Introduzione
Pochi costrutti, nella storia della psicologia dello sviluppo, hanno
avuto e hanno tutt’oggi la stessa risonanza della teoria dell’Attaccamento
di Bowlby.
Tra le motivazioni che spinsero l’etologo e psicanalista inglese a
intraprendere gli studi sull’argomento vanno annoverate: l’interesse per il
lavoro di Lorenz sull’imprinting, quello di Darwin sull’evoluzione e quello di
Harlow sui primati e l’effetto della deprivazione del contatto materno.
La ricerca iniziò negli anni 50 e nel primo capitolo saranno
raccontate proprio le sue origini, le modalità dei primi studi e le difficoltà
legate alle innovazioni insite nella formulazione della teoria, che si
distanziava da quelle psicanalitiche di Anna Freud e Melanie Klein
dell’epoca, dando importanza alle esperienze reali del bambino e non solo
a quelle che erano ritenute rappresentazioni interne e «parti della fantasia»;
mettendo così fortemente in discussione il concetto di «madre oggetto
secondaria» poiché la vicinanza e la relazione del bambino con il caregiver
secondo Bowlby, non si limitava alla necessità di essere nutrito, quanto a
quella di essere accudito nel suo significato più ampio.
Dall’osservazione inoltre, grazie a uno studio commissionato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, di orfani istituzionalizzati,
Bowlby riuscì a verificare come la garanzia di un legame sicuro con una
figura di accudimento stabile, potesse condizionare il rapporto del
bambino con l’ambiente e introdusse il concetto di MOI (Internal Internal
Working Models) per indicare quelle rappresentazioni mentali, di Sé e delle
persone e del mondo circostante (Attili 2014) che includono le aspettative,
formatesi dalle relazioni con gli individui e l’ambiente, e che
continueranno ad avere importanza anche nell’età adulta.
La Teoria dell’Attaccamento tuttavia conobbe nuovi e importanti
sviluppi con la disponibilità di Mary D.S. Ainsworth, ad approfondire un
«tema nuovo» per la psicologia di quegli anni: l’osservazione e la
valutazione del comportamento del bambino, rispetto alla sua relazione
3
con la madre, (attraverso la Strange Situation) fornendo così una prospettiva
diversa rispetto alla responsabilità materna, nella formazione di un legame
di Attaccamento, visto in relazione con il tipo di accudimento ricevuto.
Ed è in quest’ambito di ricerca che iniziò, negli anni 60, il lavoro di
Mary Main, descritto nel secondo capitolo, il cui obiettivo era studiare i
comportamenti di evitamento messi in luce da alcuni bambini nei
confronti del caregiver, durante la Strange Situation, che la porterà
all’inserimento, nella classificazione dei legami di attaccamento fino a quel
momento differenziati in sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente,
della categoria: disorganizzato/disorientato.
Si venne così a creare un forte interesse sulle condizioni e gli
schemi di comportamento materni in grado di attivare (Dazzi, Speranza
2008) schemi comportamentali verso il bambino, tanto che nel 1985 Mary
Main assieme a Kaplan e George, indirizzò, con l’Adult Attachment
Interview, le sue ricerche verso la comprensione delle «rappresentazioni di
attaccamento delle madri di bambini osservati nella Strange Situation» per
verificare se esistesse una connessione tra le esperienze dell’infanzia
vissute dalle madri e le relazioni instaurate successivamente con i figli.
Nacque allora una «nuova era», per quanto riguardava l’indagine
delle dinamiche psichiche infantili, che teneva conto delle iterazioni con i
genitori e la famiglia ma anche delle conseguenze che violenze, abusi,
divieti imposti, avevano sia sulla personalità che sullo sviluppo cognitivo e
relazionale.
L’AAI inoltre, permise di ipotizzare prima e approfondire
successivamente, come viene messo in luce nei capitolo terzo, due nuovi
importanti elementi: il linguaggio e i processi rappresentazionali,
consentendo così di esplorare «in maniera sistematica lo stato mentale
dell’adulto nei confronti dell’attaccamento attraverso l’analisi della qualità
narrativa (l’AAI è costituito da una serie di domande sui ricordi dell’adulto
rispetto alle proprie esperienze infantili legate al rapporto con il caregiver e
la famiglia) in base alla personale capacità di raccontare le esperienze
infantili.
