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Introduzione
Il reparto oggetto di studio della Città della Salute e della Scienza di
Torino, presidio ospedaliero San Giovanni Battista ’Azienda Molinette”
è la sede del tirocinio che ho scelto per svolgere il mio lavoro di
osservazione sulla motivazione al lavoro degli operatori sanitari e sul
grado di benessere organizzativo della loro Unità Operativa
Ospedaliera. Fin dai primi anni della mia professione, il concetto della
demotivazione è stato sempre un tema attuale negli operatori sanitari
che da tempo svolgevano il proprio lavoro con passione e sacrificio e che
per un fenomeno inspiegabile ammettevano che i livelli standard
assistenziali erano sempre più scadenti. Con l’andare del tempo, a
causa di fattori organizzativi, questi fenomeni demotivanti hanno
movimentato studi socio-psico-sociali alla ricerca della causa
demotivante che avviliva il lavoratore durante la sua vita professionale.
Il blocco del turnover, la non mobilità del personale sanitario a causa
delle mancate assunzioni di nuove e giovani risorse, ha costretto gli
infermieri a lavorare per lunghi periodi in contesti organizzativi
“indesiderati” per troppi lunghi anni, aumentando cosi l’insoddisfazione
professionale. Chi presta assistenza diretta ai malati diventa sempre
più “usurato” nel corso degli anni, rappresentando pertanto un serio
problema per l’organizzazione del lavoro, per la qualità dell’assistenza e
la sicurezza delle cure. La qualità della forza lavoro è condizionata
dall’usura che si aggrava con l’aumentare dell’età degl’infermieri.
1
Le
condizioni oggettive assistenziali (pazienti lungodegenti) quotidiane,
mostrano una tendenza crescente a produrre monotonia, il peso di
1
Dal rapporto OASI 2015 del Cergas- Bocconi, gli esoneri dalla mansione “aumentano con
il crescere dell’età: sono infatti meno del 4% nella fascia 25-29 anni, mentre arrivano a
circa il 24% nella fascia 60- 64 anni.
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quest’ultima, risentito come tale, dipende probabilmente
dall’atteggiamento dell’infermiere verso il suo lavoro. La varietà degli
interventi assistenziali non produce monotonia, mentre le condizioni
delle attività prescritte senza libertà di scelta esercitano un effetto
inibitorio sulle stesse e diminuisce il senso della soddisfazione
personale del proprio ruolo nel team. In uno studio effettuato in una
fabbrica, che prendeva in considerazione un certo numero di operazioni
diverse ma tutte ripetitive, le conclusioni differivano, per la disponibilità
e l’intelligenza degli operai, dai diversi settori esaminati. Le conclusioni
dello studio riassumevano che “l’esperienza della noia prevaleva
largamente tra gli operai occupati in lavori ripetitivi”, che “la noia
produceva un abbassamento del ritmo di lavoro ed è particolarmente
notevole verso la metà del periodo di lavoro”, ed inoltre, “la noia
produceva una maggiore variabilità del ritmo lavorativo” e “faceva si
che gli intervalli di tempo sembravano più lunghi del vero”
2
. Le ripetizioni
delle stesse attività routinarie di per sé non determinano necessariamente noia
(Naughton, Outcalt, 1988), per alcuni individui il lavoro ripetitivo può
favorire uno stato mentale simile alla meditazione che può essere vissuto come
un evento pieno di significato. In altri casi alcuni soggetti dichiarano di essere
annoiati sul lavoro proprio a causa dei colleghi considerati poco interessanti o
poco comunicativi, percepiti come noiosi a causa del contenuto banale dei loro
discorsi o per lo stile lento scarsamente affettivo di loro discorsi (Fisher 1978).
Uno degli elementi interessanti e di studio durante la mia permanenza
nel reparto di Geriatria sarà quello di distinguere la noia dalla fatica,
che a volte si trasmette attraverso lo stesso comportamento della
demotivazione al lavoro e la perdita di interesse dell’obbiettivo da
raggiungere nonché la rilevazione del clima ambientale e del benessere
organizzativo.
