IV
svolgimento di un’attività che impiega beni economici, è
infatti lo “strumento” attraverso cui la società persegue
le finalità, economiche (nelle imprese costituite per
accrescere il profitto) e non economiche (come nel caso
delle aziende sanitarie), dei suoi diversi organismi, ed è
al contempo “patrimonio” della stessa società, perché
tramite l'aumento della produttività, le consente di
soddisfare una maggiore quantità di bisogni.
In concreto il D.Lgs. 502/92, asse portante della
Riforma Sanitaria, ha trasformato in aziende sia le ex USL
sia gli ospedali. Cambiamento radicale, quindi, legato alle
mutate esigenze che impongono, in alternativa al fallimento,
il conseguimento di risultati economici positivi (o
perlomeno il pareggio di bilancio) per poter continuare ad
operare.
Partendo da tale premessa, in questa sede si esaminerà
la nuova impostazione che le Aziende Sanitarie Locali, e
nello specifico la ASL 1 Imperiese, hanno dovuto assumere
per adeguarsi al contestuale momento evolutivo. Occorre a
questo proposito sottolineare come un’esposizione che abbia
la pretesa di essere attuale non possa peccare di
incompletezza, e che, d'altra parte, tale risultato si possa
raggiungere necessariamente solo attraverso un'analisi della
disciplina previgente, la quale funga da punto di
riferimento e da termine di comparazione con l’ultima
V
riforma introdotta. Proprio a tale scopo il primo capitolo
conterrà un rapido excursus sulle principali normative
sanitarie che, partendo dalle prime leggi del Regno, si
focalizzerà sulla Riforma Sanitaria del 1978 (Legge N.833),
sulle cause della sua crisi e sui tratti essenziali del
conseguente riordinamento della disciplina, attuato
attraverso il D.Lgs. 502/92 e integrato dal successivo
D.Lgs. 517/93. Intervento fondamentale, nonché vera e
propria sfida, è stato in tal senso il processo di
aziendalizzazione delle strutture sanitarie pubbliche, che
ha vincolato l’erogazione dei livelli assistenziali definiti
dallo Stato e precisati dalle Regioni (nell'ambito della
loro autonomia) ad una più elevata efficienza ottenuta
grazie all'attivazione di comportamenti competitivi tra le
unità che producono ed erogano i servizi.
Diretta conseguenza di ciò è stata l’adozione delle
logiche di gestione tipiche delle aziende private: esse
hanno fatto emergere nell'ambiente sanitario la nuova
esigenza di disporre di un criterio razionale di conduzione
economica, in una parola economicità, al fine di garantire
il proprio equilibrio interno, indispensabile per durare nel
tempo quale fattore di benessere per la collettività. Ne è
derivata l’introduzione nelle ASL del processo di
pianificazione e controllo (argomento principale del secondo
capitolo), cui è strettamente connesso il concetto di
VI
strategia. Il fatto che tale tema sia entrato da alcuni
decenni (a partire dall'inizio degli anni sessanta), al
centro delle riflessioni degli studiosi di management è
facilmente comprensibile se si pensa al ruolo unificante che
esso ricopre rispetto alle politiche delle singole funzioni
aziendali, al suo inserirsi nelle relazioni tra impresa ed
ambiente, all’attenzione privilegiata che pone alle
condizioni di permanenza dell'impresa nel mercato.
