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Introduzione
Il lavoro si propone di evidenziare le opportunità per il made in Italy, nel panorama del
commercio elettronico mondiale dominato dalle piattaforme dei grandi protagonisti dell’economia
digitale.
Nato dall’incrocio tra gli interessi personali per gli aspetti tecnologico-informatici e l’im-
pegno in un esperimento di marketplace per il made in Italy, chiuso dopo pochi anni di attività, il
lavoro si avvale ampiamente di documentazione reperita in rete e di reportistica specializzata, oltre
che delle conoscenze acquisite con la partecipazione agli incontri di un Osservatorio nazionale
sull’e-commerce.
La prima parte approfondisce il concetto di economia digitale ed esamina l’evoluzione
dei marketplace.
Si osservano la nascita e lo sviluppo dei principali marketplace nell’ambito dello scenario
economico globale degli ultimi venticinque anni, dopo aver analizzato le origini dell’economia
digitale e del commercio elettronico lungo gli ultimi decenni del novecento.
Gli elementi costitutivi dell’economia digitale sono i dati, asset di fondamentale impor-
tanza per le aziende digitali. I dati personali, il cui valore è spesso sottovalutati dagli utenti dei
servizi digitali, sono ceduti come moneta di scambio per pagare i servizi ai fornitori di connessione
alla rete, tecnologia e informazioni. Questi dati, assieme a quelli raccolti dall’Internet of things,
rappresentano il nuovo petrolio dell’economia digitale. Gli algoritmi li processano restituendo le
informazioni essenziali e preziose per l’e-commerce.
La trasformazione digitale dell’economia viene esaminata secondo varie declinazioni e de-
finizioni. La tecnologia digitale pervade l’economia ed è sempre più indispensabile per il funzio-
namento delle transazioni. Si affronta quindi il tema della transizione dall’economia tradizionale
caratterizzata dalla dimensione materiale all’economia digitale orientata alla dimensione immate-
riale.
Alcuni brevi cenni storici sul commercio elettronico introducono alle classificazioni e alle
tipologie di relazioni tra i vari soggetti coinvolti nelle transazioni commerciali: produttori, riven-
ditori e i clienti, nelle loro posizioni di privati, aziende o enti pubblici.
Tra i principali modelli di business dell’e-commerce descritti viene posto in evidenza il
marketplace, la piattaforma di vendita su rete Internet che mette in relazione produttori, rivenditori
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e clienti. Per il marketplace si indagano gli elementi chiave, l’effetto e le conseguenze della disin-
termediazione, l’economia di rete che si sostituisce all’economia di scala, i cambiamenti e le tra-
sformazioni indotte nei negozi fisici e nei processi della logistica.
Solamente qualche anno fa le prime aziende per capitalizzazione erano nei comparti petro-
lifero e bancario, ora sono tutte aziende leader nel digitale e tra queste emergono le aziende che
gestiscono le principali piattaforme di commercio elettronico.
Tra i principali marketplace sono presi in esame Amazon, Alibaba, eBay, Rakuten, Za-
lando, Groupon e Flipkart, e viene evidenziato il ruolo degli altri grandi protagonisti del digitale.
La seconda parte approfondisce la relazione tra produzione del made in Italy e commercio
elettronico.
Attraverso lo studio dell’origine e del significato nel tempo del concetto di made in Italy
si cerca di individuare il suo attuale utilizzo e la sua relativa importanza a livello internazionale.
L’espressione inizia ad avere frequente utilizzo dagli anni Ottanta e si riferisce soprattutto ad al-
cuni settori tipici, forti per eccellenza e specializzazione. Si riportano le posizioni di alcuni autori
sull’uso allargato dell’espressione e sulla sua identificazione con il design in o con il concept in.
La difficoltà nel determinare l’origine di un prodotto che contenga parti di provenienza estera
viene superata attraverso il concetto di prevalenza, misura della percentuale di realizzazione nel
paese. Il valore del made in Italy viene collegato al country effect, all’halo effect e all’effetto sin-
tesi.
Il fenomeno dell’etichetta made in viene esaminato a livello mondiale, ritrovando la noto-
rietà del brand made in Italy posizionata tra i primi posti. Viene posta attenzione sulle categorie
dei valori che sostengono il concetto di made in Italy, evidenziando a tal proposito la ricerca di un
autore sull’Italian Factor.
