Introduzione
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Introduzione
Lo scopo di questo documento è quello di analizzare l’instabilità dei mercati finanziari tramite
un attento esame della crisi finanziaria e dei suoi effetti sul mondo reale, in particolare di
quella legata ai mutui subprime.
Nel primo capitolo è stato introdotto l’argomento partendo dalla famosa domanda della
Regina Elisabetta II d’Inghilterra che nel 2008, rivolgendosi a degli accademici di fama
mondiale, chiese il perché non fosse stata prevista una crisi tanto spaventosa come quella del
2007-08. Si è proseguito poi con una critica alla visione mainstream dell’economia,
discutendo sull’esigenza di considerare la crisi come una proprietà emergente.
Successivamente sono state definite bolle speculative e mercati finanziari, dei quali si è
discusso su diverse possibilità di interpretazione: con una critica alla Teoria dei mercati
efficienti di Eugene Fama, si è cercato di dimostrare l’instabilità che poi è presente nella
realtà, analizzando le teorie di Shiller e Minsky.
Nel secondo capitolo si entra nel vivo nell’argomento: la crisi dei mutui subprime. Il primo
passo è stato quello di spiegare in cosa consistono tali prestiti e di analizzare i motivi per cui si
sono diffusi in maniera rilevante. Tali motivi sono riconducibili alle seguenti condizioni che
sono state oggetto di analisi: l’andamento del mercato immobiliare; una politica monetaria
espansiva; il meccanismo della cartolarizzazione; l’assenza di regolamentazione sul “leverage”.
Da qui si è passati all’esposizione delle cause che hanno portato al crollo di tutto il sistema,
analizzando in particolare il ruolo dei derivati, le conseguenze del fallimento di diversi istituti
bancari e il ruolo delle agenzie di rating.
Nel terzo capitolo si è approfondito il meccanismo che ha permesso il contagio della crisi dal
mondo prettamente finanziario a quello reale e su come la crisi subprime abbia scavalcato i
confini degli Stati Uniti per approdare nel resto del mondo. Particolare rilievo è stato dato al
contagio dell’Europa dove la crisi subprime si è presto trasformata in crisi dei debiti sovrani.
Infine sono stati esposti gli interventi delle banche centrali degli Stati Uniti e dell’Europa
(rispettivamente la Federal Reserve e la BCE) e dei loro governi.
Nel quarto ed ultimo capitolo si è provato a fornire delle possibili soluzioni per evitare il
riproporsi di crisi di simile portata, mettendo in particolare sotto analisi il processo di
cartolarizzazione, l’uso dei derivati e l’informazione poco veritiera che circola sui mercati
finanziari. Nella seconda parte di tale capitolo sono state analizzate infine, su due scenari
diversi, quello statunitense prima e quello europeo poi, delle possibili crisi finanziarie future
Introduzione
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che potrebbero nuovamente distruggere intere economie; a tal proposito si è discusso sulla
situazione debitoria degli studenti americani e sulla situazione attuale delle banche italiane.
1.Introduzione alla crisi finanziaria
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1.Introduzione alla crisi finanziaria
1.1 La domanda della Regina
“Com'è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi
spaventosa?”
Se non fosse stato per il contesto particolare e per gli ancor più speciali protagonisti della
discussione, questa domanda potrebbe essere classificata come una banalità o una
provocazione, niente di più. Ma visto che a porre il quesito è stata la Regina Elisabetta II di
Inghilterra e le persone a cui lo ha rivolto nel novembre del 2008, in seguito allo scoppio di
una crisi finanziaria ed economica di portata mondiale, sono gli accademici della prestigiosa
London School of Economics, di banale c’è molto poco.
L’economista è nudo e a farglielo notare è un Sovrano.
Così, nei mesi successivi, diversi studiosi ed economisti illustri cercarono di formulare una
risposta che potesse essere all’altezza della domanda.
La prima risposta ufficiale si fece attendere ed arrivò soltanto il 22 luglio del 2009, giorno in
cui i professori Tim Besley e Peter Hennessy, membri della British Academy, inviarono una
lettera alla Regina.
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Secondo loro la crisi era stata prevista da molti; erano le tempistiche e la
ferocia che avrebbe assunto a risultare elementi mancanti. Di avvertimenti sugli squilibri nei
mercati finanziari e nell'economia globale ce ne erano stati, ma la difficoltà era vedere il
rischio per il sistema nel suo complesso: i calcoli di rischio sono stati spesso limitati a fette di
attività finanziarie, perdendo di vista il quadro nel suo complesso. Contro coloro che avevano
avvertito qualcosa c’era però la maggioranza, convinta che le banche sapessero cosa stavano
facendo e che gli esperti di finanza avessero trovato nuovi e intelligenti modi di gestire i
rischi.
