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INTRODUZIONE
La sera dell’8 dicembre 1990 iniziò la caduta di uno dei regimi più totalitari della storia
europea. Centinaia di studenti dell’università di Tirana si riversarono per le strade della
città con un unico coro: “Vogliamo l’Albania come l’Europa!”. Per gli albanesi l’Europa
rappresentava, concetti come le libertà individuali, la prosperità economica, e la demo-
crazia. Concetti che la maggior parte di loro non aveva mai potuto sperimentare.
L’integrazione europea è presto diventata il desiderio principale di ogni cittadino.
L’adesione all’Unione Europea è stata riconosciuta da ogni partito albanese come la pro-
pria priorità politica. Durante le campagne elettorali, le coalizioni assumono di continuo
nomi, e narrative, che si appellano direttamente all’integrazione europea. Sul piano della
narrativa, l’Unione Europea è spesso definita con appellativi particolarmente positivi,
come “famiglia”, “sogno”, o “priorità nazionale”. Secondo le ultime indagini dell’Euro-
barometro, il 73% degli albanesi ha un sentimento positivo verso l’UE, tale numero ha
raggiunto anche picchi del 95% negli anni precedenti. L’approccio della popolazione al-
banese verso l’Unione Europea è talmente favorevole che nessun politico ha mai osato
prendere posizioni ostili verso l’integrazione europea, e non si ha mai avuto traccia di
partiti euroscettici.
Tali aspetti dovrebbero essere sicuramente positivi per la prospettiva europea del po-
polo albanese. In realtà, non appena ci si imbatte in un’analisi più approfondita, ci si
accorge facilmente che l’integrazione europea albanese è stata colma di incongruenze tra
il piano retorico e quello reale. Ogni schieramento politico è stato pro-europeo solo sulla
carta, ogni partito ha utilizzando la retorica europeista solo per massimizzare il proprio
tornaconto elettorale. Una volta finite le campagne elettorali, le loro azioni si sono spesso
rivelate completamente contrarie ai principi europei. Da quel dicembre del 1990 sono
passati quasi tre decenni, e l’Albania, non solo non fa parte dell’Unione Europea, ma non
è riuscita nemmeno ad accedere ai negoziati di adesione. Le ragioni di tale fallimento
sono molteplici, e col passare degli anni aumentano di continuo, con nuove problematiche
che si accollano a quelle esistenti.
L’oggetto di questa ricerca sarà proprio analizzare ciò che è stato negli anni il processo
d’integrazione europea dell’Albania, sottolineando in maniera particolare cosa ne abbia
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provocato il continuo rallentamento. Si tenterà dunque di dimostrare come la causa prin-
cipale del rallentamento della transizione economica, politica e sociale, e di conseguenza
dell’integrazione europea del Paese, siano state le continue interferenze dei partiti politici
nelle istituzioni dello Stato, a dimostrazione di quanto sia ancora difficile lasciarsi alle
spalle le eredità della dittatura comunista.
Il primo capitolo ha dunque l’intento di far risaltare alcuni aspetti del periodo
comunista che continuano ad influenzare negativamente la vita politica e sociale albanese,
e di conseguenza l'integrazione europea del Paese. Si cerca qui di evidenziare temi come
l'estrema polarizzazione politica, il rifiuto del dialogo, la mancanza di una vera divisione
dei poteri, la mancanza di istituzioni indipendenti. È stato posto un particolare accento su
due aspetti del posizionamento internazionale dell’Albania comunista. Il primo riguarda
il progressivo isolamento internazionale, sfociato infine nell’autarchia. Il secondo sarà la
cronica dipendenza finanziaria albanese.
Il secondo capitolo prosegue analizzando l’inizio del processo d’integrazione europea
albanese. Costruendo una contrapposizione con l’integrazione europea dei PECO, si cerca
di evidenziare le peculiarità albanesi che hanno impedito all’Albania di essere
raggruppata nel gruppo dei 12 Paesi che riusciranno a aderire all’UE tra il 2004 ed il 2007.
Inoltre, riprendendo il discorso effettuato nel primo capitolo sulla dipendenza albanese
dagli aiuti internazionali, si sono analizzati gli aiuti elargiti dall’UE.
Il terzo capitolo analizza l’integrazione europea albanese a seguito dei disordini interni
del 1997 e della guerra del Kosovo. Ricalcando il framework del secondo capitolo,
l’analisi del percorso albanese viene retta sul contesto più generale dell’allargamento
europeo di quel periodo, l’approccio regionale dell’UE verso i Balcani. Tale scelta da un
lato fornisce al lettore un contesto preciso, e dall’altro è una scelta quasi obbligata, in
quanto, dopo la fine degli anni Novanta, l’UE ha espressamente legato l’integrazione dei
singoli Stati della regione alla necessità di raggiungere prima un’integrazione intra
balcanica.
Le conclusioni riprendono il discorso del terzo capitolo, estendendolo brevemente fino
ai giorni nostri. In tal modo si tenterà di analizzare se le lacune evidenziate nel corso di
tate ricerca persistono ancora oggi o meno.
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Tale argomento è stato prescelto in quanto rappresenta un punto di approdo naturale
del percorso formativo dell’autore. Tale ricerca costituisce la giuntura tra i due interessi
di studio principali del tesista, vale a dire l’integrazione europea e la storia dell’Albania.
Mentre il primo campo si è delineato durante il corso degli studi universitari, il secondo
è stato un interesse innato, dettato dalle origini albanesi dell’autore.
