3
INTRODUZIONE
La rivista Al-Qibla è un documento di particolare valenza storica rimasto nell’ombra per quasi
cento anni e riportato alla luce nel 2016 dai discendenti del suo maggiore azionista, lo Sceriffo
della Mecca Ḥusayn Ibn ʻAlī Al-Hāšimī. Portavoce della controversa Rivolta Araba lanciata
dallo Sceriffo contro l’autorità ottomana nel giugno del 1916, Al-Qibla ha fino a oggi funto da
sorgente di informazioni per pochissimi accademici giordani interessati a indagare la figura di
Ḥusayn Ibn ʻAlī nell’ambito circoscritto degli studi storici sulla Rivolta.
La rivista in sé, con i suoi linguaggi, i suoi obiettivi e le sue valenze politiche non è mai stata
oggetto di alcuno studio sistematico. Al di fuori di – pochi - saggi particolarmente di nicchia, è
risultato pressoché impossibile trovare delle trattazioni che la riguardassero, sia nel contesto
arabo vicino-orientale che in quello internazionale. Nella letteratura scientifica internazionale sul
primo nazionalismo arabo è capitato di imbattersi in poco più che frettolosi accenni alle sue
cronache. A fronte di tale vuoto bibliografico il percorso che ha condotto alla presente tesi è stato
un lungo e tortuoso viaggio di graduale scoperta che, grazie a una buona dose di predisposizione
alla ricerca, ha permesso di assemblare i pezzi di un puzzle molto colorato. La decisione di
intraprendere questo viaggio è maturata a seguito di una prima lettura casuale della rivista,
avvenuta ad Amman nella redazione del quotidiano giordano edito in lingua inglese The Jordan
Times, presso il quale mi trovavo a svolgere un tirocinio con borsa di studio Globus Placement.
Nel corso del 2016, per celebrare la ricorrenza del Centennale della Grande Rivolta Araba, il The
Jordan Times, insieme ad altri quotidiani nazionali in Giordania, ha ristampato e distribuito
diversi numeri della rivista Al-Qibla, organo di propaganda della Rivolta. Imbattendomi quasi
quotidianamente sulle brevi notizie esplicative che accompagnavano la ristampa, l’attrazione
verso un documento in lingua araba così antico ha fatto sì che mi interessassi ai suoi contenuti e
al suo significato simbolico, di oggi come di allora.
Cotanta enfasi per il Centennale della Rivolta Araba, la glorificazione della Rivolta attraverso la
pubblicazione bi-settimanale di questa vecchia rivista, un calendario così fitto di festeggiamenti
in pompa magna con tanto di vacanze nazionali sono state alla base di una serie di domande a cui
ho cercato di dare risposta in questo lavoro. Pur conoscendo la storia della fondazione del Regno
di Giordania e il legame esistente tra la famiglia regnante Hascemita con la storia della Rivolta
Araba, tanto clamore cozzava con la percezione che di quel particolare avvenimento storico mi
era rimasta dagli studi pregressi di storia contemporanea e dei paesi islamici. La storia di cui
parlavano i miei libri universitari
1
era la storia di una Rivolta che aveva fallito l’obiettivo, per
quanto nobile, di creare un Grande Stato Arabo dalla macerie dell’Impero Ottomano. Una
vittoria mutilata che aveva tuttavia avuto come esito la fondazione del Regno di Giordania.
1
James L. Gelvin, Storia del Medio Oriente moderno, Einaudi, Torino, 2009; Eugene Rogan Gli
Arabi, Bompiani, Milano, 2016; G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia Contemporanea. Il
Novecento, Editori Laterza, Bari, 2009
4
Riconoscendo le avvisaglie della propaganda, decisi di andare a fondo alla vicenda e assecondare
la sete di curiosità per la decifrazione della rivista e della sua simbologia. La prima tappa del
viaggio che ha portato alla realizzazione di questa tesi di laurea è il suo ultimo capitolo, quello
dedicato all’analisi del discorso propagandistico della rivista. Propedeutica a tale analisi è stata la
traduzione accurata di un campione di numeri della rivista recuperati in parte dalla redazione del
The Jordan Times e in parte dall’Università della Giordana nel corso dei tre mesi di ricerca per la
tesi svoltasi proprio in quella sede tra il luglio e il novembre del 2017, supportata dalla borsa di
studio Globus Tesi. Questa fase è stata coadiuvata e supervisionata dal professore dell’Università
Giordana Yazeed al-Hammouri ed è consistita soprattutto nelle traduzioni dall’arabo all’italiano
di alcuni articoli - in particolare editoriali - della rivista Al-Qibla, oltre che dalla ricerca e lo
studio delle fonti bibliografiche in lingua araba sulla storia della Rivolta e sulla rivista che ne
curò la propaganda. L’interpretazione del linguaggio e la comprensione dei riferimenti storici
presenti negli articoli campionati soprammenzionati ha posto immediatamente l’urgenza di
approfondire il contesto politico, culturale e geografico in cui la rivista è apparsa e che ha
costituito il piano referenziale sul quale ha costruito la propria propaganda.
