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INTRODUZIONE
«Ciò che hai ereditato dai padri,
conquistalo per possederlo».
G.W. Goethe
1. La mitologia pagana tra Medioevo e Rinascimento.
1.1. La permanenza dell’eredità mitografica attraverso tre diversi modelli
interpretativi: l’historiale, il naturale e il morale.
La trasmissione attraverso i secoli di forme e culture apparentemente lontane tra loro
rappresenta uno dei problemi più interessanti degli studi umanistici.
Come fiumi sotterranei, precise esperienze culturali legano tra loro epoche che si è soliti
distinguere in maniera schematica, convenzionale e spesso arbitraria. Non è possibile
concepire un Medioevo avulso dall’antichità, e il passaggio tra Medioevo e Rinascimento
resta, ancora oggi, uno dei temi più dibattuti.
Jean Seznec, in un suo celebre volume dal titolo La Survivance des dieux antiques
1
, ha
mostrato come l’antichità pagana, alterata nel suo aspetto tradizionale e spesso costretta a
servire da involucro di idee morali o speculative, lungi dal ‘rinascere’ nell’Italia del
Quattrocento, era sopravvissuta nella cultura e nell’arte medievale: se comunemente si parla
della ‘morte degli dei’ alla fine del mondo antico, e poi della loro ‘risurrezione’ all’alba del
Rinascimento italiano, è «perché per inveterata consuetudine siamo portati a considerare la
tradizione antica da un punto di vista esclusivamente formale: cosicché per noi (…) gli dei del
1
L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1940, è divenuta in breve uno dei classici contemporanei della storia
delle idee e della civiltà. Il volume è stato tradotto e ristampato più volte: l’edizione a cui rimando è quella del
1980, tradotta in italiano da Giovanni Niccoli e Paola Gonnelli Niccoli.
5
paganesimo hanno cessato di vivere nel momento stesso in cui è venuta meno la loro forma
classica».
La realtà è diversa: «nel Medioevo, la forma classica degli dei pagani non è andata perduta
(…) ma si è rivestita di nuove idee (…). Mentre le idee pagane si spogliavano
progressivamente della loro espressione plastica, le idee cristiane hanno assunto e vitalizzato
in un senso nuovo quelle antiche forme profane, così come il culto cristiano si installava nei
templi vuoti o nelle terme degli imperatori. A loro volta, gli eroi della mitologia hanno finito
per trovare riparo sotto un saio di monaco o sotto l’armatura di un cavaliere». In questo
singolare scambio di parti Venere diventa Eva, Saturno Dio Padre, Perseo un alter Christus.
«Pertanto» – conclude Seznec – «alla luce delle nostre analisi, il Rinascimento ci appare come
una ‘reintegrazione’ di motivi antichi nella loro forma antica: non dunque una risurrezione,
ma un ripristino e un rinnovamento»
2
.
Seznec indaga, sia letterariamente sia iconograficamente, le modalità specifiche di
questa sopravvivenza, illuminando numerosi aspetti della fortuna della mitologia classica: sul
piano della tradizione letteraria la sopravvivenza della mitologia pagana si concretizza
attraverso l’assimilazione, da parte del pensiero storico ed esegetico medievale, dei tre diversi
sistemi interpretativi elaborati dagli antichi per spiegare l’origine e la natura delle loro
divinità:
-l’interpretazione evemeristica
3
, secondo cui i miti racchiudono una descrizione, più o meno
deformata, di fatti storici, i cui attori furono semplici uomini divinizzati dopo la morte;
-l’interpretazione fisica
4
, secondo cui i miti esprimono le combinazioni o il contrasto delle
potenze elementari di cui è costituito l’universo, e gli dei sono quindi meri simboli cosmici;
-l’interpretazione morale
5
, secondo cui i miti non sono altro che un rivestimento fiabesco di
idee etiche e filosofiche, e gli dei pure e semplici allegorie.
In realtà, precisa Seznec, i tre metodi interpretativi non si presentano, durante il Medioevo,
così distinti e circoscritti: non solo si producono molto presto vistose interferenze, ma, come
per un processo di reductio ad unum, «l’intero sforzo compiuto dalla scolastica consiste
proprio nel saldarli insieme e inglobarli in una sfera più vasta, capace di abbracciare la totalità
2
Cfr. Seznec 1980, 255-257; il corsivo è mio.
