3
rappresentazione: la trasmissione del patrimonio mitico-culturale
che, in termini rappresentativi, “è uno degli elementi più costanti
del teatro di tutti i popoli”,
3
impedisce la dissoluzione del tessuto
sociale e tramanda le norme del comportamento morale.
Quando l’analfabetismo era pressoché universale, il teatro aveva
come unico concorrente, per la trasmissione del sapere, la
narrazione orale dei cantastorie. Da quando il cinema, i fumetti e la
televisione hanno preso il sopravvento sulla forma espressiva che
realizza mimicamente la narrazione, il teatro ha provato a ristabilire
un proprio radicamento nella comunità, attraverso varie forme,
creando figure che richiamano in modo esplicito proprio il
cantastorie.
Tutto sembra far pensare che, episodio di un conflitto millenario, si
partecipi oggi ad un ritorno in forza dell’oralità, eterna depositaria
della tradizione e della memoria storica che, nell’era dei media, è
stata meglio definita: “seconda oralità elettronica”;
4
come mette in
2
Cfr. P. Szondi, Teoria del dramma moderno 1880-1950, Einaudi Editore,
Torino, 1962.
3
C. Molinari, Teatro. Lo spettacolo drammatico nei momenti della sua storia
dalle origini ad oggi, Milano Arnoldo Mondadori Editore, 1972, p.10.
4
«Il termine “oralità primaria” appartiene alle civiltà primitive e all’oralità
prima dell’avvento della civiltà chirografica. È tale per contrasto all’“oralità
secondaria” o di ritorno dell’attuale cultura tecnologica avanzata incoraggiata
dal telefono, dalla radio, dalla televisione e da altri mezzi elettronici la cui
esistenza e il cui funzionamento dipendono dalla scrittura e dalla stampa.»
(P. Zumthor Introduction à la poésie orale, 1983,Paris, Editions du Seuil; trad.
it La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale. Bologna, Il
Mulino,1984 p.28).
4
evidenza Renato Barilli, spesso considerata erroneamente: “una
specie di punizione all’eccesso di tecnologia”.
5
Il teatro di narrazione, di cui si parlerà in modo più approfondito nei
capitoli successivi, permette di rilevare un’interazione significativa
tra due sistemi di comunicazione diretta: la televisione e il racconto
orale. Proprio come ha teorizzato Ong nei suoi studi sullo sviluppo
tecnologico della parola.
Dal momento in cui, dopo l’età industriale, le nuove masse metro-
politane, prive di identità e di tradizioni cittadine, hanno ricercato
proprio nell’appartenenza alla massa la loro stabilità, il flusso della
comunicazione si è rivolto decisamente a questa compattezza. E,
dalla seconda metà del Novecento, la televisione si è impossessata
di tale dominio, anche grazie alla velocizzazione della vita.
Come spiegano Colombo ed Eugeni, in una possibile teoria della
trasformazione del visibile, “le forme dell’immagine ruotano
intorno alla sua centralità di massa, che però contamina anche i suoi
luoghi più tradizionali”.
6
In modo talvolta indiretto gli eventi teatrali, analizzati nella seconda
parte del lavoro, seguono il percorso dell’oralità e il passaggio
televisivo ne è un’ulteriore conferma soprattutto alla luce di quanto
Zumthor sintetizza:
5
R. Barilli in “Introduzione all’edizione italiana” di W. Ong Interfaces of the
Word, Cornell University Press, Ithaca e London, 1977; trad. it. Interfacce del-
la parola, Bologna , Il Mulino, 1989, pp. 9-18 .
6
F. Colombo ed R. Eugeni, Il testo visibile, Roma, ed. NIS, 1996, p.37.
5
in un mondo di oralità primaria, il potere della parola non ha come limi-
te che la sua mancanza di permanenza e la sua imprecisione. In un re-
gime di oralità secondaria, la scrittura funge da imperfetto correttivo a
queste manchevolezze. L’oralità mediata garantisce la precisione e la
permanenza del messaggio, a costo di un asservimento alla quantità e ai
calcoli dei tecnici.
