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Introduzione
L’ineluttabilità della morte è una consapevolezza che attraversa la vita di ogni
individuo, ed ogni individuo dovrà confrontarsi prima o poi, con la riflessione sulla
propria finitezza (Becker, 1973). Una riflessione pregnante, piena di significatività, da
cui è difficile esentarsi, che è parte costituente della vita stessa fin dal momento in cui
nasciamo.
Non sembra esserci mistero più grande in ogni cultura e in ogni manifestazione storica
della profonda realtà rappresentata dal trovarsi di fronte ad un evento che incarna la
radicale negazione della propria identità.
Osservando come la nostra attuale società va strutturandosi, è evidente come essa tenti
di allontanare il più possibile la morte dal quotidiano: nascondendo la morte si tenta di
esorcizzarne il suo potere di annientamento.
La morte rappresenta forse la prima e l’ultima certezza ontologica dell’uomo,
l‘innegabile realtà costituente la vita stessa, talmente pervasiva e al tempo stesso
inafferrabile, da aver suscitato l’abnorme e trasversale interesse da parte di moltissime
discipline in ambito scientifico, religioso, metafisico e filosofico.
Se con l’affermazione della morte riteniamo in qualche modo di stare negando negare la
vita, affermando la vita partoriamo in un certo senso la morte. In questo che emerge
l’ambiguità paradossale del suo statuto ontologico: nel suo non essere, la morte non può
fare a meno che manifestarsi essendoci.
Questo paradosso diventa ancor più evidente quando ci troviamo di fronte ai fenomeni
delle esperienze pre-morte (near-death experiences - NDE). Nella sua antologia dei testi
vedici, Panikkar (2001), esprime l’idea che un desiderio di vivere non accompagnato da
un pari desiderio della morte, non rappresenti un reale desiderio di vivere, ma sia
piuttosto da considerarsi come il prodotto di un‘ immaginazione che tenta a tutti i costi
di aggrapparsi ad una vita illusoria.
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La fenomenologia delle NDE e le sue conseguenze, riflettono in un certo senso i
contenuti di questa affermazione, poiché nella maggior parte dei casi i sopravvissuti alla
morte, dopo aver vissuto una NDE, attribuiscono nuovi significati alla propria vita,
intraprendendo processi di rivisitazione della propria scala di valori e vanno incontro a
trasformazioni della propria attitudine spirituale (Wilde & Murray, 2009).
Le esperienze NDE vanno perciò inserite nella più ampia discussione inerente la natura
della morte e le sue implicazioni mediche, psicologiche, religiose e metafisiche e
mostrano una costellazione fenomenologica complessa e di difficile indagabilità.
La fenomenologia delle NDE lascia quindi aperte molte domande e può essere studiata
da prospettive marcatamente differenti, non sempre facilmente ricollegabili tra loro.
Come ricorda il filosofo Ceruti (2009) vi è un’irriducibile pluralità di punti di vista,
linguaggi, modelli, temi, immagini che concorrono-cooperando, ma anche
contraddicendosi, alla produzione delle conoscenze nello studio dei fenomeni
complessi.
Si può pertanto spaziare da domande squisitamente psicologiche e filosofiche (la morte
e le esperienze pre-morte sono quindi risorse esistenziali e metafisiche di intraducibile
valore per potenzialità realizzative del sé?) a domande di fisiologia e di neuroscienze (in
questi processi il coinvolgimento dei correlati cerebrali quale ruolo svolge e fino a che
punto è possibile ridurre le esperienze pre-morte alla sola attività cerebrale?)
Una provocazione epistemologica da cui ci si ritrae quasi sospesi, tra certezze discrete e
possibilità nuove.
Le colonne della conoscenza che la scienza ha eretto nel corso della storia, sono state
spesso oggetto di falsificazioni progressive che hanno rappresentato proprio la premessa
di base per procedere ad un ampliamento successivo del corpus conoscenziale delle
varie discipline (Facco, 2012) fino alla creazione di nuovi paradigmi (Kuhn, 1962).
La vittoria di una nuova verità scientifica raramente è stata ottenuta tramite la semplice
negazione della sua plausibilità ed è piuttosto quando ciò che si oppone a questa stessa
plausibilità non ha più senso di esistere e quindi decade la sua forza oppositiva, che si
assiste alla nascita di una nuova generazione di idee (Plank, 1949).
