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INTRODUZIONE
«La perdita di sovranità dello Stato provocata dalla globalizzazione neoliberista si
accompagna da trent’anni a una sovraesposizione mediatica che confina con la
divorazione. L’una si nutre dell’altra.»
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Crisi della democrazia rappresentativa, disorientamento politico degli elettori e
svuotamento dei tradizionali simboli ideologici: il dibattito sullo stato di salute
dell’opinione pubblica è oggi più che mai acceso. Fiumi di inchiostro sono stati scritti
sulle nuove modalità retoriche con cui la classe politica, o aspirante tale, si rivolge ai
cittadini in un contesto di campagna elettorale perenne. Il personale contributo della
presente tesi vuole provare a cavalcare l’onda crescente di una nuova impostazione
del dibattito pubblico, tracciandone alcuni contenuti chiave e riprendendone le
modalità comunicative. In particolare, sarà al centro dell’analisi il tema della
sovranità, della sua perdita da parte dello stato-nazione e della sua rinnovata veste
mediatica. Una volta ricostruita l’offerta, e dunque individuate le matrici ideologiche
e politiche del discorso pubblico sulla sovranità, si guarderà a come la domanda, ossia
l’opinione pubblica, reagisce.
Si è quindi scelto come punto di partenza per spiegare il ragionamento sovranista,
propriamente inteso, l’annoso dibattito sul già decantato svuotamento delle
categorie di “destra” e “sinistra”. I valori e le ideologie tradizionali sono oggi
sottoposti a un forte stress mediatico, con la complicità di un’opinione pubblica
sempre più disincantata rispetto a questi contenitori politici. Il discorso muove
dunque dall’idea che il pensiero simbolico, certamente funzionale ai processi
identitari del singolo, non sia necessariamente il più efficace quando si tratti di
descrivere la complessità del reale. Verrà dimostrato quanto partiti notevolmente in
crescita in termini di elettorato, che in uno schema tradizionale collocheremmo ai
due poli estremi dello spettro destra/sinistra, convergano in alcuni punti del loro
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C. Salmon, La politica nell’era dello storytelling, Fazi Editore, Roma 2014, p. 10.
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discorso politico, rendendo urgente agli occhi dell’opinione pubblica una questione:
quanto possiamo ancora attingere all’antico discorso dualistico?
La questione del superamento delle logiche che contrappongono gli attori politici di
una comunità in base a una bipartizione netta del campo da gioco è già stata nutrita
da copiosi apporti accademici e intellettuali, di cui si darà in parte conto. È tuttavia
importante, per comprendere e dunque accettare la portata di questa rivoluzione
logica, porre la problematica in un’ottica teorica più ampia. Che l’equilibrio degli
antagonisti fosse alla base di una costruzione comunitaria degna di tale nome era già
noto nel 500 a.C. a un certo Eraclito di Efeso. Per il filosofo presocratico, era
necessario ricercare una sintesi comunitaria che permettesse il superamento delle
individualità, senza per questo provocare il dissolvimento delle loro identità
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: allo stesso modo i contrari, in quanto opposti, lottano fra di loro, ma allo
stesso tempo hanno bisogno l’uno dell’altro per affermare la propria esistenza.
Questo Logos ritorna attualissimo nel discorso contemporaneo quando ci accorgiamo
di come sia spesso difficile tracciare un segno perentorio che distingua
inequivocabilmente una politica di destra da una politica di sinistra, un simbolo di
destra da un simbolo di sinistra. Si aggiunga, al vecchio principio di identità e
complementarietà dei contrari, anche il fattore sociologico per cui i valori di
riferimento delle singole categorie non sono granitici comandamenti aprioristici, ma
si evolvono insieme al contesto storico e sociale in cui vengono applicati. Basti
pensare che nel 1815 in Francia il nazionalismo, la Marsigliese e la bandiera tricolore
erano simboli dell’estrema sinistra, mentre già nel 1900 sono divenuti quelli
dell’estrema destra. E oggi?