4
Ne emerse che i legami costituitisi nella prima infanzia, a seconda
della qualità (sicuro, evitante, ambivalente, disorganizzato) comportavano
complessi processi di elaborazione che influenzavano fortemente la qualità
delle relazioni successive sia con il partner che con la prole.
Eventi traumatici non risolti esercitavano la loro «influenza
disorganizzante sulla mente del genitore che a distanza di tempo», con
comportamenti inadeguati, incapaci di proteggere o rassicurare il bambino,
potevano causare l’insorgenza di legami disfunzionali.
La famiglia in quel caso non garantiva al minore «una base sicura» e
le esperienze genitoriali con cui si erano creati dei legami e si e sviluppava
l’attaccamento non erano sufficientemente supportivi per il bambino
generando quindi angosce e comportamenti inappropriati.
Oggi sappiamo che legami insicuri e disorganizzati spingono
l’adulto verso un partner ugualmente insicuro-disorganizzato, mettendo in
moto un processo intergenerazionale che può generare malessere e disagio
nella prole.
Byng–Hall psichiatra infantile, fu il primo a parlare di script
(copioni) per descrivere le aspettative condivise all’interno di una famiglia
dai membri, capaci di condizionare i ruoli assunti o assegnati al bambino
in modo che le esperienze del passato continuino a tessere le trame del
presente, fino alla manifestazione di disagi psichici che possono interessare
il bambino, l’adolescente e l’adulto.
Tra le patologie collegate ai legami di attaccamento nel bambino,
illustrate nel capitolo quarto, sul Disagio psichico, riprese in quello
successivo, sull’Importanza di una diagnosi precoce, abbiamo i disturbi
d’ansia e da separazione, mentre nell’adolescenza e nell’adulto sono
frequenti i disordini alimentari, disturbi di personalità istrioniche e
borderline, depressione, disturbi ossessivi, ansia e manifestazioni
psicosomatiche.
Un sintomo, a qualunque età si manifesti, è un messaggio in codice
di un malessere che trova le sue radici nella storia personale, costituitosi
con le sequenze degli eventi che l’hanno formata.
5
Dimostrato ormai che il modo in cui i genitori si prendono cura dei
figli è una modalità che condizionerà sia il comportamento futuro degli
stessi, che la percezione delle loro relazioni future, è importante, puntare
sulla prevenzione, poiché le conseguenze sul piano relazionale e psichico
di attaccamenti inadeguati, sono profondamente correlati con le modalità
di attaccamento sulla prole e quindi con una equa assistenza dell’infanzia.
Con l’aumentato interesse sulla tutala dei minori e con le
conoscenze dovute agli studi di Bowlby, Ainsworth, Main ora possiamo
comprendere maggiormente le dinamiche alla base dei processi di
attaccamento, al punto da poter puntare l’interesse sulla prevenzione
sapendo che gli ambienti famigliari e sociali in cui i bambini nascono e
crescono possono essere fattori di rischio, invece che protettivi, capaci di
modificare il loro «percorso evolutivo» fino all’insorgenza di gravi
patologie.
Un attaccamento inadeguato, che in alcuni casi assume la forma di
una violenza psichica perpetrata nel tempo, ha i suoi effetti sulle aree di
sviluppo del bambino «allevato da adulti che spesso dicono a parole di
amarlo, ma che esprimono tali sentimenti in modo contraddittorio e a
volte così perverso da indurlo in una confusione che altera i significati
esistenziali dell’identità personale» (Di Blasio 2000).
I dati emersi durante la stesura della dissertazione che segue,
hanno ampiamente avvalorato l’ipotesi, riportata nel capitolo conclusivo
sull’importanza di una diagnosi precoce, che il ruolo preventivo è
fondamentale non solo per la prevenzione di malesseri psichici, ma anche
nell’evitamento si situazioni fortemente a rischio del minore sul versante
di abusi e violenze fisiche o psichiche.
Il lavoro di ricerca fatto si è orientato su testi scritti da Bowlby,
Mary Main e Mary D.S. Aisworth, nonché altri ricercatori contemporanei
quali Sroufe, Verrastro, Di Blasio, Muscetta (si veda Bibliografia) che
hanno dimostrato, attraverso studi esplicitati nel testo, come
l’Attaccamento possa fare da cornice a comportamenti reiterati nell’arco di
vita, con ripercussioni significative nei rapporti con sé e con gli altri.