3
Per l’analisi del metodo storico-evemeristico cfr. Seznec 1980, 11-31.
4
Per l’analisi del metodo fisico cfr. Seznec 1980, 32-115.
5
Per l’analisi del metodo morale cfr. Seznec 1980, 116-151.
6
delle conoscenze umane»
6
. È il carattere enciclopedico della cultura medievale: sulla scia di
Isidoro, l’ossessione per la scientia universalis darà vita a una lunga serie di compilazioni
dotte, summae, Tesori, Specchi in cui il sensus historiale (interpretazione evemeristica), il
naturale (interpretazione fisica) e il morale (interpretazione morale) confinano tra di loro.
Tuttavia, se la tradizione evemeristica, persa la sua carica apologetica distruttiva, resterà viva
per tutto il Medioevo (esemplare è, a tal proposito, il Chronicon di Eusebio, noto
principalmente attraverso la traduzione latina redatta da Girolamo); e se la tradizione fisica,
profondamente radicata nella cultura laica, verrà in parte assorbita dal cristianesimo
7
; la
tradizione morale, pretendendo di attribuire alla mitologia un senso edificante, e mirando a
trarre da quelle vicende mitologiche un insegnamento morale, non poteva non incontrare
l’irreducibile ostilità dei Padri della Chiesa, soprattutto nel momento in cui l’allegoresi
cominciò a sconfinare nell’ambito della morale cristiana.
1.2 L’interpretazione morale: l’evoluzione del metodo allegorico dal IV al XIV
secolo.
Eppure i primi commenti di orientamento allegorizzante, quali quelli di Servio a
Virgilio e di Lattanzio Placido alla Tebaide di Stazio (entrambi datati al IV secolo),
ricevettero un’accoglienza favorevole
8
: gli insegnanti cristiani, illustrando ai loro allievi le
‘scandalose’ storie dell’Olimpo con l’ausilio dell’interpretazione allegorica, si illudevano di
ridurre la mitologia allo stato di un inoffensivo elemento ornamentale.
E con la stessa intenzione, ancora due secoli dopo l’editto di Tessalonica, gli insegnanti
continueranno a proporre ai loro allievi, come esercizio letterario, la composizione di temi e
discorsi immaginari su argomenti mitologici
9
.
Gradualmente, la tendenza allegorizzante evolveva in forme sempre più strutturate:
attorno al V secolo Marziano Capella, con il De nuptiis Philologiae et Mercurii
10
, mettendo in
scena le nozze mistiche della vergine Filologia con il dio Mercurio, realizza una complessa
6
Cfr. Seznec 1980, 153.
7
Come osserva Seznec, la dottrina cristiana non riuscì ad estirpare l’astrologia perché essa stessa racchiude
numerosi elementi astrologici; di fatto, i Padri della Chiesa conserveranno intatta «la radice profonda
dell’astrologia»: ovvero la credenza nei demoni. Cfr. Seznec 1980, 37 e segg.
8
Cfr. Seznec 1980, 120.
9
Cfr. Seznec 1980, 121.
10
Su Marziano Capella si veda la presentazione di Giovanni Reale in Ramelli – Reale 2006.
7
allegoria delle arti liberali ricca di elementi mitologici ed influenze neoplatoniche ed
ermetiche, innalzando un monumento focale della speculazione allegorica.
Tra V e VI secolo si datano le Mythologiae
11
di Fulgenzio, un’interpretazione
allegorico-moraleggiante di alcuni racconti mitologici che ebbe una larghissima influenza
sull’atteggiamento medievale di fronte agli autori classici. Nell’interpretazione fulgenziana
(Myth. I, 21), l’impresa compiuta da Perseo, guidato da Minerva, contro le Gorgoni, diventa
allegoria della virtù (Perseo) che, aiutata dalla sapienza (Minerva), riesce a sconfiggere il
terrore (le Gorgoni), generando la fama degli eroi oggetto dei canti epici (Pegaso). «Il lettore è
quasi sbigottito dell’acutezza di questo dotto che ha saputo darci una trasposizione filosofica
dell’intera mitologia pagana, sia sul piano della natura che su quello della morale»: con queste
parole nel XII secolo Sigerberto di Gembloux ricorderà il mitografo africano
12
.
