IV
Introduzione
Instancabile la farfalla filosofica [di
Bloch] svolazza e picchia contro il vento
che la separa dalla luce.
Th. W. Adorno, Note sulla letteratura.
Il pensiero musicale di Ernst Bloch
1
si definisce (come avviene per la restante
parte degli altri scritti del filosofo) nell’ambito di un contesto sempre proteso alla
delineazione di una propria ontologia: l’ontologia del non-ancora.
La filosofia utopica di Bloch ha spesso suscitato momenti di grande interesse,
ma tale attenzione sembra essersi concentrata soprattutto sulla sua rilettura del
marxismo o sulle ripercussioni che essa ha avuto nel dibattito teologico e
religioso. Essa oltretutto - intrisa com’è di elementi irrazionali, così attenta al
marginale, al particolare, e a tutto ciò che può sembrare di secondaria importanza -
difficilmente permette di separare la sfera estetica da quella teoretica ed offre
anche spunti per impegnative discussioni sulla sua riflessione sull’arte e sui criteri
estetici da essa adottati
2
.
1
* Ludwigshafen, Palatinato Renano, 8-VII-1885 - Tübingen, 8 - VIII - 1977. Figlio di una
famiglia ebrea benestante, durante la prima guerra mondiale si recò in Svizzera come
fervente pacifista. Poi, a causa dellaffermazione di Hitler nel 1933, fu costretto - come tanti
artisti e uomini di cultura di quegli anni - ad emigrare in America. Dopo la guerra,
differentemente da alcuni suoi compagni (come per es. Adorno) e similmente ad altri
(Brecht, Hans Mayer), preferì tornare in Europa accettando di collaborare alledificazione del
socialismo nella Germania Orientale divenendo professore alluniversità di Lipsia. Quando
però nel 1961 - trovandosi per un periodo di vacanza in Baviera - venne eretto il muro di
Berlino, decise di non tornare più nella Repubblica Democratica Tedesca e di accettare un
posto come professore ospite nelluniversità di Tubinga, città dove morì nel 1977. Sulla
vita e sugli spostamenti del filosofo si tenga presente il prezioso libro della moglie Karola
(Aus meinen Leben, Neske, Pfullingen 1981; trad. it. di L. Portesio, Memorie della mia vita,
Marietti, Casale Monferrato, 1982).
2
A riguardo di fondamentale importanza è il testo di H. Wiegmann (Ernst Blochs ästhetische
Kriterien und ihre interpretative Funktion in seinen Literarischen Aufsätzen, Bouvier Verlag Herbert
Grundmann, Bonn 1976), in cui lo studioso mette a fuoco diversi concetti della filosofia
utopica blochiana che incontreremo durante la nostra trattazione.
V
Sarà dunque compito della prima parte di questo lavoro illustrare
riassuntivamente gli aspetti fondamentali dell’edificio speculativo blochiano e
fornire gli strumenti indispensabili per accedere all’analisi del suo pensiero
musicale: l’intento è quello di chiarire - già alla fine della prima parte - la struttura
del flusso della coscienza anticipante, per assegnare poi in essa una giusta
collocazione alla musica ed al suo speciale potere preconizzante del non-ancora-
divenuto.
Ciò che qui si vuole subito sottolineare è il duplice obiettivo di questa tesi,
definito tra le pagine della sua parte teoretico-musicale. In prima analisi si tratterà
di collocare il pensiero musicale di Bloch nella filosofia della musica a cavallo tra
’800 e ’900, nonché di ricostruirlo e comunicarlo attraverso gli scritti più
importanti ed episodici riferimenti ad altri scritti minori
3
. Qui, il ricorso frequente
alla citazione di passi desunti dai testi succitati inerisce al delicato problema dello
stile filosofico di Ernst Bloch. La sua natura ostica è cosa nota e talvolta appare
inseparabile dalla verità che esso vuole a tutti costi esprimere: “il suo dettato è
difficile, - sostiene Hans Heinz Holz - spesso oscuro - ma di quella oscurità, dalla
cui profondità la luce della cosa stessa risplende come nei quadri di Rembrabdt”
4
.
