Introduzione
L'apartheid fu etichettata come crimine contro l'umanità dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite già nel 1966, e il trionfo della democrazia liberale costituì una
conclusione straordinaria per la storia del Sudafrica nel XX secolo. Durante i lunghi
anni di prigionia di Mandela, un simile sviluppo sembrava incredibilmente improbabile.
Tra gli analisti c'era, sì, un ampio consenso sul fatto che il dominio delle minoranze
bianche non potesse durare per sempre, ma coloro che ne predissero la fine raramente
predissero un esito politico così favorevole. Infatti, era ampiamente temuto che il
regime sarebbe caduto con un bagno di sangue che avrebbe lasciato una profonda
cicatrice sulle relazioni razziali nel resto del mondo.
La lotta contro l'apartheid produsse, invece, una delle figure più imponenti del
ventesimo secolo, Nelson Mandela. La sua persona e la sua posizione rappresentarono
una svolta epocale non solo per le straordinarie qualità umane dell’uomo, ma anche per
la visione illuminata del politico che fu capace di comprendere la necessità della
transizione pacifica del paese e si adoperò strenuamente per perseguirla.
L'affermazione secondo cui il governo del Sud Africa prima del 1994 fosse un governo
totalitario si basa generalmente sulle innumerevoli testimonianze del comportamento
arbitrario degli agenti dello stato apparentemente non vincolati dalla legge o da principi
giuridici e sul modo in cui le politiche razziali del paese influenzarono la vita dei
cittadini sudafricani in tutti gli aspetti, dalla culla alla tomba. Entrambi questi aspetti, le
politiche razziali e le misure di sicurezza adottate per difenderle, vengono identificate
con la parola “apartheid”.
C'erano importanti continuità tra segregazione e apartheid: in entrambe le epoche le
persone di colore hanno affrontato politiche condiscendenti e restrittive, leggi
discriminatorie sulla residenza e il lavoro e hanno avuto negati il diritto di voto. Il
periodo pre-apartheid vide una considerevole separazione razziale forzata
nell'economia e nella società. In entrambi i periodi prevalse l'ideologia della supremazia
bianca. Queste somiglianze hanno portato alcuni studiosi a vedere l'apartheid
semplicemente come un'intensificazione della segregazione.
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Sotto l'apartheid, tuttavia, il razzismo e la segregazione sono diventati completamente
rigidi e istituzionalizzati; hanno permeato tutti gli aspetti della vita e la repressione
governativa è diventata più spietata. Alcuni storici considerano l’apartheid uno sviluppo
del ventesimo secolo, strettamente legato alla peculiare evoluzione del capitalismo
sudafricano, con la sua forte dipendenza dal lavoro nero a basso costo, come sostenuto
da Cecil Rhodes. Altri studiosi ritengono che l'apartheid sia il risultato di precedenti
pregiudizi e politiche razziali imposti dai coloni olandesi e britannici.
La letteratura recente, il cui punto di vista è qui sposato, indicano come sia stata una
combinazione di diversi fattori - la conquista coloniale, l'espropriazione della terra,
l'impoverimento economico e l'esclusione dalla cittadinanza africana – ad aver aperto la
strada al regime. Tre principali forze interconnesse hanno influenzato la natura della
società e dell'economia sudafricana: la conquista coloniale, l'espansione delle miniere e
le azioni individuali.
La conquista coloniale da parte dei Paesi Bassi e, dopo il 1795, della Gran Bretagna,
stimolò la crescita capitalista limitata e non uniforme. La Compagnia Olandese delle
Indie Orientali stabilì un insediamento al Capo di Buona Speranza nel 1652, che
gradualmente si espanse lungo una frontiera a spese del Khoikhoi, Xhosa e altri popoli
indigeni, un processo simile a quello che si svolse nel Nord America, in Australia e in
Nuova Zelanda. In Sud Africa, la distruzione delle società Khoi produsse una
sottoclasse di lavoratori domestici e agricoli, ma la loro capacità di ottenere uno
stipendio giusto fu severamente ridotta dall'uso da parte della Compagnia Olandese
delle Indie di schiavi importati dall'Angola, dal Mozambico, dal Madagascar e dal Sud-
Est asiatico.