In verità, il metodo allegorico-morale, pur intenzionato a trarre dalle fabulae
mitologiche un insegnamento morale, di fatto contribuiva a perpetuare il ricordo della
mitologia pagana: già sul finire del VI secolo si segnalano i primi severi moniti sulla
pericolosità di questa tradizione interpretativa. Scagliandosi contro la mitologia, nel prologo
del Liber in gloria martyrum (I, 1) Gregorio di Tour avverte: Non enim oportet fallaces
commemorare fabulas neque philosophorum inimicam Deo sapientiam sequi, ne in iudicium
aeternae mortis, Domino discernente, cadamus. (…) Non ego Saturni fugam, non Iunonis
iram, non Iovis stupra, non Neptuni iniuriam, non Eoli sceptra, non Aeneada bella, naufragio
vel regna commemoro. Taceo Cupidinis emissionem, non Ascanii dilectionem emeneosque,
lacrimas vel exitia saeva Didonis, (…). Sed ista omnia tamquam super harenam locata et cito
ruitura conspiciens, ad divina et evangelica potius miracula revertamur. Unde Iohannis
evangelista exorsus est, dicens: In principio erat Verbum
13
.
Ma, come è stato osservato, «Gregorio di Tours alza la voce contro le favole e la esiziale
dottrina dei ‘filosofi’, ossia degli antichi scrittori, e mentre scorrendo i principali fatti
11
Sulle Mythologiae di Fulgenzio cfr. Ciaffi 1963; Venuti 2008 e 2010.
12
Cfr. Seznec 1980, 121.
13
«Non è conveniente ricordare racconti menzogneri o perseguire la sapienza nemica di Dio dei filosofi, per non
cadere nella condanna alla morte eterna per giudizio divino. (…) Io non faccio memoria della fuga di Saturno,
non dell’ira di Giunone, non degli stupri di Giove, non dell’offesa di Nettuno, non degli scettri di Eolo, non delle
guerre, del naufragio e dei regni di Enea. Taccio dell’invio di Cupido. Non l’amore di Ascanio e gli imenei, e le
lacrime o la fine crudele di Didone (…). Guardando a tutte queste cose come poste sulla sabbia e destinate a
presto perire, torniamo piuttosto ai divini ed evangelici prodigi. Da dove ha cominciato Giovanni dicendo: In
principio era il Verbo».
8
dell’Eneide e dell’antica favola poetica li esecra uno ad uno, non mostra di accorgersi ch’ei fa
pompa della sua dottrina, e fa vedere, col fatto di avere studiato, di tenere a mente assai bene
questi scrittori che tanto riprova»
14
. Ad ogni modo, gli avvertimenti di Gregorio rimasero
inascoltati.
In età carolingia, contemporaneamente alle Allegoriae in universam sacram
scripturam di Rabano Mauro, apparve anche un Carme di Teodulfo, vescovo di Orléans, sul
modo di intendere ‘filosoficamente’ le favole della mitologia classica: la mitologia tendeva a
trasformarsi in una filosofia morale.
Non a caso Philosophia moralis è il titolo di un’opera di Ildeberto di Lavardin, vescovo di
Tour, che riporta numerosi esempi di interpretazione allegorica tratti sia dai poeti pagani, sia
dalla Bibbia.
A partire dal XII secolo l’esegesi mitologica comincia a fondersi anche con la
teologia, raggiungendo degli esiti sbalorditivi: è questa l’epoca in cui Alessandro Neckam, nel
De naturis rerum, connette gli dei del paganesimo con le virtù che conducono l’uomo alla
santa rivelazione cristiana; l’epoca in cui Guglielmo di Conches, commentando il De
consolatione philosophiae di Boezio, scopre in Euridice un simbolo dell’innata concupiscenza
del cuore umano; ma soprattutto è questa l’epoca in cui le Metamorfosi di Ovidio
«profondono, alla sagacia degli interpreti, tesori insospettabili di sacrosante verità»
15
.