2
S. Wyatt e J.A. Fraser, Industrial Health Research Board, Report, The Effects of
Monotony in Work, 1929
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PRIMA PARTE
1. Motivazione e bisogni
La motivazione è un bisogno che necessita di essere alimentata
continuamente. La ricerca della soddisfazione è progressiva, una volta cercata
e soddisfatta riprende la sua corsa verso nuovi bisogni. I bisogni sono istinti
fisiologici che vengono enunciati come punti di partenza nella teoria della
motivazione di Maslow, sono innumerevoli e relativamente indipendenti l’uno
dall’altro, ognuno di loro serve da canale per ogni altro tipo di bisogno, anche
se sono relativamente isolabili per ogni azione che svolgono, non lo sono in
modo completo nella soddisfazione dell’organismo, nel mantenere uno stato
costante dell’omeostasi
3
(W. B. Cannon 1934). Alcuni bisogni fisiologici non
possono essere insoddisfatti perché l’organismo è dominato da loro ed è ovvio
che questi sono i più “prepotenti” di tutti i bisogni, anche la coscienza si nutre
di bisogni fisiologici verso la mancanza di un sentimento o desiderio di affetto,
di sicurezza, di stima e a questo punto sente la fame più di ogni altro bisogno
(Maslow). La teoria sui bisogni trova in Murray, psicologo degli anni ‘30, una
lista di bisogni che stimola il comportamento verso il raggiungimento degli
obiettivi, gli individui sono motivati da bisogni da soddisfare e che vi sono
diversi fattori interni che stimolano il comportamento. Dal punto di vista
motivazionale, una volta raggiunto un certo grado di soddisfazione, come
precedentemente detto, presto si svilupperà un nuovo stato di scontentezza e
di irrequietezza verso un nuovo bisogno. I bisogni umani si organizzano in
gerarchie di prepotenza, vale a dire, l'apparenza di un bisogno di solito
3
Il fisiologo Cannon coniò il termine “omeostasi” per spiegare che la motivazione serviva per
riportare le funzioni dell’organismo in una condizione di equilibrio ideale, con la riduzione
della tensione prodotta da un bisogno insoddisfatto, Maslow, motivazione e personalità,
pag.84
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si basa sulla soddisfazione precedente di un altro bisogno, più
prepotente. L'uomo è un animale perpetuamente desiderabile, inoltre
nessuna necessità o guida può essere trattata come se fosse isolata o
discreta, ogni unità è correlata allo stato di soddisfazione o
insoddisfazione di altre unità. Nel bisogno dell’autorealizzazione
4
l’individuo
tende a divenire tutto ciò che egli è capace a divenire, quindi egli sarà più
occupato a fare ciò che individualmente si adatta a fare (“divieni ciò che sei!”,
Nietzsche). Le persone che si autorealizzano sono descritte come persone
relativamente spontanee per il loro comportamento caratterizzato dalla
naturalezza e dalla mancanza di artificialità e di sforzi di franchezza, i loro
pensieri e i loro impulsi sono spontanei e naturali. Potremmo dire che siamo di
fronte ad un comportamento naturale e convenzionale, di normalità nel
comportamento dell’individuo. Studi scientifici dimostrano che la percentuale
di persone che si autorealizzano è molto alta negli individui che assumono un
comportamento non convenzionale. La mancanza di convenzionalità non è
banale, queste persone riconoscono l’ambiente in cui vivono e decidono se
assumere un comportamento convenzionale e scelgono di accettare la
compagnia, senza offendere o entrare in conflitto con gli altri, offrendo la loro
partecipazione. L’individuo che si autorealizza, raramente si lascia coinvolgere
da situazioni che risultano più “convenzionali”, sceglie quello che per lui risulta
più importante o fondamentale. Volontariamente decide di cambiare
atteggiamento quando si trova in compagnia di persone che attendono da lui
un comportamento convenzionale, si adatta e sceglie di assecondare le
dinamiche relazionali del gruppo, sforzandosi, momentaneamente, a
trascurare i principi di interesse essenziale ai quali lui è legato. In presenza di
alcune persone anziché di altre, dove egli preferisce la loro compagnia, a volte
abbandona questo “vestito” convenzionale perché si sente più libero e più
spontaneo con esse e si libera così da questo comportamento faticoso,
lasciandosi andare liberamente. All’interno di una organizzazione di lavoro
l’individuo conserva e protegge i propri bisogni pur facendo parte di un gruppo
4
Maslow, motivazione e personalità, pag.259
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che ha un unico scopo come quello dell’attività principale di un’azienda. Le
teorie motivazionali nascono con lo scopo di aumentare la fiducia negli operai
della fabbrica che all’inizio del 900, la scuola classica organizzativa,
determinava un’alienazione e depressione negli operai. La teoria taylorista
comprendeva la divisione del lavoro nella fabbrica, la parcellizzazione estrema
dei compiti e delle mansioni insegnate ad ogni singolo operaio senza il
coinvolgimento intellettuale dell’operaio stesso, considerato solo come un
braccio meccanico dove l’unico scopo perseguito era quello di incrementare la
produttività.