La scoperta di diamanti a Kimberley nel 1867 e di oro sul Witwatersrand nel 1886
trasformò il Sudafrica, società agricola ai confini del commercio mondiale, in
un'economia industriale integrata a livello globale. La rivoluzione mineraria portò alla
rapida diffusione della colonizzazione europea verso nord tanto che, alla fine del 19 °
secolo, tutte le popolazioni indigene del Sud Africa avevano perso la loro indipendenza
politica ed economica.
Le prime leggi razziste consentirono alle compagnie minerarie di proprietà bianca di
controllare i lavoratori, mantenere i salari molto bassi e ottenere immensi profitti dai
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diamanti e dall'oro che i minatori neri estraevano dalla terra. Molti uomini africani
lavoravano nelle miniere e nelle fattorie in condizioni pericolose per salari che non
potevano nutrire e vestire in modo sufficiente le loro famiglie. Le miniere di diamanti e
oro imposero ulteriori umilianti mezzi di controllo, che sarebbero poi stati integrati dal
regime, tramite il rilascio di documenti che permettevano il movimento e la residenza
dei neri sul territorio.
Molti dei minatori africani divennero così lavoratori migranti, che trascorrevano dai
nove agli undici mesi l'anno nelle miniere mentre le loro mogli e figli rimanevano nelle
campagne. La discriminazione razziale nell'era pre-apartheid impedì, inoltre, ai pochi
africani che avevano ricevuto una formazione come apprendisti di trovare
un'occupazione adeguata.
L'industrializzazione e l'imperialismo britannico in Sud Africa e le azioni individuali dei
magnati minerari come Cecil John Rhodes, portarono ad una lenta ma costante
espansione delle infrastrutture di produzione e trasporto. Il governo britannico plasmò
una politica più uniforme dopo la guerra anglo-boera del 1899-1902, quando l'atto
dell'Unione del 1910 riunì le colonie precedentemente conosciute come Orange Free
State, Transvaal, Natal e Cape, nell’Unione del Sud Africa, che in seguito divenne parte
del Commonwealth britannico.
Nei primi anni della convivenza afrikaner e britannica va formandosi, in reazione alla
violazione dell’isolazionismo boero da parte degli inglesi, il sentimento di separazione
che darà, negli anni, giustificazione ideologica all’apartheid e consentirà, nel nome del
suprematismo bianco, alle due comunità di mettere da parte l'amarezza della guerra per
consolidare il proprio potere e i propri privilegi a scapito dei diritti civili e umani dei
neri sudafricani.
Nei primi due decenni dell'Unione (1910-1930), i governi di Louis Botha, Jan Smuts e
J. B. Hertzog promulgarono una serie di leggi e regolamenti discriminatori che
rafforzarono il controllo statale sui neri. La legge più importante approvata era la legge
sulla terra dei nativi del 1913. Questa legge riservava il 93% (rivisto all'87% nel 1936)
della terra in Sudafrica ai bianchi e impediva agli africani - due terzi della popolazione
di allora - di acquistare liberamente terreni. Vennero inoltre create quelle piccole
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"riserve" africane con il Land Act che preannunciavano i Bantustans che
caratterizzarono gli anni dell’apartheid.
L'ascesa del nazionalismo afrikaner negli anni 1920 e 1930 fu un fattore critico nella
vittoria elettorale del partito nazionale (come fu ribattezzato nel 1951). Gli afrikaner
costituivano una maggioranza numerica dell'elettorato bianco in Sud Africa, ma erano
divisi lungo le linee di classe, regionali e altre faglie. Questo cambiò con la fondazione
del Partito Nazionale nel 1914 e la Broederbond (Fratellanza afrikaner) nel 1918.
Il nazionalismo etnico afrikaner nacque da una fondazione di religiosi calvinisti che
pensavano che gli afrikaner fossero il "popolo eletto" di Dio, uniti da una lingua
comune: l’afrikaans. La Chiesa riformata olandese fornì la giustificazione teologica per
l'apartheid, sostenuto anche dai movimenti culturali, pseudo-scientifici ed economici
che saranno approfonditi nel terzo capitolo.
