6
INTRODUZIONE
La prima manifestazione della disciplina antitrust si fa risalire al 1889 e precisamente
all’emanazione del Competition Act canadese.
Appena un anno dopo, nel 1890, il senatore dell’Ohio, John Sherman, si adoperò affinché gli
Stati Uniti d’America si dotassero di una normativa a livello federale in materia di
concorrenza, molto simile alla legge canadese e a quelle che alcuni Stati membri degli USA
avevano adottato poco tempo prima.
In risposta alle istanze dei consumatori, che si tramutarono ben presto in massicci movimenti
di protesta, nacque pertanto il federal statute noto come Sherman Antitrust Act e
tradizionalmente riconosciuto come una vera e propria pietra miliare nella storia del diritto
antitrust.
Anche se per le prime applicazioni concrete della nuova normativa statunitense occorrerà
attendere il 1911, con le iniziative intraprese contro l’impero petrolifero del magnate John
Davison Rockefeller e contro l’American Tobacco Company, la strada era stata tracciata.
La matrice d’oltre oceano della materia è rinvenibile, oltre che dai dati storici, anche dal
termine stesso “antitrust”.
Si tratta di un americanismo, una parola composta dal prefisso anti, che indica ovviamente un
contrasto e dalla parola inglese trust, nella sua accezione di cartello tra imprese.
Proprio i cartelli tra le imprese, infatti, avevano operato una restrizione della concorrenza, con
effetti devastanti per il mercato unico statunitense che risultava pertanto imbrigliato in una
rete di accordi e di abusi di posizioni dominanti.
Le vicende storiche, che saranno oggetto di trattazione più approfondita nella sede adeguata,
rappresentano un necessario preambolo, utile a fornire al lettore uno spunto di riflessione
importante riguardo l’origine della normativa antitrust in Europa e negli Stati Uniti.
Infatti, mentre per questi ultimi la norma federale non fece altro che recepire le istanze sorte
nelle varie sedi statali, che già si erano adoperate per impedire i cartelli tra imprese a livello
nazionale, in Europa si può parlare di una norma calata quasi dall’alto, elaborata cioè
dapprima in sede sovranazionale e successivamente in seno alle varie realtà statali.
Per tali motivi, un ambito di indagine ristretto solamente al panorama legislativo italiano,
risulterebbe limitato e non consentirebbe l’acquisizione di concetti necessari per comprendere
il moderno assetto dell’applicazione del diritto antitrust.
7
Saranno pertanto poste a fondamento della trattazione, oltre ai testi e agli articoli specialistici
citati in itinere, le fonti primarie, sia europee sia italiane, in combinato con l’apporto
essenziale della giurisprudenza europea e nazionale. Ulteriori spunti di riflessione
emergeranno poi dall’esperienza applicativa dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (AGCM) e della Commissione europea.
Ciò rappresenta l’unica strada percorribile per chi voglia fornire una risposta a tre domande
fondamentali, ossia cosa debba intendersi per diritto antitrust, chi sono i soggetti deputati ad
applicarlo e, infine, quali siano le conseguenze dell’applicazione delle norme a tutela della
concorrenza.
L’analisi, quindi, si inerpica lungo le pendici di una materia complessa, interrogandosi sin da
subito sulla ratio delle norme poste ad usbergo della concorrenza nel mercato unico europeo e
sul come esse rappresentino il frutto di un meraviglioso esempio di mediazione tra posizioni
tra loro contrastanti in sede europea.
L’applicazione, sempre foriera di nuovi spunti e necessaria al corretto funzionamento del
mercato unico, consente quindi di aprire una finestra guardando le sfide di un futuro molto
prossimo che imporranno una seria collaborazione tra le autorità antitrust europee.
Il focus sul panorama italiano permette di capire il perché l’Italia si sia dotata della prima
legge sulla tutela della concorrenza, la legge n. 287/1990, esattamente un secolo dopo
l’adozione dello Sherman Act e quale ruolo rivestisse la concorrenza nel nostro ordinamento
prima del 1990.
La legge n. 287/1990 è sicuramente il momento d’inizio della storia del diritto antitrust
italiano, nonché la culla dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che trova
proprio nel testo normativo il suo fondamento.
La trattazione del contenuto di tale ultima norma, insieme all’analisi della legge n. 481/1995
che istituisce le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, conduce a chiedersi
cosa sia un’Autorità, quali differenze intercorrano tra l’AGCM e le altre Autorità e come
debba intendersi il carattere dell’indipendenza.
