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Introduzione
Il lavoro svolto si pone l’obiettivo di analizzare come i sistemi, e nello
specifico la famiglia influisca con il disturbo bipolare. “Il disturbo
bipolare in una prospettiva sistemica” vuole approfondire come la
famiglia contribuisca alla nascita del disturbo bipolare sia dal punto di vista
genetico sia da quello delle dinamiche familiari che si sono create tra i
membri. L’approccio sistemico, opera col fine, una volta individuate le
cause del malessere, di operare un cambiamento all’interno della famiglia a
partire dalle modalità comunicative che probabilmente fino a quel momento
sono risultate sbagliate.
Per la stesura di questo lavoro ho fatto rifermento a diversi autori tra cui
Gregory Bateson e Paul Watzlawick della scuola di Palo Alto che
applicando la teoria dei sistemi alla famiglia hanno gettato le basi per la
nascita dell’approccio sistemico. Altri autori da cui ho tratto spunto sono
Mara Selvini Palazzoli e Luigi Cancrini, a loro va il merito di aver portato
negli anni ’70 le teorie dell’approccio sistemico in Italia e ancora oggi
sostenute da Matteo Selvini e i suoi collaboratori.
La tesi è suddivisa in quattro capitoli:
Il disturbo bipolare: dalla nascita del disturbo psichiatrico alla cura oggi,
è un’introduzione in chiave storica sulla nascita e l’evoluzione della
psichiatria. Espone la differenza nel recepire la malattia da parte della
società nel corso del tempo e quali sono i luoghi di cura in cui oggi sono
affrontate queste patologie. L’excursus storico del disturbo bipolare ne
traccia l’identità sin dai tempi dell’antica Grecia.
I disturbi dell’umore analizza le caratteristiche di queste patologie facendo
principalmente riferimento al DSM-V da cui sono tratte le specifiche dei
disturbi categorizzati.
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Fisiopatologia del disturbo bipolare approfondisce il disturbo bipolare
esponendo quali segni e sintomi caratterizzano la patologia e quali sono le
cause e il decorso della stessa. Inoltre, evidenzia quali sono le peculiarità
alla presenza di comorbidità, l’importanza di eseguire una diagnosi
differenziale per escludere altre patologie e il punto di vista medico al
riguardo del disturbo bipolare.
Disturbo bipolare in una prospettiva sistemica esamina l’influenza dei
sistemi, e nello specifico la famiglia, sullo sviluppo e sulla cura del disturbo
bipolare.
In questo capitolo tra le tematiche affrontate ci sono: la comunicazione, il
sintomo come forma di comunicazione, come nasce l’approccio sistemico e
l’importanza di studiare la famiglia anziché il singolo individuo, sono
analizzate alcune delle dinamiche familiari che si possono creare, come si
svolge il colloquio sistemico con due schemi di riferimento per la diagnosi
familiare di Nathan Ackerman.
Tra le strategie d’intervento ho voluto parlare della Terapia Centrata sulla
famiglia, che ha l’obiettivo di modificare i fattori di rischio familiare per lo
svilupparsi del disturbo bipolare, migliorandone le strategie comunicative e
potenziandone le capacità di problem-solving.
Nell’ultimo paragrafo ho voluto citare il lavoro di Ellen Forney, un fumetto
autobiografico, in cui racconta a volte in maniera cruda e altre in modo
molto ironico il suo disturbo bipolare.
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1 Il disturbo bipolare: dalla nascita del disturbo psichiatrico alla
cura oggi
Storia del disturbo Psichiatrico
Nel corso dei tempi i comportamenti umani non normali sono stati definiti,
categorizzati e trattati in maniera differente. Nell’antichità la malattia era
intesa come una vendetta o punizione degli Dei e da questa spiegazione si
evince l’importanza a quei tempi di maghi e stregoni. Tra il V e il IV sec.
a.C., con Ippocrate, la malattia non è più provocata dall’ira degli Dei ma da
cause naturali. Già con Ippocrate, infatti, si trovano riferimenti ai concetti di
ereditarietà e alla convinzione che tante malattie derivino dal cervello.