Lo stile filosofico di Bloch rispecchia pienamente i propri contenuti: la verità che
egli intende comunicare sembra infatti voler emergere dalla fitta nebbia delle sue
parole, alla stregua di quanto essa tenti di fare a partire dall’oscurità dell’attimo
vissuto, cioè dall’incapacità del soggetto di cogliere, proprio a causa della sua
estrema vicinanza, quell’istante di verità che gli passa innanzi. La parola di Bloch
tematizza cioè il mistero dell’attimo imprendibile nel tentativo disperante di
3
Ci riferiamo alla Filosofia della musica contenuta nello Spirito dellutopia(analizzata nel
secondo e nel terzo capitolo della seconda parte di questo lavoro) ed al capitolo 51 del
Principio speranza(esaminato nel quarto). Facciamo ancora presente che tutti gli scritti
musicali di Ernst Bloch sono ora raccolti nel volume Zur Philosophie der Musik, Surkamp,
Frankfurt a.M., 1974.
4
Citiamo dal capitolo introduttivo (intitolato Der philosophisc he Stil Ernst Blochs) di un
testo di un allievo di Bloch. H.H. Holz, Der Philosophie von E. Bloch und sein Werke Das
Prinzip Hoffnung in Sinn und Form, VII, 1955, n. 3, trad. it. in G. Scorza, (a cura di), E.
Bloch, Armando Argalìa Editore, Urbino 1962, p. 67.
VI
scalfire quella “prossimità che ci fa ciechi”, quella condizione limitante per cui
nessuno di noi può essere “profeta in patria”
5
.
Pertanto il dire blochiano anela sempre ad un “novum”, scorrendo tra
“immagini e metafore primitive [...] necessarie per renderlo cosciente”
6
; così il
concetto si dissolve in un’ostica sintassi che, “fa[cendo] diventare qui
proposizione principale la subordinata abbreviata”, si mostra come specchio
autentico di un contenuto sensibile ai particolari apparentemente trascurabili ma in
realtà preconizzatori dell’assoluto non-ancora-divenuto. È questo il caleidoscopio
di immagini e di sogni che, sempre al servizio di un significare difficile quanto
coinvolgente, accompagnano tante infervorate pagine sulla musica, soprattutto
quelle che, nello Spirito dell’utopia, appaiono influenzate dal “caldo” clima
espressionista.
Lo stile letterario-filosofico di Bloch - per il quale egli venne insignito del premio
Sigmund Freud - è
“in generale, un tesoro di parole originarie, un brulichio di figure, una decorazione mobile fatta di
scene primigenie provenienti da favole e da miti, da Lieder e da canzonette, da proverbi, dal
fanatismo religioso antico-tedesco e dalla mistica barocca, da Jakob Böhme e da Hegel e da
Marx, da Hauff e da Hebel, dal Faust, dall’Anello del Nibelungo [...] tutto ciò è disponibile,
sempre fidatamente vicino, sempre pieno di significato: tutti contributi e rimandi rigorosi. Cifre,
prefigurazioni, elementi mobili di quella mathesis universalis dell’uomo e del genere umano”
7
.
Il pensiero di Bloch, insomma conferma veramente quanto sostiene Holz
ovvero “che la vera filosofia creatrice non si può ridurre ad un positivistico stile
predicativo, se essa vuole essere conforme alla doviziosa pienezza delle cose reali
oggettivabili”
8
.
Questo è dunque il motivo del nostro diretto e ricorrente attingere al senso e al
“suono” della parola blochiana nel tentativo di assemblarla in un discorso
5
E. Bloch,Contestuale allo Spirito dellutopia , intervista per ledizione italiana dello
Spirito dellutopia concessa dal filosofo a V. Bertolino, F. Coppellotti e H. Haasis, in SU, p.
XIII.
6
H.H. Holz, cit., p. 68.
7
D. Sternberger, I Maestri del 900 , Il Mulino, Bologna, 1992, p. 138-139.
8
H.H. Holz, cit., p. 80.
VII
concentrato a trovare esterne ed autorevoli conferme a tante sue feconde
intuizioni
9
.
In secondo luogo sarà intenzione di questo lavoro provare a considerare la
componente musicale come autonoma, quasi una sezione d’interesse circoscritta,
per accorgersi, per es., che anche se “la storia della musica è senza dubbio
l’aspetto più caduco della filosofia blochiana”
10
, essa - grazie al suo sistema
sempre aperto al nuovo e all’odierna contaminazione della musica colta - si può
rivelare efficace soprattutto nell’ambito dell’ascolto musicale e della Sociologia
della musica, forse anche meglio dell’approccio socio-musicologico adorniano.