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Proprio temi come patria, nazione e sovranità popolare sono tornati al centro del
dibattito pubblico. Piuttosto che cercare di inscrivere discorsi e retoriche relativi a
questo tema all’interno di una categoria politica, cercherò dunque di verificare se sia
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J. S. Lorente, En el nombre del pueblo. La hora del populismo. Disponibile in http://www.revue-
krisis.com/2017/07/en-el-nombre-del-pueblo-la-hora-del-popolismo.html (cons. 07/10/2018).
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D. Venner, in «Enquête sur l’histoire», n. 6, dossier «L’âge d’or de la droite 1870-1940», primavera
1993, in A. De Benoist, Populismo. La fine della destra e della sinistra, Arianna Editrice, Bologna 2017,
pag. 68.
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possibile ricostruire un approccio politico coerente, in cui trovino spazio contributi,
simboli e idee provenienti sia dalla destra che dalla sinistra. La sintesi che ne
emergerà potrà, per comodità esplicativa, prendere il nome di sovranismo, tenendo
conto della molteplicità e dell’eterogeneità dei fattori che rientrano al suo interno.
In tutta questa ricostruzione sarà dato legittimo spazio ad alcune considerazioni sulla
relazione esistente fra l’incidenza di retoriche apparentemente opposte e la recente
solidificazione di processi e modalità populiste. Non ci si limiterà a distribuire
l’etichetta del populismo, applicandola ai movimenti politici che si collocano oggi
nelle frange più estreme dell’arco destra/sinistra. Il populismo entra trasversalmente
nel discorso, in parte perché i partiti e le forze politiche considerate riscontrano alcuni
dei tratti caratterizzanti del populismo, in parte perché lo stesso spettro concettuale
populista permette parzialmente di superare la rigidità manichea sempre più spesso
incapace di inquadrare una realtà politica.
Gli autori oggetto dell’analisi che seguirà, specie nel primo capitolo, propongono
dunque una lettura alternativa dell’attuale panorama politico, in cui il populismo si
configura come un approccio che nasce da e per rispondere ai difetti degli
ordinamenti democratici contemporanei, attraverso i contenuti indicati dalla
soluzione sovranista. È proprio in risposta all’impasse politico accusato dalla
letteratura presa in considerazione, infatti, che prende forma tale modello
alternativo, che attribuisce al discorso populista e sovranista un effetto benefico
rispetto ai sintomi della malattia accusati dalla democrazia. A tal proposito, fra i punti
di contatto più evidenti in cui le due assi del pensiero populista, di destra e di sinistra,
si intersecano, spicca un deciso attacco al liberalismo, inteso come sistema globale
economico ma anche culturale e politico. Una rete onnicomprensiva contro cui si
scaglia la critica congiunta da ambo i lati dei fronti, spesso mediante l’avanzamento
di proposte e soluzioni analoghe per il suo superamento.
Una volta tratteggiato il quadro teorico in cui la corrente di autori presa in
considerazione si inserisce, sarà dunque applicato questo schema logico alternativo
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alle realtà politiche europee contemporanee. Lo scopo è quello di mostrare in che
misura l’opinione pubblica, in modo più o meno ignaro, abbia assimilato,
interiorizzandoli, i cambiamenti e le evoluzioni delle categorie di pensiero fin qui
storicamente adottate. Nello specifico, due capitoli saranno dedicati alla rilevazione
di un’evidenza empirica della teoria premessa. Il primo, più rappresentativo, sarà un
case study che ripercorra le tappe più significative dell’evoluzione dei due partiti
francesi Front National guidato da Marine Le Pen e France Insoumise, movimento
fondato da Jean-Luc Melenchon. Le prospettive dei due attori politici verranno
tratteggiate, per ovvie ragioni, a partire dalla loro performance pubblica nel corso
delle elezioni presidenziali svoltesi in Francia nel 2017. A seguire, una breve rassegna
delle realtà europee maggiormente significative, prese in considerazione secondo il
binomio destra/sinistra. Dei protagonisti presi in analisi verranno descritte,
funzionalmente alla dimostrazione di un riscontro empirico nella realtà della teoria
sovranista, le analogie comunicative, discorsive, retoriche e di contenuto.
