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INTRODUZIONE
La presente ricerca intende indagare su un argomento non molto
conosciuto, quello della Massa Trabaria con particolare attenzione alle
vicende dell‟Abbazia Benedettina di San Michele Arcangelo di Lamoli.
La Massa Trabaria era una provincia autonoma dello Stato della Chiesa
che ebbe poco più di due secoli di storia, la cui autonomia fu sempre
minacciata dai comuni vicini e da signorie locali, e la cui storia terminò
con l‟entrata in scena della famiglia Montefeltro. Il punto di vista
prescelto è quello del metodo storiografico utilizzato per descrivere le
vicende storiche del territorio dove vivo. La storiografia, difatti, è la
pratica di scrivere opere relative a eventi storici, pratica nella quale si
possono riconoscere un‟indagine critica e dei principi metodologici. La
parola storia ha origini indoeuropee, deriverebbe da “wid”, che indica
vedere, voler sapere, essere testimoni di qualcosa. L‟origine stessa del
termine permette di associare il termine “storia” ad una delle più
elementari attività comunicative e conoscitive. Un esempio di ciò è la
terminologia latina utilizzata per storia, il termine Res Gestae (oggetto
d‟indagine storica, ciò di cui si narra) e Historia Rerum Gestarum (attività
di fornire resoconti del raccontare). In italiano, il termine “storia” ha
considerato entrambi i significati, perdendone il significato più
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profondo, tanto che Benedetto Croce propose di utilizzare il termine
“storiografia” per indicare l‟attività di studio e di riservare “ storia”
all‟oggetto di queste.
L‟attività storiografica, come attività di testimonianza o resoconto, ha
accompagnato dunque lo sviluppo della cultura e della civiltà
occidentale. Questo rapporto tra lo sviluppo della storiografia e quello
della cultura occidentale può essere fatto oggetto d‟indagine: esiste un
genere storiografico che è appunto la STORIA DELLA STORIOGRAFIA,
ovvero la storia della disciplina stessa, ed è questa la tipologia
d‟indagine che ho cercato di proporre.
Nel mio lavoro mi occuperò di opere di altri studiosi, molte delle quali
di tipo locale. Nella prima parte ho brevemente descritto la storia di
Lamoli, così come appare nella maggior parte delle guide turistiche.
Nel secondo capitolo sono andata a raccontare la vita e l‟opera di
Giovanni Muzi, vescovo di Città di Castello nel XIX secolo, che per
primo ha trattato, nel suo volume Memorie ecclesiastiche e civili di Città di
Castello, della Massa Trabaria e di Lamoli in particolare. Il lavoro di
Muzi è un opera che tenta di avere un‟ispirazione storiografica; essa
difatti nasce sotto l‟auspicio della memoria storica di un territorio, ma
pur essendo del 1848, realizzata quindi in piena epoca positivista che
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grande slancio ebbe nello studio della storia, si rifà alle opere del secolo
precedente. Non è infatti un‟opera a carattere enciclopedico ma più un
elenco dei possedimenti territoriali del vicariato di Città di Castello, di
cui l‟abbazia di Lamoli fece parte per un lungo periodo.
Il secondo capitolo tratta di Vincenzo Lanciarini e della sua opera più
famosa, Il Tiferno Mataurense e la Provincia di Massa Trabaria, Memorie
Storiche. Lanciarini è lo storico locale più conosciuto e apprezzato i cui
studi sono tutt‟ora un punto di partenza e molto spesso un punto di
arrivo per chi si appresta a studiare le vicende dell‟alta valle del
Metauro e le zone di confine del Montefeltro. Nel suo lavoro,
Lanciarini parteggiò apertamente per Sant‟Angelo in Vado, la cittadina
dove nacque e abitò per un lungo periodo, tanto da considerarla il
capoluogo della Massa Trabaria, senza prendere a volte molto in
considerazione le evidenze storiche esistenti. Per il Lanciarini l‟abbazia
di Lamoli ebbe una notevole importanza storica, poiché fu sede del
Vicariato della Massa. Inoltre questo autore fu il primo ad accertare
che l‟abbazia ebbe il privilegio di Nullius e a lui si deve il resoconto più
dettagliato ed esaustivo sulle sue lunghe e nebulose vicende. Egli difatti
ebbe la possibilità di visionare e leggere documenti ormai
irrimediabilmente distrutti e dispersi a causa delle vicissitudini
dell‟abbazia e del comune di Borgo Pace, il cui archivio fu distrutto dai
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tedeschi in ritirata nell‟agosto del 1944 quando fecero saltare in aria
quasi completamente il piccolo borgo.
