Inoltre, i settori per così dire “femminili” sono anche quelli che prevedono le retribuzioni più basse.
Ma anche quando donne e uomini svolgono occupazioni simili, le prime sono pagate in media meno
dei secondi.
Le ragioni che spiegano tali differenze retributive possono essere suddivise in due tipi: quelle
riconducibili alle diverse caratteristiche dell’offerta femminile rispetto a quella maschile, e quelle
spiegabili solo come discriminazione.
Infatti, l’offerta femminile è molto meno stabile, fedele e duratura di quella maschile; le donne sono
di solito meno disposte a svolgere straordinari e fanno in media più assenze (specialmente a causa
della maternità). Ma tutti questi fattori spiegano solo una parte delle differenze retributive; il resto è
attribuibile alla volontà del datore di lavoro di pagare le donne meno degli uomini, perché donne in
quanto tali.
Da qui, la necessità di adottare politiche e provvedimenti pubblici e privati, per consentire alle
donne di muoversi nel mercato del lavoro con gli stessi strumenti disponibili per gli uomini.
Il presente lavoro considera tutti gli aspetti sin qui considerati, in modo non certamente esaustivo,
data l’ampiezza del tema, ma, spero, sufficientemente approfondito.
Il primo capitolo è costituito da un insieme di dati che documentano le dinamiche dell’offerta
femminile, in Europa e negli Stati Uniti, dal 1960 ad oggi. Essi, inoltre, mostrano la reale
consistenza della segregazione occupazionale e delle differenze retributive di cui soffrono le
lavoratrici.
Il secondo capitolo, invece, è una rapida scorsa degli studi teorici relativi a questi temi. L’offerta
femminile, infatti, mal si adatta al modello classico dell’offerta di lavoro (basato su curve di
indifferenza e vincolo di bilancio), ma è difficile costruire un modello valido per essa, perché, come
accennavo prima, il peso dei soli fattori economici è, in questo caso, più ridotto. Inoltre, ho esposto
le principali spiegazioni teoriche della discriminazione e della segregazione. Si tratta di contributi
che provengono, per la maggior parte, dagli Stati Uniti, anche se una rapida scorsa è dedicata anche
al dibattito in Italia.
Nel terzo capitolo, ho elencato e commentato tutte le leggi e gli altri atti legislativi che in Italia,
nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, si occupano del lavoro femminile. Inoltre, ho analizzato
anche i ruoli e i compiti degli Organismi di parità nei medesimi Paesi, e ho dedicato un paragrafo al
dibattito intorno al problema delle cosiddette “quote”. Si discute, infatti, a livello teorico e politico
se sia giusto oppure no riservare alle donne dei posti nel lavoro e nella rappresentanza politica.
Il capitolo quattro è, invece, dedicato agli interventi pubblici non strettamente legislativi, e privati
per favorire e promuovere l’occupazione femminile. In Europa, molti fra i progetti delle
organizzazioni femminili fanno capo al Fondo Sociale Europeo, che qui è sicuramente il più potente
strumento di promozione delle pari opportunità. Negli Stati Uniti, invece, ci sono moltissime
organizzazioni di categoria che riuniscono le lavoratrici; inoltre, esse sono fra loro collegate,
costituendo una fitta rete di scambi e di conoscenze.
Infine, nel quinto capitolo, ho analizzato due aziende italiane (l’Electrolux Zanussi e le Ferrovie
Nord Milano Esercizio), che negli ulitimi anni hanno portato a termine una serie di interventi a
favore delle pari opportunità per le proprie dipendenti. Esse costituiscono solo un esempio tra i
numerosi a cui sarei potuta ricorrere, dato che ormai quasi in ogni azienda è operante un comitato
per le pari opportunità.
CAPITOLO 1
LA SITUAZIONE FEMMINILE NEL MERCATO DEL LAVORO
DAGLI ANNI ’70 AD OGGI
Introduzione
Da un trentennio ormai le donne sono fra le protagoniste del mercato del lavoro ed il loro peso, non
solo in termini quantitativi, tende ad aumentare.
Nonostante ciò, però, sembra che il loro cammino verso la parità con gli uomini sia ancora lungo.
E’ vero che molto è stato fatto e promesso, ma nella realtà pratica sopravvivono ancora numerose
concezioni del passato; l’attuale divisione dei compiti educativi, assistenziali e domestici all’interno
della famiglia è più o meno la stessa di trent’anni fa.