7
Senza entrare nello specifico di quelli che potrebbero essere gli
sviluppi del teatro in questa era “post-moderna”,
8
ci si soffermerà
sulla forma variamente definita “di narrazione”, “civile” o
“politica” in quanto essa ha in sé l’essenza della comunicazione
orale primaria: l’attore mi parla e genera un’esperienza, tramanda
un sapere, trasmette memoria:
nell’incessante discorso che la società tiene su se stessa, ciò di cui sente
il bisogno è di tutte le voci portatrici di messaggi strappati all’erosione
dell’utilitario […]. E’ un bisogno profondo, la cui manifestazione più
rivelatrice è senza dubbio l’universalità e la perennità di ciò che noi de-
signiamo con il termine ambiguo di teatro”.
9
Tramite quella che Roland Barthes definiva «polifonia
d’informazione», questo teatro appare, in maniera complessa ma
sempre preponderante, come una “scrittura del corpo: una scrittura
che inserisce la voce, portatrice del linguaggio, in un grafismo trac-
7
P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, cit., p.28.
8
R. Barilli in “Introduzione all’edizione italiana” di Ong, Interfacce della
parola, cit., pp.9-18, inserisce e adatta i termini “modermo” e “post-moderno”
riferendoli rispettivamente all’età della scrittura tipografica e all’era della
seconda oralità elettronica.
9
P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, cit., pp.
61-63
6
ciato dalla presenza di un essere umano, nella pienezza di ciò che lo
fa tale. È in questo che il teatro rappresenta il modello assoluto di
ogni forma di poesia orale”.
10
E, a conferma della trasformazione della comunicazione, è interes-
sante l’esempio proposto da Zumthor relativamente agli indiani
Cuma, del Panama. Queste persone, operai nella capitale, rappre-
sentano l’esigenza di un passaggio, o meglio di un ritorno,
all’oralità. Il loro contatto con il villaggio d’origine, prima
conservato attraverso la comunicazione epistolare, è oggi
mantenuto tramite delle cassette registrate. La trasmissione della
propria voce ha permesso di ritrovare qualcosa dell’arte degli
antichi cantastorie, dimostrando come: “la funzione dello scritto,
nel momento della sua sovrapproduzione, perde ogni evidenza,
mentre la voce ritrova la sua, in maniera selvaggia, alla ricerca
incerta della sua pienezza biologica […] la scrittura rimane e
ristagna; la voce fiorisce viva”.
11
In aggiunta a questo è importante sottolineare che l’utilizzo del
mezzo televisivo permette quella “riproducibilità tecnica” di cui
parlava Benjamin,
12
ossia un ulteriore livello di attestazione.
È utile ribadire che, mentre la memoria individuale può tradire e la
memoria collettiva adatta il passato in base alle sue esigenze sociali,
la riproducibilità, o comunque l’applicazione tecnologica, incide
oggettivando in modo significativo la memoria.
10
ibidem
11
ibidem
12
W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,
Torino, Einaudi 1966.
7
Nell’ultimo secolo lo studio delle tradizione orale e della persisten-
za della narratività ha coinvolto gli studiosi di numerosi rami di in-
teresse. Questo è sicuramente dovuto alla capacità del racconto di
proporsi come terreno di sperimentazione e punto di riferimento
della società.
“Le fiabe sono vere”, sostiene Calvino. Infatti, nell’introduzione
alla raccolta di fiabe italiane,
13
egli più volte mette in evidenza
come ogni fiaba, ogni racconto che viaggia di bocca in bocca e di
paese in paese, costituisce un mosaico stratificato di cultura,
conoscenze e tradizioni:
sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia
casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in
tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino
a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una
donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino:
la giovinezza, dalla nascita che sovente porta con sé un auspicio o una
condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi
maturo, per confermarsi come essere umano.