Con la teoria degli umori di Ippocrate si evidenza l’importanza degli
equilibri dell’organismo. Oltre ad essere una teoria eziologica della
malattia, la teoria umorale è anche una teoria della personalità: la
predisposizione all'eccesso di uno dei quattro umori definirebbe
un carattere, un temperamento e insieme una costituzione fisica
detta complessione: il malinconico, con eccesso di bile nera, è magro,
debole, pallido, avaro, triste; il collerico, con eccesso di bile gialla, è
magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e
superbo; il flemmatico, con eccesso di flegma, è beato, lento, pigro, sereno e
talentuoso; il tipo sanguigno, con eccesso di sangue, è rubicondo, gioviale,
allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa. Ippocrate ritiene che la
rottura degli equilibri sia causata da un fattore interno, dalla costituzione del
soggetto e da fattori esterni. Questo concetto è fondamentale per uno studio,
come il mio, di un disturbo psichiatrico: la rottura degli equilibri, il
frammentarsi della personalità e l’influenza dei sistemi che circondano il
soggetto saranno fattori essenziali per lo scatenarsi della patologia. Tra la
fine del Medioevo e la nascita dell’Illuminismo, i folli erano stati esclusi
dalla società e segregati in strutture a loro riservate senza possibilità di cure
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e quindi di recupero. Non si poteva pensare a una cura poiché prima si
doveva intendere la follia come malattia, reversibile quindi, per
intraprendere un percorso di recupero verso la guarigione. Tra la fine
dell’Illuminismo e l’avvento del romanticismo, il desiderio di trovare delle
spiegazioni logiche alle manifestazioni anormali della vita psichica porterà
alla nascita della Psichiatria.
«Bruciati a migliaia sui roghi dell’Inquisizione, quelli che Bleuler
chiamerà all’inizio del 1900 schizofrenici diventano per Pinel i
portatori di un disturbo mentale, le vittime di una malattia di cui
bisogna cominciare a interessarsi in termini scientifici:
identificandone le cause, cioè, studiandone il decorso e verificandone
la reversibilità sulla base delle opportune iniziative terapeutiche»
1
.
Con questo passo di Cancrini si può ben evidenziare la crudeltà con cui i
folli erano trattati e allo stesso tempo il desiderio di migliorarne la loro
condizione. Famose le imprese di Tuke in Inghilterra e Pinel in Francia che
ritenevano di poter influenzare positivamente i comportamenti folli
approcciando queste persone con umanità e partecipazione. Nel 1838, in
Francia, nascono i primi manicomi secondo i criteri ispiratori di Pinel. Pinel
ed Esquirol ritenevano che un ambiente calmo e sereno, accompagnato da
gentilezza e tranquillità, potesse rendere il malato più predisposto alla cura.
Pinel affermava che le cause più probabili dei disturbi mentali fossero
eventi specifici e non delle patologie cerebrali. Pinel era, inoltre, convinto
che questi ammalati dovessero essere curati in modo fermo ma dolce,
cercando di recuperare le emozioni umane e le capacità intellettive di cui
erano ancora dotati: il trattamento doveva, infatti, essere diretto alla
psicologia dell'individuo. Pinel definì questo tipo di terapia traitement
1 CANCRINI L., LA ROSA C., Il Vaso di Pandora Manuale di psichiatria e psicopatologia,
Roma, Carocci Editore, 2001.