Ma, fedeli al tema fondamentale del nostro lavoro, possiamo sostenere che
proprio l’esito parzialmente negativo di una valutazione prettamente musicologica
ha rilevato, in realtà, che l’autentica importanza delle riflessioni di Bloch sulla
musica risiede soprattutto nel suo ruolo fondante e decisivo per la comprensione
dell’intero impianto teoretico che struttura la sua ontologia: questo valore non si
dà infatti altrimenti che nell’ambito di una prospettiva estetico-teoretica, in una
stretta osmosi tra musica e ontologia del non-ancora. L’arte dei suoni appare così
non solo come la cellula germinale di un linguaggio nuovo, ma anche come quella
manifestazione espressivo-simbolica dell’uomo che, con il suo carattere ineffabile
ed etereo, riesce meglio di qualsiasi altra a farci intravedere i tratti divenienti
dell’uomo e del mondo futuri.
“Quando ci immergiamo nella musica, ascoltandola, - sostiene il Nostro - avvertiamo che le
strutture musicali si caricano di un’espressione non ancora mai data, che vi si annuncia qualcosa
di nuovo, di utopico, che, nella storia della musica dei nostri giorni, non è ancora pervenuto alla
sua rappresentazione”
11
.
Si vedrà allora che, anche in opere dallo squisito carattere teoretico, il tempo
musicale verrà indicato come modello per una concezione del tempo e della storia:
9
Pur avendo un rapporto difficilissimo con la musicologia, alcune tra le più importanti
considerazioni su Beethoven - come avremo modo di chiarire - troveranno un autorevole
sostegno in diverse osservazioni del noto musicologo statunitense M. Solomon.
10
M. Garda, La fenomenologia della coscienza musicale. Musica e utopia nello Spirito
dellutopia di Ernst Bloch, in Musica/Realtà, Agosto 1984, p. 129.
11
E. Bloch, Sogni diurni, sogni ad occhi aperti e la musica comeutopico per eccellenza intervista rilasciata da Bloch a Michel Gibson, Pierre Furlan e Peter Stein per la televisione
VIII
esso, lungi dal somigliare allo schema stereotipato di un Universum lineare e
consequenziale, si definisce come un Multiversum, cioè come una dimensione
spazio-temporale che conosce pause, accelerazioni, vittorie e fallimenti
nell’ambito di un progresso dialettico simile all’incedere sonoro di una sinfonia.
Ma la musica non è soltanto un modello: è addirittura il propulsore più potente
della speranza. Con la sua capacità di essere espressione diretta del gesto psichico
essa riesce, come nello squillo di tromba del Fidelio beethoveniano, a comunicare
l’essenza velata di un essere non-ancora divenuto a cui la morte sembra addirittura
extraterritoriale.
Tenteremo così di mostrare come questo momento di consolazione - che tra le
linee aeree del suono diviene speranza concreta - determini la volontà del soggetto
nella sua lotta contro la morte ed il rischio del nulla da cui egli sembra essere
costantemente minacciato. Questo è dunque il senso finale della nostra
ricostruzione del pensiero blochiano: teorizzare di esso il fondamentale,
inscindibile rapporto tra musica, morte e ontologia del non-ancora equivale, per
noi, a ridiscutere il senso di una sua più chiara impostazione.
canadese trasmessa nel 1976; trad. it. in Marxismo e utopia, a cura di Virginio Marzocchi,
Editori Riuniti, Roma 1984, p. 153.
2
Capitolo I: dal sogno irrealizzabile all’utopia concreta.
Nel dire comune il termine utopia indica solitamente “quanto costituisce l'o g-
getto di un'aspirazione ideale non suscettibile di realizzazione pratica”
1
. Esso fu
introdotto per la prima volta da Thomas More in un’opera edita in latino a Lova-
nio nel novembre del 1516: si tratta del libretto De optimo rei publicae statu de-
que nova insula Utopia
2
. Sin dalla sua prima apparizione, il termine fu oggetto di
una vivace polemica relativa alla sua etimologia: alcuni filologi e umanisti ritene-
vano che la u iniziale fosse nient’altro che la contrazione del greco ou e che quindi
“utopia” stesse a significare “non-luogo”, luogo non esistente o completamente
immaginato, inventato
3
. Altri, avvalendosi paradossalmente delle stesse conside-
razioni, ma anche del fatto che nel greco le forme negative si costruiscono premet-
tendo ou alle forme verbali e l’alfa privativo per i sostantivi, sostenevano più pre-
cisamente che la precedente interpretazione etimologica fosse erronea e che al
massimo sarebbe stato più corretto dire “a-topia”. Essi erano quindi più propensi
ad interpretare la derivazione del termine ipotizzando che la u di utopia non fosse
contrazione di ou bensì di eu, e che quindi utopia non dovesse più intendersi co-
me “non-luogo” ma come “eutopia”, cioè “luogo felice”
4
.