5
Partendo da questa concezione della divisione del lavoro
all’interno della fabbrica, la scuola motivazionale maturava il suo contributo,
l’uomo veniva considerato innanzitutto come essere umano, dotato di una
sua individualità, di socialità, di un suo profilo caratteriale, di proprie
attitudini, di propri limiti cognitivi e quindi considerato non solo “braccia
senza né testa né sentimenti”. Emerge quindi un approccio nuovo,
basato sulla motivazione umana al lavoro e non sulla quantità di lavoro
che si produce. La monotonia di svolgere ripetute azioni nel tempo
senza alterare le condizioni di stabilità, può essere un deterrente per la
conferma di un buon clima del benessere organizzativo nell’ambiente
di lavoro. L’organismo può rispondere alla richiesta di uno sforzo
esterno soltanto finché permane un equilibrio interno tra un numero
considerevole di variabili interdipendenti
6
. Fin dal principio lo studio
delle condizioni di lavoro nell’industria ha dovuto riconoscere che le
5
Carlie Chaplin, Tempi Moderni, “Il protagonista Charlot è un operaio in una fabbrica; la sua
mansione è quella di stringere i bulloni in una catena di montaggio. I gesti ripetitivi, i ritmi
disumani e spersonalizzanti della catena di montaggio minano la ragione del povero Charlot;
la pausa pranzo potrebbe concedere un momento di riposo per tutti i lavoratori della fabbrica,
sennonché Charlot viene prescelto per sperimentare la macchina automatica da alimentazione,
che dovrebbe consentire di mangiare senza interrompere il lavoro (aspetto che in una visione
scientifica del lavoro produrrebbe vantaggio competitivo). L'esperimento però gli causa
parecchi danni dato che il marchingegno non funziona come si aspettavano. Le infinite ore di
lavoro lo portano ad essere ossessionato al punto da immaginare che i bottoni della gonna
indossata dalla segretaria siano bulloni da stringere. Egli perde così ogni controllo sulla propria
mente. Con gesto liberatorio mette mano su leve e pulsanti all'interno della sala di comando
del suo reparto, provocando il fermo dell'intera catena produttiva e, dopo aver spruzzato in
faccia a tutti l'olio lubrificante per gli ingranaggi, Charlot sarà affidato forzatamente ad una
clinica affinché venga riabilitato dall'esaurimento nervoso. United Artists, USA, 1939.
6
W.B. Cannon, The Wisdom of the Body, New York, 1939
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interferenze che intervengono ad impedire il lavoro continuo negli
stabilimenti industriali non sono esclusivamente e neppure
prevalentemente organiche. Un rapporto del Fatigue Board di numerosi
anni fa (1924) considerava gli effetti delle pause di riposo
sistematicamente predisposte: “gli intervalli di riposi devono essere
evidentemente considerati da due punti di vista diversi, secondo il
carattere del lavoro”. Trattandosi di lavoro muscolare vanno intesi
come momenti di riposo i periodi di tempo che servono a smaltire gli
effetti della fatica fisiologica.
