4
- Introduzione
Nel mondo contemporaneo, gli sviluppi assunti dai fenomeni economici
globali suggeriscono la necessità di un diverso approccio
nell’implementazione dell’attività di governo dell’economia da parte degli
Stati, da ricercare anche e soprattutto in sede sovranazionale.
Nel tentativo di difendersi dalla tendenziale prevalenza del potere
economico sul potere politico, per la tutela dei diritti fondamentali dei
cittadini che dinanzi alla veemenza dei processi economici possono
facilmente soccombere, quest’ultimo tende a rafforzarsi riformando lo
strumento operativo attraverso il quale si propone di concretizzare gli
obiettivi politici, cioè la pubblica amministrazione.
In questo contesto evolutivo viene a configurarsi il ruolo nuovo della
funzione amministrativa nella realtà sociale: l’intervento pubblico in
economia non può più limitarsi al mero esercizio di una funzione regolativa
del mercato e di una società che vive di regole proprie, per giunta operando
attraverso moduli autoritativi, ma deve essere orientato nella consapevolezza
di poter incidere su tali processi attivandosi per renderli virtuosi o per
attenuarne gli effetti negativi.
Storicamente, sono stati i teorici del c.d. New public management ad
individuare per primi nell’adesione all’ideologia di mercato ed al
managerialismo
1
i tratti essenziali di questo nuovo paradigma di gestione
della p.a.
In realtà, la portata dei cambiamenti in atto negli ultimi decenni è decisiva
nel prospettare un’attività amministrativa da una parte tendenzialmente
ispirata a modelli organizzativi e procedurali tipici dell’organizzazione
1
J. P. OLSEN E G. PETERS, Leaning from experience, Lessons from experience, experiential learning
in administrative reforms in eight democracies, Oslo, 1996
5
aziendalistica nel segno dell’efficienza, dall’altra aperta ad una definizione
degli interessi partecipata.
La modernizzazione delle p.a. passa attraverso l’adeguamento dell’azione
pubblica alla logica del risultato. La prima parte della ricerca ricostruisce le
premesse storiche entro le quali matura il nuovo approccio gestionale ed i
presupposti giuridici che ne hanno consentito l’implementazione.
L’interpretazione dei principi della Costituzione ha suggerito l’elaborazione
di criteri idonei allo sviluppo della “buona amministrazione”.
Sulla base di tali elaborazioni prima di tutto dottrinali e giurisprudenziali
il legislatore ha avviato, a partire dagli anni 90, una generale riforma della
p.a. definendo gli strumenti organizzativi e procedurali necessari per il
conseguimento di un risultato che prescinde, nella maggior parte dei casi,
dalla valutazione della legalità formale degli atti e tiene conto più della
sostanziale capacità di un soggetto pubblico di realizzare le proprie finalità
istituzionali e soddisfare l’interesse generale. Nella seconda parte della
ricerca la rassegna dei principali strumenti giuridici elaborati negli ultimi 30
anni (e dei più recenti aggiornamenti) restituisce l’immagine di una p.a.
uniformata alla prospettiva del risultato, almeno a livello teorico.
Nell’ultima parte infine l’attenzione si sposta sulle criticità emerse in fase
di attuazione di tale prospettiva, la cui insistenza spinge a dubitare
dell’effettiva consistenza di un risultato che, per quanto difficile da misurare
con adeguata attendibilità, appare comunque lontano dall’essere percepito
presso le collettività di riferimento.
7
CAPITOLO I
Ragioni storiche e premesse giuridiche
La formula “amministrazione di risultato” rappresenta un concetto
giuridicamente vago ed indefinito nonché incompleto, i cui contorni possono
essere tracciati più a livello teorico che a livello pratico. Secondo Cassese si
tratterebbe di una formula che è legittimamente dubbio che sia
scientificamente corretta e praticamente valida
2
.
La difficoltà di formulare una definizione precisa e tendenzialmente
definitiva deriva dall’entità e dalla complessità delle conseguenze pratiche
che l’applicazione concreta di questo concetto determina. Da una parte, si
deve ammettere che la funzionalizzazione dell’attiva della p.a. al risultato
appare storicamente come un’esigenza dettata dai cambiamenti socio-
economici e finanziari degli Stati moderni, dall’altra si percepisce il fatto che
l’applicazione generica del modello di gestione dell’impresa privata al settore
pubblico o aziendalizzazione determini difficoltà peculiari, dato il carattere
aleatorio dei risultati, non valutabili attraverso il profitto.
Definite le origini e l’utilità dell’intuizione dell’amministrazione di
risultato, la rassegna dei principali strumenti, attraverso i quali il legislatore
si promette di riformare in questa direzione la p.a., fornisce importanti spunti
di riflessione per la dottrina, posto che la tensione dell’azione amministrativa
verso il “risultato” sembra divenire una sorta di principio generale (non
scritto?) del diritto amministrativo, del quale l’interprete deve tener conto
nella ricostruzione positiva degli istituti, prospettandosene la radicale
modificazione
3
.
2
S. CASSESE , Che cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in Giornale di diritto amministrativo
n. 9/2004, 941 ss.
3
A.R. TASSONE, Sulla formula <<amministrazione per risultati>>, Principio di legalità ed
amministrazione di risultato, in Scritti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, II, 816 ss.