Se è vero che anche alle donne sposate è ormai da tempo riconosciuta la possibilità di avere una
carriera lavorativa, è pure vero che per loro conciliare lavoro e famiglia significa in pratica svolgere
un duplice ruolo: quello di casa e quello fuori di casa.
Da una parte, esistono ancora delle professioni considerate “inadatte” per le donne, e, dall’altra, vi
sono settori dominati da loro, dove per gli uomini è difficile entrare (si pensi ad esempio ai servizi
di assistenza e cura a malati e anziani o a lavori come segretaria o commessa).
A titolo di esempio, si può riferire che un sondaggio commissionato in Italia dall’attuale Ministro
per le Pari Opportunità, Laura Balbo, ha rivelato che 20 italiani su 100 rifiutano l’idea di vedere una
donna come presidente della Repubblica, come tassista o come chirurgo.
Nei settori in cui non vi è predominanza dell’uno o dell’altro sesso, le qualifiche delle donne
risultano comunque mediamente inferiori a quelle degli uomini, e, anche quando raggiungono il
vertice della carriera, esse sono pagate in media meno dei loro colleghi uomini per mansioni e
responsabilità identiche.
Ecco un altro grosso problema dell’occupazione femminile: oltre alla segregazione occupazionale,
le donne si trovano a dover affrontare la questione delle paghe basse.
Spesso queste ultime non emergono come fattore importante di discriminazione, poiché, unite alle
paghe degli altri componenti della famiglia, portano quest’ultima al di sopra di livelli di reddito
basso, a meno che la donna lavoratrice viva sola o sia l’unico sostegno economico della famiglia.
Tale debolezza del lavoro femminile non è dovuta solo al persistere di resistenze culturali e sociali.
Spesso i servizi sociali, predisposti per assumere l’onere del soddisfacimento di alcuni bisogni
familiari, sono insufficienti.
Vi sono inoltre fattori naturali che influiscono sulla debolezza del lavoro femminile, quali, ad
esempio, la maternità, l’allattamento e l’avviamento alla vita del proprio bambino. Tali funzioni,
tipicamente femminili, sono sia incomprimibili senza danno per le nuova generazioni, sia essenziali
per la società nel suo complesso.
Tutti questi fattori riducono le ore annue lavorative delle donne, aumentano l’assenteismo e
l’insicurezza delle loro prestazioni professionali.
Da qui deriva la preferenza da parte dei datori di lavoro di avvalersi di lavoratori e di assegnare alle
donne paghe minori.
Per cambiare la situazione occorrerebbe una non facile e breve evoluzione delle coscienze ed una
promozione di generali mutamenti nelle condizioni di lavoro, per renderle più consone alle esigenze
private e familiari. Infine, ma non ultimo, bisognerebbe favorire il compimento delle funzioni
tipicamente femminili, rendendo più flessibili le generali condizioni lavorative, e dall’altro lato
bisognerebbe redistribuire sull’intera società, con fiscalizzazioni, il maggior costo del lavoro
femminile che da queste cause viene appesantito.
1. Il posto delle donne nel mercato del lavoro
Dal 1960 al 1990 la forza lavoro femminile nei Paesi occidentali è aumentata di circa 50 milioni di
unità (tab. 1). Nella maggior parte di questi Paesi l’aumento si registra già dal 1960 al 1970, quando
le donne nel mercato del lavoro passano da quasi 67 milioni a più di 78 milioni, con una variazione
complessiva di più di 11 milioni di unità.
Ma il vero boom dell’occupazione femminile si ha nel corso del 1970, quando la variazione di unità
risulta piuttosto consistente (più di 21 milioni di donne) ed è positiva per tutti i Paesi occidentali.
Gli Stati Uniti da soli, con 12 milioni di donne in più nel mercato del lavoro, determinano più della
metà di tale aumento.
Infine durante gli anni ’80, si assiste ad un ulteriore crescita della forza lavoro femminile, perchè
entrano nel mercato del lavoro altre 17 milioni di donne.