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Questa considerazione ci porta alla prima questione de al nostro tema di indagine che
già si delinea tutta la sua complessità: le NDE sono esperienze che possiamo
considerare reali? E in che modo reali? O ancora, che cosa intendiamo per reale
(Reghini, 1920)? Quali sono state quindi le diverse ipotesi avanzate dai ricercatori per
spiegare questo fenomeno?
I recenti progressi tecnologici e l’evolversi degli studi neuroscientifici, nell’interrogarsi
sulla probabile origine delle esperienze pre-morte, hanno potuto più recentemente
sottoporre alla ricerca diverse ipotesi relative ai correlati cerebrali implicati.
Esiti molto interessanti sono emersi dalle ricerche in ambito medico e neuroscientifico,
che nell’ultimo trentennio, hanno assistito ad una crescita esponenziale di interesse da
parte dei ricercatori, giungendo a fornire interpretazioni biologiche quasi per ogni
aspetto tipico delle NDE.
Ma la diatriba tra spiritualisti e scienziati rimane aperta e di difficile soluzione.
La natura stessa delle NDE, infatti, ci impone che ne sia fatto oggetto di studio ed
interesse multidisciplinare: medicina, psicologia, filosofia, religione e metafisica sono i
principali ambiti in cui si colloca l’attuale riflessione e la ricerca.
Sarebbe infatti limitativo, oltre che in un certo senso utopistico, determinare
aprioristicamente se le NDE rappresentino un fenomeno solamente fisiologico o
solamente metafisico.
La scienza può sostenere e fare evolvere la sua ricerca impeccabilmente, ma ad un certo
punto si scontrerà inevitabilmente con quel limite intrinseco, che qualifica l’esperienza
della morte come una condizione in gran parte misteriosa le cui implicazioni
metafisiche non possono essere risolte mai del tutto tramite il solo vaglio
verificazionista. Non si tratta tuttavia di un tentativo dialettico allo scopo di eludere
potenziali e innovativi tentativi di analisi scientifica. Piuttosto di una consapevolezza
necessaria ad ogni ricercatore che non voglia ricadere in dogmatismi di basso livello o
riduzionismi di matrice materialistica.
Da una parte, il fatto che la maggior parte delle informazioni sulle NDE provengano da
fonti aneddotiche o episodi riportati trasversalmente da terzi va ad alimentare un circolo
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vizioso di atteggiamenti e opinioni che tendono a svalutarne la validità clinica e
scientifica (Facco, 2012).
Dall’altra, il dominio del paradigma materialista- meccanicistico in ambito scientifico,
ha contribuito spesso a sminuire quando non direttamente a negare, il profondo valore
dei significati esistenziali, religiosi e metafisici di cui le esperienze pre-morte sono
portatrici.
La mancanza di un dialogo critico tra le discipline che si sono occupate del fenomeno
NDE, ha visto la nascita di un panorama alquanto poliedrico di teorie e modelli in
ambiti diversi, che insieme, possono offrirci una visione complessiva del fenomeno. Se
non sono mancati autori che hanno saputo validamente integrare relativi contributi
provenienti da prospettive ritenute tradizionalmente incompatibili, più spesso il
pregiudizio ha alimentato processi di frammentazione della conoscenza, offrendo solo
prospettive parziali e perdendo di vista la complessità del fenomeno.
Da un certo punto di vista questa situazione è la trasposizione in un ambito specifico,
del secolare conflitto tra fede e scienza, che nel caso delle NDE assume i connotati di
un‘incompatibilità sostanziale tra prospettive metafisiche e prospettive materialiste.
Nella pratica clinica, questo schieramento teorico si traduce spesso in un atteggiamento
restio dei sopravvissuti a raccontare le loro esperienze per il timore di essere ritenuti dei
folli (Facco, 2012).
La grandezza del corpus conoscenziale accumulato in secoli di teorizzazioni e ricerche
deve confrontarsi inevitabilmente con il significato della condizione umana, e misurarsi
con ciò che quella conoscenza ha significato per l’uomo nel suo complesso. Questa
considerazione è importante poiché la ricerca del significato della vita e della morte, è
parte della natura stessa dell’uomo, qualunque sia l’approccio che si scelga di utilizzare.
