INTRODUZIONE
In Europa si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico resistenti
(Allegro C.,2018). Si stima, che nel 2050 esse saranno responsabili del decesso di una
persona ogni 3 secondi (Pini V.,2017), divenendo la causa di morte più frequente, anche più
del cancro (Andriukaitis V.,2017). La drammaticità, nonché l’attualità di tali dati,
evidenzia l’importanza di un fenomeno in forte diffusione, quale la resistenza
antimicrobica, su cui verterà l’intero lavoro scientifico.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema, scaturiscono direttamente
dalle esperienze di tirocinio clinico, maturate nel corso dei tre anni. Quasi quotidianamente,
durante l’attività clinica, ho avuto modo di osservare nei pazienti lo sviluppo di infezioni
multiresistenti, soprattutto infezioni catetere venoso correlate (CLABSI) e infezioni catetere
vescicale correlate (CAUTI), generalmente prevenibili con l’attuazione del “good nursing
care” (Edward J.S. et Al,2016 e Gould C.V. et Al,2009), che hanno poi determinato un netto
peggioramento della prognosi.
Si rende necessario sottolineare, già da queste prime battute, come l’intera tesi non abbia
l’intento né di analizzare l’antimicrobico-resistenza (AMR) in maniera “asettica”, né
tantomeno di essere un trattato di infettivologia, ma di esaminarla in stretta correlazione al
ruolo infermieristico. La figura dell’infermiere ha acquisito, infatti, nel corso degli ultimi
anni competenze e responsabilità, che gli hanno permesso di ritagliarsi un ruolo
fondamentale, almeno in linea teorica, nei programmi condivisi e approvati dalla European
Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) di stewardship antimicrobica (ASP).
La tesi è articolata in tre capitoli: nel primo capitolo viene fornita una panoramica sui
principali “protagonisti” dell’AMR e sulla portata dell’impatto di quest’ultima, in termini
clinici, nonché socio-economici. Nel secondo capitolo, l’attenzione è incentrata sulle
principali infezioni nosocomiali e sul ruolo degli infermieri circa l’AMR. Nel capitolo 3
viene eseguita la revisione della bibliografia.
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Capitolo I:
Le infezioni
1.1 Batteri
I batteri rappresentano il principale dominio dei procarioti, organismi cellulari altamente
organizzati nella loro relativa semplicità strutturale. Si ricorda, infatti, che essi, nonostante
manchino di strutture complesse, tipiche delle cellule eucariotiche, es. nucleo, mitocondri,
lisosomi …, possiedono un’area nucleare, anche detta nucleoide, contenente DNA. È a
carico di quest’ultimo, che possono verificarsi modificazioni, endogene e/o esogene,
responsabili della resistenza agli antibiotici.
1.1.1 Gram Positivi e Gram negativi
La parete cellulare fornisce una struttura rigida, che sostiene la cellula e ne mantiene la
forma. Essa è costituita principalmente dal peptidoglicano, un polimero complesso,
composto da amminozuccheri legati a polipeptidi corti, la cui diversa presenza, in termini
quantitativi, determina la specifica appartenenza dei batteri all’interno di una delle due
classi.
Nel 1888, il medico danese Christian Gram mise a punto la “colorazione di Gram”, la quale
verrà qui di seguito brevemente descritta.
Il primo passo consiste nel fissare i batteri sul vetrino (es. tramite calore), a cui segue
l’aggiunta, dapprima di un colorante basico denominato cristalvioletto, ed in un secondo
momento del “Reattivo di Lugol”, ovvero di un composto misto di Iodio e Potassio, avente
la capacità di stabilizzare l’intero complesso, rendendolo insolubile in acqua. La
decolorazione, che conclude l’intera procedura, viene realizzata mediante l’aggiunta di
alcol. I batteri Gram negativi si presenteranno al microscopio con una colorazione rosa, in
quanto il sottile strato di peptidoglicano, ha consentito “l’allontanamento” del
cristalvioletto, dalla cellula al decolorante alcolico. Al contrario, ciò viene impedito nei Gram
positivi, che manterranno dunque una tipica colorazione violacea, garantita dalla folta
stratificazione del peptidoglicano.
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La differenza tra batteri gram-positivi e gram-negativi è di notevole importanza in ambito
clinico, soprattutto in relazione all’ approccio terapeutico di alcune malattie. Ad esempio,
alcuni antibiotici come la penicillina, interferiscono con la sintesi del peptidoglicano,
risultando di conseguenza maggiormente efficaci contro i Gram positivi.
1.1.2 I principali gruppi di batteri di interesse clinico
Tra i Gram-negativi si trovano (Solomon P., et Al.,2011):
o Proteobatteri;
o Cianobatteri;
o Clamidie;
o Spirochete.
In relazione alle sequenze dell’rRNA, si riconoscono tra i Proteobatteri ulteriori cinque
sottogruppi:
o Alfa (es. Rickettsie);
o Beta;
o Gamma (es. Pseudomonadi, Enterobatteri, tra cui E.Coli, Salmonella …);
o Delta;
Figura 1.1 Fasi della “colorazione di Gram”. Fonte: https://goo.gl/images/wDgU8Q
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o Epsilon (es. Helicobacter).
I Gram-positivi rappresentano un gruppo estremamente diversificato nel quale troviamo:
o Micobatteri (es. Mycobacterium tuberculosis);
o Streptococchi;
o Staffilococchi;
o Clostridi.