14
Questo spiega il motivo per cui il racconto, e più in generale la
tradizione narrativa orale, come espressione comunicativa, riesca a
sopravvivere alle forme di vita primitiva e persista ancora in molte
società anche dopo la scoperta della scrittura.
Dunque l’evento teatrale, che nasce come gesto religioso, rituale e
fondamentalmente comunitario, è posto al centro di un fatto cultura-
13
Nei primi anni ’50 Einaudi affidò a Italo Calvino l’impresa della raccolta
delle Fiabe italiane, conclusasi negli anni ’70.
8
le, sempre meno esperienza esistenziale e sempre più fatto comuni-
cativo.
Per un lungo periodo, le scuole che hanno studiato i rapporti tra il
racconto e i riti della società primitiva non sono riuscite a cogliere il
legame tra manifestazioni sociali e comunicazione. Riuscire a
contestualizzare la nascita del racconto e soprattutto ricostruire il
percorso della noesi orale, costituisce una grande occasione per
seguirne gli sviluppi e cogliere i meccanismi del suo perpetuarsi
proprio attraverso l’evento teatrale o più semplicemente
nell’interazione “faccia a faccia” teorizzata da Goffman negli studi
su “la vita quotidiana come rappresentazione”.
15
14
I. Calvino, Sulla fiaba, Torino, Einaudi, 1988, p.19.
15
l’evento teatrale in questione coincide, per le sue caratteristiche, con quella
che Goffman ha definito interazione “faccia a faccia” ossia “l’influenza
reciproca che individui che si trovano nell’immediata presenza altrui esercitano
gli uni sulle azioni degli altri”. (E. Goffman, La vita quotidiana come
rappresentazione, Bologna, Il Mulino, p.26)
9
1.
Teatro di narrazione come arte orale
Un’opera d’arte è buona
se nasce da necessità.
È questa natura della sua origine
a giudicarla: altro non v’è
(Rainer Maria Rilke, Lettere a un
giovane poeta).
1.1. Aspetti della questione:
Parry, Lord, Havelock
Per lungo tempo lo studio della tradizione orale è stato relegato a
una ricerca specialistica. Continue imprecisioni e incomprensioni
hanno reso sempre più difficile la creazione di un’unica poetica,
con il risultato che lo studio del folklore, delle tradizioni e dell’arte
verbale, fosse praticato più come un semplice approccio a studi
successivi, che come un vero e proprio campo di ricerca.
L’esigenza di spiegare il perpetuarsi di alcuni eventi, di origine
tradizionale, ha spinto la ricerca antropologica a cercare un’alleanza
con altre aree di competenza, dalla critica letteraria alla storia, la
filologia, e le teorie sociologiche e linguistiche. Si è creato, di
conseguenza, un quadro teorico relativo allo sviluppo di diverse
forme di comunicazione popolare, compreso un certo tipo di teatro,
con radici in contesti inusuali o comunque incomprensibili senza la
compartecipazione di queste molteplici prospettive di studio.
10
Sempre più spesso si fa riferimento al tradizionale e al popolare
come a qualcosa di appartenente al passato, alla memoria collettiva,
ma non si finisce mai di dare a questi termini le più svariate
accezioni.
Non sempre parlare di letteratura orale significa far riferimento ad
un testo non scritto ma tramandato di generazione in generazione
con vari mezzi e, nei secoli, si è spesso incorsi nell’errore di
relegare nell’ambito “folklorico” qualsiasi forma letteraria che
sfuggisse ai canoni istituzionali.
16
Rispetto ad una precedente modalità di studio, spesso troppo
specialistica, le ricerche più recenti hanno considerato l’oralità nella
sua dimensione più quotidiana, cioè come semplice mezzo di
comunicazione, privilegiando l’analisi sul campo che non pone
l’orale necessariamente in contrasto o a confronto con la scrittura.