Gli anni '50 possono essere descritti come l'era del petty apartheid, caratterizzato
dall’approvazione di molte nuove leggi razziste mirate all’imposizione di un ordine
sociale razzialmente separato e ineguale. I due pilastri dell'apartheid furono il
Population Registration Act e la Group Areas Act. Il primo classificò tutti i sudafricani
come membri di un gruppo razziale , il secondo istituzionalizzò e impose una rigorosa
segregazione residenziale.
Gli anni '60, invece, sono ricordati come il periodo del grand apartheid caratterizzato
dall’imponente progetto di ingegneria sociale, che portò all’istituzione delle homelands.
Questi territori, improduttivi e discontinui dal punto di vista geografico, si rivelarono
contemporaneamente un esperimento sociale di sviluppo umano secondo la visione
paternalistica afrikaner e, economicamente, serbatoi di manodopera nera a basso costo
per i datori di lavoro bianchi
Nonostante l'enorme potere finanziario, politico e militare della minoranza bianca, essa
non ottenne mai il controllo completo del Sudafrica né riuscì mai a schiacciare
completamente gli esseri umani e impedire loro di organizzare qualche forma di
resistenza. Gli anni ’60 furono gli anni in cui la resistenza dei primi partiti africani,
ANC e PAC, si centrò sulla non violenza nonostante gli episodi di brutale repressione
da parte della polizia, di cui l'esempio più rappresentativo fu il massacro di Sharpeville
del 21 marzo 1960.
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Questo episodio segnò un punto di svolta nel governo della minoranza sia nella
resistenza, in quanto il regime dichiarò lo stato di emergenza e bandì l'ANC e il PAC.
Gli storici considerano generalmente gli anni '60 come un periodo di sconfitta e
quiescenza di resistenza e di inasprimento del sistema tramite il varo di leggi sempre più
repressive che incrementarono il potere della polizia. Con la coercizione, il regime
riuscì a reprimere la maggior parte del dissenso, finché nel 1973 scoppiarono una serie
di scioperi di selvaggi, seguiti dalle proteste del 1976.
Il 25 aprile 1974, il giorno dopo che i bianchi sudafricani votarono per il rafforzamento
del potere del governo Vorster, un colpo di stato militare di sinistra in Portogallo
rovesciò la dittatura che per decenni aveva dominato nel paese. Il colpo di stato fu un
riflesso delle tensioni che avevano generato, nella società portoghese, le continue guerre
nelle colonie africane, ed ebbe profonde implicazioni per l'intera Africa australe. Il
brusco cambiamento fece sì che la transizione verso forme di governo autonome e
democratiche, nella maggioranza nelle colonie portoghesi, seguisse un percorso
rivoluzionario piuttosto che evolutivo. Tali dinamiche, in particolare la sconfitta
dell'intervento militare sudafricano, incoraggiarono la rivolta di Soweto iniziata nel
giugno 1976.
Botha assunse il potere nel 1978 e introdusse alcune riforme per placare le critiche
internazionali e disinnescare la crescente resistenza interna. Nel 1983, di fronte alle
crescenti pressioni della comunità mondiale di alcuni imprenditori del Sud Africa,
Botha indisse un referendum per soli bianchi e promosse la modifica della costituzione
per creare un Parlamento tricamerale. Gli africani, che rappresentavano quasi i tre quarti
della popolazione, ne rimasero totalmente esclusi. Questa riforma ebbe l'effetto non
intenzionale di unificare e radicalizzare gli oppositori dell'apartheid; inoltre, la,
stragrande maggioranza degli elettori coloured e asiatici boicottò le elezioni e si unì agli
africani nelle proteste.
Nel 1985, il mondo si aspettava che il presidente Botha annunciasse la rottura con il
regime, invece egli ribadì in modo aggressivo la sua strategia contro la cosiddetta
minaccia comunista al Sudafrica. A ciò seguirono l'aumento delle sanzioni
internazionali e l'isolamento che minacciarono di paralizzare l'economia sudafricana.