6
1 – Teoria dell'attaccamento: origine della ricerca
1.1 – Nascita di una teoria
Il lavoro di Bowlby riguardo la Teoria dell’Attaccamento trova
origine in tre filoni teorici: la Teoria dell'Evoluzione di Darwin; gli studi di
Lorenz sull'imprinting e il comportamento; le osservazioni di Harlow sulle
conseguenze nei primati per la privazione di cure materne.
Dagli studi compiuti si era dedotto che il comportamento,
l'accudimento filiale e la protezione, sebbene diversi e diversificati per
7
obiettivo e modalità rispetto alla specie, erano da ricondurre al patrimonio
genetico e da considerarsi «risposte universali e avulse da qualsiasi
influenza ambientale e contestuale.»
1
La persistenza e la globalità dei comportamenti osservati, inoltre,
deponevano per una trasmissione generazionale capace di sollecitare la
selezione naturale e quindi la sopravvivenza dei soggetti in grado di
garantire la continuità della specie.
Le osservazioni condotte da Lorenz sugli anatidi avevano altresì
dimostrato l'esistenza e l'attivazione, nei momenti immediatamente
successivi alla nascita, di «uno schema di azione che si esprime in una
prontezza da parte del piccolo, a seguire il primo oggetto in movimento
che compare nel suo campo visivo.»
2
Fu chiamato imprinting e viene ancora considerato, sebbene abbia
subito nel corso degli anni alcune elaborazioni concettuali, la
manifestazione di un apprendimento precoce utile alla sopravvivenza.
Recenti ricerche, a proposito, hanno esteso il tempo del «periodo
critico» non fissandolo all'interno di una fase rigida ma dandovi dei limiti
3
più elastici e definendolo: «periodo sensibile».
4
Altre agli studi etologici di Lorenz, anche quelli di Harry Harlow
sugli effetti della deprivazione di cure materne nelle scimmie interessarono
Bowlby, il padre della Teoria dell'Attaccamento.
Nell'esperimento più noto e famoso, cuccioli di Rhesus venivano
tenuti in gabbia con due surrogati materni artificiali: un pupazzo metallico,
rigido, freddo ma dotato di un biberon e un altro morbido, ma che non
dava cibo.
G. ATTILI. Le basi etologiche del comportamento. Gli schemi fissi d'azione in Contesti
1
relazionali e processi di sviluppo a cura di P . DI BLASIO. Milano Raffaello Cortina Ed.
1995 p. 73
Ibidem p. 74
2
Secondo Lorenz l'apprendimento avveniva durante un tempo che poteva andare
3
dalla nascita a pochi giorni dopo.
G. ATTILI. Le basi etologiche del comportamento. Il contesto e l'ambiente in Contesti relazionali
4
e processi di sviluppo a cura di P . DI BLASIO. Milano Raffaello Cortina Ed. 1995 p. 77
8
Essi trascorrevano la maggior parte del tempo ancorati al morbido,
relazionandosi con il metallico solo in tempo necessario a cibarsi e, se
erano spaventati o preoccupati, facevano ricorso al primo, usandolo come
supporto emotivo da cui distanziarsi per scoprire l'ambiente e ritornare
per sentirsi protetti.
La ricerca mise in evidenza che il bisogno di vicinanza e contatto
materno era un bisogno primario e non secondario come si era pensato in
un periodo in cui due grossi movimenti, con relative teorie, spiegavano il
legame e la relazione mamma-bambino, inquadrandola come pulsione
secondaria: la Teoria dell'Apprendimento sociale e la Psicanalisi.
5
Per i Comportamentisti il soddisfacimento di una pulsione primaria
attraverso l’appagamento del bisogno (ho fame e mi viene dato del latte)
rappresentava un rinforzo e questo innescava la dipendenza (pulsione
secondaria) manifestata attraverso la continua e costante ricerca di
attenzione e vicinanza con la figura in grado di soddisfare la richiesta.
Carl Gustav Jung che aderì al movimento psicanalitico nel 1906
invece, pensava che il legame:
«si formi su sistemi archetipici che operano
inconsciamente nella psiche di entrambi i partecipanti:
ciascuno di loro costituisce il campo percettivo responsabile
dell'evocazione dell'archetipo nell'altro. Il fatto che il processo
sia imbevuto dell'esperienza dell'amore lo arricchisce di
significato per entrambi le parti. La madre garantisce l'energia
e la determinazione per fornire il suo sistema di supporto
vitale al bambino indifeso in un mondo ostile e indifferente.