8
1.1 Dalla “amministrazione d’ordine” alla “amministrazione di
erogazione”
La prima teorizzazione del concetto astratto di “amministrazione di
risultato” emerse nell’ambito degli studi
4
e dell’esperienza politica del
giurista Massimo Severo Giannini, che in veste di ministro della funzione
pubblica (1979-1980) , promosse un’ampia ricerca sulle organizzazioni dello
Stato, i cui risultati furono esposti al parlamento nel c.d. “Rapporto
Giannini”,
5
nel quale emergeva l’esigenza di finalizzare l’attività
amministrativa al raggiungimento di risultati globali, diversi ed ulteriori
rispetto a quelli conseguibili sul piano della mera legalità formale degli atti
amministravi, all’esito delle verifiche ex post della legittimità degli atti.
L’azione amministrativa “legale” poiché ottemperante alle prescrizioni della
legge, non è più solo per questo anche un’azione amministrativa efficiente
perché cambia il parametro di valutazione dell’efficienza. In un contesto
socio-economico diverso da quello in cui erano state edificate le
organizzazioni burocratiche pubbliche inizia a prospettarsi, almeno a livello
teorico o comunque da un punto di vista sociologico, un ruolo meno defilato
ed autoritativo della p.a. rispetto ai fenomeni esterni, abbandonandosi
l’immagine ideologica di una “amministrazione d’ordine” che riduce al
minimo l’intervento regolatore di tali processi, a favore della visione di una
“amministrazione di erogazione”, che non è più solo garante dell’ordine, ma
propone se stessa come soggetto sociale che, in cooperazione con gli altri,
può governare i fenomeni erogando direttamente servizi ed attuando
direttamente la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
4
In particolare: GIANNINI, In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile II, 1959
5
Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982, n. 2
9
Giannini può essere considerato il fautore della versione italiana della
teoria del New public management, nuovo modello di gestione della p.a. che
ha trovato applicazione nei Paesi anglosassoni prima e successivamente nella
maggior parte dei Paesi europei, potendo essere recepita anche
nell’ordinamento giuridico italiano per il ricorrere di specifici motivi:
- la reazione al tradizionale formalismo legalistico ed al conseguente
irrigidimento dell’agire della p.a., genericamente imputati al regime
di diritto amministrativo;
- l’emergere di dinamiche complesse che rendono impossibile una
gestione centralizzata ed in senso discendente dei processi decisionali
tipici dell’amministrazione di erogazione, laddove diviene importante
la cooperazione di più soggetti già in sede di definizione degli interessi
pubblici;
- la necessità di trovare forme diverse di legittimazione del sistema
istituzionale, ormai ben superiori di quelle assicurate dalla
rappresentanza politica e da ricercare appunto nell’azione degli
apparati amministrativi, riconoscendogli la capacità di soddisfare
direttamente quote di domanda espresse dalla realtà sociale;
- l’esigenza di indirizzare la competizione economica scatenata dalla
globalizzazione attraverso politiche pubbliche funzionali ad uno
sviluppo sostenibile;
- l’urgenza di contenere la spesa pubblica.
6
Queste incombenze rappresentano soltanto l’opportunità che ha permesso
agli addetti ai lavori di adottare una nuova chiave di lettura di principi già
predisposti dai padri costituenti, re-interpretandoli in funzione delle precipue
esigenze della realtà sociale in quel determinato periodo storico.
6
M. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, in Annuario Aipda, 2002, 107 ss.
10
1.2 Dal principio di Buon andamento alla logica di risultato: la
tensione con il principio di legalità
Aldilà delle valutazioni contestuali entro le quali matura, storicamente, la
prospettiva sociale dei poteri pubblici, sul piano squisitamente giuridico il
passaggio dal formalismo all’efficienza sostanziale si costruisce intorno ad
una necessaria reinterpretazione dei canoni di Buon andamento ed
Imparzialità, verso i quali l’art.97 della Costituzione vuole orientare gli
assetti organizzativi e funzionali della p.a..
Tuttavia, a lungo la dottrina e la giurisprudenza hanno ricondotto il primo
nell’alveo del più generale principio di imparzialità, non riconoscendogli
autonomia concettuale sulla scorta della diffusa convinzione che la
disposizione di cui all’art 97 Cost. prospettasse principi a valenza
prettamente funzionale e pertanto eventuali indicazioni sul piano
organizzativo sarebbero state colte dagli studiosi delle scienze
dell’amministrazione, non potendo simili questioni afferire all’area del
diritto.
Non a caso, il Consiglio di Stato ha continuato a definire, ancora nel 1980,
il principio in questione quale “canone proprio dell’ordinamento particolare
dell’amministrazione e non regola dell’ordinamento generale
7
”.
8
In questa fase, si ritiene che il buon andamento meriterebbe l’attenzione
del giurista soltanto nella misura in cui rappresentasse un generale metro di
valutazione dell’attività amministrativa, come presidio della effettività del
disposto normativo
9
e dunque alla stregua di indicatore di legalità.
7
Cons. Stato, Sez. IV, 16 maggio 1980, n. 504, in Giur. It.1981, III, 21.
8
M. R. SPASIANO, Il principio di buon andamento: dal metagiuridico alla logica del risultato in senso
giuridico, in Report annuale - 2011 - ITALIA
9
M. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, in Annuario Aipda 2002, 107 ss.