A tal proposito, esigenze di chiarezza hanno imposto un particolare riferimento alla
qualificazione amministrativa di tali organi.
Passando all’aspetto prettamente applicativo, il Regolamento CE n.1/2003 ha avuto il grande
merito di dare il via al decentramento applicativo degli odierni articoli 101 e 102 TFUE in
favore dei giudici nazionali e delle Autorità Antitrust dei singoli Stati.
Ciò ha fatto sorgere la necessità di prevedere un sistema che consentisse una collaborazione
tra le varie Autorità e tra queste ultime e la Commissione, al fine di un’applicazione della
normativa in senso univoco. Da qui l’istituzione dell’European Competition Network, ossia la
8
Rete Europea di Concorrenza, come strumento essenziale per la collaborazione stretta e
complementare ai fini di un'applicazione efficace delle regole di concorrenza all'interno
dell'Unione europea.
In ultima battuta, l’operato si pone l’obiettivo di rendere edotto il lettore sulle funzioni e sulle
competenze dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
In particolare l’analisi dei poteri di enforcement e di advocacy, oltre alla tutela dei
consumatori, rivestono un ruolo particolarmente importante sul palco dei poteri e delle
funzioni dell’AGCM.
La poliedricità della materia e la sua incidenza sulla nostra quotidianità rappresentano quindi i
motori di questa ricerca che, seppur lontana dall’esaustività di un manuale, vuole comunque
rappresentare uno strumento agile e di facile comprensione anche per chi, in possesso delle
necessarie cognizioni giuridico-economiche, si interfacciasse per la prima volta con le
tematiche del diritto antitrust europeo e italiano.
9
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA NEL DIRITTO UE
1.1 PREMESSA
La nascita della disciplina della concorrenza, unanimemente, si fa risalire al 1890 quando, al
fine di tutelare la concorrenza e il commercio interstatale negli Stati Uniti, veniva emanato a
livello federale lo Sherman Act.
Tuttavia si commetterebbe un errore nel credere che questa sia la prima legge antitrust in
assoluto. Negli anni addietro, infatti, diversi Stati degli USA avevano disciplinato il fenomeno
dei cartelli e dei monopoli, vietandoli nel proprio territorio nazionale.
Conseguenza di ciò fu che la legge federale del 1890 non sostituì le varie discipline antitrust
statali ma tutelò solamente il mercato comune interstatale statunitense, laddove nessuno Stato
aveva competenza a legiferare.
In Europa la situazione era diametralmente opposta a quella d’oltreoceano. Sul territorio del
vecchio continente, alla fine del XIX sec., erano presenti tre delle quattro superpotenze
economiche dell’epoca.
Francia, Germania e Inghilterra, in seguito alla seconda rivoluzione industriale, avevano visto
aumentare le proprie esportazioni fino a picchi del 220%; ed essendo Stati sostanzialmente
confinanti l’interesse alla protezione delle proprie imprese, anche e soprattutto a discapito di
quelle degli altri paesi europei, era molto alto.
10
In Germania il fenomeno della cartellizzazione ebbe sviluppi incredibili, soprattutto dopo la
riforma doganale del 1879 che dava nuova linfa al fenomeno dei cartelli risalente addirittura
agli anni ‘20 del 1800.
Come rileva il Vito alla fine del XIX sec. i cartelli tedeschi arriveranno ad essere circa 345
1
.
La posizione della Germania, agli antipodi rispetto a quella statunitense, è stata giustificata da
Hobson
2
nel principio di imperi gareggianti. Nella sostanza i tedeschi avevano bisogno di una
potente economia, la quale non poteva fare a meno di avere dalla sua parte dei cartelli. Ciò
aveva sicuramente delle conseguenze devastanti sulla popolazione, che portarono ad una
veemente protesta contro la situazione che li vedeva destinatari degli spiacevoli effetti della
disciplina tedesca in materia dei cartelli. Questa protesta sfociò in un’inchiesta sui cartelli,
conclusasi nel 1906 senza sortire peraltro alcun effetto.