Negli anni ’90, pur con un ritardo trentennale, la
strategia è stata introdotta nel campo della Sanità: è
infatti evidente che le ASL hanno problemi comparabili a
quelli delle imprese private nel garantirsi le condizioni di
sopravvivenza e sviluppo e che possono quindi largamente
beneficiare dell’approccio strategico, spostando
l'attenzione dai problemi immediati ad una prospettiva
temporale di più ampio respiro. Accanto ai processi ordinari
di gestione corrente è emersa così la necessità di
affrontare le ragioni fondamentali della propria esistenza,
per pianificare anticipatamente le varie attività da
svolgere nel corso degli anni. Sarà dunque argomento del
terzo capitolo l’esame del concreto processo di
programmazione di una ASL, e più precisamente il “modus
operandi” della ASL 1 Imperiese, per verificare come essa
abbia recepito i cambiamenti gestionali ed operativi
imposti dalla normativa e dalle concrete necessità del
VII
proprio tempo, e quali risultati positivi ne abbia tratto. A
tale scopo si analizzerà il Piano Generale di Attività
(Deliberazione N.966/95), documento che definisce i
programmi pluriennali della ASL, adottato in conformità
alla volontà di indicare la direzione nella quale l’azienda
intende muoversi, le risorse da utilizzare ed i risultati da
conseguire, in un'ottica che vede nella diversa tempistica
una caratteristica cardine, per cui il breve, il medio e di
lungo termine sono considerati strettamente connessi per
costituire un ciclo completo di gestione.
Si ritiene che una disamina approfondita di tutti i
programmi e progetti contenuti nel Piano Generale vada ben
al di là delle esigenze e degli spazi consentiti dalla
presente trattazione. Pertanto si reputa opportuno
soffermare l’attenzione sui provvedimenti considerati più
significativi, vale a dire la Ristrutturazione della Rete
Ospedaliera ed il Programma Qualità (compiutamente oggetto
del quarto capitolo), al fine di studiarne appropriatamente
i contenuti e gli sviluppi e verificare il grado di
raggiungimento degli obiettivi prefissati, ottenendo le
informazioni necessarie per valutare così l'efficacia
dell'intervento programmatorio.
1
CAPITOLO I
PARAGRAFO I
LE DISPOSIZIONI NORMATIVE NEL SISTEMA
PREVIGENTE ALLA LEGGE DI RIFORMA N. 833 DEL 1978
La trattazione in oggetto impone innanzi tutto una
disamina del diritto sanitario italiano, partendo dalle
prime leggi del Regno, ed approfondendo i contenuti della
L. 833/78 e dei più recenti D.Lgs. 502/92 e 517/93.
Fondamentale premessa è l'individuazione di una
definizione del concetto di salute; l’Organizzazione
Mondiale della Sanità nel 1948 la definì come lo stato di
completo benessere fisico-spirituale e sociale, e dunque non
solo l'assenza di malattie
1
. Obiettivo di una seria politica
sanitaria nazionale deve essere il miglioramento dello stato
di salute della propria comunità, e per ottenere ciò si
rende necessario operare su tutte le variabili che
influiscono sui livelli di intervento: istruzione e cultura,
reddito individuale, risorse finanziarie ed umane
disponibili, ruolo delle autorità pubbliche, ben consci di
come il sempre più alto grado di interfunzionalità ed
interdisciplinarietà del settore abbiano evidenziato la
centralità della sanità nello sviluppo sociale. Dunque la
sanità, intesa come cura della salute del cittadino, occupa
1
Si veda in tal senso PORTANOVA, in “L’evoluzione dei diritti dell’uomo dal 1789 al 1948”,RaDP,1956.
2
nello stato moderno un ruolo rilevante: le attuali
democrazie, superata la fase di tutela dei bisogni
fondamentali dell'uomo, hanno provato a garantire il
benessere nella sua estensione, fisica, psicologica e
mentale.
Sino alla metà del secolo scorso il diritto al
mantenimento della salute non era considerato nell'ambito
dei diritti e doveri dei cittadini. Ne è riprova lo Statuto
Albertino, promulgato il 4 marzo 1848, che nulla stabiliva
in materia di tutela della salute e di assistenza sociale.
Solitamente queste erano lasciate all'intervento di
associazioni assistenziali e caritatevoli, alla Chiesa, alla
benevolenza di privati
2
. Solo ad unità italiana raggiunta,
la salvaguardia della sanità trova spazio nella legislazione
del Regno e la legge 2248, allegato C, del 20 marzo 1865, la
affida al Ministro dell'Interno: la sanità diventa quindi
materia di ordine pubblico. Siamo ancora di fronte ad
un’Italia tendenzialmente agricola, che sta cercando di
assumere una dimensione unitaria e moderna, migliorando il
tenore di vita dei meno abbienti attraverso interventi in
tema di servizi igienico-sanitari degli stabilimenti
sanitari, della tutela preventiva dell’igiene pubblica, di
salubrità delle abitazioni.