1
Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1996, edizione multimediale.
2
Pur avendo inaugurato un nuovo genere letterario, More riconobbe la Repubblica di Platone co-
me modello ante-litteram della sua opera: questo filone divenne ben presto tradizione, arricchendosi
di altre opere scritte che tennero conto del senso col quale il filosofo si era riferito alla sua isola
(che Erasmo da Rotterdam aveva ribattezzato con il nome di nusquama).Ricordiamo tra le tante La
città felice di Francesco Patrizi del 1553, La città del sole di Tommaso Campanella del 1602 o La Nuo-
va Atlantide pubblicata postuma nel 1627 di Francis Bacon. Per un maggiore approfondimento sul-
la storia dellutopia cfr. M. Baldini, Il pensiero utopico, Città Nuova, Roma 1974.
3
Topos, cioè luogo, può essere anche inteso come topos ouranios, luogo celeste nel quale vive
lidea, dunque una categoria spaziale di ordine superiore, E. Bloch, Abschied von Utopie, Vorträge
herausgegeben und mit Nachwort versehen von Hanna Gekle, Suhrkamp, Frankfurt 1980; trad. it.
parziale, Addio allutopia? , Acquaviva, Palermo 1995, p. 5. A questo breve saggio del filosofo si ri-
manda per una generale quanto riassuntiva visione blochiana dellutopia.
4
Cfr. AA.VV, Utopia e distopia, a cura di A. Colombo, F. Angeli, Milano 1987, p. 12.
3
Soprattutto ai nostri tempi il termine ha assunto frequentemente differenti auree
semantiche: non sono pochi, infatti, i romanzi, gli scritti filosofici, i poemi o an-
che i racconti di viaggi che spesso sono stati indicati come utopistici; nel parlare
comune, “utopico” è usato nell’accezione di “irrealizzabile”, “illusorio”, “irreale”,
“astratto” e l’utopia spesso e volentieri è stata volutamente o involontariamente
banalizzata e ritenuta come semplice e vacuo vagheggiamento. “L’espressione ‘È
una cosa utopica’- sostiene Ernst Bloch - è diventata quasi un insulto. Come a di-
re: ‘Va bene non c’è bisogno di parlarne’, o se se ne parla lo si fa solo in tono po-
lemico”
5
. Quando i più parlano di qualcosa di utopico, ritengono che ciò sia un
sogno vuoto, un disperdersi evanescente tra cose che non avrebbero neanche la di-
gnità di essere prese in considerazione. Questo ha condotto ad etichettare col no-
me di utopia non solo teorie politiche e forme ideali di governo, ma persino ro-
manzi fantapolitici e fantascientifici, insomma qualsiasi tipo di società immagina-
ria delineata in tutti quegli scritti che si siano sforzati di descrivere un mondo per-
fetto e cioè intenzionalmente libero da tutti quei problemi che l’analisi ha riscon-
trato nelle società reali e concrete.
Nelle loro Lezioni di Sociologia Adorno e Horkheimer asseriscono che ogni au-
tore che si sia sforzato di delineare una società utopica lo ha fatto sempre (con-
sciamente o inconsciamente aggiungiamo noi) partendo dalla constatazione e
dall’analisi delle condizioni reali della società in cui essi vivevano
6
. Infatti - alme-
no nelle intenzioni dell’utopista - l’utopia ha pressoché sempre caratterizzato la
storia del pensiero dell’uomo inserendosi in esso come il progetto di una società
giusta e fraterna: la letteratura utopica ne è semmai l’espressione, lo sforzo di fare
5
E. Bloch, Mutare il mondo fino a renderlo riconoscibile, intervista del 1974 concessa a J. Ma r-
chand per la televisione francese, ora raccolta in E. Bloch, Marxismo e utopia, a cura di Virginio
Marzocchi, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 69. Il testo è una fondamentale raccolta di interviste che
si rivelerà preziosa lungo tutto il cammino del nostro lavoro.
6
Cfr. M. Horkheimer - Th. W. Adorno, Soziologische Exkurse(in collaborazione con M. Horkhei-
mer), (1956); trad. it. di A. Mazzone, Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino 1966, p. 15. Si pensi a Pla-
tone ai tempi della guerra tra Atene e Sparta o a Th. More durante il regno di Enrico VIII; come
avremo modo di vedere, anche lo stesso Bloch scrive lo Spirito dellutopia denunciando, insieme a
tante altre manifestazioni culturali del tempo, la crisi dei valori che colpì gli inizi del 900 (cfr. cap i-
tolo successivo).
