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PREMESSA
Siamo vulnerabili. Figli di un tempo anomalo, di governi deboli, di mercati invasivi.
Siamo «Vulnerabili: noi, individui disorientati, ma anche la struttura sociale
indebolita, e infine la democrazia esausta. […] Perché il disordine economico –
finanziario ha potuto allargarsi a dismisura in quanto ha trovato i cancelli della
democrazia aperti e scardinati, quindi si è insinuato comodamente nelle debolezze
del meccanismo democratico, come ruggine»
1
. Lo Stato ha perso la sua funzione di
creatore di sicurezza e si è arreso alla tanto discussa crisi, precarizzando ogni ambito
delle proprie politiche, in primis il lavoro, che da diritto collettivo, diviene merce a
basso costo, adattandosi alle logiche della peggiore globalizzazione.
Riprendendo una definizione di Ezio Mauro è significativo affermare che lo Stato
ed il cittadino sono la nuova coppia malata della democrazia, costretti a vivere
insieme, senza che l’uno riconosca l’altro, senza passione, senza speranza.
Certo, «l’apatia politica non è di per sé una novità; ad essere relativamente nuove
sono le cause principali che oggi la provocano»
2
. Molti teorici delle elitès in tempi
non sospetti avevano evidenziato come la massa, sprovvista di solide nozioni ed
aderente ai principali partiti politici, fosse un soggetto passivo della democrazia.
Tuttavia, la teoria non è del tutto valida. Rileviamo che la stessa massa di studenti
ed operai, dentro le università, barricata dietro ai cancelli delle fabbriche e nelle
piazze del popolo, ha invece orientato le politiche dei governi e di conseguenza le
1
Z. BAUMAN, E. MAURO, Babel, Laterza, 2015: p. 9.
2
Ivi: p. 15.
5
leggi a proprio favore negli scorsi cinquant’anni. Lo ha fatto in maniera silenziosa,
portando alla luce casi concreti per l’emanazione della norma a propria tutela o,
ancora, in maniera ordinata, firmando per promuovere importanti referendum;
altre volte ad alta voce, perdendo retribuzione, ma guadagnando le piazze ed infine
in maniera clandestina quando c’era la necessità di rivendicare un diritto non
garantito a livello normativo, attuando così atti di disobbedienza civile.
Oggi, in particolare nel nostro Paese, il problema è da ricercare nella perdita di
fiducia
3
. Chi perde il lavoro, si ritrova spesso in una condizioni di solitudine, perché
viene collocato fuori dal meccanismo dei guadagni, quindi emarginato. Il tema negli
ultimi tempi, tra l’altro, è stato molto banalizzato da figure che si ergono a salvatori
dei deboli, senza piani concreti per poter realmente gestire una situazione così
complessa.
Inoltre, ben reinterpretando il vecchio motto popolare che recita «l’Unione fa la
forza», ovunque gli incentivi statali e privati, tendono a premiare la competizione,
sminuendo le possibilità offerte dalla cooperazione.
I governi che alimentano e nutrono la società dei consumatori sono entrati in una
fase di instabilità e precarietà, raggiungendo il livello del cittadino, stanco di
assumersi rischi e responsabilità. Perché, in effetti, «che razza di responsabilità
sarebbe la nostra se qualunque cosa facciamo o non facciamo ha effetti così scarsi, o
nessun effetto, sulle nostre prospettive di vita? Il mondo appare piuttosto come un
3
“Ma pochi o nessuno degli studiosi o osservatori della vita politica dell’epoca misero in luce il
tema della fiducia (o meglio della sfiducia) come causa dell’apatia politica. Per quanto politicamente
passivi potessero essere i cittadini in quel tempo, le ragioni della loro passività rispetto alla politica
non venivano ricercate nella mancanza di interesse o la carenza di fiducia nelle capacità dei partiti
politici e dei governanti o dei parlamentari di influenzare in maniera significativa la conformazione
delle cose a venire”, Ivi: p. 16
6
enorme container di potenziali beni di consumo»
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e lo Stato tende a privilegiare
colui che si occupa di supportare e valorizzare questo equilibrio, scansando le voci
fuori dal coro, che nonostante la neutralizzazione dei confini virtuali, rimangono
senza un reale tetto di aggregazione.