Il made in Italy ha registrato una buona crescita dopo gli sconvolgimenti provocati dalla
globalizzazione. Ma l’apertura a molti nuovi mercati ha fatto aumentare le esigenze di tutela contro
l’aggressiva concorrenza della contraffazione. È molto diffuso nel web l’utilizzo dell’italian soun-
ding, evocazione di denominazioni geografiche, immagini e marchi italiani per promuovere pro-
dotti non riconducibili all’Italia. Questa pratica diffusa è la forma più palese di concorrenza sleale
nei confronti delle aziende italiane.
La protezione del marchio e la difesa verso la concorrenza della contraffazione vengono
attuate con azioni positive di informazione e ricorrendo alle disposizioni normative in materia di
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origine della merce.
Ci si avvale di alcuni rapporti (Sace-Simest, ISTAT, ICE, OECD) per una analisi delle
esportazioni di beni italiani. La produzione italiana viene esaminata con riferimento ai beni e ai
servizi, questi ultimi caratterizzati dall’intangibilità. Si approfondiscono le differenze tra l’eroga-
zione e la logistica di prodotti e servizi, tenendo presente che la fornitura dei prodotti include
servizi per circa un terzo del valore. Per i servizi in generale si esamina anche l’indice di restrizione
al commercio dei servizi, lo STRI.
L’e-commerce delle aziende italiane è rivolto a clienti business e a consumatori finali. Si
esaminano le origini e i modelli di business dell’e-commerce B2B. Questo mercato risulta utiliz-
zato da circa un terzo delle aziende italiane.
Il mercato elettronico rivolto ai consumatori, il B2C, usa prevalentemente le piattaforme
dei grandi player mondiali, attraverso i cui canali si possono aprire più agevolmente i mercati
esteri anche per le aziende medie e piccole. I volumi di vendita affidati all’e-commerce da parte
delle aziende italiane sono ancora molto contenuti, rispetto alle vendite complessive e in confronto
con le performance delle altre aziende europee.
I grandi player della Rete stanno attuando una strategia globale di investimenti per compe-
tere nelle varie regioni del mondo. Chi vuole vendere all’estero difficilmente ora può prescindere
dai marketplace principali, quali Amazon, eBay e Alibaba. Il regime di monopolio che si sta
creando preoccupa opinionisti, imprenditori e operatori della finanza, soprattutto per il pericolo di
alterazione degli equilibri nei settori economici.
Queste preoccupazioni corrono di pari passo con quelle di una possibile alterazione della
neutralità della Rete, che potrebbe essere piegata a servizio dei grandi operatori e degli Stati.
I marketplace alimentano l’industria dell’advertising, attualmente monopolizzata da Goo-
gle e da Facebook, ma stanno investendo per poter gestire direttamente il mercato pubblicitario,
forti del possesso di enormi basi di dati dei propri clienti e delle indicazioni sulle loro preferenze.
I grandi operatori contribuiscono alla modifica, se non al sovvertimento, di alcuni modelli
tradizionali di consumo. Alcuni modelli basati sul principio dell’economia di scala vengono inte-
grati o superati dall’economia di rete, dove il servizio diventa tanto più di valore per i clienti man
mano che più utenti se ne servono.
Le opportunità di crescita per il made in Italy nell’economia digitale sono esaminate nella
terza parte.
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Le aziende italiane, nella classifica europea del fatturato veicolato attraverso l’e-com-
merce, sono posizionate verso gli ultimi posti e distano circa tre punti percentuali dalla media.
Necessitano di una apertura maggiore verso i canali della distribuzione digitale e devono superare
le carenze della propria organizzazione aziendale, soprattutto nelle competenze informatiche e nel
marketing. Solo così potrebbero generare buone crescite di fatturato e aumentare la propria com-
petitività rispetto ai concorrenti.
La conoscenza delle evoluzioni degli altri mercati e degli aspetti tecnologici che condizio-
nano le preferenze di acquisto dei consumatori assume una importanza fondamentale. I consuma-
tori utilizzano approcci multicanale e la tecnologia che veicola l’esperienza di acquisto è in conti-
nua evoluzione. Poiché gli investimenti per stare al passo con le esigenze tecnologiche ed orga-
nizzative sono molto rilevanti, il ricorso ai marketplace costituisce la soluzione più frequente ed
immediata per ottenere un allargamento della platea di clienti in ambito mondiale.