2
A tale riguardo si veda FRASCANI, “Ospedale e Società in età liberale”, Il Mulino, Bologna, 1986.
3
Soltanto dopo la prima guerra mondiale, però, il
problema salute acquista rilevanza, nell'ambito di una
maggior attenzione manifestatasi nel mondo occidentale verso
la tutela del cittadino
3
. La Costituzione italiana, entrata
in vigore il 1° gennaio 1948, non solo ha recepito le
innovazioni internazionali, ma anche le aspirazioni di
miglioramento sociale della nuova democrazia italiana,
aprendo lo spazio giuridico anche al nuovo diritto della
tutela della salute. Il principio cardine diventa salus
publica suprema lex in quanto la tutela della salute è il
primo requisito essenziale per la libertà dell'individuo. A
tale riguardo meritano particolare attenzione gli articoli
32 e 38 della Costituzione, che definiscono il diritto
tutela della salute come primario ed assoluto, e sanciscono
il diritto dei lavoratori ad assicurarsi contro i rischi cui
è soggetta la loro attività. Dal comma 1 dell’art. 32 si
evince che la salute pubblica debba essere considerata sia
come un diritto dell'individuo, sia come un interesse della
collettività, stabilendo che la stessa non soggiace ad
alcuna previsione limitativa. Il comma 2, invece, sancisce
che solo una disposizione di legge può obbligare a un
determinato trattamento sanitario, ma ”non può in nessun
caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana“. Vengono stabilite quindi due regole fondamentali: il
3
Sul punto si veda COSMACINI, in “Storia della medicina e della Sanità in Italia”, Laterza, Bari, 1987.
4
diritto alla tutela della salute come individuale e
costituzionale (comma 1), e la tutela del diritto di
libertà e difesa della dignità umana (comma 2)
4
.
L'articolo 38 della Costituzione prevede la tutela della
salute dei lavoratori, istituendo sistemi assicurativi nei
casi di diminuzione o perdita della capacità lavorativa,
specialmente se causati da infortuni, malattie, invalidità e
vecchiaia o disoccupazione involontaria
5
. Si può osservare
come i due articoli 32 e 38 non solo si integrino, ma
coincidano nel momento in cui individuano nel diritto alla
tutela della salute un interesse del singolo e, allo stesso
tempo, di tutta la collettività organizzata.
La prima profonda innovazione, successiva alla
Costituzione, fu l’istituzione del Ministero della Sanità,
disposta con legge 13 marzo 1958, n. 296. La sanità, non più
problema di ordine pubblico, usciva dalla competenza del
Ministero dell'Interno per avere una sua particolare
specificazione ed indirizzo. Nell'ambito del compito
generale di tutelare la salute pubblica, al Ministero della
Sanità furono assegnate funzioni specifiche: provvedere
direttamente ai servizi sanitari attribuiti dalla legge alle
Amministrazioni Civili dello Stato e sovrintendere a quelli
esercitati dalle Amministrazioni autonome e degli enti
4
In merito cfr. CARLASSARE, “L’art. 32 della Costituzione ed il suo significato”, in «L’amministrazione
italiana», ISAP, Vicenza, 1967.
5
Si veda la disposizione dell’art. 38,commi 1 e 2, della Costituzione della Repubblica Italiana.
5
pubblici, nonché vigilare sugli enti ospedalieri e
sull'esercizio delle professioni sanitarie.