In una situazione di crisi economica e di disavanzo finanziario tutti i diritti, per
comodità e semplicità, sono portati allo stesso livello e quindi comprimibili perché
economicamente gravosi ed accade che i primi ad essere chiamati in causa, sono i
diritti che scaturiscono dal lavoro, «come se fossero diritti nani, di secondo livello,
come se solo questi diritti fossero frutto di negoziazione e lotta, dunque sensibili
alle compatibilità economiche […] Ma quando la crisi preme, sopportiamo
facilmente una sottrazione a quella cifra di nostra civiltà, e sempre a danno dei più
deboli e dei meno protetti»
5
. Ma mentre un tempo, con la diffusione del Welfare
State, il cittadino accettava la disuguaglianza come prezzo per una serie di offerte
di opportunità, prima fra tutte quella di poter avere dei servizi e delle aspettative
per i propri figli, in qualche modo garantite dallo Stato, oggi è stanco, debole e le
aspettative speranzose sono presto disilluse dalla quotidianità.
Il cittadino si trova oggi, persa la speranza di avere una tutela di qualche tipo ed
essendo consapevole che la propria produttività è compressa in un arco temporale
sempre più limitato (l’età in cui il suo costo lavorativo è basso e le capacità sostenute
dalle energie giovanili) nella continua angoscia della non realizzazione, che lungi
dall’essere quella di percorrere le proprie ambizioni, diventa l’ansia del guadagno
4
Ivi: p. 27
5
Ivi: p. 33
7
per sopravvivere a se stessi e all’inevitabile fuori uscita dal mercato del lavoro, come
per prodotti ormai fuori moda.
Una metafora potrebbe rendere l’idea: oggi molti di noi vivono la sempre più breve
bella stagione in attesa del grande inverno della vita (l’età matura o meglio
improduttiva), come formiche, in eterna competizione tra loro, ossessionate
dall’imperativo di accumulare quanto possibile prima dei rigori della stagione
avversa, allocando tutto il proprio tempo nel perseguire tale scellerato obiettivo,
sacrificando il proprio talento, la socialità, gli affetti, consapevoli della fragilità della
propria condizione e della propria solitudine (avendo barattato amicizie e famiglia
sull’altare del guadagno ) ma altresì impossibilitati a poter fare altro.
Superata l’età del Welfare State siamo ormai figli e vittime di teorie economiche
prive di ogni contenuto etico e di ogni connotazione politica, se per politica si
intende il bene della comunità.
L’interpretazione della cultura imperante è ben descritta nel saggio di Giuliana
Commisso, La Genealogia della Governance: dal liberalismo all’economia sociale di
mercato, nel quale analizza quelle che sono le fasi principali dell’attuale governance,
dalla nascita della ragion di Stato nel XVII secolo, passando per le teorie
neoliberistiche, fino all’approdo all’Economia sociale di mercato.
Nella governamentalità neoliberale, ci spiega, l’homo oeconomicus deve evolversi ad
imprenditore di se stesso, utilizzando il proprio capitale umano al fine di trarre il
massimo profitto, valorizzando ed esasperando le sue capacità. L’individuo si
assume il rischio del suo fallimento e qualsiasi sua azione è volta all’ottenimento di
uno sperato alto tornaconto. Tutta la sua vita dovrà essere una sfida, un
8
investimento; «il modello di “investimento – costo – profitto” diviene una forma di
rapporto dell’individuo con sé stesso, con il tempo, con il suo ambiente, con il
futuro, con il suo gruppo e con la sua famiglia»
6
. La Governance diventa utile per
fare agire l’individuo in maniera economicamente razionale.
In questa concezione «l’economia diviene una teoria del comportamento umano in
condizioni di disponibilità di risorse limitate e suscettibili di fini alternativi»
7
.
La direzione sarà quella di indirizzare con sanzioni positive ed incentivi il
comportamento dell’individuo verso la meta stabilita o preferibile per l’economia.