Il terzo capitolo tratta la figura di Corrado Leonardi, parroco di
Urbania, e profondo conoscitore della storia della sua città e del
territorio ad essa confinante. Egli si può considerare la figura più vicina
ad uno storico a tutti gli effetti, questo per il suo approccio alla ricerca
e per la sua neutralità nel ristabilire i fatti. Partendo dai pochi
documenti rimasti, egli ha cercato di tracciare una story line sulle vicende
massane basandosi essenzialmente sui fatti e non sulle illazioni. Per lui
il capoluogo della Massa fu quasi certamente Mercatello sul Metauro,
l‟antica Pieve d‟Ico la cui chiesa pievana è citata nelle bolle imperiali e
nei documenti ufficiali della Chiesa per quanto riguarda le vicende in
questione. Il Leonardi in considerazione alle vicende lamolesi, fu in
pieno accordo con il Lanciarini, ma non considerò mai Lamoli sede del
vicario della Massa, tuttavia considerò San Michele Arcangelo delle
Lame una delle abbazie più importanti per il territorio massano, sia per
la sua posizione di confine che per le sue vicissitudini da sempre in
contrasto per la sua autonomia nei confronti del vescovo castellano. A
lui si deve la realizzazione di una piccola mostra ancora presente in
chiesa dedicata alla vicende lamolesi, intitolata Castrum Lamularum.
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Nel quinto capitolo sono andata a prendere in considerazione tutti gli
studi storico artistici e architettonici che hanno riguardato l‟abbazia
benedettina e tutte le altre curiosità che riguardano Lamoli. Il primo
studio presentato è del professor Mario Selmi, del 1954, tratto dagli atti
di studio del primo convegno internazionale di Studi Longobardi di
Spoleto e che s‟intitola Miscellanea Preromanica. Il testo parla di evidenze
artistiche riconducibili al IX secolo con chiari riferimenti longobardi.
Tra le chiese citate troviamo anche quella di Lamoli con i suoi stucchi,
che secondo l‟autore sono precedenti alla costruzione attuale
dell‟abbazia datata al XII secolo. Il secondo testo trattato è Architettura
Romanica nella provincia di Pesaro e Urbino, di vari autori. Qui l‟abbazia
lamolese viene citata come esempio di mediazione tra l‟architettura
dell‟alta valle e quella del Montefeltro confinante; si riscontrano difatti
elementi simili nella pieve di Carpegna e nell‟abbazia di Santa Maria del
Mutino. Sono andata poi a trattare gli elenchi dei beni dell‟abbazia.
Oggi ne sono rimasti solo due: uno nel diario di don Enea Boni e
l‟altro, settecentesco, redatto da Bernardino Neri. Gli elenchi sono dei
punti di partenza per trattare in maniera più approfondita tre dei
capolavori provenienti dall‟abbazia, il Cristo spirante, del XV secolo, da
molti considerato della mano illustre del Brunelleschi o propriamente
vicino alla sua bottega, la lunetta del Padre eterno tra due angeli e la tavola
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del Presepe, di Raffaellino del Colle, che dopo varie vicissitudini si trova
oggi ai Musei Civici di Lamoli. Nella chiesa è presente un bellissimo
affresco di tipo devozionale raffigurante La Madonna del Latte,
strappato durante i restauri degli anni Cinquanta. L‟opera è stata
studiata dal prof. Carlo Inzerillo nel volume La Pittura nell’alta valle del
Metauro nei secoli XIV-XVI, e associata ad una bottega mercatellese, la
stessa che affrescò la chiesa di San Francesco di Mercatello e che
lavorò a più riprese in molte chiese nelle zone limitrofe.