Tab. 1: Forze di lavoro femminili totali dal 1960 al 1990 in alcuni Paesi dell'OCSE (in migliaia di unità)
Variazioni
1960 1970 1975 1980 1985 1990 1960-
1970
1970-
1980
1980-
1990
Austria 1.363 1.173 1.155 1.248 1.276 1.233 -190 75 -43
Belgio 1.084 1.226 1.375 1.498 1.592 1.647 142 272 149
Canada 1.660 2.826 3.700 4.180 4.773 5.200 1.166 1.354 1.020
Danimarca 646 918 1.023 1.107 1.189 1.266 272 189 159
Finlandia 945 975 1.056 1.138 1.157 1.182 30 163 44
Francia 6.611 7.601 8.277 8.931 9.823 10.527 990 1.330 1.596
Germania 9.898 9.638 9.818 9.953 10.406 10.385 -260 315 432
Grecia 1.185 930 910 993 1.032 1.066 -255 63 73
Islanda 19 26 29 32 34 36 7 6 4
Irlanda 290 288 315 321 340 364 -2 33 43
Italia 6.258 5.232 5.536 5.915 6.162 6.309 -1.026 683 394
Lussemburgo 35 34 37 38 38 36 -1 4 -2
Paesi Bassi 916 1.228 1.383 1.533 1.694 1.858 -312 305 325
Norvegia 411 468 660 740 835 931 57 272 191
Portogallo 607 913 1.543 1.752 1.947 2.159 306 839 407
Spagna 2.380 3.102 3.650 4.301 4.797 5.394 722 1.199 1.093
Svezia 1.352 1.546 1.756 1.918 2.130 2.241 194 372 323
Regno Unito 8.015 8.937 9.720 10.401 10.956 11.169 922 1.464 768
Stati Uniti 23.272 31560 37.087 44.142 50.090 54.395 8.288 12.582 10.253
Totale 66.947 78.621 89.030 100.141 110.271 117.398 11.674 21.520 17.257
Fonte: Ballestrero Maria Vittoria da "Lavoro femminile, formazione e parità uomo-donna" 1983. Stime del Segretariato dell’OCSE.
.
Anche l’Italia segue questo trend della forza lavoro femminile (grafico 1): ad una diminuzione del
lavoro femminile nel passaggio dal 1960 al 1970 (un milione di lavoratrici in meno), segue
un’impennata nel corso degli anni ’70 ed un ulteriore aumento nel corso degli anni ’80.
Trasformando i valori della tabella 1 in variazioni percentuali, è agevole il confronto con i
corrispondenti dati maschili (tab. 2).
Nei Paesi Europei dell’OCSE le forze di lavoro e l’occupazione maschile diminuiscono dal 1960
fino alla fine degli anni ’70; nel corso del 1979 le forze di lavoro maschili aumentano di uno 0,4%,
mentre l’occupazione scende ancora. Le forze di lavoro e l’occupazione femminili invece
aumentano costantemente ed il salto maggiore è nella seconda metà degli anni ’70, quando la forza
lavoro cresce del 2,1% e l’occupazione dell’1,8% (rispetto all’1,7% e all’1% del triennio
precedente).
Fonte: “Lavoro e politiche dell’occupazione in Italia” Rapporto ‘91-’92 del Ministero del Lavoro.
Nel Nord America la situazione è più o meno identica nelle tendenze; tuttavia vi sono due
importanti differenze: per prima cosa le variazioni sono maggiori; il trend è positivo anche per gli
uomini, ma anche qui le donne crescono di più. Inoltre il salto maggiore per le donne avviene prima
rispetto all’Europa, e cioè nella prima metà degli anni ’70, con una variazione percentuale del 4,3%
nelle forze di lavoro e del 5% nell’occupazione.
Confrontando infine i tassi di attività (tab. 3), si nota subito che quelli maschili si attestano sempre a
livelli superiori rispetto a quelli femminili, ma mentre i primi seguono una tendenza alla
diminuzione (dal 95,2% del 1960 all’85,3% del 1990), i secondi aumentano costantemente, ed in
modo particolare dal 1970 al 1980 con un salto percentuale di ben 5 punti.