Attorno alla metà del XII secolo, nella scuola di Orléans, il maestro Arnolfo
16
redige il
primo commento, completo, alle Metamorfosi di Ovidio: nell’accessus alle sue Allegoriae
super Ovidii Metamorphosin, Arnolfo spiega che Ovidio non intende parlare semplicemente
di trasformazioni corporee, esteriori, ma anche di trasformazioni che si attuano interiormente,
nell’anima: la trasformazione di un animale è dunque metafora della caduta dell’uomo nel
vizio; la perdita delle sembianze umane è allegoria del degrado e dell’allontanamento da Dio.
Per Arnolfo la metamorfosi è quindi mutatio moralis
17
.
14
Cfr. Comparetti 1896, 117.
15
Cfr. Seznec 1980, 122.
16
Su Arnolfo d’Orléans cfr. Ghisalberti 1932, 157-234; ma anche Guthmuller 2009, 57-58.
17
Sul concetto di mutatio moralis cfr. Guthmüller 1997, 26: «Secondo Arnolfo Ovidio vuole dunque farci
vedere, attraverso le trasformazioni del corpo, i processi che avvengono nell’anima. La metamorfosi in un
animale non avviene realmente, ma è solo una metafora dell’uomo che cade al peccato. La paternità di questa
interpretazione morale della mutatio risale a Boezio, che nella terza prosa del IV libro della Consolatio
Philosophiae sviluppa appunto il concetto del peccato che riduce l’uomo in bestia: l’avido si trasforma in lupo,
l’astuto in volpe, l’iracondo in leone, il pauroso in cervo, e in maiale chi è in preda a desideri impuri. Questa
trasformazione non tocca il fisico, ma muta la qualità dell’anima […] è una punizione, dal momento che il vizio,
9
A questo primo tentativo di reinterpretazione sistematica delle Metamorfosi nel loro
complesso, seguono, nel XIII secolo, gli Intergumenta Ovidii, in versi, dell’inglese Giovanni
di Garlandia
18
e, all’inizio del XIV secolo, lo sterminato poema in francese antico, composto
da un anonimo frate francescano, conosciuto sotto il titolo di Ovide moralisé. L’autore,
dichiarando esplicitamente che «tutto nelle Metamorfosi è per nostro insegnamento»,
attraverso il suo lavoro esegetico, riesce a ritrovare nel poema ovidiano l’intera dottrina
cristiana e addirittura un simbolico accenno alla stessa Bibbia: Andromeda diventa la
rappresentazione dell’anima umana caduta nel peccato, una nuova Eva; Perseo, il suo
liberatore, allegoria di Cristo mosso a compassione che si eleva, attraverso Pegaso, per
salvarla dal diavolo cui è esposta a causa dei suoi peccati
19
. L’associazione di Pegaso a Perseo
nella liberazione di Andromeda, che avrà grande fortuna nella pittura rinascimentale, trova
nell’Ovide moralisé la sua prima attestazione.
Attraverso questo poema in lingua d’oïl, che rilegge le Metamorfosi nell’ottica di una sua
integrazione nell’ideologia cristiana, «si ha una visione piuttosto precisa di cosa s’intenda per
translatio studii e come essa abbia garantito la sopravvivenza degli antichi dei
fino al risveglio filologico dell’umanesimo rinascimentale»
20
.
2. L’interpretazione dei miti pagani nel XIV secolo: la compresenza di tradizioni
antinomiche e contraddittorie.
2.1 La tradizione scolastica: le Allegoriae Ovidianae di Giovanni del Virgilio e il
volgarizzamento di Giovanni dei Bonsignori.
Negli stessi anni, ma più vicino alla tradizione scolastica medievale, Giovanni del
Virgilio, professore presso lo Studio Bolognese con il titolo di magister ad poesim
come perdita di umanità e infelicità, è di per se una punizione. Arnolfo nella terza allegoria del libro XIV
riprende esattamente l’interpretazione di Boezio: i compagni di Ulisse, trasformati da Circe, divengono nel loro
furore amoroso iracondi come un leone, paurosi come cervi, sporchi come maiali, con la differenza però, che
Arnolfo ora interpreta la metamorfosi fisica in Ovidio come l’allegoria di una metamorfosi spirituale». Paule
Demats (cfr. Demats 1973, 137 e segg.) ha dimostrato che Arnolfo, con il concetto della mutatio moralis si rifà
alla tradizione esegetica neoplatonica delle scuole di Chartres e di Orléans, dove alle idee neoplatoniche della
caduta e della trasmigrazione delle anime si era dato un significato traslato.