7
D’altro lato, trattandosi di lavoro la cui
caratteristica principale è la ripetizione anziché lo sforzo, i fattori di cui
bisogna tener conto sono la noia e la monotonia piuttosto che la fatica
ed in tal caso l’effetto degli intervalli dipende probabilmente dal
cambiamento di attività e non dalla totale sospensione del lavoro.
L'assunzione e lo svolgimento di un lavoro complesso e di notevole
impegno, come nel campo assistenziale, gratifica il lavoratore quando
questi sente l’appartenenza alla propria organizzazione,
contrariamente a quando gli individui di una fabbrica fanno tutti le
stesse cose monotone senza riconoscere lo scopo, specializzandosi
sempre meno in una parte di un compito più generale. L’esistenza di
un processo di differenziazione, di divisione del lavoro e di
specializzazione è essenziale quando si inizia a parlare di
organizzazione. La condizione lavorativa di gruppi di più persone o di
una organizzazione deve essere ordinata, la differenziazione è il primo
processo organizzativo attraverso il quale la somma degli sforzi dei
singoli (specializzati e complementari in ruoli diversi rispetto al
compito) ottiene risultati superiori, l’organizzazione passa così da un
sistema indifferenziato di persone a un sistema di ruoli.
8
In assenza di
7
Industrial Fatigue Research Board, Fourth Annual Report, cit., pp 6-7
8
Il principio fondamentale dell'organizzazione scientifica del lavoro consisteva nella ricerca di
massimizzazione dell'efficienza produttiva attraverso la leva della divisione del lavoro, spinta
a livelli molto accentuati in base a uno studio attento e analitico delle operazioni elementari
attuate dai lavoratori, dei metodi e degli strumenti impiegati e dei tempi di svolgimento.
L'essenza del metodo taylorista consiste nell'attenzione rivolta alle modalità̀ operative
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un professionista, non si cercherà una persona qualsiasi ma un altro
professionista che svolga quel ruolo. La rilevanza e l’essenzialità del
processo di differenziazione influisce fortemente sulle capacità
dell’organizzazione di sfruttare appieno tutte le sue potenzialità. Quindi
la divisione del lavoro differenzia le specializzazioni e per quanto
caratterizzante sia questa condizione organizzativa, di per sé non è
sufficiente. Per ottenere buoni risultati non basta dividere i compiti tra
più individui, occorre anche riportare a unità ciò che si è diviso. Nelle
grandi aziende, dove ci sono centinaia di dipendenti, la produttività̀ non
è solo un fatto individuale ma diventa espressione di gruppi di operai,
di team di persone che informalmente si aggregano.
9
La modalità più
tipica, esplicita e ricorrente di ricomposizione degli sforzi organizzativi
è costituita dal sistema dei capi e più in generale dalla gerarchia. In
un’azienda ospedaliera una delle prime funzioni del coordinatore
infermieristico è proprio quella di garantire che gli sforzi dei subordinati
siano reciprocamente coerenti e che siano altresì coerenti con quanto
stanno facendo altre parti dell’organizzazione ospedaliera (mission
aziendale). Nello stesso modo sarà il Direttore che insieme al Caposala
coordineranno l’attività del loro reparto e a loro volta avranno un
controllo sui dipendenti della loro organizzazione (Medici, Infermieri,
OSS, personale amministrativo). La catena gerarchica (la tradizionale
piramide) ha come funzione essenziale proprio quella di garantire
l’unitarietà degli sforzi delle diverse “articolazioni” dell’organizzazione.
impiegate dagli operai di maggiore rendimento e capacità (di prim'ordine") e nella successiva
azione di codifica e standardizzazione rivolta a diffondere e generalizzare metodi e procedure
rivelatisi più̀ efficienti (Grandori, 1995).
9
Mayo, La scuola delle relazioni umane 1920