L’analisi del made in Italy nell’e-commerce viene concentrata sui tre settori caratterizzanti:
la moda nell’abbigliamento, l’alimentare e l’arredo. Questi settori riguardano beni di consumo di
fascia medio-alta in grado di veicolare valore, perché sono frutto di estetica e di alta artigianalità
e sono contraddistinti per design raffinato, qualità dei materiali e particolarità delle lavorazioni.
Il settore dell’abbigliamento, grazie alla notorietà dei brand italiani e delle competenze
digitali sviluppate da alcune case di moda italiane è responsabile per ben due terzi dell’export del
made in Italy. Mercati importanti sono Francia, Germania e Spagna, ma la moda italiana sta ten-
dendo lo sguardo anche verso la Cina, area dall’enorme potenziale per le aziende italiane del fa-
shion.
Nel settore alimentare l’export digitale ha un peso ancora limitato. La domanda via e-com-
merce non è ancora sufficiente a trainare le vendite e le esportazioni, soprattutto a causa della
elevata complessità dei prodotti e delle difficoltà logistiche collegate alla laboriosità dei processi
di acquisto e alla deperibilità dei prodotti. Il ruolo dei grandi player è secondario rispetto alle
vendite degli operatori tradizionali, i quali coprono circa il 60% delle vendite digitali di settore.
Nemmeno il settore dell’arredamento esprime ancora le sue potenzialità nelle vendite di-
gitali. Le modalità di vendita di molti operatori italiani sono ancorate al passato, mentre alcuni
operatori stranieri hanno aperto con buoni risultati le loro piattaforme e-commerce. La logistica
delle vendite digitali, a causa delle dimensioni dei prodotti, risulta il più rilevante limite, che le
aziende stanno cercando di superare realizzando elementi d’arredo pieghevoli o componibili.
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Uno degli argomenti centrali della ricerca riguarda l’utilizzo dei marketplace. I big player
gestiscono circa l’85% delle vendite digitali del made in Italy. I produttori italiani effettuano digi-
talmente circa il 35% delle vendite attraverso la modalità marketplace in senso stretto, che consiste
nella vendita diretta agli utenti finali, tramite le grandi piattaforme. Le stesse piattaforme veicolano
una ancor più importante parte delle vendite digitali, il 50%, attraverso la modalità retailer, con la
quale le piattaforme stesse acquistano e rivendono i prodotti.
Da parte dei produttori italiani si riscontrano due posizioni estreme: il rifiuto o l’adegua-
mento, ma l’alternativa all’adeguamento spesso è la chiusura dell’attività.
La diffidenza dei consumatori e di alcuni produttori verso le attività dei big player trova
riscontri e conferme nelle sempre più frequenti misure sanzionatorie comminate da alcune Auto-
rity antitrust per abuso di posizione dominante e da vari Stati per elusione o evasione fiscale.
La qualità dei beni made in Italy è aumentata a partire dal 2000 con una velocità superiore
a quella dei prodotti concorrenti, grazie soprattutto alla spinta delle produzioni tradizionali di pro-
dotti in pelle, calzature e abbigliamento e il trend fa ben sperare per il futuro.
Le principali direttrici di destinazione del made in Italy vanno verso i paesi dell’area euro
geograficamente più vicini e, a seguire, verso gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Cina e la Turchia.
La ricerca analizza infine quattro raggruppamenti di Paesi nel mondo, classificati secondo
la loro maturità economica e la loro distanza dall’Italia: i paesi maturi vicini, i paesi emergenti
vicini, i paesi maturi lontani e i paesi emergenti lontani.
Nel primo raggruppamento dei Paesi maturi vicini osserviamo che gli esportatori di made
in Italy stanno rafforzando le loro posizioni, in particolare attraverso il comparto della moda.
Verso i Paesi vicini emergenti il ruolo più rilevante è espresso sempre dal comparto della
moda, che gioca sempre il ruolo più rilevante, ma le cui prospettive manifestano segnali di conso-
lidamento più che di crescita. I comparti dei mobili e dell’alimentare sembrano più promettenti.