18
Cfr. Ghisalberti 1932
2
.
19
Cfr. Ovide Moralisè, IV 6862-7073.
20
Cfr. Capelli 2012, 6.
10
versificaturam et auctores legendos, redige le Allegoriae Ovidianae
21
. Datate al 1322-1323 e
composte a scopo didattico ed esplicativo, segnano un punto di svolta nell’elaborazione del
commento ad Ovidio: usando le parole di Kristeller, si tratta della «prima prova scritta
dell’insegnamento umanistico nelle università italiane del tardo medioevo»
22
. Modellata sulle
Allegoriae di Arnolfo d’Orléans, l’opera, nella sua facies di prosimetro, propone
un’interpretazione insieme storica e allegorica delle Metamorfosi ovidiane. Per quel che
riguarda il mito di Perseo, all’interpretazione storico-evemeristica del personaggio di Atlante,
che viene ricondotto alla figura di un grande astrologo ed esperto dei movimenti delle stelle,
segue (Allegoriae Oviadianae, V, 1)
23
quella moraleggiante di Perseo, allegoria della virtù
che sposa l’anima razionale (Andromeda), dopo averla liberata dal diavolo (mostro marino).
L’esposizione al mostro marino diventa simbolo di un allontanamento da Dio dovuto alla
superbia della madre.
Il commento, nel quale confluisce tutto il materiale della scuola gotica francese del XII e XIII
secolo, suscitò vivo interesse e, attraverso il volgarizzamento di Giovanni dei Bonsignori,
resterà fino alla metà del cinquecento il principale modello per i successivi volgarizzamenti
delle Metamorfosi ovidiane.
Il volgarizzamento del Bonsignori
24
, redatto tra il 1375 e il 1377 e pubblicato per la
prima volta a Venezia nel 1497, è conosciuto con il nome di Ovidio Metamorphoseos Vulgare
e consiste nella traduzione delle Allegoriae e insieme delle Expositiones (un compendio delle
Metamorfosi spiegate in maniera letterale, che resta ancora inedito) di Giovanni del Virgilio.
Pur attenendosi strettamente al suo modello, Bonsignori non sempre traduce alla lettera:
spesso introduce elementi nuovi, a volte amplia, altre volte innova. Tra le due opere, di
conseguenza, si riscontrano profonde differenze. Se le Expositiones di fatto avviavano alla
lettura dell’originale ovidiano, il testo del Bonsignori mira a sostituire le Metamorfosi:
nell’ottica del volgarizzatore l’uomo comune si interessa non tanto allo stile di quello che
21
Sulle Allegorie ovidianae di Giovanni del Virgilio cfr. Ghisalberti 1933; Kristeller 1993, 488 e segg.;
Guthmüller 1997, 65-83; Ferretti 2007, 85-110; Cotza 2015, 195-209.
22
Cfr. Kristeller 1993, 490.
23
Riporto il testo secondo l’edizione di Ghisalberti 1933. Allegoriae Oviadianae, V, 1: Prima allegoria iterum
est de Perseo. Nam per Casiopem intelligo superbiam. Per Andromeden religatam intelligo mentem rationalem
que propter superbiam respuitur a deo et datur devoranda diabolo. Sed per Perseum intellige virtutem, que
accipit mentem rationalem in suam uxorem, et liberat eam a diabolo cum pulcris verbis. Sed per Phineum
intellige superbiam que est caput aliorum viciorum que insurrexit contra virtutem cum omnibus aliis viciis. Sed
Perseus omnia interemit et saxificavit.
24
Sul volgarizzamento di Bonsignori, cfr. Guthmüller 1997, 65-83.