È lecito supporre che l’interesse per le tradizioni orali e l’arte
verbale sia legato alla volontà di investigare le origini o il
“vecchio”.
Questo indica anche che le preoccupazioni storiche, spesso estre-
mamente speculative e generiche, hanno focalizzato il loro interesse
lontano dalle correnti forme di significato, attraverso la ricerca del
16
P. Zumthor in La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, cit.,
pp. 22-23, riassume la terminologia che sembra prevalere da alcuni anni a
questa parte soprattutto in America e dice: «sarà ‘folklorico’ il testo che è
oggetto di tradizione orale, ‘popolare’ il testo che è oggetto di diffusione
meccanica. Per altri, la ‘letteratura orale’ sarà invece un sottoclasse della
‘letteratura popolare’, mentre altri ancora si rifiuteranno di collegare queste
categorie, o riserveranno la denominazione di ‘primitiva’ a ogni poesia
puramente orale».
11
‘puro’, dell‘originale’ e del ‘tradizionale’ studiato nelle forme so-
pravvissute.
Con l’ascesa dei movimenti nazionalistici e socialisti nell’Europa
della seconda metà del XIX sec., molti autori si sono posti alla ri-
cerca delle radici tribali e linguistiche (germaniche, slave o celtiche)
in opposizione all’apporto greco-romano su cui si era posto
l’accento fino agli albori dell’età romantica, con una base teorica
nel romanticismo tedesco.
Caratteristica comune a questi approcci, dai più vecchi ai più
recenti, è una insufficiente considerazione del processo
comunicativo dovuto all’individuo.
Gli ultimi sviluppi, grazie anche alle mutate condizioni politiche,
storiche e sociali e alla tendenza generale alla globalizzazione,
hanno rivalutato, riformulandolo, il modello evoluzionistico (i primi
racconti provengono dai miti, lo sviluppo dell’epica trova origine
nelle canzoni folkloristiche e via di seguito).
Questo costituisce un background che aiuta la comprensione di
prospettive di più ampio respiro.
Estremamente influente si è dimostrato l’approccio ‘strutturalista’.
Attraverso la linguistica di De Saussure e la teoria letteraria sono
state studiate le condizioni e i significati di relazioni e
comportamenti umani proprio come la grammatica e la sintassi
nella comunicazione linguistica.
La maggior parte degli studi tra la fine del diciannovesimo secolo e
l’inizio del ventesimo si sono concentrati sulle storie, sulla forma
12
poetica e successivamente, anche grazie allo sviluppo delle tecniche
di registrazione, sui vari generi di conversazione.
I lavori più innovativi, focalizzati sulla performance e l’evento o
sull’analisi orale-formulaica dei testi poetici, hanno superato il
precedente approccio ai racconti di tipo storico-geografico.
Fino a quando, l’interesse per il contesto sociale, la performance e il
pubblico, così come per il lettore/narratore, ha in parte offuscato
l’analisi più strettamente formale e testuale (anche se grazie alle
ricerche morfologiche da Propp a Levì-Strauss si è stabilito il luogo
e il momento in cui è nato il racconto).
17
La storia dell’oralità ha raggiunto solo recentemente (dagli anni ’60
e ’70) una propria autonomia, divenendo una disciplina più che un
semplice approccio.
L’attenzione più viva nei confronti della differenza tra strutture
mentali ed espressione verbale dell’oralità e della scrittura è
scaturita non dalla linguistica descrittiva o culturale, ma dal campo
degli studi letterari.
Gli attuali sviluppi sull’oralità sono debitori della cosiddetta “teoria
dell’oralità” in parte ispirata dagli studi di Milman Parry
18
e poi in-
fluenzata da Albert Lord.