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Oltre alle sanzioni economiche, il movimento internazionale anti-apartheid contribuì
efficacemente alla fine della dominazione bianca distruggendo progressivamente la
credibilità del regime di Pretoria e dei suoi sostenitori. La rete che ottenne tali vittorie
era costituita da gruppi quali il Comitato americano sull'Africa e la sua affiliata
educativa, il Fondo Africa; l'ufficio di Washington sull'Africa; e TransAfrica e la sua
propaggine, il movimento Free South Africa.
La fine del regime dell'apartheid avvenne così rapidamente da sorprendere tutto il
mondo. La liberazione di Nelson Mandela nel febbraio 1990 e la revoca del divieto
dell'African National Congress (ANC) e di altri movimenti di liberazione condusse a
una lunga serie di negoziati dai quali emerse una costituzione democratica e le prime
elezioni libere nella storia del paese. Mandela si fece portatore della consapevolezza
dell’enorme lavoro che si sarebbe dovuto fare per trasformare il paese in uno stato
democratico tanto quanto le sue istituzioni.
L’obiettivo che ci si pone con tale elaborato è proprio quello di comprendere a fondo le
dinamiche qui accennate. Nella trattazione che segue, la storia del Sudafrica, dalla sua
“scoperta” fino al ventesimo anniversario dello stato democratico, sarà ripercorsa
ponendo particolare attenzione ai personaggi, alle vicende e alle dinamiche economiche
che vi sottendono. Ciò che rende affascinante questo percorso è di ritrovarsi, da un lato,
nell’eterna domanda sul fino a che punto l’essere umano sia in grado di costruire sistemi
più o meno legali per ottenere potere economico e politico e difendersi dalla paura
dell’altro, e, dall’altro lato, nel processo di scostamento dalla prospettiva eurocentrica,
che sembra tutt’oggi improntare le relazioni internazionali e la loro lettura.
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Capitolo I
Il background storico dell’apartheid
1.1 Il Sudafrica dei coloni: schiavi e paternalismo
1.1.1 I primi contatti e l’insediamento olandese 1652 – 1795
Il primo esploratore europeo a scoprire il Sudafrica fu il portoghese Bartolomeo Diaz,
che oltrepassò la punta sud del continente e raggiunse Algoa Bay, seguito, nel 1497, dal
suo connazionale Vasco Da Gama, che andò oltre e circumnavigò il continente per
raggiungere l’India.
Sebbene i portoghesi si crogiolassero nel successo nautico, mostrarono poco interesse
per la colonizzazione. Il clima feroce della zona e il litorale roccioso rappresentavano
una minaccia per le loro caravelle. Per i portoghesi, la rotta sudafricana fu solo un
mezzo per accedere alle ricchezze dell'est: i mercanti riportarono prodotti di grande
valore a Lisbona e il Portogallo si arricchì con la vendita di spezie orientali, tappeti,
profumi e pietre preziose ai commercianti provenienti dagli altri paesi europei, mentre
molti dei loro tentativi di commerciare con i Khoi-Khoi sfociarono in un conflitto
1
.
Questa popolazione, chiamata anche Khoekhoe o Khoekhoen , che gli olandesi
chiamavano Ottentotti rappresentava, insieme ai San, che erano chiamati Boscimani
dagli olandesi, uno dei due gruppi principali che componeva il Khoisan
2
. Gli
antropologi fisici usano il termine Khoisan per distinguere le popolazioni aborigene
dell'Africa meridionale dai loro vicini agricoli africani neri. I gruppi viaggiavano in tutta
la parte meridionale dell'Africa a caccia di selvaggina, mentre le tribù pastorali di
Khoekhoe stanziavano nelle aree con abbondanza di acqua e pascoli e già nel 1590
commerciavano con i marinai inglesi e olandesi che navigavano verso e dall'Est
scambiando il bestiame per il rame, il ferro e il tabacco europei.
I San furono i primi, invece, a venire in contatto con gli olandesi nel sud del continente.
Quando questi ultimi iniziarono a invadere le parti meridionali dell'Africa, gli
1South Africa, 2015, Ancient people of the land: The Khoisan people of the Northern Cape, viewed 30
January 2015, from http://www.southafrica.net/za/en/articles/entry/article-southafrica.net-the-khoisan-
people
2Giliomee, H. & Mbenga, B., 2007, New history of South Africa, Tafelberg, Cape Town.
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