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moral, espressione tradotta fin da allora come trattamento morale. Per Pinel
la cura di quelle che oggi definiamo patologie della mente consisteva
nell’applicazione scientifica di un nuovo metodo clinico, che prevedeva di
annotare quotidianamente e in modo dettagliato i sintomi del paziente, la
loro evoluzione e la ricerca delle possibili cause scatenanti: i sistemi che
ruotano attorno all’ammalato. Oltre l’isolamento del malato dal resto della
società e, all’interno del manicomio, Pinel aveva dato molta importanza
alla divisione dei malati per specie di malattia. Lo studio della
psicopatologia diagnostica favorì una maggiore comprensione dei problemi
neurologici e anche il concomitante aumento d’interesse per la psicologia
del comportamento umano contribuì a modificare la visione della follia,
contrastando lo stigma della pericolosità sociale poiché non più considerata
come una possessione demoniaca passiva o un fallimento morale personale
ma come una vera e propria malattia e in quanto tale reversibile. In
Italia a causa dell’arretratezza economica, politica, culturale del paese, la
situazione dei manicomi era molto più arretrata rispetto al resto d’Europa. I
folli erano spesso internati in istituti fatiscenti e privi delle cure
necessarie, strutture con alte mura grigie che assomigliavano più a
prigioni che a luoghi di cura, le tecniche di repressione fisica e morale
messe in atto avevano in molti casi un’influenza nefasta sui malati.
Anche l’isolamento manicomiale, indicato dai padri fondatori come il
rimedio morale per eccellenza, era ora giudicato un effetto dell’egoismo
sociale
2
. La mancanza di un progetto unitario di riforma delle istituzioni
psichiatriche, fece in modo di acuire il divario della realtà italiana rispetto a
quella europea. Dagli anni ’50 dopo il lungo declino dei manicomi dovuto
2 MOZARELLI C., CIVININI L., Le malattie mentali e lo stigma sociale nella storia antica,
moderna e contemporanea, in Atti del convegno seminario nazionale: Salute Mentale stigma
sociale, Roma, 2004.
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alle modalità di gestione degli stessi, Franco Basaglia, si rese conto che la
struttura che avrebbe dovuto curare il malato finiva in realtà per
per peggiorarne ulteriormente la situazione, privandolo totalmente
delle sue iniziative, della sua libertà e individualità. Inizialmente tentò di
trasformare gli spazi tradizionali di ricovero e contenzione in una struttura
aperta e democratica, rifacendosi al modello delle comunità terapeutiche
sviluppato da Maxwell Jones e cercando di responsabilizzare gli utenti
anziché riservare loro un ruolo meramente passivo. Nel 1978 arriva la legge
180 e più comunemente conosciuta come Legge Basaglia. Franco Basaglia
s'impegnò nel compito di riformare l'organizzazione dell'assistenza
psichiatrica ospedaliera e territoriale, proponendo un superamento della
logica manicomiale. Con la legge 180 si impose la chiusura dei manicomi e
si regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di
igiene mentale pubblici. Per completare le previsione di legge di
eliminazione degli istituti manicomiali rimasti si è dovuto aspettare fino
al 1994, grazie al Progetto Obiettivo che prevedeva la ridefinizione
dell’assistenza psichiatrica in tutta Italia e l’istituzione di servizi di
prevenzione, cura e riabilitazione extraospedalieri, che non implicano il
ricovero ma si articolano sul territorio. La legge 180/78 fu poi riassunta
nella legge di Riforma Sanitaria (L. 833/78).
Dalla Follia al disturbo Bipolare
Il disturbo bipolare, come patologia diagnostica, così come lo intendiamo
oggi, nel corso del tempo ha subito diversi cambiamenti sia semplicemente
nel nome sia più nello specifico nell’interpretazione della patologia stessa.
«L’antica psicosi maniaco-depressiva si trovava, in passato, nella
stessa orbita delle psicosi deliranti, insieme alla schizofrenia e la
paranoia. Fenomenologicamente non era un luogo ottimale, perché i
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sintomi maniaco-depressivi erano molto differenti dai deliri e dalle
allucinazioni che caratterizzavano questo spazio. Ma soprattutto, non
era adeguato al suo significato relazionale, radicalmente distinto dai
disturbi deliranti, tanto per le sue radici familiari quanto per la sua
dimensione sociale. Inoltre, la stessa nomenclatura descriveva un
panorama non equilibrato, se la fase maniacale sembrava giocare un
ruolo più importante rispetto alla depressiva, contro ogni evidenza
clinica e statistica. Pertanto la riformulazione dell’APA come disturbo
bipolare, e la sua posizione in un territorio diagnostico proprio, quello
dei disturbi dell’umore o affettivi, insieme alla depressione maggiore e
alla distimia, ha costituito un cambiamento chiarificatore e,
soprattutto, per quello che ci interessa, che facilita la comprensione
delle sue basi relazionaliۜ».