Che le realtà partitiche qui descritte siano più o meno coscienti della trasformazione
ideologica in atto, è certo che la sovraesposizione mediatica dei soggetti in esse
coinvolti stia avendo un forte impatto sull’opinione pubblica. Esattamente per tali
motivi proverò a tracciare una linea fra i contenuti teorici che giustificano questo
rimescolamento delle categorie politiche e l’approccio comunicativo dei partiti che
ne sono espressione. La personalizzazione del discorso politico, la comunicazione
diretta fra la leadership politica e il popolo mediante i social network e la sostituzione
di una ideologia strutturata con una narrazione accattivante sono i segni più evidenti
della rinnovata centralità della comunicazione politica. Segni facilmente riscontrabili
nel dibattito pubblico occidentale in toto, e che caratterizzano in modo peculiare i
forieri del nuovo approccio politico sovranista. Al centro dell’interesse per
l’argomento trattato in questa tesi, su tutto, un paradosso: la condizione in cui la
perdita di sovranità politica viene denunciata a gran voce, ma attraverso un
megafono che rimarca una pari perdita di sovranità mediatica.
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I CAPITOLO
Destra, sinistra e populismo: le categorie del pensiero sovranista
«Da molto tempo il divario destra-sinistra, in Francia come altrove, non
corrisponde più né ai grandi problemi del nostro tempo né a delle scelte politiche
radicalmente opposte le une rispetto alle altre».
Così Cornelius Castoriadis, sociologo greco naturalizzato francese, interveniva su Le
Monde (1986), in uno scritto poi ripreso sotto il titolo Attraversiamo un’epoca bassa
e vile.
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Non la prima né l’ultima affermazione riguardo la crisi della tradizionale
categorizzazione del politico in due grandi famiglie contrapposte.
La crisi della sinistra nelle democrazie europee è ormai un trending topic nel dibattito
comune. Ma a essere in crisi è la portata dei valori tradizionalmente difesi dall’ala
mancina dello spettro politico, o la presa dei partiti che ne difendono, o che
pretendono di difenderne, gli interessi reali? L’opinione pubblica è ormai
disaffezionata alle tematiche di sinistra o semplicemente disillusa che la sua classe
politica abbia il coraggio e le intenzioni di portarne avanti le istanze?
Dall’altro lato, nel dibattito pubblico la parola “destra” si identifica invece sempre di
più attraverso messaggi estremisti e aggressivi, dalla xenofobia al razzismo. Questo si
spiega in parte con le effettive derive dei partiti europei che sventolano con orgoglio
la propria identità right-wing; in parte però, nel grande sipario della politica sono gli
stessi movimenti di destra che scelgono di mettere in scena valori e rivendicazioni
volutamente divisivi, lasciando dietro le quinte discorsi e soluzioni moderate che pure
fanno parte del loro bagaglio. La presa sull’elettorato dei primi rispetto ai secondi è
evidentemente più redditizia, come ci raccontano quotidianamente sondaggi,
bollettini politici e scrutini. Il risultato di lungo termine che invece la politica sembra
non vedere è che proprio semplificando il discorso con esasperazioni e annunci
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C. Castoriadis, Attraversiamo un’epoca bassa e vile, in Une société à la dérive, entretiens et débats
1974-1997, Seuil, Paris 2005.
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catastrofisti si annulla la complessità storica del ragionamento di destra, dei suoi
valori e dei suoi riferimenti culturali.
Le direzioni che un tentativo di approccio scientifico al tema potrebbe imboccare
sono due. Da un lato, una coraggiosa scelta di abbandonare l’utilizzo di categorie
politiche inadatte. Constatando come la nostra partizione del pensiero non combaci
più con il quadro reale che ci troviamo davanti, si prende atto della perdita di
significato delle parole destra e sinistra. Questa atomizzazione rischia però di
alimentare un circolo vizioso in cui diventerebbe difficile riconoscere la coerenza di
un percorso politico: come raggruppare le idee e le azioni di più soggetti in base a una
comunanza di valori e visioni se si sostiene lo svuotamento di questi stessi fattori
comuni? Prescindere dall’utilizzo di categorie politiche è dannoso tanto quanto il loro
utilizzo univoco e acritico.