17
V. Propp in Le radici storiche del racconto di fate, Torino, Einaudi, 1949,
mette a confronto le fiabe popolari russe con le ricerche etnologiche sui popoli
selvaggi e conclude che la nascita di molte fiabe sia avvenuta nel momento in
cui la società è passata dall’organizzazione in clan , basati sulla caccia, ad una
comunità di tipo agricolo; quindi il punto di svolta è quando vennero meno i
riti di iniziazione e il racconto raggiunse una certa autonomia rispetto alle
funzioni a cui era legato.
18
M. Parry, The Making of Homeric Verse: The collected Papers Of Milman
Parry, a cura del figlio Adam Parry, Oxford, Clarendon Press,1971.
13
L’assioma fondamentale alla base del pensiero di Parry è che nei
poemi omerici la scelta dei termini e delle forme espressive dipende
essenzialmente dalla struttura dell’esametro composto oralmente. In
aggiunta a questo Lord
19
ha dimostrato come testi anche lunghissimi
non hanno necessariamente bisogno di essere scritti ma variano a
seconda delle condizioni in cui sono prodotti.
Contro l’approccio tradizionale, queste teorie mettono in evidenza
gli elementi come il contesto, i caratteri paralinguistici, gestuali, la
musica e persino gli elementi visivi; prendendo come esempio gli
studi sull’epica, si può comprendere come lo stesso testo possa
“cambiare” da una performance all’altra, sostanzialmente perché
sono diversi gli elementi coinvolti.
Questo ha spostato l’interesse dello studio, dal testo scritto al
processo di composizione, performance, ricezione, utilizzo e
manipolazione della formula verbale.
Parry e Lord, liberando gli studi sull’antico dalla loro staticità
dovuta al pregiudizio del “classico”, hanno contribuito alla
comprensione delle dinamiche culturali legate all’ambiente sociale;
seguiti poi da vari oralisti, hanno individuato nella “questione
omerica” le regole di un contesto comunicativo che si avvale di
metodi e strategie.
A tal proposito è fondamentale ricostruire le caratteristiche del can-
tore dell’antichità perché, alla luce degli studi operati da Parry,
Lord e Havelock, è possibile tracciare un unico percorso dal poeta
epico al contemporaneo attore-narratore.
19
A. B. Lord, The Singer of Tales, Cambridge, Mass.. Harvard University
14
Orazio nella sua Ars Poetica, parla dell’epica, narrativa orale
dell’antica Grecia, e sul poeta epico scrive:
Press, 1960 ( Harvard Studies in Comparative Literature,24)
15
si affretta ad entrare nell’azione e precipita l’ascoltatore nel mezzo degli
avvenimenti
20
.
Significativa la differenza rispetto ad una composizione scritta che,
sebbene recitata oralmente, ha un intreccio ordinato con una
successione ordinata di eventi, mentre nel dire ciò Orazio evidenzia
il mancato interesse del poeta epico per la successione temporale.
21
Questo è un punto fondamentale per rendere giustizia all’autonomia
della composizione orale dei racconti. Nonostante da almeno 200
anni i lettori si siano abituati al procedimento di narrazioni
cronologicamente organizzate con un climax e una risoluzione, per
la narrazione orale vale l’osservazione di Ong secondo cui:
non si trovano trame lineari con climax già bell’e pronte, nella vita delle
persone, sebbene quelle reali possano fornire materiale da cui si
costruiscono tali trame, eliminando spietatamente tutto, tranne pochi
episodi messi attentamente in evidenza. Estremamente noiosa sarebbe
la storia completa di tutti gli eventi accaduti ad Otello nel corso della
sua vita.
22
20
Orazio Ars Poetica pp.148 –149
21
diverso l’intreccio indicato da Aristotele nella Poetica dove è proposta una
trama lineare e con climax secondo il diagramma della famosa «piramide di
Freytag» (una linea che sale, seguita da una che scende: l’azione ascendente
che crea tensione, fino al climax che spesso consiste in un riconoscimento o
una situazione che dà luogo a una peripeteia o capovolgimento dell’azione ed è
seguito dallo scioglimento dell’intreccio o rivelazione).