Grafico 1: Forze di lavoro per sesso in Italia dal 1959 al 1990
80
85
90
95
100
105
110
115
120
125
130
1959 1961 1963 1966 1967 1971 1972 1975 1977 1979 1983 1987 1990
Anni
n
u
m
e
r
i
i
n
d
i
c
i
:
1
9
5
9
=
1
0
0
FDL maschi Occupati maschi FDL femmine Occupati femmine
Tab. 2: Variazioni percentuali medie annue delle forze di lavoro e dell'occupazione nei Paesi dell'OCSE per sesso, dal 1960 al 1981
1960-1970 1970-1980 1970-1973 1973-1975 1975-1978 1978-1979 1979-1980 1980-1981
FORZE DI LAVORO
Totale OCSE M 0,7 0,6 0,7 0,4 0,7 0,6 0,7 0,6
F 1,6 2,3 2 1,9 2,8 2,6 1,9 1,3
MF 1 1,2 1,2 1 1,4 1,4 1,2 0,8
Nord America M 1,1 1,4 1,4 1,2 1,6 1,6 1,1 0,7
F 3,3 3,7 3,3 3,8 4,3 3,7 2,9 2,7
MF 1,8 2,3 2,1 2,2 2,7 2,5 1,8 1,5
Paesi Europei OCSE M 0,2 -0,1 -0,1 -0,3 0 -0,2 0,4 -
F 0,7 1,7 1,7 1,8 1,7 2,1 1,2 -
MF 0,4 0,5 0,5 0,4 0,6 0,7 0,6 -
OCCUPAZIONE
Totale OCSE M 0,8 0,3 0,6 -0,6 0,7 0,7 -0,2 -0,4
F 1,5 1,9 1,9 0,9 2,6 2,6 1,5 0,6
MF 1 0,9 1,1 -0,1 1,4 1,4 0,4 0
Nord America M 1,2 1,2 1,4 -0,6 2,4 1,8 -0,7 0,4
F 3,3 3,5 3,2 2 5 4,1 2,4 2,2
MF 1,9 2,1 2,1 0,4 3,4 2,8 0,6 1,1
Paesi Europei OCSE M 0,2 -0,4 -0,2 -1 -0,3 -0,2 -0,3 -
F 0,6 1,2 1,5 1 1 1,8 0,6 -
MF 0,3 0,1 0,3 -0,3 0,1 0,5 0 -
Fonte: Ballestrero Maria Vittoria da "Lavoro femminile, formazione e parità uomo-donna" 1983. Stime del Segretariato dell'OCSE.
Tab. 3: Tassi di attività maschili e femmnili dal 1960 al 1990 in alcuni Paesi dell'OCSE
1960 1970 1980 1985 1990 1960 1970 1980 1985 1990
Austria 93,5 85,7 89,1 88,3 88,5 55 49,2 51,1 50,6 49,5
Belgio 88,5 86 83,5 82,5 82 36,2 40 46,9 48,5 50,4
Canada 91,7 85,5 85,4 86,1 86,2 32 43,1 50,4 53,5 55,2
Danimarca 99,5 91,8 88,5 87,6 87,5 43,5 58 67,5 70,9 74,9
Finlandia 91,1 83,8 78,2 76,8 76,3 65,9 62,5 69,1 69 70,9
Francia 93,8 87,2 83 81 80,8 46,4 48,2 52,6 54,9 57,9
Germania Fed. 94,4 92,5 84,6 83,5 84,5 49,2 48,1 49,2 50,1 52
Grecia 92 86,4 79,8 79,4 79,9 41,9 32,1 32,5 32,2 32,2
Islanda 97,1 94,7 93,2 95 96,4 37,7 44,7 45,1 44,2 43,9
Irlanda 98,6 96,5 87,2 85,8 84,8 35,3 34,3 33,1 32,9 32,7
Italia 92,2 83,1 80,1 78 77,9 37,1 29,6 32 32,1 32,7
Lussemburgo 89,5 86,3 87,9 88,2 88,2 32,6 30,3 31,9 31,4 30,2
Paesi Bassi 93,2 87,3 79,5 78,5 79,6 26,3 30,3 33,7 35,4 38,1
Norvegia 92,2 89 83,8 81,7 79,7 36,3 38,8 58,4 64,2 70,5
Portogallo 103,9 102,5 91 89,7 88,4 20,3 30,6 52,8 56,4 60,2
Spagna 98,7 92,8 85,3 83,9 83,6 23,6 28,9 36,3 38,9 42,1
Svezia 93,6 88,8 88 87,7 88,2 55 59,4 73,8 81,3 85,8
Regno Unito 98 94,8 90,9 90,7 91,5 46,1 50,5 58,2 59,9 61,3
Stati Uniti 91,7 87,1 85,4 85,5 85,7 42,6 48,9 59,1 64,2 67,8
Totale 95,2 90,4 86,4 85,5 85,3 42,1 44,2 49,5 51,3 53,1
Fonte: Ballestrero Maria Vittoria da "Lavoro femminile, formazione e parità uomo- donna" 1983. Stime del Segretariato dell'OCSE.
Maschi Femmine
1.1 Tassi di disoccupazione
Tab. 4: Tassi di disoccupazione maschili e femminili in alcuni
Paesi dell'OCSE negli anni 1960, 1970 e 1980 (%)
1960 1970 1980
M F MF M F MF M F MF
Nord America 5,3 5,7 5,5 4 6 4,8 6,7 7,5 7
Paesi Europei OCSE 2 1,8 1,9 2 3 2,1 5,2 7,8 6,1
Fonte: Ballestrero Maria Vittoria da "Lavoro femminile, formazione e parità
uomo-donna" 1983. Stime del Segretariato dell'OCSE.