Negare a priori che qualcosa possa avere realmente significato o vincolarne il valore ad
aspetti parziali e riduzionistici, pone innumerevoli limiti alla visione, oltre che
rappresentare una squalifica motivata dal solo pregiudizio, di tutta quella profondità di
vissuti ed esperienze di cui l’uomo è potenzialmente capace.
Dove la conoscenza ha rappresentato un limite per l’espressione delle idee, generando
ed alimentando visioni pregiudiziali piuttosto che dubbi e interesse, dove essa ha
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vincolato la capacità realizzativa dell’uomo e del suo pensiero, piuttosto che aprirlo ad
una maggiore ampiezza di prospettive, essa ha tradito la sua stessa natura e il fine per
cui è nata.
Se quindi non possiamo esimerci dal considerare il valore sostanziale ed epistemologico
che le esperienze pre-morte possiedono in quanto eventi che avvengono nella coscienza
dell’uomo, ciò di certo non significa escludere la grandissima utilità rappresentata
dall‘indagine scientifico-medica delle cause cerebrali.
Ma se la deriva epistemologica di una teoria in una direzione, sia essa religiosa,
metafisica o materialista, deve condurre alla negazione del valore di tutto ciò che non
aderisce ad essa, siamo di fronte a dogmi e la natura del dogma è l’assunto di
indubitabilità.
Se la morte è una certezza, se è forse il primo candidato dell’umanità adatto a tradursi in
affermazioni dogmatiche, le esperienze pre-morte ne hanno messo in crisi il
dogmatismo, creando innumerevoli aree di ambiguità, alimentando una molteplicità di
dibattiti, ricerche e tentativi di spiegazione.
Queste considerazioni fanno da cornice concettuale a quella che è l’impostazione
strutturale adottata in questa tesi, dove la scelta di ripercorrere le principali prospettive
interpretative adottate per spiegare le esperienze pre-morte, è motivata dalla necessità di
ricostruire una visione complessiva del fenomeno, restituendo così in tutta la sua
ampiezza la dignità ontologica ad un tema che è stato per lungo tempo oggetto di
sistematico abuso da parte del pregiudizio.
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Capitolo 1.
Che cosa sono le near-death experiences
(NDE)
1.1. introduzione
A partire dalla fine del diciannovesimo secolo, compaiono numerose testimonianze
sulle NDE provenienti dall’esperienza di illustri professionisti, tra cui molti medici,
come Wiltse, Heim, Jung, Rodin, Geddes (Paciolla, 1995; Hannah,1980; Wher,1987;
Charlier, 2014).
Le NDE non hanno avuto facile accesso alla credibilità pubblica a causa dell’influenza
inibitoria esercitata, per moltissimo tempo, da un ambiente culturale e scientifico
intenzionato a sminuirne e negarne la significatività.
Nonostante la presenza di innumerevoli testimonianze all’interno della popolazione dei
sopravvissuti sia sempre stata molto elevata, esse sono rimaste poco studiate all’incirca
fino alla metà degli anni settanta (Facco, 2010; Facco, 2012).
Il clima instauratosi con l’era dell’illuminismo e l’egemonia ottenuta successivamente
dalla visione positivista, con la conseguente svalutazione di tutto ciò che non è
dimostrabile in modo empirico, ha in un certo senso sommerso e messo al bando il
fenomeno delle near-death experiences.
Se ancora oggi, nel post-modernismo, alcuni pregiudizi permeano l’ambiente
scientifico, possiamo immaginare quanto il clima positivista dell’epoca possa aver
inibito e rallentato la crescita e la ricerca sul fenomeno delle esperienze pre-morte.
Il pregiudizio, contribuisce ad alimentare un circolo vizioso di atteggiamenti e
comportamenti, sia da parte dei clinici che all’interno del contesto familiare dei
sopravvissuti: elementi che non aiutano i pazienti, nel processo di accettazione ed
integrazione delle esperienze NDE nella loro vita (Griffith, 2009).
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È soltanto in epoca più recente che fanno la loro comparsa testi e articoli sulle NDE in
ambito medico, psicologico o parapsicologico (Facco, 2010).
Il termine “near-death experiences“ è stato coniato da Raymond Moody, con la
pubblicazione della sua opera La vita oltre la vita (Moody, 1975), dove attraverso
l’analisi di una casistica di oltre cento persone che hanno avuto NDE, vengono
successivamente individuati quindici elementi che ricorrono con frequenza durante
questa esperienza.