22
W. Ong, Orality and Literacy, Methuen, London e New York, 1982; trad. it.
Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986, p.
202
16
Il poeta orale possedeva un’abbondante repertorio di termini
sufficientemente diversificati da permettergli di averne uno a
disposizione per qualunque esigenza metrica si presentasse man
mano che egli cuciva la sua storia.
23
Ciò avveniva ogni volta in
modo diverso poiché i poeti orali, normalmente, non operavano
sulla base di una memorizzazione del verso parola per parola: i
termini metrici appropriati si presentavano all’immaginazione
poetica in modo immediato e del tutto imprevedibile e dipendevano
solo dal “genio”.
È evidente che l’abilità di un compositore non è nel creare una
trama lineare ascendente, quanto piuttosto una capacità, in parte
naturale, di narrare episodi, di diversa lunghezza e arricchirli di
flash-back ed altri espedienti tecnici, per immergere chi ascolta in
medias res.
La tradizione, dunque, viene insegnata mediante l’azione, non
mediante idee o princìpi. Per impartirla, le società hanno creato
idonee occasioni formative, diverse forme “teatrali”, che si
avvalgono di un ritmo biologicamente piacevole, specialmente
quando è rafforzato da cantilene musicali, dalla melodia e dai
movimenti corporei della danza.
Oltre al ritmo, il linguaggio impiega una seconda risorsa per aiutare
l’apprendimento mnemonico: il formato narrativo.
23
Insieme ai termini “letteratura orale” e “pre-letterato” si sente parlare anche
di “testo” dell’espressione orale. “Testo”, da una radice che significa tessere è
etimologicamente più compatibile con l’espressione orale di quanto non lo sia
“letteratura”: Il discorso orale è stato comunemente considerato persino in am-
17
Questo invita all’attenzione perché, per la maggior parte delle
persone, la narrativa è la forma più piacevole assunta dal
linguaggio, scritto o parlato.
Come spiega Ong: «il linguaggio dell’azione più che della riflessio-
ne appare un requisito indispensabile della memorizzazione ora-
le».
24
La contemporanea presenza di chi parla e di chi ascolta, in uno
stesso spazio, pone in una condizione dialettica che fornisce
all’enunciato una particolare flessibilità; questo implica un effetto
morale di fondamentale importanza: si pensi, per esempio, a
Platone che nel Fedro, avendo definito i caratteri della retorica
attraverso Socrate, nei tre discorsi precedenti, sostiene che essi
seguono norme esteriori miranti a persuadere meglio dell’opinione
di chi parla.
La conoscenza della verità e dell’animo umano è una scienza, è
l’amore verso gli ascoltatori che deve ispirare la retorica; di qui il
valore superiore della parola detta su quella scritta, quest’ultima,
infatti, asseconda la pigrizia umana né ha il calore delle cose vive.
25
bienti orali, come una specie di tessitura o cucitura – rhapsoidein in greco si-
gnifica cucire insieme canzoni -.
24
W.Ong “Psicodinamica dell’oralità” in Oralità e scrittura: le tecnologie, cit..
25
Platone, Dialoghi, Torino, ed. Einaudi, 1970, p. 562. Nel cap LX Platone
scrive: «la scrittura è proprio simile alla pittura. Imperocchè i figliuoli di questa
stanno lì come vivi; ma se alcuna cosa domandi, maestosamente tacciono: e
così le orazioni scritte. Le quali tu crederesti che un poco abbiano a intendere
quello che dicono, per desiderio di apprendere, significano sempre il
medesimo. E l’orazione tosto che è scritta, si volge di qua e di là, si tra
gl’intendenti come tra quelli ai quali non si convien per nulla e non sa a chi dee
parlare, o no; e ha bisogno, facendosi soperchieria e riprensione a torto,
dell’aiuto del padre, perciocchè non si può difendere né si può aiutare da sé»