3
Prima di parlare di un disturbo specifico, come può esserlo, quello bipolare
è opportuno soffermarsi sulle definizioni di alcuni termini fondamentali e
basilari di questa branca. Con il termine malattia s’intende lo stato di
sofferenza di un organismo in toto o di sue parti, prodotto da una causa che
lo danneggia, e il complesso dei fenomeni reattivi che ne derivano.
Elemento essenziale del concetto di malattia è la sua transitorietà, il suo
andamento evolutivo verso un esito, che può essere la guarigione, la morte
o l’adattamento a nuove condizioni di vita definite come lo stato di un
individuo. Di questa definizione mi piace riflettere sul concetto di
transitorietà della malattia e quindi della sua reversibilità, che come
abbiamo già visto si è rivelato fondamentale nella nascita della psichiatria
come scienza. Con il termine malattia mentale, invece, ci riferisce a uno
stato di sofferenza psichica, prolungato nel tempo, che incide sul vivere
quotidiano dell'individuo, causando molti altri problemi sul piano affettivo,
socio-relazionale e lavorativo. Nella definizione di malattia mentale sono
3
LINARES J. L., CAMPO C., SORIANO J.A., Disturbi bipolari e psichiatria, in Psicobiettivo 3,
2013, pag. 15.
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messi in risalto, proprio perché fortemente condizionati e condizionanti, i
rapporti con i sistemi che circondano l’individuo. Come tutte le definizioni
che si rispettino, non possono certo trovare in queste poche righe la chiave
di volta per la comprensione e spiegazione di questi due concetti così ampi
e con mille sfaccettature, ma sono sicuramente una buona base di
riflessione. Altre definizioni su cui desidero porre l’attenzione e
soffermarmi, per poi entrare nel pieno del mio lavoro, sono i concetti di
nevrosi e psicosi. Per nevrosi s’intende una condizione di sofferenza
psichica meno grave rispetto alle psicosi, si manifesta con ansia, irritabilità,
fobie, ossessioni, compulsioni e disturbi a carico di determinati organi
corporei, ma non intacca i processi intellettivi né deteriora la personalità nel
suo complesso, è essenzialmente connessa a situazioni conflittuali. Nei
soggetti nevrotici il rapporto con la realtà rimane intatto. Secondo la teoria
psicoanalitica di Freud le nevrosi sono basate su fissazioni e regressioni a
qualche fase di sviluppo infantile. Il nevrotico, in sintesi, mantiene un sé
abbastanza coeso, ha un adeguato esame di realtà, usa, in genere,
meccanismi di difesa più maturi per gestire le sue ansie. Quando si parla di
psicosi, invece, ci si riferisce a una forma di disordine mentale associata a
una disorganizzazione grave della personalità e a una perdita del senso di
realtà. Si assiste, infatti, a una forte destrutturazione della personalità: le
relazioni con le persone che stanno intorno cambiano e l’individuo appare
come ritirato e staccato e spesso con atteggiamenti ostili. Lo psicotico
presenta inoltre, un grave disturbo della propria identità, nella
differenziazione tra rappresentazione del sé e dell’oggetto. I meccanismi di
difesa sono molto più primitivi e meno adattivi rispetto al nevrotico. Le
psicosi sono suddivise in due grandi categorie: funzionali e organiche. Tra
le psicosi funzionali rientrano i disordini degli affetti, la psicosi maniaco
depressiva, i disordini del pensiero, la schizofrenia e la paranoia. Elemento
comune a tutte le diverse scuole di pensiero sulle cause del sorgere di
queste patologie è l’importanza e il ruolo fondamentale che le reazioni e le