All‟interno di questo capitolo sono andata a descrivere brevemente
anche tutte le altre opere d‟interesse storico artistico presenti in chiesa.
In ambito architettonico, altro studio curioso è quello relativo
all‟abbazia di Scalocchio dal titolo L’Abbazia di Scalocchio, Insediamenti
Benedettini fra Altotevere e Massa Trabaria realizzato dalla scuola per
Geometri “Ippolito Salviati” di Città di Castello. La scelta di questo
studio, che a prima vista potrebbe sembrare non inerente al percorso
di studi scelto, è molto avvincente perché l‟abbazia studiata in questo
volumetto è considerata la “gemella” dell‟abbazia di Lamoli, alla quale
fu assoggettata nel 1218, sia per età che per tipologia costruttiva. Nel
volume sono presentati altri complessi abbaziali e chiese di confine tra
Città di Castello e la Massa Trabaria.
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Ma sicuramente il lavoro più importante di carattere storico artistico è
quello di Paolo Piva, pubblicato nel 2003 e ripubblicato in una
edizione aggiornata nel 2012, dal titolo Il romanico nelle Marche. L‟autore
descrive al suo interno una selezione di monumenti storici tra cui
spicca anche la nostra abbazia. Sicuramente il recente lavoro di Piva è
da considerare il più esaustivo e aderente alla realtà nella descrizione
critica del restauro dell‟abbazia e nella datazione dei manufatti, molti
dei quali considerati dai passati studiosi come dimostrazioni dell‟antica
fondazione e documenti visivi della sua storia.
L‟ultima parte di suddetto capitolo tratta delle curiosità e delle guide
turistiche di Lamoli. In principio al capitolo sono andata a descrivere
tutti quei nomi di luoghi dell‟Appennino che secondo tradizione hanno
avuto a che fare con le vicissitudini del monastero benedettino. È
infatti indubbia l‟influenza che i monaci ebbero in questi luoghi, a
partire dalla conservazione del patrimonio boschivo, ancora oggi per
molti fonte di sostentamento. Nel descrivere le guide locali edite dalla
Pro Loco Trabaria negli anni Settanta, il mio intento è stato quello di
tentare di dividere gli elementi quasi fantastici da quelli documentabili,
come per esempio la nascita del Museo dei Colori Naturali,
ampliamente pubblicizzato come un‟eredità dei Monaci Benedettini,
ma completamente assente dalle fonti documentarie che invece
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trattano principalmente di lavoro boschivo e allevamento, di cave di
pietra e minerarie di cui si è persa la locazione originaria, ma non la
memoria documentaria.
Il mio intento, quindi, come già accennato all‟inizio del lavoro
d‟introduzione è quello di fare un tentativo di chiarezza negli studi
degli anni passati, mettendoli a confronto per evidenziare ciò che
principalmente li accomuna, da quello che non è più documentabile
fino all‟illazione pura e semplice. La scelta di questo argomento nasce
sì da un tentativo di chiarezza, ma anche dall‟amore per la storia e
principalmente per le vicende del territorio dove sono nata e dove
vivo. Esigenza quest‟ ultima che accomuna moltissime persone, tanto
che negli ultimi anni sono andati a formarsi gruppi archeologici dal
nome Massa Trabaria, portali informativi e turistici che si chiamano
così, ed è in atto la tendenza a voler riscoprire le gesta e la storia del
passato (il nostro sicuramente più grandioso del presente), e per
riscoprire quindi le proprie radici. A questo fatto ha sicuramente
contribuito una riscoperta del “Medioevo” non considerato più come
un‟epoca buia, ma come culla di una civiltà e scrigno di valori che,
forse visto il tempo in cui viviamo, ci accomunano e di cui abbiamo un
profondo bisogno.