Fonte: Stime Eurostat da Internet (sito Employment Now).
Grafico 2: Tassi di disoccupazione per sesso in Europa nel 1995
0
5
10
15
20
25
30
35
B DK D EL E F IRL I L NL A P FIN S UK
%
n
e
l
m
e
r
c
a
t
o
d
e
l
l
a
v
o
r
o
Uomini Donne
Con l’aumento della forza lavoro femminile è aumentata anche la relativa disoccupazione. Per
entrambi i sessi decidere di entrare nel mondo del lavoro non significa automaticamente trovare
un’occupazione, anzi per le donne vi sono delle difficoltà in più; (ho già parlato delle ragioni sulla
preferenza accordata dai datori di lavoro ai lavoratori uomini).
Nei Paesi europei dell’OCSE, i tassi di disoccupazione crescono dal 1960 fino ai giorni nostri (tab.
4 e grafico 2), ma quello femminile, a partire dal 1970, si attesta a livelli superiori rispetto a quello
maschile. Nel 1995 sono solo tre i Paesi europei a smentire questa tendenza, e precisamente
Finlandia, Svezia (due paesi scandinavi) e Gran Bretagna.
Anche nel Nord America il tasso di disoccupazione femminile supera quello maschile nel trentennio
1960-1980, ma qui la disoccupazione non segue un trend in crescita, bensì subisce un arresto nel
corso degli anni ’70 per poi risalire nel decennio successivo.
Cambiando indicatori e considerando le variazioni percentuali della disoccupazione (tab. 5), si
scopre che nei Paesi dell’OCSE non sempre le variazioni superiori sono state quelle relative alle
donne; a metà degli anni ’70 la disoccupazione femminile aumentava del 25,8% rispetto al 32,8% di
quella maschile; alla fine degli anni ’70 le variazioni sono state rispettivamente 8,6% e 20,4% e nei
primi anni ’80 si attestavano sull’11,7% e 18,1%.
1.2 Il titolo di studio
Il grado di istruzione influisce sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro e i suoi effetti
sono più forti all’aumentare del grado di istruzione raggiunto.
Le differenze tra i tassi di partecipazione dei due sessi si riducono nel corso del tempo e diventano
più piccole all’aumentare del livello culturale.
In Italia la classe con il più alto tasso di partecipazione rimane, nei trent’anni considerati, quella
delle laureate (tab. 6). Inoltre le uniche donne che vedono diminuire la loro partecipazione al
mercato del lavoro sono quelle senza titolo di studio, che dal 1970 al 1990 passano dal 23,7% al
17,4%. Quelle che invece registrano un aumento maggiore sono le diplomate presso istituti medi
superiori.
Mentre nel 1970, solo il 51,4% delle diplomate era entrato nel mondo del lavoro, contro il 66,9%
dei diplomati, con una differenza di 15,5%, nel 1990 tale distanza scendeva a 14,1%. Essa passava
da 12,6% a 4,4% per i laureati.
Tab 5: Variazioni percentuali medie annue della disoccupazione per sesso in alcuni Paesi dell'OCSE dal 1960 al 1981
1960-1970 1970-1980 1970-1973 1973-1975 1975-1978 1978-1979 1979-1980 1980-1981
Totale OCSE M -0,4 8,2 2,4 32,8 -0,8 -1,5 20,4 18,1
F 3,5 9,4 6,3 25,8 4,4 2,4 8,6 11,7
MF 1 8,7 4,1 29,7 1,7 0,3 14,9 15,2
Nord America M -1,2 6,2 -0,2 37,3 -9,4 -2,3 33,6 8,3
F 3,5 6,2 4,2 28 -3,1 -2,1 10,4 9,1
MF 0,6 6,2 1,8 33 -6,5 -2,2 22,3 8,7
Paesi Europei OCSE M -0,1 10,5 5,2 28,4 7 1,1 14,4 29,2
F 4,6 13,5 9,9 22,3 14,8 6,9 8,2 15
MF 1,5 11,7 7,1 25,8 10,3 3,8 11,5 22,6
Fonte: Ballestrero Maria Vittoria da "Lavoro, formazione e parità uomo-donna" 1983. Stime del Segretariato dell'OCSE.