Bisognerà attendere il 2 novembre 1923 per avere la prima normativa tedesca, sotto forma di
decreto, per il divieto dell’abuso del potere economico. Questa norma
3
istituiva il
Kartellgericht, ossia il tribunale dei cartelli, oltre che la nullità delle clausole degli accordi che
prevedevano uno sfruttamento abusivo di potere economico. Si badi bene che la norma in
oggetto è una norma non soppressiva dei cartelli ma solamente di controllo, a dimostrazione di
ciò basti vedere il numero dei cartelli che cresce esponenzialmente fino ad arrivare alla
ragguardevole cifra di 2100 cartelli attivi, solo su territorio tedesco, nel 1930.
Nello stesso anno fu emanato il c.d. decreto d’urgenza
4
al fine del controllo dei prezzi nel
periodo di iperinflazione. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, con la c.d. legge sulla
cartellizzazione obbligatoria, lo Stato attribuiva in capo al ministro dell’economia poteri di
regolamentazione della produzione e degli investimenti obbligatori.
La situazione francese, viceversa, era molto diversa da quella tedesca. Basti pensare che la
prima disciplina francese in materia di accordi di impresa è risalente al 14 giugno 1791, la c.d.
Loi Le Chapelier
5
, con la quale erano state abolite le corporazioni di arti e mestieri.
Nel sistema francese, che vedeva gli interessi generali e individuali come unici degni di tutela,
è evidente che gli interessi dei singoli gruppi fossero esclusi e in quanto contrari agli interessi
dei cittadini, la legge puniva qualsiasi accordo volto alla fissazione dei prezzi di prestazioni e di
servizi.
1
F. VITO, Sindacati industriali, cartelli e gruppi, Giuffrè, Milano, 1939, p.5
2
HOBSON, Imperialism, A Study, 1902, la definizione è richiamata anche in BEAUD, Storia del capitalismo,
2000, p. 187.
3
REPUBBLICA DI WEIMAR: Verordnung gegen missbrauch wirtschaftlicher machtstellungen vom 2 november
1923 (Ordinanza contro l'uso improprio del potere economico, datata 2 novembre 1923)
4
REPUBBLICA DI WEIMAR: Notverordnung zur Sicherung von Wirtschaft und Finanze, 17 luglio 1930
5
REGNO DI FRANCIA: Loi Le Chapelier, promulgata dall’Assemblea costituente il 14 giugno 1971
11
A dimostrazione dell’attenzione del legislatore al fenomeno, nel Code Penal del 1810 fu
inserito l’art. 419 rubricato come accaparramento, reato che si integrava quando vi era una
riunione o coalizione di detentori di merci e di titoli pubblici che avesse per effetto l’alterazione
dei prezzi determinati dalla concorrenza naturale e libera del commercio.
È bene notare che la norma non vietava ex se le unioni tendenti a limitare la concorrenza ma
quelle volte ad alterare i prezzi.
Con il tempo ciò spianò la strada a una concezione tutta francese del fenomeno dei cartelli. Si
fece spazio, infatti, tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 la distinzione tra bonnes union, che
modificavano si il prezzo ma entro limiti ritenuti normali, e mauvaises union, che al contrario
creavano artificiosamente un prezzo che eccedeva i suddetti limiti della normalità generando
così un c.d. lucro artificiale.
Come è facile immaginare, il concetto di lucro artificiale integrante la fattispecie ex art.419
Code Penal, così come modificato con legge 3 dicembre 1926
6
, è estremamente vago al punto
da costringere il legislatore francese ad una modifica nel 1953 oltre che alla previsione, nello
stesso anno, del délit de coalition
7
, il cui testo poi sarà alla base del futuro art. 101 TFUE
8
.
Accanto ai fenomeni di cartellizzazione nazionale si sviluppò anche un fenomeno di
cartellizzazione internazionale. Per capire fino in fondo l’importanza che avevano assunto i
cartelli internazionali basta fare riferimento al cartello mondiale dell’acciaio che, nel suo
periodo di massima espansione, comprendeva oltre il 90% dell’esportazione mondiale del
prodotto e quasi il 5% del valore di esportazione di tutti i beni.
Non mancò addirittura chi, come Federic Naumann nel 1916, propose un’abolizione dei diritti
di dogana tra le potenze centrali attraverso l’istituzione di cartelli abbraccianti tutta la
produzione. La proposta rimase inascoltata ma rappresenta un primo pallido tentativo di
creazione di un mercato unico europeo sulla base di cartelli.