Una soluzione più costruttiva, prendendo le distanze dall’abbandono in toto del
tradizionale schema dualistico, spesso utile per una descrizione parziale ma nitida
della realtà, può invece essere quella di studiare il percorso di “deriva” che gli
interessi di parte hanno fatto. Non sono certo i valori ad essere tramontati, né le
rivendicazioni di classe ad essere meno urgenti. Dove confluiscono quindi le storiche
lotte dell’opinione pubblica per la conquista dei propri diritti, per il mantenimento
dei privilegi o anche solo per l’espressione di un’identità?
Ci troviamo davanti a una nuova articolazione del politico: lo schieramento “a destra”
o “a sinistra” trova ancora, in parte, un appeal romantico e nostalgico, ma smette di
connotare delle effettive posizioni politiche coerenti e non è più sufficiente per
incarnare le reali questioni in ballo. Non sono i principi di destra o i principi di sinistra
ad essere in crisi, è il loro dispiegamento all’interno di un sistema coeso di pensiero
che viene meno. Come già affermava il politologo Marco Tarchi nel 2008,
oggi il tipo ideale di individuo che di fronte alla totalità dei problemi in cui si
imbatte si schiera sempre “a sinistra” o “a destra” rispetto alle alternative che ha
di fronte non esist[e] più. Le scelte di campo si effettuano per temi e problemi
senza meccanicismi. Ci si può sentire contemporaneamente “più a sinistra” su
questioni che investono la giustizia sociale e la distribuzione della ricchezza e “più
a destra” su temi che toccano la sfera etica, o viceversa; “più a destra” se si discute
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di sicurezza e nel contempo “più a sinistra” se ci si riferisce alle dinamiche della
politica internazionale, o il contrario. E così via, per tutte le combinazioni
possibili.
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Proprio la riarticolazione dello schema politico fra destra e sinistra è uno dei
presupposti cardine del pensiero di Alain De Benoist. Una presentazione lapidaria del
filosofo francese ce la fornisce ancora Marco Tarchi: «Chiunque abbia familiarità con
le idee di Alain De Benoist, sa che racchiuderle in un’analisi unitaria è impresa
ardua».
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Saggista, giornalista e scrittore, il filosofo viene ricordato alle cronache
perlopiù come fondatore del movimento della Nouvelle Droite, il cui pensiero venne
ripreso in Italia dalla corrispettiva Nuova Destra di Tarchi (raccolta intorno alla rivista
di cui il politologo toscano è direttore Diorama Letterario). Entrambe le esperienze
sono poi naufragate, ma il loro contributo intellettuale al dibattito sugli sviluppi della
destra, e anche della sinistra, ha arricchito di nuove e spesso controverse sfumature.
Fra le principali tematiche cui gli studi di De Benoist si sono rivolte rientrano temi
come l’anti-liberalismo, l’anti-individualismo e l’applicazione di un modello di
sovranità nazionale all’interno del contesto europeo. Le posizioni del filosofo di Tours
sono rimaste sostanzialmente invise alla sinistra perché intrise di un patriottismo
sovranista e di uno spirito culturalmente conservatore, e altrettanto scomode alla
destra perché critiche rispetto alle correnti liberali, fortemente anti-capitaliste ma
anche in contrapposizione con le ali più estreme dello sciovinismo o del razzismo
xenofobo. La difficile collocazione del pensiero di De Benoist è stata risolta
attribuendo alle idee del filosofo l’appellativo di rossobruno: rosso perché di stampo
tendenzialmente marxista, bruno perché fermamente conservatore rispetto alle
tematiche sociali.
Il rifiuto di aderire ad una conformazione nelle categorie di destra e di sinistra da
parte di De Benoist nasce da una sua particolare ricostruzione della loro evoluzione
storica, partendo dal presupposto che queste nozioni, per come le conosciamo noi,
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Intervista di G. Repaci, direttore di Diorama Letterario, 01/04/2008. Disponibile in
http://www.conflittiestrategie.it/intervista-a-marco-tarchi (cons. 28/08/2018).
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M.Tarchi, Il De Benoist di Germinario, in Diorama Letterario, n.253, 2002.