Fece seguito la Riforma ospedaliera degli anni ’60
(legge 132 del 12 febbraio 1968 e DD.P.R. 128, 129 e 130 del
27 marzo 1969). La legge 132 del 1968, definita la prima
delle «grandi riforme», apportò in particolare una radicale
innovazione in materia di assistenza sanitaria, sostituendo
le associazioni di assistenza e beneficenza con gli enti
ospedalieri quali organismi pubblici che istituzionalmente
provvedono al ricovero ed alla cura. Furono fissate altresì
le norme per l’organizzazione della gestione di detti enti
ospedalieri introducendo i seguenti organi: Consiglio di
amministrazione, Presidente, Collegio dei revisori dei conti
e Consiglio dei sanitari.
Esattamente un anno dopo il Governo, al fine di
riorganizzare il settore, emanò tre decreti delegati,
riguardanti rispettivamente l'ordinamento interno dei
servizi ospedalieri, quello dei servizi di assistenza delle
Cliniche e degli Istituti Universitari di ricovero e cura,
nonché lo stato giuridico dei dipendenti degli enti
ospedalieri. Tuttavia tale Riforma non riuscì a produrre i
miglioramenti delle strutture che il legislatore si era
proposto: soprattutto si sviluppò un'eccessiva
burocratizzazione, uno dei mali fondamentali della sanità
italiana. Peraltro occorre riconoscere come due emergenze
6
politiche rallentarono la forza innovativa della riforma:
da un lato l’istituzione delle Regioni, avvenuta soltanto
nel 1970, per cui questi nuovi organismi non ebbero la forza
di esercitare appieno i propri compiti in materia sanitaria,
dall'altro il prepotente emergere del Comune, che divenne
negli anni ’70 il soggetto politico di riferimento,
determinando scelte strategiche e legislative di indirizzo
diverso da quello individuato dai decreti in oggetto.
Al fine di ovviare a quanto rimasto insoluto con la
legge 132/1968, e cioè il trasferimento in sede periferica
delle funzioni statali in materia sanitaria, si provvide con
il D.P.R. 4 del 14 gennaio 1972, in virtù del quale vennero
trasferite alle Regioni le funzioni amministrative
esercitate dagli organi statali relativamente all'assistenza
sanitaria, all'assistenza ospedaliera e agli uffici dei
medici provinciali. In tal modo si verificò la
trasformazione degli enti ospedalieri in enti strumentali
della Regione, ed il passaggio alla definitiva gestione
dell'assistenza sanitaria da parte delle Regioni
6
.
In realtà il cammino era ancora lungo.
6
A questo riguardo si veda GIZZI, “La ripartizione delle funzioni tra Stato e Regioni”, Giuffrè, Milano,
1977.
7
PARAGRAFO II
LA LEGGE DI RIFORMA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE (LEGGE
23 DICEMBRE 1978 N. 833)
Si deve attendere il 1978 per assistere ad una
sostanziale riformulazione ed inquadramento organico del
settore sanità. Ciò è stato reso possibile grazie alla legge
833 del 23 dicembre 1978, intitolata: ”Legge istitutiva del
SSN“.
In effetti tale legge tendeva a realizzare un servizio
sanitario efficiente all'interno del complesso sistema
amministrativo italiano. In sostanza due erano le esigenze:
raccogliere in un quadro legislativo unitario ed organico i
segmenti riformistici precedenti, nonché risolvere la crisi
finanziaria in cui si trovavano gli enti mutualistici.