La tematica delle NDE ottiene in questo modo una notevole notorietà e viene resa
celebre un argomento che fino a quel momento aveva ricevuto un‘attenzione abbastanza
limitata da parte del pubblico e della comunità scientifica.
Divenuto rapidamente un best-seller, il libro di Moody, solleva in un certo senso il velo
dell’ignoranza, diffondendo un‘evidenza cui non era stato dato sufficiente rilievo e nel
fare questo, apre nuovi interrogativi e dibattiti sul fenomeno.
Il libro di Moody è in un certo senso il primo serio tentativo di descrizione
fenomenologica delle esperienze pre-morte, secondo criteri rigorosi ed obbiettivi:
l’estesa casistica presa in considerazione e la sistematicità delle analisi, fanno del lavoro
pioneristico di questo autore un‘opera di riferimento nel panorama della letteratura sulle
esperienze pre-morte.
Appare chiaro il valore di questa ricerca se consideriamo che il testo nasce all’interno di
un ambiente culturale dove la posizione dominante attribuiva al fenomeno NDE origini
prevalentemente patologiche escludendolo a priori dalla possibilità di qualsiasi
argomentazione scientifica, inserendolo tout court nel paranormale (Facco, 2012).
A partire dalla fine degli anni 70‘, dopo questo nuovo impulso alla letteratura sulle
esperienze pre-morte, si moltiplicano gli studi. Prima con la diffusione delle indagini
retrospettive e successivamente con la comparsa di ricerche prospettiche che impiegano
metodi di maggior rigore scientifico (Facco, 2010; Parnia et al., 2001, 2007; Parnia &
Fenwick, 2002; Rodin, 1980; Greyson, 1983b, 1993, 2003a, 2003b; Sabom, 1998; Van
Lommel et al., 2001; Van Lommel, 2004, 2011; French, 2005; Agrillo, 2011, Facco &
Agrillo, 2012).
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Nella letteratura sui casi di arresto cardiaco, che furono quelli dove la ricerca sulle NDE
si concentrò maggiormente, spiccano per rigore metodologico ed accuratezza descrittiva
le ricerche di Van Lommel & Parnia (Van Lommel, 2001; Parnia et al., 2007),
focalizzate sulle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle NDE.
Tutte queste interpretazioni, nonostante provengano dall‘applicazione di metodi rigorosi
di ricerca scientifica e nonostante la validità oggettiva dei risultati ottenuti, rimangono
pur sempre di natura speculativa: valide ipotesi indiziarie che vanno nella direzione di
una potenziale risposta definitiva, ma che contengono però al loro interno il vincolo di
una parziale dimostrabilità (Facco & Agrillo, 2012).
La relazione che intercorre tra mente e cervello non è ancora stata compresa
completamente, nonostante i grandi progressi neuroscientifici in tale direzione, e molti
sono i quesiti aperti su come le alterazioni dei correlati celebrali possano indurre i
qualia dell’esperienza soggettiva cosciente (Chalmers, 1995, 1999; Van Lommel, 2004;
Facco, 2010; Damasio, 2012).
È necessaria un‘ulteriore considerazione di valenza storica circa l’evoluzione che l’uso
del termine “near-death experiences“ ha avuto nel tempo: le implicazioni che derivano
dagli usi terminologici riferiti ai concetti non sono infatti problemi secondari
nell’ambito della ricerca. Allo stato attuale manca ancora univoco accordo sulla
definizione di NDE in letteratura (Agrillo, 2011).
Si parla infatti genericamente di “near-death experiences“ per riferirsi a stati alterati di
coscienza causati dalla presenza di condizioni critiche che minacciano la vita (Greyson
& Stevenson, 1980, Agrillo, 2011).
Parallelamente a questo problema, si pone l‘ineludibile questione su come vada inteso il
concetto di stato alterato di coscienza e fino a che punto si possa ritenere che le near-
death experiences ne facciano parte. Secondo Facco (2010), ad esempio, non si
tratterebbe soltanto di processi di alterazione della coscienza, dato che i soggetti che
hanno avuto una NDE non solo in molti casi erano del tutto incoscienti, ma nei loro
racconti mostrano di avere accesso ad una lucidità straordinaria.
Nei decenni passati tutta una serie di esperienze tra cui ipnosi, meditazione, sogno e
esperienze pre-morte erano ritenuti stati alterati di coscienza (Facco, 2012).