Freud usava il termine «pulsione» per indicare una un elemento diverso dall'istinto,
5
comportamento condizionato dalle specie e dalla ereditarietà. Per pulsione egli
intende «un processo dinamico che fa tendere l'organismo verso una meta.» Come
indicato da LAPLANCH, PONTALIS in Enciclopedia della Psicanalisi, tomo secondo. Bari.
Ed. Laterza 2016 p.458
9
Per il bambino questo amore è la base di tutta la sua futura
sicurezza.»
6
Margaret Mahler, attraverso l'osservazione di bambini molto piccoli
e del loro rapporto con la madre, chiamò la diade e la relazione che si
creava «processo di separazione-individuazione» caratterizzandola in fasi
7
e sotto fasi.
Nella fase autistica (primi 2 mesi) il neonato vive una condizione di
passività rispetto agli stimoli, in cui dominano i bisogni fisiologici
necessari alla sopravvivenza, e solo verso la fine di questa fase egli inizia a
relazionarsi con la madre rispondendo alla sua vicinanza.
Nella fase simbiotica (2 - 6 mesi) la diade si consolida e madre-
bambino sono fortemente uniti in un sistema che la Mahler chiamò
«fusionale» entro il quale il bambino può sviluppare un inattaccabile senso
di onnipotenza in «un confine comune con la madre, all'interno del quale
non vive alcuna differenziazione tra il suo Io e il mondo esterno.»
8
Insieme, essi, vivono una situazione simbiotica senza bisogno di
comunicare, processo che inizia invece verso la fine della fase ed è
caratterizzato dal riconoscimento del volto materno e dal sorriso nel
vederlo.
Nella fase di separazione-individuazione, la Mahler individuò 4
sotto fasi.
Nella Sottofase di Differenziazione (6- 10 mesi) è percepita, da
parte del bambino l'individuazione del proprio Sé. Egli è anche in grado di
discernere tra il volto materno, rassicurante, al quale sorridere, da quello di
estranei che non causano alcuna reazione.
R. QUAGLIA. La nascita e lo sviluppo della psicologia analitica in Immagini dell'uomo.
6
Costruzioni di sè e del mondo. Milano. Armando Ed. 2000, p. 61
M. MAHLER, F.PINE, A. BERGMAN. La nascita psicologica del bambino. Torino. Bollati
7
Borighieri Ed. 1984
CONCATO, INNOCENTI. Margaret S. Mahler in Manuale di Psicologia dinamica.
8
Francavilla al Mare. Psicoline Ed. 2000 p. 159
10
Nella Sottofase di Sperimentazione (10-16 mesi) il bambino
sperimenta l'allontanamento la cui finalità è quella di esplorare l'ambiente.
È felice delle sue capacità motorie con le quali fare nuove esperienze,
senza rinunciare o privarsi di ciò che la Mahler chiamò «rifornimento
affettivo».
Nella Sottofase di riavvicinamento (16-24 mesi) aumenta la
sensazione di indipendenza. C'è il bisogno di condividere con la madre
successi e sconfitte, di allontanarsi e riavvicinarsi temendo però la
regressione verso la simbiosi che ne impedirebbe l'autonomia.
La relazione diadica muta e si allarga. L'interesse per il padre
aumenta. «Nel conflitto tra allontanamento e riavvicinamento, il bambino
ritrova, soprattutto attraverso il linguaggio e il gioco simbolico, una
distanza ottimale.»
9
Nella Sottofase del consolidamento del senso di individualità e
inizio della costanza dell'oggetto (3 anni) la madre è interiorizzata ed esiste
anche al di fuori dalla presenza fisica.
La separazione vissuta con meno ansia a paura consente una
strutturazione sia dell'Io che del Super-Io «attraverso l'interiorizzazioni
delle richieste dei genitori.»
10
Lo psichiatra e psicoanalista Daniel Stern, autorevole esponente
all'area dell'infant research mise fortemente in discussione la teoria di
11
Mahler, criticandola e considerandola «frutto di una visione adulto-
morfica» senza alcun fondamento scientifico a suo supporto o
dimostrazione.
I maggiori punti di controversia riguardavano: l’impiego precoce,
da parte del neonato di ricercare stimoli fin dai primi momenti di vita e il
suo impegno nella ricerca di relazioni e interazioni.
Ibidem
9
CONCATO, INNOCENTI. Margaret S. Mahler in Manuale di Psicologia dinamica.