Il primo capitolo di questa tesi “La Cornice dell’Impero Ottomano: Premesse Storiche e
Contestestualizzazione Geopolitica” è un excursus nella storia dell’Impero Ottomano e dei
rapporti che esso ha intrattenuto con le popolazioni arabe a partire dalla conquista di Siria ed
Egitto del 1517, passando per le tanẓīmāt, giungendo infine alla rivolta dei Giovani Turchi. È
stato importante ricostruire il deterioramento di tali rapporti, poiché proprio in questo mutamento
risiederebbero le cause scatenanti della Rivolta Araba, perlomeno quelle dichiarate nella rivista.
Il secondo capitolo “Sul Primo Nazionalismo Arabo: Fenomenologia ed Evoluzione fino al
1916”, riporta stralci dell’inestricabile e complesso dibattito sulla natura e le origini del
fenomeno del primo Nazionalismo Arabo, il quale costituirebbe lo scenario ideologico
all’interno del quale il movimento di Rivolta dello Sceriffo della Mecca Ḥusayn Ibn ʻAlī è stato
collocato dalla storiografia convenzionale e offrirebbe il piano di astrazione da cui lo Sceriffo
avrebbe sviluppato il suo linguaggio. La complessità del fenomeno in seno al mondo arabo non
permette di giungere a definizioni univoche, ma indagare il rapporto che il movimento di Ḥusayn
Ibn ʻAlī ha avuto con le pur variegate manifestazioni di proto-nazionalismo del suo periodo, ha
restituito un’idea piuttosto chiara del peso che hanno avuto gli interessi personalistici della
famiglia hascemita rispetto alle istanze nazionaliste.
Il terzo capitolo “La Grande Rrivolta Araba del 1916”, è interamente dedicato all’evento storico
che fa da perno a tutta la struttura discorsiva della rivista Al-Qibla - almeno nei suoi primi due
anni vita - e costituisce il cerchio più ristretto di contestualizzazione.
Infine, il quarto capitolo “La Rivista Al-Qibla Ieri e Oggi “è il cuore di questa ricerca, costituito
da una prima parte in cui vengono esplorati gli orientamenti ideologici della rivista al tempo
della sua pubblicazione e il linguaggio propagandistico che ha adoperato per giustificare una
Rivolta lanciata contro la massima autorità temporale e religiosa del mondo arabo-musulmano.
L’analisi delle strategie retoriche operate dallo Sceriffo e dagli altri curatori della rivista è stata
messa in essere attraverso l’applicazione delle capacità di analisi critica del discorso acquisite
durante gli studi triennali e magistrali, in particolare per mezzo di alcune strategie proprie di
5
quella vasta disciplina chiamata Critical Discourse Analysis, in particolare modo quelle che
pongono al centro il legame tra testo e contesto. La seconda parte del capitolo ha investigato le
ragioni della ricomparsa della rivista in una terra e un tempo lontani dal suo contesto, il Regno
Hascemita di Giordania del 2016, al fine di cogliere le nuove valenze simboliche che le sono
state addossate e con quali finalità.