1.2 Antibiotici
La terapia antimicrobica sfrutta le differenze biochimiche, esistenti tra microrganismi ed
esseri umani (Clark M.A et Al, 2012). Il concetto di tossicità selettiva
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di un farmaco
antimicrobico, rappresenta la giustificazione del relativo utilizzo nel trattamento di diverse
patologie infettive.
1.2.1 Principi di terapia antimicrobica e spettri chemioterapici
In primis, occorre effettuare una classificazione tra antimicrobici batteriostatici e battericidi.
A differenza di quest’ultimi, gli antibiotici batteriostatici non uccidono direttamente il
patogeno, ma ne arrestano la crescita e la replicazione, limitando così la diffusione
dell’infezione, mentre il sistema immunitario dell’ospite provvede a attaccarlo ed
eliminarlo.
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Capacità di interagire con un microrganismo invasore senza danneggiare le cellule dell’ospite.
Figura 1.2 Effetti a confronto degli antibiotici battericidi e batteriostatici sulla moltiplicazione batterica in vitro, fonte:
https://goo.gl/images/Hg5t9h
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Una seconda classificazione degli antibiotici, deve poi essere condotta in relazione al loro
specifico spettro chemioterapico d’azione. In base a tale criterio, esistono:
o Antibiotici a spettro ristretto: agiscono soltanto su un microrganismo o un gruppo
limitato di batteri (es. Isoniazide attiva solo contro i micobatteri);
o Antibiotici ad ampio spettro: farmaci come la tetracicilina o la cefalosporina hanno
effetto su un’ampia varietà di specie batteriche. Tale caratteristica, li rende spesso
farmaci d’elezione nel trattamento empirico di infezioni, in attesa dell’identificazione
dello specifico agente eziologico e della sua sensibilità antibiotica.
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1.2.2 Meccanismi di azione
Di seguito, si procederà all’ analisi e alla classificazione dei principali antibiotici in relazione
al loro meccanismo d’ azione.
Gli antimicrobici più utilizzati (ECDC,2017) sono gli inibitori della sintesi della parete
cellulare, ovvero sostanze attive in grado di interferire con la corretta formazione di
quest’ultima. Tra essi ricordiamo le penicilline, le cefalosporine ed i carbapenemi.
Numerosi antibiotici, invece hanno come bersaglio il ribosoma batterico, ciò si traduce in un
meccanismo d’azione specifico per l’inibizione della sintesi proteica batterica. Possiedono
questa caratteristica le tetracicline, gli aminoglicosidi ed i macrolidi.
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Infine, si rende necessario trattare i Fluorochinoloni (Ciprofloxacina, Levofloxacina,
Moxifloxacina…) come gruppo antimicrobico a sé stante, poiché aventi un complesso ed
esclusivo meccanismo di azione. Essi presentano due bersagli nel DNA batterico,
identificabili rispettivamente nella topoisomerasi II e nella topoisomerasi IV. Il legame
Chinolone-TP IV comporta la perdita della capacità del batterio di replicarsi, mentre
l’enzima TP II inibito ne altera la crescita e la probabilità di sopravvivenza.
1.2.3 Resistenza agli antibiotici ed altri effetti avversi
I pazienti esposti all’assunzione di antibiotici presentano la possibilità di sviluppare una
varietà di effetti collaterali, in gran parte legati alla capacità di tali molecole di modificare
la popolazione batterica endogena (microbioma). Tale fenomeno aumenta il rischio di
diarrea, ed in particolare di “diarrea grave” da Clostridium difficile, un' importante
complicanza sia dal punto di vista economico che sanitario. Inoltre, il White paper ANA/
CDC (2017) riporta, basandosi sulle ultime evidenze scientifiche, che l’alterazione del
microbioma è potenzialmente in grado di condurre ad ulteriori severe complicanze, come
la colite pseudomembranosa e la sepsi.
Figura 1.3 Diffusione e possibili complicanze del Clostridium difficile.
Fonte:http://www.medicina360.com/clostridium-difficile.html
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Alcuni microrganismi possono presentare una spontanea resistenza agli antimicrobici,
come per esempio i batteri Gram negativi alla vancomicina. Tuttavia, ciò si verifica di rado;
più comunemente, avviene che batteri normalmente sensibili ad un particolare antibiotico,
sviluppino resistenza ad esso (Clark M.A et Al., 2012). La resistenza ai farmaci, può
svilupparsi mediante svariati meccanismi:
o Mutazioni spontanee del DNA: si verifica un’alterazione cromosomica intrinseca per
inserzione, eliminazione e/o sostituzione di nucleotidi del genoma batterico;
o Resistenza mediata da plasmidi
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o Inattivazione enzimatica: il batterio sviluppa enzimi in grado di inattivare la
molecola antimicrobica. Un esempio è rappresentato dai batteri produttori di β-
lattamasi (penicillasi), un enzima in grado di inattivare l’anello β-lattamico delle
penicilline;
o Minore accumulo: meccanismi come lo sviluppo di pompe di estrusione, riducono
notevolmente l’assorbimento del farmaco.
Tutto ciò, dunque, è alla base di un fenomeno sempre più attuale ed in crescente tendenza,
quale l’AMR, che coinvolge svariati settori, da quello agricolo (allevamenti bestiame)
alle strutture sanitarie. (fig.1.4)
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Frammenti di DNA circolante in grado di trasferire fattori R extracromosomici.
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