Già nel rapporto The Crisis of Democracy, riepilogo dei lavori della Commissione
trilaterale del 1973 che si era riunita per trovare spunti di miglioramento per la
cooperazione e collaborazione di Europa Occidentale, Nord America e Asia –
Oceania, gli esperti lamentarono una maggiore volontà di partecipazione alla
democrazia da parte degli elettori, con una rivendicazione eccessiva dei diritti.
Nell’Europa occidentale, in particolare, sono segnalati come elementi di disturbo
l’istruzione ed i mezzi di comunicazione di massa. Significativo il fatto che venga
segnalato uno dei mali del tempo: i giornalisti. Questi vengono additati come una
specie di Quarto Stato che tende ad autoregolarsi, resistendo in tal modo agli
interessi finanziari e governativi
8
.
6
G. COMMISSO, La genealogia della governance. Dal Liberismo all’ economia sociale di mercato, Asterios
Editore, 2016, p. 225. Nel paragrafo c’è la descrizione della continua corsa all’investimento dell’uomo
imprenditore che deve migliorare il proprio reddito e la reinterpretazione dei fenomeni/scelte
quotidiane che diventano ragionate per raggiungere questo fine ultimo.
7
G. COMMISSO, Ivi: p. 227.
8
Ivi: p. 229 – 231. Vedi anche MICHEL J. CROZIER – SAMUEL P. HUNTINGTON – JOJI WATANUKI, Rapporto
sulla Governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Franco Angeli Editore.
9
Le conclusioni della Commissione Trilaterale vertevano sulla necessità di un
maggior controllo sociale.
Crozier suggeriva per il caso europeo di abbandonare gli obiettivi della piena
occupazione e di insistere, invece, sulla necessità di una maggiore crescita
economica, potenziando il dibattito a livello comunitario.
I suggerimenti sono stati certamente ascoltati e seguiti, infatti il modello di
governabilità proposto nel 1973 è oggi quello che ritroviamo negli appelli e
documenti delle maggiori Organizzazioni Internazionali e Regionali, ed in
particolare nell’Unione Europea
9
.
Attualmente, l’economia sociale di mercato ci viene presentata come risposta alle
crisi finanziarie.
«La moralizzazione delle relazioni sociali è uno strumento indispensabile delle
trasformazioni capitalistiche»
10
, in quanto smantellato il fardello del Welfare State
e dei piani che lo rievocavano, è la comunità o addirittura il singolo che si deve fare
carico delle spese necessarie alla sopravvivenza, quell’individuo educato ad
accettare il rischio.
Le politiche dei nostri governi, guidati dall’Unione Europea, sono state mirate negli
ultimi tempi a ridimensionare i diritti fondamentali in favore di una crescita
economica e competitiva dell’eurozona, senza possibilità di concreti investimenti
nell’ambito sociale, neanche nel lungo periodo, perché la priorità è di tenere fermi i
9
G. COMMISSO: Ivi: p. 231
10
Ivi: p. 233
10
vincoli di bilancio e non far crescere l’inflazione, prima di ogni altra
preoccupazione
11
.
Oltre all’Unione Europea troviamo fautore delle severe raccomandazioni in materia
di revisione verso il basso dei diritti acquisiti anche il Fondo Monetario
Internazionale che esorta i governi a superare la crisi, causata dall’economia di
mercato, ridimensionando le contrattazioni collettive, riformando le pensioni e
tagliando servizi, gravando, quindi, sul cittadino – lavoratore.
Altra questione da sottolineare è l’accresciuta longevità della popolazione che, come
sottolinea il Fondo Monetario Internazionale nel Global Financial Stability Report:
Potent Policies for Successful Normalization , «è andata di pari passo con la caduta di
affidabilità dei titoli tradizionalmente considerati sicuri dagli investitori, […] con
conseguenze negative sui bilanci degli Stati, sulla sostenibilità fiscale, per via
dell’aumento del rapporto tra debito e PIL, e sulla sostenibilità dei costi dei sistemi
pensionistici e dell’assistenza sanitaria, nonché sulla solvibilità di istituti finanziari
e fondi pensioni »
12
.
Ma come dare nuovamente dignità a quei diritti fondamentali ormai soffocati da
logiche non più comprensibili e sostenibili? Perché i costi sono sempre
esclusivamente quelli sociali? Perché la maglia rotta per l’uscita della tela della crisi
finanziaria deve essere quella del ridimensionamento dei diritti?
