come la variabile “uomo” sia meritevole di più
attenzione in quanto difficilmente “controllabile”.
Mentre una macchina rivela subito in qualche modo una sua eventuale deficienza,
un metodo per affrontare le situazioni umane raramente dimostra di essere fondato
unicamente sulla tradizione e l’abitudine anziché sulla saggezza (Mayo, 1933).
3
Per quanto riguarda la “fatica” e la “monotonia” si rimanda al I e II capitolo de “I problemi
umani di una civiltà industriale”. L’Autore dedica infatti un’ampia riflessione sul ruolo di queste
due variabili all’interno della dinamica aziendale, dimostrando come l’introduzione di pause
lavorative abbia effetti positivi sulla produttività.
15
Tali considerazioni fecero sì che venisse decisa nel 1927 una seconda indagine o,
piuttosto, una serie di indagini. Con quest’attività collaborativa quindi inizia l’iter
sperimentale noto come “gli esperimenti di Hawthorne".
Tali verifiche furono fin da subito estremamente rigorose e presero in
considerazione i risultati del primo esperimento sull’illuminazione, i quali
influenzarono in larga misure le azioni successive. L’influenza che l’esperimento
(fallito) sull’illuminazione ebbe in seguito è dimostrabile attraverso alcune
dichiarazioni di Mayo, il quale afferma che
quando si ha da fare con esseri umani è impossibile cambiare una condizione senza
cambiare con ciò inavvertitamente anche qualche altra: questa è la conclusione
ricavata dall’esperimento di illuminazione (Mayo, 1933).
Per prima cosa, si limitò il gruppo dei soggetti coinvolti nell’esperimento a solo sei
operaie molto esperte, collocandole in un locale ad hoc (denominato Test Room) e
separandole dagli altri lavoratori. Ci si rese conto infatti che il cambiamento
dell’atteggiamento mentale poteva essere rilevante ai fini dell’inchiesta, e che tale
cambiamento poteva essere studiato in maniera ottimale se il gruppo preso in
considerazione fosse di pochi individui.
Le operaie erano addette al monitoraggio dei relè telefonici (da qui il nome che fu
dato a tali esperimenti: “Relay Assembly Test Room”): cinque delle lavoratrici
erano al lavoro al banco e la sesta aveva il compito di distribuire i materiali.
In questa fase sperimentale la variabile presa in esame non fu l’illuminazione
(quindi non solo variabili tecnico-strumentali), ma variabili psico-sociologiche.
Interessante è l’estremo rigore con il quale vengono condotti tali esperimenti. Da
“I Problemi umani di una civiltà industriale” emerge chiaramente la meticolosità
con la quale sono state effettuate tali verifiche
Il locale era separato dal resto del reparto di montaggio mediante un divisorio in
legno alto dieci piedi. Il banco era ben illuminato; c’era il necessario per notare i
16
cambiamenti di temperatura e di umidità. Si cercò anche di disporre le cose in modo
da poter osservare altri tipi di cambiamento, sia quelli inaspettati che quelli introdotti
sperimentalmente. In tutto ciò si ripercuoteva l’esperienza acquisita con
l’esperimento dell’illuminazione (Mayo, 1933).
Le variabili che vennero prese in considerazione furono diverse e numerose e
segnarono tutte differenti “periodi” (come li definisce Mayo ne “I problemi umani
di una civiltà industriale”, 1933).
Le registrazioni furono effettuate mediante un apparecchio studiato ad hoc, il quale
praticava un foro in un nastro in movimento ogni volta che un relè era stato montato.
Il nastro avanzava ad una velocità costante e l’apparecchio vi praticava cinque file
di fori, uno per ciascuna operaia. A destra di ogni posto di lavoro c’era uno scivolo
che aveva uno sportello elettrico; quando l’operaia finiva un relè lo metteva nello
scivolo e quello, al passaggio, apriva lo sportello e la macchina perforatrice segnava
un’unità. Misurando la distanza tra un foro e l’altro sul nastro è possibile calcolare
il tempo trascorso tra il montaggio di un relè e il seguente (Mayo, 1933).
Occorre sottolineare che prima di trasferire le operaie nella Test Room si registrò
per due settimane la produzione a loro insaputa, per poi poter confrontare i risultati
conseguiti con la “produzione base” di ciascuna operaia.
Nel terzo periodo, il primo di significativa importanza, la remunerazione fu
correlata alla produzione effettiva delle operaie. Si introdusse quindi un
cambiamento dovuto a un diverso metodo di pagamento: ciascuna ragazza avrebbe
guadagnato una somma maggiormente proporzionale al proprio sforzo individuale,
in quanto veniva pagata sulla base di un gruppo di cinque (il numero di lavoratrici
al banco) anziché di un gruppo di cento.
Successivamente, dopo otto settimane di osservazione, si decise di intervenire sui
riposi e sulle pause, dando vita alla parte più significativa dell’esperimento. Queste
ultime comprendevano anche la colazione, attraverso due intervalli di cinque minuti
alle dieci del mattino ed alle due del pomeriggio. Curiosa è la riflessione di Mayo
(1933), il quale sostiene che “si era deciso a favore di una pausa di cinque minuti,
17
piuttosto che di dieci o quindici, in parte perché c’era qualche timore che se
l’interruzione fosse stata più lunga sarebbe diventato impossibile perdere il tempo
perduto”.
Al termine del quarto periodo (durato cinque settimane), il risultato fu sorprendente:
con l’introduzione delle pause, la produzione aumentò in modo netto.
Nel quinto periodo di sperimentazione, Mayo introdusse due periodi di riposo di
dieci minuti ciascuno. Tale nuovo orario venne osservato per quattro settimane,
durante le quali la produzione giornaliera e settimanale subirono un incremento
significativo rispetto al periodo precedente.
L’aumento di produzione però segnò una lieve regressione nel momento in cui, per
ben quattro settimane, si introdussero addirittura sei intervalli di cinque minuti
l’uno. Nel sesto periodo infatti, a causa proprio di pause frequenti, le operaie si
dimostrarono “leggermente seccate per le frequenti interruzioni” (Mayo, 1933).
Quello che Mayo (1933) definisce il “settimo periodo destinato a diventare il
modello per i rimanenti anni dell’esperimento, (in quanto) la maggior parte dei
cambiamenti introdotti successivamente non sono che variazioni su quel modello”,
era inizialmente destinato a divenire una sorta di “pausa spuntino a metà mattina”:
molto spesso infatti le operaie si recavano al lavoro completamente a digiuno,
registrando di conseguenza un rallentamento della produzione proprio prima
dell’ora di pranzo (mezzogiorno). Si reintrodussero perciò i due periodi di riposo
(uno alle ore nove e trenta e uno alle ore quattordici e trenta), allungandoli però a
quindici minuti ciascuno. La produttività in questo settimo periodo (durato undici
settimane), il quale concluse la prima fase dell’esperimento complessivo, ritornò a
crescere fino “al suo livello più alto e si mantenne” (Mayo, 1933).
Iniziò quindi la seconda fase dell’esperimento, comprendente i periodi dall’otto
all’undici. In tali fasi successive si mantennero sostanzialmente “invariate le
condizioni del periodo sette, ma vi si aggiunsero altri cambiamenti” (Mayo, 1933).
Nell’ottavo periodo si decise di ridurre l’orario lavorativo di trenta minuti,
concedendo quindi alle operaie di accasare prima nel pomeriggio (alle ore sedici e
trenta invece che alle ore diciassette). Come previsto da Mayo, la produzione
continuò ad aumentare.