Infatti il modello fino ad allora vigente era fondato sul
principio dell'assicurazione sociale obbligatoria che era
caratterizzato dalla frammentazione del sistema di
erogazione dei servizi: esso era basato su una pluralità di
enti, le mutue, ognuno con il proprio statuto e regolamento:
alcuni, attraverso i loro ambulatori, erogavano direttamente
i servizi sanitari, altri invece, stipulando convenzioni con
medici, ospedali e farmacie fornivano prestazioni indirette,
altri ancora permettevano di scegliere fra le due
alternative. Una tale confusione aveva portato
8
inevitabilmente a disfunzioni: disorganicità di interventi,
insoddisfazione dell'utenza, crescita abnorme degli oneri
finanziari, complessità di procedure e ritardi
nell’erogazione delle prestazioni. Di qui l'esigenza di
ridisegnare integralmente il sistema, creando un'unica
struttura, il Servizio sanitario nazionale, a cui affidare
la gestione dell'intera gamma di servizi di tutela della
salute dei cittadini italiani. Peraltro già da alcuni anni
il legislatore aveva iniziato una serie di interventi volti
a decretare la fine del sistema mutualistico: da menzionare
la legge 386/74 che aveva stabilito ”norme per l’estinzione
dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti
ospedalieri“, e la successiva legge 349/1977, contenente
”norme transitorie per il trasferimento alle Regioni delle
funzioni esercitate dagli enti mutualistici . Comunque
risultò decisivo l’apporto della legge 833/78. Una riforma
di tale portata fu possibile anche grazie al particolare
momento politico di quel periodo, la cosiddetta fase del
compromesso storico, durante la quale le due grandi forze
politiche del paese, i democratici cristiani e la sinistra,
lavorarono insieme per risolvere alcuni problemi di elevata
rilevanza politico-sociale. Tale riforma fu ispirata dai
principi dell’ideologia dominante in Europa nel periodo, il
Welfare State o Stato sociale, che M. Ferrera definisce «un
insieme di interventi pubblici connessi al processo di
9
modernizzazione, che forniscono protezione sotto forma di
assistenza, assicurazione e sicurezza sociale, introducendo
tra l'altro specifici diritti sociali nel caso di eventi
prestabiliti nonché specifici doveri di contribuzione
finanziaria»
7
. In pratica il Welfare State è costituito da
un insieme di prestazioni eterogenee nei campi
previdenziale, assistenziale e sanitario
8
, collegate tra
loro da una finalità comune: assicurare tutti gli individui
nei confronti dei rischi dell'esistenza. Le motivazioni
dell'intervento pubblico possono essere suddivise in due
categorie. La prima è di natura etico-sociale: è
riconosciuto a tutti i cittadini il diritto alle prestazioni
sociali, diritto collegato solamente allo stato di bisogno,
indipendentemente da qualsiasi comportamento precedente,
come l'aver versato contributi. In secondo luogo si hanno
motivazioni economiche, riconducibili all'esigenza di
erogare prestazioni sociali in modo più efficiente: la
presenza di esternalità, di rendimenti di scala crescenti,
di mercati non concorrenziali e di asimmetrie
nell'informazione non permettono al sistema di mercato di
funzionare correttamente e richiedono l'intervento statale.
La sanità veniva dunque vista come un diritto fondamentale
ed irrinunciabile. Da queste premesse deriva che la riforma
7
Così testualmente FERRERA, in “Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie”, Il
Mulino, Bologna, 1993.
8
In proposito si veda FOSSATI, in “Scienza delle finanze. Appunti dalle lezioni”, Genova, 1998, pag. 176.
10
fu largamente ispirata a principi di solidarietà, primato
dell'intervento pubblico diretto e controllo democratico. In
sintesi si delineò un sistema che è stato definito di
«universalismo democratico»
9
, e che trova nell'art. 1, commi
1,2,3 della legge 833/78 la sua più piena espressione.
Primario obiettivo dell’articolo era definire la duplice
natura del diritto alla salute, visto come interesse sia
individuale sia collettivo, e pertanto tutelato dallo Stato
mediante il SSN. Sempre rifacendosi all’art. 32 della
Costituzione, il comma 2 dell’art. 1 della legge 833/78
ribadiva il principio della dignità e della libertà
dell’uomo, che doveva essere anche rispettato dalla tutela
della salute. Infine l’art. 1 al comma 3 attribuiva al SSN
il ”complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e
delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e
al recupero della salute fisica e psichica di tutta la
popolazione senza distinzioni“, e sanciva che la sua
attuazione dovesse competere ”allo Stato, alle Regioni e
agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione
dei cittadini“.
9
Tale definizione è tratta da FERRERA, in “The evaluation of social policies: experience and perspective”,
Giuffrè, Milano, 1993.