Tab. 6: Tassi di partecipazione per anno, sesso e titolo di
studio in Italia
Anno
1970 1980 1990
Forze di lavoro (Femmine)
Nessun titolo 3.878 3.259 2.074
% 23,7 23,4 17,4
Media inferiore 1.082 2.250 3.253
% 33,4 39,2 41,8
Media superiore 756 1.517 2.859
% 51,4 58,9 61,6
Laurea 173 383 686
% 76,2 84,1 81,7
TOTALE 5.889 7.410 8.873
% 27,7 32,7 35,3
Forze di lavoro (Maschi)
Nessun titolo 10.548 7.413 4.427
% 75,3 66,7 49,7
Media inferiore 2.543 4.442 6.035
% 65,2 70,2 70,1
Media superiore 1.031 2.178 3.569
% 66,9 75,3 75,7
Laurea 426 697 1.023
% 88,8 88,7 86,1
TOTALE 14.547 14.730 15.055
% 73 69,7 64,3
Fonte: "Lavoro e politiche dell'occupazione in Italia" Rapporto '91-'92 del
Ministero del Lavoro.
.
1.3 Tassi di attività per classe d’età
E’ interessante notare come l’età media delle lavoratrici si sia alzata dal 1975 al 1995.
Come dimostrano i grafici 3, 4 e 5 (Tassi di attività per sesso e classe d’età nei Paesi dell’Unione
Europea), nel 1975 la classe d’età più numerosa era quella formata da donne tra i 20 e i 24 anni; in
posizione intermedia si collocavano le classi fra i 25 e i 60 anni; infine vi erano le giovanissime e le
ultra sessantenni.
Già nel 1985 le cose cambiano e, pur essendo ancora la classe 20-24 anni la più numerosa, essa è
seguita a distanza ravvicinata dalle altre classi comprese fra i 25 e i 50 anni.
Nel 1995 le donne tra i 25 e i 29 anni rappresentano la classe più numerosa e comunque la maggior
parte delle lavoratrici ha un’età compresa tra i 25 e i 50 anni.
Per gli uomini invece la classe d’età più numerosa resta per tutto il trentennio considerato quella tra
i 35 e i 39 anni.
È da notare inoltre che i più forti incrementi del tasso di attività femminile sono in corrispondenza
proprio delle classi centrali di età.
Tassi di attività per sesso e classe d’età nei Paesi dell’UE
Fonte: “Manuale di sociologia” a cura di L. Gallino, 1994. Stime Eurostat.
Fonte: vedi grafico 3.
Grafico 4 (1985)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
14-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70+
%
1985 Uomini
1985 Donne
Grafico 3 (1975)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
14-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70+
%
1975 Uomini
1975 Donne
Fonte: Stime Eurostat da Internet (sito Employment Now)
1.4 Lo stato civile
L’osservazione che tra le lavoratrici siano aumentate di più quelle di età compresa tra i 30 e i 50
anni, cioè quelle che, nella maggior parte dei casi, sono già sposate, fa emergere la necessità di
verificare le modifiche nei tassi anche rispetto allo stato civile, visto che l’evento matrimonio ha
sempre costituito un punto di svolta nel rapporto tra le donne e il lavoro retribuito.
Osservando i tassi di partecipazione in Italia (tab.7) si può notare che l’unico che presenta
incrementi è quello relativo alle donne coniugate, passando dal 22,4% del 1970 al 31,9% del 1980 e
al 35,8% del 1990; mentre quello delle donne non coniugate non si è sostanzialmente discostato in
tutto il periodo dalla quota del 35%.
Per quanto riguarda gli uomini, si è ridotto sia il tasso relativo ai non coniugati, che, ancor di più,
quello relativo ai coniugati.
La situazione negli Stati Uniti non è molto diversa (tab. 8), nel senso che anche qui il tasso di
partecipazione femminile che riceve il maggior aumento è quello relativo alle donne coniugate: dal
31,06% del 1960 al 53,8% del 1980, con una variazione del 22,2%; ma qui aumentano anche il
tasso relativo alle donne vedove e divorziate (con una variazione del 14,48%) e quello che si
riferisce alle single (con una variazione del 18,52%).
Ciò dimostra che a partire dagli anni ’60 per la donna il matrimonio non ha più comportato l’uscita
dal mercato del lavoro, anzi ha contribuito e contribuisce a determinare la sua decisione di
continuare a lavorare, anche all’esterno della famiglia.
Grafico 5 (1995)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
14-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70+
%
1995 Uomini
1995 Donne