6
REPUBBLICA FRANCESE: Loi du 3 décembre 1926 modifiant les articles 419, 420 et 421 du Code pénal.
7
In particolare, il délit de coalition previsto dall’art. 59-bis decreto del 9 agosto 1953 relativo al mantenimento e
al ristabilimento della libera concorrenza recitava: «Sont prohibées, sous réserve des dispositions de l’article 59-
ter, toutes les actions concertées, conventions, ententes expresses ou tacites, ou coalitions sous quelque forme et
pour quelque cause que ce soit, allant pour objet ou pouvant avoir pour effet d’entraver le plein exercice de la
concurrence en faisant obstacle à l’abaissement des prix de revient ou de vente ou en favorisant une hausse
artificielle des prix». «Tout engagement ou convention se rapportant à une pratique ainsi prohibée est nul de
plein droit». «Cette nullité peut être invoquée par les parties et par les tiers, elle ne peut être opposée aux tiers
par les orties; elle est éventuellement constatée par les tribunaux de droit commun à qui l’avis de la commission,
s’il en est intervenu un doit être communiqué». L’art. 59-ter prevedeva: «Ne sont pas visées par les dispositions
de l’article 59-bis, les actions concertées, conventions ou ententes»: «1. Qui résultent de l’application d’un texte
législatif ou réglementaire»; «2. Dont les auteurs seront en mesure de justifier qu’elles ont pour effet
d’améliorer et d’étendre les débouchés de la production, ou d’assurer le développement du progrès économique
par la rationalisation et la spécialisation».
8
UNIONE EUROPEA: Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, entrato in vigore dopo la firma del
Trattato di Lisbona.
12
Circa dieci anni dopo, nel 1929, il Ministro degli esteri francese, Aristide Briand, prospettò la
creazione di un sistema organizzato sulla base di cartelli internazionali con relativa
eliminazione dei dazi attraverso i cartelli nel tentativo, mai taciuto, di creare una base di
rapporti economici come trampolino di lancio per un progetto di carattere politico di respiro
europeo.
Bisognerà attendere il 1950 e la fine della c.d. guerra civile europea, così come il Keynes ha
felicemente descritto la seconda guerra mondiale, per la Dichiarazione Shuman. Con essa il
ministro degli esteri francese suggerì la creazione di un organo soprannazionale e indipendente
dall’influenza degli stati membri partecipanti. Riguardo alla natura di tale organizzazione, da
più parti si chiese insistentemente che essa non fosse un cartello.
Jean Monnet, uno dei padri dell’Unione Europea, nonché alfiere di questa impostazione,
sosteneva: “non vogliamo un cartello, ma siamo in cartello”
9
.
Egli stesso si occupò di redigere di proprio pugno i principi cardine della normativa antitrust
europea e inserì tra le finalità del trattato CECA quella di vietare accordi tra concorrenti.
Nacque così la CECA, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, nel cui trattato istitutivo,
firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952, erano stati inseriti gli
artt. 65 e 66 TCECA concernenti il divieto di intese, concentrazioni e abusi di posizione
dominante per fini contrari al Trattato.
Per la prima volta dai tempi dell’impero romano sul suolo europeo si creò un mercato unico,
seppur limitato ai beni oggetto del Trattato.
Questo risultato, seppur lodevole, tuttavia era insufficiente e di ciò ci si rese conto nella
Conferenza di Messina del 1955. Il nuovo corso fu illustrato nella relazione Spaak, dal nome
del ministro belga estensore. Ci si trovava dinanzi ad un’impostazione chiastica rispetto alle
precedenti. Si voleva un’organizzazione internazionale che vedesse il primato dell’economia
sulla politica attraverso l’unione doganale, la tutela della concorrenza e l’illiceità dei cartelli.
Condicio sine qua non per perseguire questi obiettivi era rappresentata dalla limitazione di
parte della sovranità degli Stati membri per le finalità del Trattato.
Dopo anni di lavoro, nel 1957 a Roma, si giunse alla firma del Trattato della Comunità
Economica Europea.
10
Le finalità di questa organizzazione erano definite dall’art. 2 TCEE che le riconosceva nello
sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, nell’espansione
continua ed equilibrata, nella stabilità accresciuta e nel miglioramento sempre più rapido del
9
SCHULZE – HOEREN, 2000, p. XXI
10
Alla firma del trattato erano presenti i rappresentanti di: Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e
Lussemburgo.