7
CAPITOLO I
LA CORNICE DELL’IMPERO OTTOMANO: PREMESSE
STORICHE E CONTESTESTUALIZZAZIONE GEOPOLITICA
1.1 Collocazione storica, geografica e culturale della ricerca
Per una prima circoscrizione a maglie larghe è doveroso individuare all’interno degli estesi
confini – fisici e ideali - dell’Impero Ottomano il contesto storico e culturale nel quale la rivista
Al-Qibla è apparsa e del quale ci rende, in parte, testimonianza. Sebbene la rivista sia stata data
alle stampe nella città santa della Mecca, nell’allora emirato ottomano hascemita del Ḥiǧāz –
regione dell’attuale Arabia Saudita occidentale - essa ha dato voce a un movimento
territorialmente molto più esteso sia dal punto di vista storico che ideologico, il quale, oltretutto,
vedrà nascere i suoi frutti prevalentemente a nord della penisola arabica. La storia del primo
movimento nazionalista arabo, di cui Al-Qibla fu resa portavoce, come si avrà modo di scoprire
nei capitoli successivi, non riguarderà alla stessa maniera l’intero mondo arabo. Al contrario,
coinvolgerà, nelle sue più durature ripercussioni, i territori del Mediterraneo orientale e del
Vicino Oriente. Per questo motivo, la contestualizzazione geopolitica del fenomeno trascurerà
quella porzione di mondo arabo situata a ovest dell’Egitto, estranea ai fermenti nazionalisti del
primo Novecento e, peraltro, non inclusa nel disegno del “Grande Regno Arabo” agognato dallo
sceriffo della Mecca, il quale avrebbe dovuto abbracciare un territorio compreso tra l’Egitto e la
Persia
2
.
La maglia più larga di contestualizzazione è, quindi, individuabile nell’Impero Ottomano, di cui
si avverte il bisogno di fare accenno ai fini dell’inserimento dei fenomeni in osservazione in un
quadro d’analisi dinamico di relazioni causa-effetto. Gli anni che maggiormente interessano
questa ricerca – il cui nucleo originario risiede nello studio della rivista Al-Qibla durante la
Rivolta Araba del 1916-18 - sono scanditi dagli ultimi arrancanti passi del Sultano della Sublime
Porta, la cui autorità verrà messa definitivamente in discussione nel corso della Grande Guerra.
Sono gli anni del tardo periodo ottomano, il prodotto di oltre sei secoli di avvicendamenti,
espansione, crisi.
2
«L’Inghilterra riconoscerà l’indipendenza dei paesi arabi, limitati a nord da Mersina e Adana fino al 37° parallelo
di latitudine, sul quale si trovano Biregik, Urfa, Mardin, Midiat, Gezīret (Ibn ʻOmar), Amadia fino al confine della
Persia; ad est dal confine persiano fino al Golfo di Bassora; a sud dall’Oceano Indiano, eccettuata la posizione di
ʻAden, che resterà com’è; ad ovest dal Mar Rosso e dal Mediterraneo fino a Mersina[…]», Traduzione di una lettera
dello Sceriffo della Mecca a Sir Henry Mc-Mahon Alto Commissario di Sua Maestà al Cairo in Ettore Rossi,
Documenti sulle origini e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Istituto per l’Oriente, Roma, 1944, pp.
20-21
8
Ripercorrere a ritroso la secolare vicenda dell’Impero Ottomano trascenderebbe lo scopo della
presente ricerca; tuttavia si ritiene necessario - onde evitare un incipit in medias res –
individuarne i caratteri peculiari tracciando un breve profilo storico e geopolitico che procede
dalle sue origini fino a giungere allo studio della sua età più recente, dove sarà invece necessario
soffermarsi sul susseguirsi degli eventi che costituirono i presupposti della nascita di un
“risveglio” arabo e di un sentimento nazionale in grado di innescare la Grande Rivolta Araba, di
cui Al-Qibla - perno sul quale ruota questo studio - si dichiarò portavoce. Tali premesse sono
imprescindibili per la comprensione dei meccanismi di difesa e di rottura attivatisi col venire
meno, all’inizio del XX secolo, delle condizioni iniziali sotto le quali i popoli arabi sono entrati a
far parte del tessuto sociale ottomano e hanno pacificamente convissuto con l’autorità del
sultano. Come vedremo, tali condizioni e premesse finiranno, agli occhi del sorgente movimento
nazionalista arabo, per essere tradite.
1.1.1 Excursus nell’impero di Osman. Da schiavi-guerrieri a sultani
Parte degli storici
3
convergono sull’anno 1299 d.C. come data di fondazione dell’Impero
Ottomano. Non ci furono, tuttavia, in quell’anno, battaglie, rivolte o prese di potere clamorose.