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Lettera indirizzata alla Regina del Regno Unito Elisabetta II, scritta da Tim Besley e Peter Hennessy il 22
luglio 2009, sulla base delle idee esposte nel dibattito “The Global Financial Crisis – Why Didn’t Anybody
Notice?”, tenuto presso la British Academy il 17 giugno 2009. Al dibattito hanno partecipato: Professor Tim
Besley, Professor Christopher Bliss, Professor Vernon Bogdanor, Sir Samuel Brittan, Sir Alan Budd , Dr Jenny
Corbett, Professor Andrew Gamble, Sir John Gieve, Professor Charles Goodhart, Dr David Halpern, Professor
José Harris, Mr Rupert Harrison, Professor Peter Hennessy, Professor Geoffrey Hosking, Dr Thomas Huertas,
Mr William Keegan, Mr Stephen King, Professor Michael Lipton, Rt Hon John McFall, Sir Nicholas
Macpherson, Mr Bill Martin, Mr David Miles, Sir Gus O’Donnell, Mr Jim O’Neill, Sir James Sassoon, Rt Hon
Clare Short, Mr Paul Tucker, Dr Sushil Wadhwani, Professor Ken Wallis, Sir Douglas Wass Mr James Watson,
Mr Martin Weale, Professor Shujie Yao.
1.Introduzione alla crisi finanziaria
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Le banche americane, già dal 2003, avevano aumentato in modo significativo l'erogazione di
mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito
poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie. Inoltre la Federal Reserve
(Fed) mantenne i tassi di interesse su valori storicamente bassi fino al 2004, in risposta alla
crisi delle dot.com (che analizzeremo in seguito) e all'attacco dell'11 settembre 2001
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. Tassi di
interesse bassi equivalevano a un basso costo del denaro per i prenditori dei fondi, ossia per le
famiglie che richiedevano mutui ipotecari, e finirono pertanto con lo stimolare la domanda di
abitazioni.
Nella lettera Besley e Hennessy espongono la loro idea secondo cui la popolazione degli Stati
Uniti, trovandosi in un contesto caratterizzato da benessere generale in cui poteva beneficiare
di una scarsa disoccupazione, di beni di consumo poco costosi e di credito pronto, era poco
propensa a pensare ad una crisi tanto nera come quella che si sarebbe verificata di lì a poco.
Allo stesso modo, i due economisti, parlano di condizioni favorevoli per le imprese americane
che potevano beneficiare di minori costi di indebitamento; per i banchieri, che hanno ampliato
la loro attività in tutto il mondo; e per il governo che ha beneficiato di elevati ricavi fiscali che
consentivano di aumentare la spesa pubblica sulle scuole e sugli ospedali.
Ma il più facile accesso al credito, il minor prezzo del denaro e l’aumento dell’acquisto di
immobili con conseguente ovvio aumento dei relativi prezzi, generò una vera e propria bolla
immobiliare. Ci si trovava in una situazione favorevole che era destinata ad esaurirsi
necessariamente: la Fed avrebbe potuto tornare ad innalzare i tassi di interesse –cosa che
infatti fece nel 2004- e ciò avrebbe inevitabilmente portato all’aumento del costo dei mutui
con conseguente aumento dei casi di insolvenze delle famiglie incapaci di restituire rate
sempre più onerose. Il ciclo benefico americano era dunque piuttosto illusorio e gli esperti
avrebbero dovuto capirlo per tempo; eccolo il colpevole per Besley e Hennessy nella mancata
prevedibilità della tempistica, della portata e della gravità della crisi: l’immaginario collettivo
degli economisti. Quell’economia mainstream tanto affermata quanto al tempo stesso criticata
proprio per la sua incapacità di prevedere le crisi, per la sua ostinazione a fondarsi su concetti
ormai superati.
Questa appena analizzata ovviamente non fu l’unica risposta al quesito della Regina: dieci
importanti economisti inglesi, subito dopo, scrissero a loro volta una lettera
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con cui
intendevano rispondere alla domanda della Regina Elisabetta ma, allo stesso tempo, anche a
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www.consob.it.
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Lettera indirizzata alla Regina del Regno Unito Elisabetta II, scritta dai dieci economisti Dow, Earl, Foster,
Harcourt, Hodgson, Metcalfe, Ormerod, Rosewell, Sawyer, Tylecote, il 10 agosto del 2009.
1.Introduzione alla crisi finanziaria
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Besley e a Hennessy. Tra i dieci, accademici delle università più quotate, tre membri
dell'Accademia delle Scienze Sociali, un ex membro dell'antitrust inglese e il capo degli
economisti della Greater London Authority.
