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Introduzione
Con la presente ricerca, di tipo compilativo, ci si è posti due
obiettivi: il primo, volto alla raccolta di una serie di elementi funzionali alla
descrizione dello “stato dell’arte” inerente lo specifico carattere dell'azione
amministrativa pubblica definito con il termine "discrezionalità"; il
secondo, teso alla definizione delle c.d. patologie vizianti degli atti
amministrativi, questi ultimi quali strumenti dell’esercizio del potere
pubblico. Ciò tenendo in particolare considerazione le modifiche
intervenute nel corpo della legge n.241 del 7 agosto 1990, "Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi", a seguito dell’entrata in vigore della legge n.15 dell’11
febbraio 2005.
La ricerca svolta è stata diretta ad evidenziare gli elementi più
rilevanti attinenti l’esercizio di quel potere attribuito dal legislatore
all’apparato burocratico, volto alla tutela degli interessi premessi e definiti
dall’assemblea dei rappresentanti dei consociati.
Con particolare riferimento al carattere discrezionale dell’attività
amministrativa, si precisa che l’interesse verso tale argomento nasce dalla
consapevolezza che lo svolgersi quotidiano delle innumerevoli attività,
nell’ambito del gruppo sociale di appartenenza, sia esso a livello nazionale
che internazionale, determina, necessariamente, il possesso della capacità
delle strutture burocratiche amministrative di farsi veri ed equilibrati
interpreti di quei principi, quelle norme e di tutte quelle regole che sono
poste al fine di permettere alla società odierna di sperare, per il futuro, nello
sviluppo economico, sociale e politico favorevole agli individui che ne
fanno parte. E’ indubbio, quindi, che nonostante siano spesso svolte critiche
al sistema burocratico e politico, dovute con frequenza a fatti riconducibili a
comportamenti individuali illeciti assolutamente censurabili, è un fatto che,
nella società attuale, l’esistenza della connessione tra politica ed
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amministrazione e l’esistenza degli apparati amministrativi burocratici,
siano un’esigenza insostituibile per l’ordinato svolgersi della vita di
ognuno. Inoltre, in tante occasioni, la capacità di realizzazione di quei
principi di imparzialità e buon andamento contenuti nella nostra Carta
Costituzionale rappresentano la dimostrazione della concreta possibilità che
la trasposizione concreta di tali principi sia, oltre che possibile, necessaria
per garantire una civile convivenza tra individui con aspirazioni, idee e
valori eterogenei. E’ in tal senso che il corretto esercizio del potere
attribuito alle istituzioni, esplicato in quella particolare forma, quella
discrezionale, che le vede protagoniste della funzione di ponderazione degli
interessi, viene in rilievo in tutta la sua importanza.
L’analisi degli aspetti patologici dell’atto amministrativo è stato il
logico prosieguo del lavoro svolto nella prima parte di questa ricerca.
L’interesse verso gli elementi di invalidità degli atti amministrativi nasce
dalla sensazione che l’accertata invalidità, soprattutto nel caso di vizi di
legittimità, rappresenta, di fatto, una sorta di “sconfitta” del sistema.
Sconfitta che si concretizza appunto nell’atto invalido, quale esito non
positivo dell’esame giurisdizionale e, in tal modo, del vaglio posto in essere
da un’autorità super partes rispetto alle parti in azione. Sconfitta, nel senso
che non rappresenta certo l’esito che il legislatore ha previsto, allorquando
ha provveduto a dislocare quell’insieme di procedure, all’interno del
procedimento amministrativo, al fine di consentire all’amministrazione
l’adozione di un provvedimento ponderato, legittimo e ragionevole.
Secondo una diversa logica però, osservando tale argomento da un punto di
vista diametralmente opposto, si potrebbe affermare che l’invalidità, o
meglio la possibilità offerta dal sistema di verificare la legittimità dell’atto
amministrativo, nel caso di presenza di vizi, sia da considerarsi una
“vittoria” del sistema, per la sua capacità di rappresentarsi quale struttura
organizzata in grado di offrire garanzie di democraticità. In conclusione
appare lecito affermare che entrambe le interpretazioni sopra esposte, di
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fatto, convivono all’interno del sistema e giustificano l’esistenza
dell’ordinamento e della giurisdizione amministrativa. Nel complesso tali
visioni delineano i termini od i limiti oltre i quali l’attività amministrativa
non può che tradire la propria funzione e diviene qualcosa di diverso, di non
conforme, di arbitrario rispetto a quanto invece voleva essere l’intento del
legislatore.
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Capitolo I° - Principi costituzionali e discrezionalità
amministrativa
1.1- Il principio democratico.