4
chiarezza, di tracciare delle linee più precise di demarcazione del progetto
7
. È
sempre M. Horkheimer a chiarire ulteriormente lo spettro semantico della parola
indagata: “l’utopia ha due aspetti: è la critica di ciò che è e la rappresentazione di
ciò che dovrebbe essere . La sua importanza è raccolta essenzialmente nel primo
momento”
8
.
7
Dopo le motivazioni di fondo che possono spingere gli individui a formulare dei progetti utopici,
per completezza ci sembra interessante soffermarci brevemente anche sulle differenti forme in
cui lutopia può manifestarsi. Queste possono essenzialmente essere riassunte a partire dalla più
classica delle suddivisioni: quella secondo lo spazio e quella secondo il tempo. Ciò è quanto ci vie-
ne suggerito da un saggio di R. Trousson (La distopia e la sua storia , in AA.VV, Utopia e distopia,
cit., pp. 19-34), per il quale lutopia, sin dalle origini, fu sostanzialmente un parto della c oscienza
dellinfelicità storica, un modo per fuggire limper fezione del reale; questa fuga attinse poi da due
miti di genere diverso, il mito temporale e il mito geografico. Al primo appartengono quelle utopie
come letà delloro o leden perduto che non sono semplici costruzioni, ma la dolce rimembranza di un
passato perfetto immune da tutti i mali, persino da quello della morte; al secondo quelle che de-
scrivono luoghi remoti e perfetti senza una precisa collocazione temporale: ciò che accomuna que-
sti due diversi tipi di utopia è il desiderio di un universo non soggetto a decadenza e imperfezione.
La caratteristica delle utopie che si rifanno al mito temporale è che i luoghi metastorici a cui esse si
riferiscono, anteriori al tempo stesso, soggiacciono ad una legge esterna che non dipende
dalluomo: ora, quando la l egge che ne è alla base subisce violazione da parte dellessere razionale
(dotato di libero arbitrio), quella perfezione che esse incarnano, si incrina attraverso la comparsa del
male e della caducità di tutte le cose. Differentemente, laspetto saliente d elle utopie spaziali è che
non facendo più riferimento ad un tempo lontano, collocano il mondo perfetto in un luogo di-
stante e sconosciuto. In questo modo la realtà temporale risulta però, per così dire, asintotica e pa-
rallela a quella quotidiana. Queste due direzioni verranno ampiamente rinnovate e riprese lungo il
cammino moderno del pensiero utopico: lutopia relativa ad una terra sconosciuta fu soggetto ad
una nuova ripresa agli albori delle scoperte geografiche e costituì le fondamenta del succitato scrit-
to di More. Diversamente, il mito temporale venne ripreso soprattutto nel 700 soprattutto
nella accurata laicizzazione attuata Louis Sébastien Merciér: infatti nellambito della letteratura ut o-
pica settecentesca la stimmung razionale e ottimistica dellilluminismo trova il suo culmine
nellinvenzione dell ucronia, la quale prende forma tra le righe de LAn 2440 scritto nel 1771.
Lucronia è una specie di utopia dove invece di immaginare semplicemente un mondo pe rfetto, si
cerca di delinearlo precorrendo gli eventi futuri. In essa il pensiero si propone di prolungare
lesperienza storica: difatti nell An 2440 è il mondo stesso ad essersi utopizzato avendo a ttuato
tutto ciò che nel passato era stato promesso.
8
M. Horkheimer, Änfange der bürgerlichen Geshichtsphilosopie(1930); trad. it. di G. Backaus, Gli inizi
della filosofia borghese della storia, Einaudi, Torino 1978, p. 63. Tutto ciò viene ribadito anche dallo
studioso polacco Bronislaw Baczko che allo scopo di annoverare tutta la vastissima produzione
della letteratura utopica del Settecento, non discostandosi troppo dalle parole di Horkeimer sugge-
risce due concetti differenti di utopia. Nella sua accezione più ampia, lutopia avrebbe il significato
di una visione globale della vita so ciale radicalmente opposta alla realtà esistente che nelle dico-
tomia classica essere/dover essere e in tutti i suoi corollari (reale/ideale, riformismo/radicalismo) si collocherebbe sempre dalla parte del secondo termine; laccezione più ristretta rimand erebbe,
per lo studioso, agli scritti di Moro e Campanella quali mezzo di scoperta ed esibizione della città
ideale. Cfr. B. Baczko, Lumières et Utopie. Problèmes de recherche, Annales E.S.C., 1971, (2), pp. 355 -
386.