10
Francavilla al Mare. Psicoline Ed. 2000 p. 160
Movimento che integra la prospettiva psicanalitica con recenti ricerche nella
11
psicologia dello sviluppo,
11
Secondo Stern un neonato sarebbe fin dalla nascita, in grado di
comprendere il Sé perchè predisposto a distinguersi dalla figura di
accudimento e capace di usare l'interazione per «la regolazione dei
processi di organizzazione e costruzione del proprio Sé.»
12
Lo psicanalista considerava lo sviluppo non un processo che
avanza a fasi o tappe quanto, piuttosto, un percorso evolutivo continuo in
cui vengono elaborate ed evidenziate diverse organizzazioni del sé che,
con il passare del tempo, l’acquisizione di nuove competenze cognitive e
attraverso le esperienze, si rafforza in modo pre-riflessivo e pre-verbale.
Tutto ciò è possibile sia per la relazione con l'ambiente che con gli
stimoli ricevuti congiuntamente alla capacità di «percepire caratteristiche
invarianti (costanti) nella varietà dei vissuti soggettivi e di astrarle
generalizzandole (inconsapevolmente) per applicarle a successive
esperienze.»
13
Attraverso, e grazie al senso del Sé, si struttureranno gli
avvenimenti interpersonali, ma il suo sviluppo non seguirà una linea
precisa e scandita dal tempo, pur essendo un processo verso cambiamenti
significativi per il bambino che sperimenterà diversi «sensi del Sé,
fondamenta dell'esperienza soggettiva dello sviluppo sociale normale e di
quello anormale.»
14
I sensi del Sé sperimentati sono:
Emergente (0 - 2 mesi) e avviene attraverso due importanti
funzioni: la Percezione amodale, ovvero «la capacità di ricevere
un’informazione attraverso una modalità sensoriale e di tradurla in un’altra
modalità» e gli Affetti vitali, la sperimentazione dei sentimenti che non
15
CONCATO, INNOCENTI. Daniel Stern. I sensi del Sè in Manuale di Psicologia dinamica.
12
Francavilla al Mare. Psicoline Ed. 2000 p. 275
Ibidem p. 276
13
DANIEL STERN Il mondo interpersonale del bambino. Torino. Bollati Boringhieri Ed.
14
1987
CONCATO, INNOCENTI. Daniel Stern. I sensi del Sè in Manuale di Psicologia dinamica.
15
Francavilla al Mare. Psicoline Ed. 2000 p. 275
12
fanno parte delle emozioni di base, ma hanno una connotazione dinamica
(trascorrere, dissiparsi, fluttuare…), «sentimenti indotti da modificazioni di
stati motivazionali, appetiti, tensioni, o, come li chiama Stern, profili di
attivazioni che possono essere astratti da una singola esperienza, esistere
quindi in forma amodale ed essere applicati a un’altra esperienza e che
quindi va a costituire una costellazione con la prima.»
16
Nel senso del Sé Nucleare (2 - 6 mesi) troviamo: il Sé agente in cui
egli è e si sente protagonista delle azioni; il Sé dotato di coesione,
momento in cui non deve esserci percezione di frammentazione ma di
unicità fisica; il Sé affettivo, durante il quale il bambino prova sentimenti
teneri ed intimi; il Sé storico, periodo in cui vi sono consapevolezza e
contatto con il passato e la sensazione di avanzare nel presente.
Il senso del Sé Soggettivo (7 - 15 mesi) è conseguito quando «il
bambino si rende conto di avere una mente e scopre che anche gli altri ce
l’hanno.»
17
Il senso del Sé Verbale (15 - 18 mesi) appare con l’acquisizione del
linguaggio, momento in cui si modifica la comunicazione e di conseguenza
la modalità relazionale.
Il senso del Sé Narrativo (3-4 anni) consente invece al bambino di
18
usare il linguaggio per ricordare, e raccontare, eventi vissuti ed episodi
passati.
Affinché sia funzionale è necessario che siano stai acquisiti i
precedenti sensi del Sé.
Ibidem p. 277
16
DANIEL STERN Il mondo interpersonale del bambino, tr. It Torino Bollati Boringhieri
17
Ed.1987 in I sensi del Sé in Manuale di psicologia dinamica di CONCATO, INNOCENTI
Francavilla al Mare. Psicoline Ed. 2000 p. 281
Ibidem6
18
13