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CAPITOLO 1: L'ISOLAMENTO ALBANESE
1.1) La chiusura internazionale
1.1.1) V erso la dittatura comunista
In Albania, i primi movimenti comunisti erano organizzazioni piccole, composte da
studenti ed intellettuali, e servivano da arene di dibattito puramente teorico.
L'Internazionale Comunista tentò fin dagli anni '30 di riunire in un unico partito i vari
raggruppamenti, ma non ebbe particolare successo. Ciò fu dovuto dal contrasto del regime
zoghista, ma anche dal fatto che la società albanese si basasse ancora su un modello
produttivo feudale. La base della sua economia rimaneva il latifondo, e non vi era la
minima traccia di una classe operaia. L'unico modo per creare un partito comunista
albanese sarebbe stato controllare completamente il processo dall’esterno. Durante la
Seconda guerra mondiale l’URSS non ebbero alcun interesse verso l'Albania. Al contrario,
gli jugoslavi nutrivano forti attrazioni verso i loro vicini meridionali, in particolare verso
il Kosovo, che nel maggio 1941 era entrata a far parte dello Stato albanese.
Il PCA fu fondato l'8 novembre 1941. Esso era una vera e propria appendice del PCJ,
tanto che saranno due dirigenti Jugoslavi, Popovič e Mugoša, ad organizzarlo e a prendere
le decisioni politiche. Durante la Seconda guerra mondiale, sotto l'egida jugoslava, il PCA
organizzò il Fronte Antifascista di Liberazione Nazionale (FALN). Il FALN era composto
da una moltitudine di forze, accanto ai comunisti più intransigenti si trovavano anche i
moderati, i zoghisti, i liberali, gli intellettuali e tante persone politicamente non schierate.
I comunisti presero presto il sopravvento sulle altre forze, anche se la loro presenza
rimaneva tollerata e richiesta, per cercare un consenso popolare che continuava ad essere
freddo. Tramite il FALN, il PCA riuscì a neutralizzare, grazie agli aiuti alleati, i suoi
principali oppositori, i nazionalisti del “Balli Kombëtar” ("Fronte Nazionale").
A fine novembre 1944, il PCA formava il suo primo governo, guidato da Enver Hoxha.
Le prime azioni furono rivolte alla confisca delle terre, alla nazionalizzazione delle
banche e delle industrie private e alla tassazione speciale degli esercenti privati. Portando
presto all’estinzione della minuscola classe media albanese. Avendo già sconfitto i suoi
oppositori principali, il PCA ottenne un potere pressoché incontrastato già nel 1945,
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l'unico caso in Europa, insieme alla Jugoslavia
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. Il PCA usò fin da subito tale potere per
eliminare gli ultimi dissidenti: i moderati e i liberali, una volta alleati nel FALN. I tribunali
speciali furono creati durante la guerra, il loro potere crebbe di continuo, e i loro processi
iniziarono ad essere caratterizzati da una sempre più accesa teatralità. Le condanne erano
in ogni caso inappellabili, le sentenze già decise a monte, ma la necessità di inscenare
coreografie politiche credibili rendeva necessario un certo accumulo di prove. Per ciò si
istituì un corpo speciale di polizia, la "Direzione della difesa del popolo", l'antenato del
famigerato “Sigurimi”, la polizia segreta del regime
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. Il regista di ciò fu Koçi Xoxe, il
dirigente del PCA più vicino al PCJ. Xoxe, già segretario organizzativo del comitato
centrale, assunse anche i ruoli di vice-primo ministro, ministro degli interni, presidente
del Tribunale Speciale e direttore generale della polizia segreta. Delineando, per la prima
ed unica volta nella storia del PCA, un centro di potere alternativo ad Hoxha.
Le prime elezioni furono tenute il 2 dicembre 1945, per l'elezione dell'assemblea
costituente. Il suffragio fu universale, ed il voto venne espresso gettando una pallina di
gomma all'interno di un’urna, rendendo facili i brogli elettorali. Il risultato fu schiacciante,
la lista del PCA prese più del 90% delle preferenze. L'assemblea costituente, trasformatasi
nel nuovo Parlamento, approvava il 14 marzo 1946 la nuova costituzione, che dava vita
all'Albania comunista. La nuova costituzione proclamava l'Albania una "Repubblica
Popolare" (art. 1). Ogni mezzo di produzione e di comunicazione apparteneva allo Stato,
che governava il commercio estero (art. 5), e organizzava ogni aspetto economico, sulla
base di piani centralizzati (art. 6). L'articolo 37 sanciva che il Parlamento fosse l'organo
più importante dello Stato, e l'unico detentore del potere legislativo (art. 39). Per tutta la
dittatura comunista esso resterà in realtà un organo mono-partitico che, per la concezione
socialista dell'unità del potere statale, non esercitò alcun potere di controllo sul governo
o sul "Presidium" (l'organo collegiale con funzioni di presidenza dello Stato). Il potere
legislativo era completamente espletato dal Presidium tramite decreti, che venivano poi
trasformati, tramite votazioni puramente formali, in leggi dal Parlamento.
Iniziava così una delle dittature più feroci mai viste in Europa, che porterà il piccolo
Paese balcanico sempre più ad est, e sempre più lontano dal suo continente, per finire ad
isolarsi completamente dal resto del mondo.
1
Bottoni S., 2011: 114.
2
Kasoruho A. 1994: 67.