I firmatari della seconda lettera criticavano i colleghi autori di quella del 22 luglio 2009,
puntando il dito contro una loro dimenticanza: non aver condannato la formazione inadeguata
degli economisti che - a loro giudizio - sarebbero formati quasi esclusivamente sulla base di
conoscenze matematiche e sulla costruzione di modelli formali, tanto che le loro teorie si
riducono a pure e astratte applicazioni. In tal modo si smarrisce sempre più il contatto con la
realtà, le istituzioni e la concretezza del mondo economico. In sostanza la colpa può
ricondursi all’aver trasformato l'economia in una branca della matematica applicata, con
scarsissimo contatto con il mondo reale. I modelli e le tecniche sono certamente importanti
ma data la complessità dell'economia globale, sarebbe auspicabile un maggior rispetto per la
sostanza e una maggiore attenzione ad altri fattori: storici, istituzionali, psicologici…
Queste due lettere appena analizzate brevemente, permettono di affermare che, così come la
famosa domanda della Regina riuscì a tirar fuori degli evidenti limiti dell’economia, le
risposte mostrarono chiaramente differenze radicali a seconda della posizione ideologica degli
economisti in questione.
Non ci concentreremo in questo contesto sulle differenze di posizioni di economisti
accademici, credendo che in entrambe le lettere appena presentate siano venute fuori critiche,
sì, diverse tra loro ma non per questo in competizione. Si potrebbe provare dunque a
prenderle congiuntamente per dare una diversa interpretazione della crisi finanziaria.
1.2. Critica all’immaginario collettivo degli economisti e alla visione
mainstream
La principale critica fatta da molti studiosi riguardo al rapporto tra crisi ed economia
neoclassica, è quella per cui i modelli mainstream fondamentalmente tendono a rappresentare
un mondo ideale in cui le crisi non esistono.
Ne discute nel suo libro “Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le
scienze naturali sull’economia” Mark Buchanan
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, che esplora e critica i concetti alla base
della teoria neoclassica, confrontandola con la fisica. L’oggetto di studio di quest’ultima è
rappresentato da atomi, molecole, pianeti mentre in economia si osserva il comportamento di
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“Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le scienze naturali sull’economia”, Mark
Buchanan, ed. Malcor D’, 2014.
1.Introduzione alla crisi finanziaria
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esseri umani che, al contrario delle particelle elementari, sono dotati di libero arbitrio.
«Conosciamo le leggi fondamentali che regolano, ad esempio, le interazioni tra le cariche
elettriche o tra i pianeti e il Sole: queste leggi sono universali e sono le stesse in diversi tempi
e punti dello spazio. Certamente non si può dire lo stesso delle leggi che regolano l’economia:
basta tornare indietro nel tempo di qualche anno o considerare la situazione attuale nei paesi
sottosviluppati, per rendersi subito conto che le leggi dell’economia, che comunque non
conosciamo come le leggi della fisica, cambiano nel tempo e nello spazio, secondo le
condizioni storiche, sociali e legislative dei diversi paesi.»
L’autore paragona gli economisti neoclassici a meteorologi che provano a prevedere il tempo
trascurando tempeste e uragani, turbolenze che sembrano avere molto in comune con gli alti e
i bassi dei mercati finanziari. In questa situazione, nota Buchanan, la crisi non può essere
prevista (e, infatti, non è stata prevista) semplicemente perché non è neppure concepita.
Un secolo fa le previsioni del tempo si basavano sulla continuità che mostrano molti fenomeni
fisici: l’idea era semplicemente quella di cercare nel passato una situazione simile all’oggi e da
questa trarre una previsione per il domani. I risultati delle previsioni cosi
̀ effettuate erano
abbastanza disastrosi per un motivo che oggi conosciamo bene: l’atmosfera si comporta in
maniera caotica e piccole variazioni dei parametri fisici possono indurre grandi cambiamenti
nei comportamenti del tempo meteorologico.
Studi recenti
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hanno dimostrato che gli economisti non hanno predetto quasi nessuna delle 88
recessioni avvenute nel periodo 2008-2012 nei paesi avanzati, dove per recessioni intendiamo
la diminuzione del PIL reale su base annua. «Quegli stessi modelli economici che non
contemplavano neppure la possibilità di una crisi storica come quella avvenuta nel 2008, non
sono neanche abbastanza affidabili da prevedere le recessioni.
L’economia neoclassica è oggigiorno fornita di una veste matematica quasi fosse una scienza
naturale, ma non è capace di descrivere la realtà, come il fallimento di ogni previsione mette
chiaramente in luce: per rimediare si racconta, ovviamente a posteriori, che i fallimenti sono
dovuti a shock esterni (ad esempio le crisi politiche, i terremoti, ecc.) che non sono contemplati
dai modelli.»*
Nel suo lavoro poi Buchanan discute in più punti dell’onestà intellettuale degli economisti
neoclassici riguardo al modo in cui continuano a difendere le ipotesi alla base dei loro
modelli. Per completare la discussione si possono provare a leggere le parole del Nobel per la
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"Fail Again? Fail Better? Previsioni degli economisti durante la grande recessione ", Ahir, Hites e Prakash
Loungani, George Washington University, Programma di ricerca nel seminario di previsione, 2014.
* Francesco Sylos Labini, Prefazione a “Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le
scienze naturali sull’economia” di Mark Buchanan, https://www.roars.it/online/prefazione-a-previsioni-
cosa-possono-insegnarci-la-fisica-la-metereologia-e-le-scienze-naturali-sulleconomia-di-mark-buchanan/