Verso i Paesi lontani maturi in genere i comparti in esame evidenziano segnali di sostan-
ziale tenuta. La quota più elevata è rappresentata dal settore Moda. Per questa area vengono evi-
denziate le caratteristiche delle esportazioni verso la Corea del Sud, che dimostrano l’importanza
delle iniziative di promozione attuate a livello di associazioni imprenditoriali e governative, e le
particolarità dell’export verso gli Stati Uniti, dove la penetrazione commerciale richiede impor-
tanti investimenti in marketing e comunicazione, oltre che strategie attente ai particolari percorsi
decisionali di acquisto da parte degli utenti statunitensi.
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I Paesi lontani emergenti raccolgono un’area che corrisponde circa al 15% del commercio
mondiale. Le previsioni sull’import da parte di questi Paesi indicano una crescita cumulata del
40% per i prossimi sei anni, una crescita quasi doppia rispetto a quella dei Paesi avanzati. Le
opportunità più a breve termine riguardano il settore Moda e quello dei Mobili. A causa delle
differenze culturali e delle barriere commerciali potranno incontrare maggiori difficoltà le aziende
che esportano Alimentari e bevande.
Una analisi dell’indice di export e del valore medio unitario dei prodotti made in Italy,
esportati verso i Paesi emergenti, evidenzia due gruppi di Paesi. Russia, Cina ed Emirati Arabi
presentano buone opportunità in quanto la combinazione di livello di import e di prezzi presenta i
valori maggiori. Sono ritenuti interessanti anche i posizionamenti del made in Italy nei mercati
della Malesia, del Messico e dell’Arabia Saudita, dove le economie sono in fase di decollo.
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1 L’economia digitale e i marketplace
1.1 La trasformazione digitale dell’economia
La cultura, e i concetti usati per comprenderla, stanno cambiando in ragione di un mondo
popolato da codice, sensori, dati, oggetti e piattaforme supportati da intelligenza computazionale.
La nostra cultura e la nostra economia, sostiene Alex Pentland, si stanno evolvendo e cambiano le
nostre abitudini di interrogare il passato, attraverso i dati di archivio, verso l’uso dei dati in orien-
tamento predittivo, verso un futuro in cui le elaborazioni dei dati produrranno milioni di scenari
potenziali. La nostra società è stata introdotta nell’economia digitale, nel mondo dei dati, dell’in-
telligenza artificiale e del software che la guida
1
.
Le quantità di dati elaborabili dal software crescono con modalità esponenziale, e sono
prodotti in particolare dall’automazione dei processi industriali, dalle transazioni, dai social media,
dall’internet of things e dal customer relationship management.
I dati incamerati dalle aziende digitali comprendono molti dati personali, ai quali finora si
è dedicata attenzione soprattutto in difesa del diritto di privacy. Ora l’attenzione pubblica focalizza
l’interesse anche sul valore economico dei dati personali, moneta di scambio per ottenere servizi.
Il valore rappresentato dai dati è stato più volte paragonato e ricondotto all’importanza storica che
ha avuto il petrolio per l’economia
2
.
Un dato non trattato, assemblato e confrontato con altri dati attraverso il software non è
produttivo in sé. Oggi molti accostano il software all’elettricità e al motore a combustione: se
l’elettricità e il motore a combustione hanno reso possibile la società industriale, il software sta
disegnando e costruendo il mondo attuale
3
. Machine learning e deep learning sono i prodotti soft-
ware che permettono alle macchine di acquisire profonde capacità di autoapprendimento, aprendo
1
A. PENTLAND, Prefazione a C. ACCOTO, Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale,
Egea, 2017.
2
Per la prima volta il paragone è stato introdotto nel 2012 da Neelie Kroes, Vicepresidente della Commis-
sione Europea e responsabile per l’Agenda Digitale. «…That's why I say that data is the new oil for the digital age».
Cfr. N. KROES, Press release speech/12/149, in http://europa.eu/, (05/03/2012),---(http://europa.eu/rapid/press-
release_SPEECH-12-149_en.htm), [ultimo accesso:--11/06/2018].
3
Cfr. C. ACCOTO, Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale, Egea, 2017, p. 8.