Quale spiegazione, dunque, giustificherebbe la scelta di questo anno? Caroline Finkel nella sua
dettagliata storia dell’Impero Ottomano
4
, avanza una motivazione matematica: l’anno 1299
corrisponderebbe agli anni 699-700 del calendario lunare musulmano per cui, dunque, un cambio
di secolo si verificò contemporaneamente in entrambi i calendari cristiano e musulmano, una
coincidenza matematica che poteva esser stata scelta dai tramandatori del mito di Osman per il
buon auspicio che pareva avesse portato a un Impero in grado di unire Europa a Medio Oriente.
Per quanto questa possa considerarsi una spiegazione non canonicamente storica, ben si confà
alle varie narrazioni assurte ad atti di nascita dell’Impero, tutte avvolte da una nebbia mitologica.
Gli ottomani facevano risalire la loro storia al primo sultano fondatore, un condottiero
leggendario di nome Osman - donde Osmanlı “ottomano”, loro denominazione in lingua turca –
il quale avrebbe dato origine alla dinastia e all’Impero a partire da un sogno. Secondo la
leggenda Osman ricevette un mandato divino, narrazione che dà man forte ai tentativi di
legittimazione dell’autorità del sultano nelle sue cariche suppletive di Califfo della Umma
islamica e protettore dell’Islam.
Secondo l’aneddoto - noto in letteratura come Sogno di Osman - mentre era ospite di un
autorevole šayḫ musulmano, Osman si assopì e:
3
Finkel Caroline, Osman’s Dream. The History of the Ottoman Empire, Basic Books, 2007, New York; Bernard
Lewis, Istanbul and the civilization of the Ottoman Empire, University of Oklahoma Press, 1963; Samuel Jacob,
History of the Ottoman Empire: Including a Survey of the Greek Empire and the Crusades, Richard Griffin, 1854;
Sevket Pamuk, A Monetary History of the Ottoman Empire, Cambridge University Press, 1999 etc.; Herbert Adams
Gibbons, The foundation of the Ottoman Empire: a history of the Osmanlis up to the death of Bayezid , 1300-1403.
Issue 9, Islam and the Muslim world, Cass, 1968 etc.
4
Caroline Finkel, Osman’s Dream. The History of the Ottoman Empire 1300-1923, Basic Books, New York, 2007
cap. 1, edizione EPUB.
9
Una luna sorse dal petto del sant'uomo e s'immerse nel petto di Osman. Un albero, poi,
germogliò dal suo ombelico e la sua ombra delimitò il mondo. Sotto quest'ombra c'erano
montagne, e ruscelli scorrevano ai piedi di ciascuna montagna. Alcuni si dissetavano alle
acque correnti, altri irrigavano i giardini, altri ancora costruivano fontane
5
.
Al risveglio Osman raccontò il sogno al predicatore il quale lo informò di aver appena ricevuto
un’investitura divina. «Osman, figlio mio, congratulazioni: Dio ha affidato a te e ai tuoi
discendenti la carica imperiale e mia figlia Malhun sarà la tua sposa
6
».
Un’allucinazione in base alla quale Osman ottenne autorità temporale e divina e, con il benestare
di Dio, estese i confini del suo impero verso occidente, ai limiti di quello bizantino, come
previsto dal suo sogno. Infatti, nel corso dei secoli i ruscelli e le montagne del mito fondativo
vennero assimilati ai fiumi Tigri, Eufrate, Nilo e Danubio e alle catene montuose del Caucaso,
del Tauro, dell'Atlante e dei Balcani.
Al di là delle leggende, Osman fece la sua comparsa nella storia ufficiale nel 1301, quando,
secondo uno storico bizantino a lui contemporaneo, Giorgio Pachimere
7
sconfisse i Bizantini a
Bafeo
8
. Realisticamente parlando, si potrebbe supporre che l’impero Ottomano abbia avuto
inizio come molti altri stati turchi in quel periodo. Le popolazioni turcofone provenienti
dall’Asia Centrale vennero in contatto con la civiltà islamica già a partire dal X secolo, quando i
turchi venivano acquistati o catturati per divenire guardie imperiali dei califfi o soldati-schiavi al
servizio dei signori della guerra, chiamati appunto Mamelucchi – dall’arabo mamlūk “schiavo”,
“posseduto”. Poiché il possesso di truppe mamelucche era considerato simbolo di potere, queste
cominciarono presto ad impadronirsi dello stesso potere che rappresentavano. Alcuni di loro
infatti deposero i loro signori nel 1250 e governarono piuttosto autonomamente l’Egitto sino al