Nell’attuale stato di cose come è possibile che i governi non abbiano abbastanza
fondi per sostenere i cittadini, ma possano permettersi ingenti esborsi di denaro per
11
Vedi al riguardo l’art. 81 della Costituzione Italiana, come modificato dall'articolo 1 della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n.1.
12
G. COMMISSO, Op. Cit.: p. 241
11
salvare noti istituti di credito? Quegli stessi governi che non devono in alcun modo
influire sull’andamento del mercato o, in ogni caso ridurre al minimo i propri
interventi, accettano, complici gli Organismi sovranazionali, di farsi carico delle
richieste delle banche, sacrificando le tasse dei contribuenti. Ma, «se è vero, non
significa forse ammettere che il funzionamento del mercato va incontro a limiti
molto seri, e che il neoliberismo vacilla nei suoi presupposti di fondo?»
13
.
Colin Crouch, ne Il potere dei Giganti, spiega la mancata morte del neoliberalismo.
Il meccanismo viene inquadrato in termini globali, validi quindi a livello
internazionale, come tendenza assoluta e non limitata a dei singoli paesi.
Infatti, il prezzo della crisi è stato pagato dall’abbattimento, in alcuni casi voluto, in
altri “richiesto”, di quel poco che rimaneva del Welfare State.
Perché oggi la questione della libertà dei mercati è effettivamente superata, quasi
fosse un teorema ormai dimostrato, perché gli stessi sono ormai dominati con più
interventi, infatti le c.d. Tnc (transnational coorporation) hanno ormai il predominio
della vita pubblica. Per Crouch, il dibattito non può più essere limitato al binomio
Stato-mercato, ma deve considerare questo terzo importante attore. La politica
locale ed internazionale è ormai imperniata dai nuovi tre soggetti e solo partendo
da questo presupposto si possono affrontare i temi che affliggono gli Stati.
Crouch insiste nel recupero dei valori che emergono però da controversie e conflitti,
che siano orientati a finalità collettive e pubbliche, perché “i valori
dell’individualismo in quanto tale, dei diritti intesi come semplice diritto di essere
13
C. CROUCH, Op. Cit. Prefazione: p. 10.
12
lasciati in pace, sono pretestuosi. Non possiamo vivere da soli, e corriamo
seriamente il rischio che il modo in cui viviamo danneggi la vita altrui”
14
.
Non si possono continuare ad ignorare le esigenze delle classi deboli, perché
rientriamo quasi tutti nella definizione e siamo in molti. Le politiche di austerità non
sono più utili neanche alla crescita economica, anzi oltre a non favorirla, minano le
basi della democrazia, provocando effetti sgradevoli e non auspicabili.
Anche il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, in numerosi articoli e libri,
evidenzia come non ci sia soluzione alle attuali condizioni, se non invertire la rotta
e ripensare alle politiche di investimento pubbliche per ridurre le crescenti
disuguaglianze
15.
In La Grande Frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla,
Stiglitz analizza la società americana, sottolineando come all’interno della stessa da
tempo si sia creato un circolo vizioso, perché “la disuguaglianza prolunga la crisi, e
questa aggrava la disuguaglianza”
16
. Per quanto riguarda gli Stati Uniti,
l’economista esorta ad utilizzare la politica fiscale per ridurre il divario, orientando
la stessa ad incentivare l’occupazione, ma anche ad investire nelle necessità delle
classi meno abbienti, che lo stesso definisce, non più come fasce estremamente
povere, ma come “classi medio -basse”.
Significativa la questione, perché ormai il divario è talmente importante che
“saltano le classiche scale sociali” a cui eravamo fino a qualche tempo addietro
abituati a fare riferimento.
14
Ivi: pag. 211
15
Cfr. J. STIGLITZ, La Grande Frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla, Einaudi, 2016 e J.
STIGLITZ, Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica, Laterza, 2018.
16
J. STIGLITZ, La Grande Frattura. La disuguaglianza e i modi per sconfiggerla, Einaudi, 2016: p.255.