Il primo dei principi enunciati dalla Carta Costituzionale è il
principio democratico (art.1). Esso delinea la distinzione tra cariche elettive
e pubblici uffici il cui accesso è stabilito per concorso (art.97). Ciò
comporta pertanto l’instaurazione di una condizione di sovraordinazione
delle cariche elettive nei confronti dei pubblici uffici
1
. Ciò implica che
compete all’organo di governo stabilire e perseguire l’unità di intenti di
ordine politico e amministrativo, quest’ultimo, attraverso l’attività
dell’amministrazione. L'apparato burocratico, funzionale a quello politico, è
pertanto reclutato in base ad un criterio diverso da quello democratico, il
cd.criterio meritocratico. In tale connessione funzionale l’apparato
amministrativo è governato da principi, quali l’imparzialità ed il buon
andamento e da altri principi generali (cfr. Cap.II°, par.2.2, cui si rimanda)
che non sono in alcun modo correlati alle modalità ed ai principi che invece
regolano l’elezione alle cariche elettive.
Si è ritenuto quindi che, sottraendo alla classe politica l’attività
meramente gestionale e conferendo la responsabilità di tale attività
all’apparato burocratico, costituito da soggetti reclutati in base alle capacità
professionali, si sarebbe potuto assicurare un’amministrazione meno
soggetta a fenomeni di commistione tra affari e politica o comunque meno
soggetti a pressioni di tipo elettoralistico che potessero avere un impatto
decisamente negativo anche sulle singole decisioni amministrative
2
.
1
G.CORSO, Manuale di Diritto Amministrativo,Torino 2015
7
, p.155
2
L.BUSICO, Brevi riflessioni sul principio di distinzione tra politica e gestione negli enti pubblici
a quindici anni dalla sua introduzione, 2006, (www.diritto.it) [25/02/2017]
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Le riforme di cui alla legge n.142/1990 e del decreto legislativo
n.29/1993 hanno, inoltre, voluto avvicinare le amministrazioni pubbliche al
modello aziendalistico di gestione delle imprese private, attribuendo ai
dirigenti, titolari delle attività gestionali, un ruolo spiccatamente
manageriale.
Va ricordato che nella nostra Costituzione vige inoltre il principio
della separazione dei poteri, principio comune a tutti gli ordinamenti liberal
democratici. Non è rintracciabile, all’interno del corpo del testo
costituzionale, un espresso richiamo a tale principio, ma una serie di
previsioni ne danno attuazione. La separazione dei poteri prevede la
reciproca indipendenza del potere legislativo, del potere esecutivo-
amministrativo e del potere giudiziario.
In quest’ottica la Costituzione, nella definizione degli organi e degli
apparati dello Stato, conferma che l’amministrazione è funzionalizzata al
potere esecutivo, infatti sotto il titolo (III della parte II) del «governo» sono
contemplati: il Consiglio dei ministri, la pubblica amministrazione e gli
organi ausiliari. Anche l'organizzazione dei poteri esprime tale connessione
allorquando individua, tra i poteri affidati al Presidente del Consiglio, quelli
di unità di indirizzo politico e amministrativo oltreché di promuovere e
coordinare l’attività dei ministri. Come noto, i ministri possiedono una
doppia veste: la prima, ravvisabile nell’assunzione della responsabilità
collegiale degli atti del Consiglio dei ministri, la seconda, allorquando essi
assumono, con l’incarico, la responsabilità individuale per gli atti dei
rispettivi dicasteri. Scaturisce chiaramente allora il collegamento tra
indirizzo politico e quello amministrativo, espressione del vincolo esistente
tra l’attività politica e quella amministrativa. La connessione ora esaminata
si ravvisa anche nelle altre strutture politiche a livello territoriale e locale
laddove spesso si ricostruisce il medesimo meccanismo, riservando cioè
all’organo consigliare un maggior potere di indirizzo politico ed all’organo
esecutivo la possibilità di attribuzioni di carattere amministrativo in date
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condizioni. Infatti nella legge 388 del 23 dicembre 2000, all’art.53, comma
23, viene concessa la possibilità, anche in deroga a quanto disposto all’art.3,
commi 2, 3 e 4 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive
modificazioni, e all’art.107 del decreto legislativo n.267/2000,
sull’ordinamento degli enti locali, con il fine di operare un contenimento
della spesa per gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila
abitanti, di adottare disposizioni regolamentari organizzative, attribuendo ai
componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi
ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
1.2 - Il principio di legalità
Appare rilevante, nell'esame del quadro costituzionale
dell'amministrazione, il rapporto tra legge e amministrazione che traspare
dalla norma costituzionale (art 97, comma 2), nel momento in cui dispone
che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in
modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità
dell'amministrazione».