1517. Dall’XI secolo poi, intere orde turche cominciarono a penetrare il Medio Oriente.
Cambiamenti climatici, pressione demografica, minaccia cinese sono tutte possibili cause di
questa emigrazione verso sud-ovest; quel che è noto è che i pastori nomadi turchi rimasero
stupiti dalla magnificenza della civiltà dell’Islam e decisero di farne parte. Le tribù più potenti
stabilirono il loro dominio su porzioni di territorio divenute principati turchi; tali principati
ebbero vita breve e travagliata: l’inferiorità numerica dei dominatori turchi rispetto alle
popolazioni dominate, la riottosità delle tribù, l’instabilità di confini e il totale vuoto
amministrativo resero impossibile stabilire entità statali durature e stabili. Eccezione va fatta per
due Stati turcomanni destinati ad avere, al contrario, una straordinaria fortuna: quello safavide e
quello ottomano, per l'appunto.
A cavallo tra i secoli XIII e XIV in Anatolia, allora terra di frontiera senza legge, alcuni eventi
portarono alla gloria «Ghazi» Osman e il suo esercito di guerriglieri noti appunto come ghazi,
5
James L Gelvin, Storia del Medio Oriente moderno, Einaudi, Torino, 2009, p. 35
6
«Osman, my son, congratulations, for God has given the imperial office to you and your descendants and my
daughter Malhun shall be your wife». Caroline Finkel, Osman’s Dream. The History of the Ottoman Empire 1300-
1923.Cap.1 ed. EPUB.
7
Gàbor Àgoston/Bruce Masters, Encyclopedia of the Ottoman Empire, Facts on File, New York, 2008, p. 445
8
Caroline Finkel, Osman’s Dream. The History of the Ottoman Empire 1300-1923, Cap. 1 ed. EPUB
10
attivi saccheggiatori delle città vicine. La loro particolare fortuna era legata alla loro prossimità
ai confini bizantini, fatto che li portò presto a conquistarvi piuttosto lauti bottini e attirare, così,
sempre più ghazi e artigiani, mercanti, religiosi e persino contadini bizantini, tutte figure
indispensabili alla creazione di un vero e proprio Stato. I discendenti di Osman conquistarono
l’estremità occidentale dell’Anatolia e parte dei Balcani; nel 1389 sconfissero ungheresi, serbi e
bulgari nella battaglia di Kosovo garantendosi così una postazione stabile in Europa; meno di un
secolo dopo, nel 1453 sottrassero Costantinopoli all’Impero Bizantino, decretandone la fine. Tra
il XV e il XVI secolo l'Impero Ottomano raggiunse l’apogeo, sia dal punto di vista economico
che territoriale, anche grazie alla prerogativa del controllo delle vie commerciali di terra tra
l'Europa e l’Oriente, soprattutto dopo la conquista dell’Egitto nel 1517
9
. Infatti, le tappe
fondamentali di questo sviluppo furono proprio le conquiste di Siria
10
ed Egitto nel 1517,
sottratti ai mamelucchi, e infine i due assedi di Vienna del 1529 e del 1683 che marcarono il
limite dell’espansione ottomana in Europa
11
.
1.1.2 Lo spartiacque della conquista di Siria ed Egitto del 1516-17.
La conquista ottomana, per mano del sultano Selim, del regno mamelucco che governava i
territori dell’Egitto e della Siria, viene considerata una svolta decisiva per il mondo arabo, uno
spartiacque tra l’era medievale e quella pre-moderna. La battaglia impari vide le lame dei
mamelucchi scontrarsi con la polvere da sparo degli ottomani e soccombere alla modernità.
Sebbene l’impero mamelucco tenesse uniti all’interno di un'unica entità politica territori
pressoché omogeneamente abitati da arabi, a quei tempi l’idea di una nazione araba o di un
sentimento di comune appartenenza non erano ancora affiorate dalle coscienze dei popoli arabi,
la cui identità, quando non relegata al contesto famigliare o tribale, era vissuta, piuttosto, in
termini di affiliazione religiosa. La comune affiliazione religiosa fu di certo una delle ragioni
della secolare convivenza pacifica tra popolazioni arabe e dominatori turco-ottomani. Inoltre,
«…con l’acquisto dei territori delle Città Sante di Mecca e Medina il Sultano ottomano poté
atteggiarsi a Califfo dell’Islam anche se non aveva i requisiti che la Legge religiosa musulmana
richiede per il Califfo
12
». Dopo la conquista, infatti, una delegazione dello Sceriffo della Mecca
giunse in Egitto a rendere omaggio al nuovo sultano, consegnargli le chiavi della Città Santa e
conferirgli il titolo di Protettore dei Luoghi Santi. Sebbene i dubbi sulla legittimità del titolo di
9
Kemal H. Karpat, a cura di, The Ottoman State and its place in the world history, BRILL, 1974, p. 111
10
Accenni alla ‘Siria’ del periodo tardo-ottomano vanno ricollegati alla regione storica della cosiddetta Grande Siria,
talvolta chiamata Syria-Palaestina in continuità con la denominazione latina di una parte della provincia di epoca
romana; gli arabi l’hanno sempre chiamata Bilād al-Šām, area geografica comprendente, oltre ai territori dell’attuale
Repubblica Siriana, una piccola porzione della Turchia meridionale, il Libano, la Giordania e la Palestina. Si
rimanda a tal proposito a James L Gelvin, Storia del Medio Oriente moderno, op.cit. p. 99 e Bernard Lewis, The
Multiple Identities of the Middle East, Schocken Books, 1998, New York p. 65; sui confini precisi delle province
siriane del periodo tardo-ottomano: Gàbor Àgoston/Bruce Masters, Encyclopedia of the Ottoman Empire, Facts on
File, New York, 2008 p. 550
11
James L Gelvin, op. cit. p.18
12
Ettore Rossi, Documenti sulle origini e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Istituto per l’Oriente,
Roma, 1944, pp. 6-7.
11
Califfo rimasero sempre insoluti, il Sultano Selim fece sì che il suo nome fosse pronunciato
durante tutte le preghiere ufficiali dei musulmani del suo impero, e così fecero i suoi
successori
13
. Il possesso del titolo di califfo fu rievocato opportunisticamente dai sultani nei
momenti di crisi, per fare presa sull’autorevolezza religiosa che esso evocava, come escamotage
per sopperire alla loro debolezza politica. Questa prassi venne legittimata in particolare a seguito
del riconoscimento ufficiale e internazionale del titolo di «califfo sovrano della regione
maomettana» conquistato nel trattato di pace russo-turca di Küçük Kainarca (1774)
14
.
Grazie alla comunione di fede, dunque, gli ottomani venivano, a quel tempo, considerati dei
governanti in fin dei conti più che accettabili. Per questo, il passaggio dal dominio mamelucco a
quello ottomano non costituì a primo acchito alcun drastico cambiamento, né innescò alcun
processo di rivalsa contro la dominazione dello ‘straniero’. Il cambiamento fu più problematico
per la stabilità e governabilità dell’impero ottomano piuttosto che per il mondo arabo in sé.
I territori arabi erano lontani dal baricentro dell’impero ottomano, e gli arabi allargavano
lo spettro già eterogeneo delle popolazioni dell’impero. Mentre la maggior parte degli arabi
era (ed è tuttora) sunnita come i turchi ottomani, c’erano anche una molteplicità di
minoranze divise in sette islamiche, comunità cristiane ed ebraiche[…]. L’individuazione di
assetti amministrativi adatti alla gestione dei loro nuovi possedimenti fu per gli ottomani un
serio impegno[…]Per le regioni più distanti dall’Anatolia gli ottomani cercarono di
mantenere l’organizzazione politica preesistente[…]. Pragmatici più che ideologici gli
ottomani erano interessati a garantire ordine e legalità[…] più che a imporre la loro cultura
agli arabi
15
.
Questa totale tolleranza degli ottomani, i quali riservarono agli arabi musulmani un trattamento
grossomodo paritario sul piano dei diritti, la mancata acculturazione forzata, la comune
affiliazione religiosa, giustifica la secolare profonda lealtà degli arabi nei confronti della Sublime
Porta.