Si tratta della disposizione costituzionale più significativa e di
valenza generale che presiede a tutto l’impianto organizzativo e funzionale
degli enti pubblici. Se non esistessero le norme costituzionali e le norme
regolatrici poste da leggi, l’amministrazione pubblica avrebbe un potere
assoluto ed indeterminato di organizzare se stessa in ragione dei fini e delle
funzioni ad essa affidati.
La previsione che l'organizzazione amministrativa sia disciplinata
dalla legge o comunque secondo disposizioni di legge è inoltre coerente con
il citato principio democratico; infatti se è vero che è la legge, nei limiti
stabiliti dalla Costituzione, che determina fini e interessi generali, e
l'amministrazione, quale apparato funzionale, cioè costituente lo strumento
attraverso il quale tali fini vengono perseguiti, è di tutta evidenza che
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l'organizzazione e l'ordinamento della pubblica amministrazione debbano
essere disciplinate dalla legge.
Ciò anche in ossequio al principio della certezza giuridica,
principio posto a tutela del cittadino il quale deve poter svolgere la propria
vita all'interno di regole conosciute in anticipo in modo da potersi
conformare ad esse e non subire alcuna sanzione per l'inosservanza di
norme da lui non conosciute.
Affermare che l'organizzazione e l'ordinamento della pubblica
amministrazione debbano essere disciplinate dalla legge, oltre che stabilire
una riserva di legge, comporta che le linee fondamentali di tali
organizzazioni potranno essere determinate dal Parlamento e non dal
Governo, disegnando così una distribuzione del potere politico tra organi
costituzionali.
A fronte della previsione di una riserva di legge in ordine
all’organizzazione degli uffici, si pone la questione di identificare quali
uffici debbano essere regolati, anche in ragione al fatto che il termine
“ufficio” si presta ad interpretazioni più o meno ampie. La Corte
Costituzionale intervenuta sul tema ha ritenuto infatti che non tutti gli uffici
pubblici debbono essere regolati dalla legge; pertanto gli uffici senza
rilevanza esterna, ossia meri uffici, non avranno la necessità di essere
istituiti e disciplinati dalla legge. E’ quindi attraverso la qualificazione della
funzione degli organi che è possibile identificare quelli che devono essere
disciplinati con legge.
Sussiste quindi, in tema di organizzazione degli uffici, una riserva
di legge relativa. La riserva presuppone vi sia una quota di funzioni da
regolare, un limite stabilito dalla legge. Ciò non comporta che
l’amministrazione nella parte in cui non opera la regolamentazione sia
completamente libera.
Occorre notare che, in tal caso, si verterebbe nell’attribuzione di un
ambito decisorio sostanzialmente autonomo e libero ovvero, nel caso di
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imposizione di spazi estremamente ridotti, dove relegare l’ambito operativo
dell’attività discrezionalità, la regolamentazione diverrebbe completamente
vincolante. Le due ipotesi limite sono entrambe non funzionali poiché
verrebbe pregiudicato il principio di buon andamento; infatti, nel primo
caso prospettato, l’amministrazione si troverebbe ad operare senza una
guida, senza una base di principi e criteri direttivi; la seconda ipotesi
condurrebbe invece alla preclusione della funzione amministrativa di
adeguamento della struttura al fine di perseguire al meglio la cura degli
interessi affidati.
Sulla questione la Corte Costituzionale, (sent.n.150/1982) ha
enunciato il principio di legalità sostanziale; esaminando il ricorso proposto
da alcune Regioni contro un atto statale di indirizzo e coordinamento delle
funzioni regionali, ha ritenuto che l’uso dell’atto amministrativo, con cui
quella funzione viene esercitata, è giustificato solo se si trova un legittimo
ed apposito supporto nella legislazione citata.
La legge nell’istituire un organo deve quindi, necessariamente,
provvedere ad affidargli una platea di specifiche potestà tese alla cura degli
interessi considerati. Non solo la potestà deve essere attribuita all’organo,
ma deve altresì essere definito l’ambito delle competenze ossia
l'indicazione della specie di provvedimenti che i singoli organi potranno
adottare
3
. L'attribuzione della potestà è quindi finalizzata al
soddisfacimento di un determinato interesse pubblico, pertanto l’esercizio
del potere diviene doveroso, costituisce cioè elemento di obbligatorietà a
carico dell’amministrazione, obbligo oggi fondato nell'art 2 della legge
n.241/1990 dove è previsto: «Ove il procedimento consegua
obbligatoriamente ad un'istanza ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la
pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione
di un provvedimento espresso» .
3
G.CORSO, Manuale di Diritto Amministrativo,op.cit. p.188.