1.1.3 La conquista dell’intero mondo arabo
Dopo aver sedato le rivolte dei governatori mamelucchi di Damasco e del Cairo e il tentativo di
secessione del nuovo governatore ottomano in Egitto negli anni immediatamente successivi alla
conquista degli ex possedimenti arabi mamelucchi, i territori di Egitto, Siria e del Ḥiǧāz
venivano finalmente assicurati al dominio ottomano sotto la stretta presa del sultano Süleyman.
Suo figlio Süleyman II, conosciuto come “Il Magnifico” portò a termine la conquista del mondo
arabo sottraendo Bassora e Baghdad all’impero safavide nella prima metà del XVI secolo e
quindi anche al dominio sciita sui quei territori. Negli stessi anni penetrò il sud conquistando lo
Yemen. Nella seconda metà del secolo avanzò poi verso occidente trasformando la Libia, la
13
George Antonius, The Arab Awakening: The Story of the Arab National Movement, Hamish Hamilton Limited,
Londra, 1938, edizione Kindle
14
Reinhard Schulze, A Modern History of the Islamic World, I.B. Tauris Publishers, London-New York, 2002, p. 14
15
Eugene Rogan, Gli Arabi, Bompiani, 2016, Milano, pp. 34, 35
12
Tunisia e l’Algeria in stati vassalli e tributari, così ponendo, entro la fine del XVI secolo, sotto
l’ala dominatrice dell’impero ottomano tutte le terre arabe con l’esclusione di Arabia centrale e
Marocco
16
. Seguendo alterne fortune, intramezzate talvolta da rivolte e massacri, la presa
ottomana si mantenne pressoché stabile all’interno di questi stessi confini fino alla fine del XVIII
secolo. I vari attentati all’autorità del sultano orditi nei territori arabi nel corso di questi tre secoli
– come quello dei mamelucchi del Cairo – non furono che delle rivendicazioni solitarie e
autoreferenziali, per quanto ci è dato sapere slegate dagli sviluppi di un successivo movimento
nazionale arabo
17
. Sotto il Sultanato Ottomano gli arabi vissero in condizioni di parità giuridica
con i turchi, conservando arti, mestieri, la lingua araba e con essa il predominio culturale. Per i
più fu facile considerarsi parte integrante dell’impero alla stessa stregua dei turchi. Queste
condizioni si mantennero fino all’inizio del secolo XIX, quando crisi, guerre, invasioni, perdite
territoriali e riforme cambiarono le carte in tavola.
1.2 La rottura dell’equilibrio. L’irrompere della modernità dalle tan ẓ ī m āt alla
rivolta dei Giovani Turchi
1.2.1 La “Questione d’Oriente”
Alexander Lyon Macfie, nella sua opera interamente dedicata al declino dell’impero ottomano
18
,
spiega come, a partire dal XVII secolo, le iniziali condizioni di armonia che rendevano l’impero
ottomano capace di tenere insieme popoli, etnie, religioni in un sistema imperiale forte e coeso,
vennero a mancare, inaugurando un processo di frammentazione interna, territoriale e
amministrativa, che vide i potentati locali acquisire alti livelli di autonomia se non addirittura
l’indipendenza, cionondimeno preferendo rimanere formalmente leali al sultano-califfo,
attraverso rapporti di tipo economico con Istanbul e l’adempimento, per i popoli da loro
amministrati, del servizio nell’esercito ottomano
19
.
Fu a partire dal fallimento della conquista di Vienna nel 1683 che l’impero ottomano andò
incontro a un progressivo svilimento del suo prestigio all’interno del quadro internazionale,
culminato con i fallimenti delle guerre russo-turche del 1768-1774 e del 1787-1792 - che gli
costarono la perdita della Crimea - e il mancato invito al Congresso di Vienna del 1814.
Nonostante i tentativi di modernizzazione del sultano Selim III, le guerre russo-turche avevano
infatti messo ancora una volta allo scoperto le debolezze del sistema politico e militare ottomano
di fronte alle grandi potenze europee, le quali nel frattempo cominciarono a pianificare
un’eventuale spartizione dell’impero in base ai molteplici interessi e a fomentare rivolte nelle
varie sue province, dai Balcani all’Egitto; come nel caso della czarina Caterina II, che già aveva
16
Ibid. pp. 42, 43
17
George Antonius, The Arab Awakening, edizione Kindle
18
Alexander L. Macfie, The End of the Ottoman Empire 1908-1923, Routledge, New York, 2013
19
Ibid. pp. 28,29