11
legge, quanto al contenuto e alla sua spiegazione edificante. Come scrive Bodo Guthmüller:
«il lettore volgare non ha più la minima idea di come fosse l’originale ovidiano, non sa quali
fossero le sue caratteristiche stilistiche e non intuisce neppure cosa, nel contenuto, si dovesse
a Ovidio e cosa fosse opera del volgarizzatore»
25
. Anche la struttura originaria viene in parte
stravolta: rispetto alle lezioni universitarie di Giovanni del Virgilio, Bonsignori nel suo
volgarizzamento, aggiunge numerosi capitoli allegorici (sia tra un’esposizione e l’altra, sia
all’interno della stessa esposizione): elementi che spezzano il filo del racconto e invitano
continuamente il lettore a prestare attenzione alla morale nascosta nei miti. Secondo
Bonsignori, Ovidio parla per figura, in senso traslato; le trasformazioni, in quanto simboli di
processi morali, necessitano di una interpretazione allegorica: questa condurrà il lettore ad una
vita virtuosa, gradita a Dio.
In linea di massima le allegorie del mito di Perseo si presentano come una fedele
traduzione del testo di Giovanni del Virgilio: il volgarizzatore, invece, interpreta
indipendentemente il significato delle pietrificazioni compiute da Perseo contro i suoi nemici.
Rifacendosi alla tradizione interpretativa della mutatio moralis, tipica della tradizione
scolastica medievale, Bonsignori crea una precisa relazione tra la metamorfosi e le virtù (o i
vizi): le metamorfosi non sono altro che simboli di processi morali. Scrive Bonsignori (Ovidio
Metamorphoseos Vulgare IV, Allegoria vigesimaottava e ultima)
26
: «Devemo sapere che
Perseo è figliuolo de Giove, re dell’isola di Creti, ed ingeneròlo de Danne, figliuola del re
Acrisio, lu quale, trovando la figliuola in fallo, la mise in una nave, lei e lo figliuolo, li quali
arrivarono allo re Polidotto. Questo re, vedendo Perseo de bono aspetto, lo fece studiare, onde
fu sommo filosofo; appresso fu ardito e franco, onde el re el mandò ad acquistare le terre de
Medusa, la quale era tanto forte de gente e de tesoro che chi la contrastava remanea immobile
come pietra che contra lei non aveva potenza. Perseo andò in quel luoco e con ingegno e forza
li tolse tutte le sue terre, ad ultimo la uccise; e fu tanto questa sua vittoria che ogni persona
che a llui contrastava deventava immobile, cioè pensando com’elli aveva conquistata Medusa
e le sue terre, non aveano contra de lui nisuno ardire».
Un commento allegorico di carattere decisamente fuorimoda, ma comunque tutt’altro che
anacronistico. «L’Ovidio Methamorphoseos vulgare appartiene alla tradizione in lingua
25
Cfr. Guthmüller 1997, 73.
26
Il testo è citato secondo l’edizione critica di Erminia Ardissino (cfr. Ardissino 2001).
12
volgare di una letteratura compilativa edificante e senza pretese, e si rifà a modelli non sfiorati
dalle nuove tendenze iniziate dal Petrarca e che nel 1375, nell’ambito dell’avanguardia
umanistica, erano già da lungo tempo sorpassati. La sua grande diffusione non lascia alcun
dubbio sul fatto che (…) proprio gli elementi che oggi ci disturbano, e cioè la parafrasi
esplicativa e il commento allegorico, dovevano suscitare a quei tempi il maggiore
interesse»
27
.
2.2. La tradizione dell’esegesi biblica: l’Ovidius moralizatus di Pierre Bersuire.
In tutt’altra tradizione esegetica, si inserisce il Reductorium morale di Pierre Bersuire.
Ricollegandosi all’Ovide moralisé dell’anonimo frate francescano e consultando, con molta
probabilità
28
, il Fulgentius mataforalis
29
del francescano inglese John Ridewall, Bersuire si
inserisce in quella corrente trecentesca che tende a rielaborare la letteratura classica a scopi
cristiano-didascalici, sia in scritti religiosi sia nell’arte omiletica. Bersuire, pertanto,
rifuggendo dalla tradizione mitografica, si pone all’interno della tradizione dell’esegesi
biblica.
Una delle eredità che i medievali raccolsero dai padri della Chiesa è quella del
“metodo esegetico simbolico”
30
: un criterio ermeneutico
31
che, al senso storico immediato,
aggiunge un secondo modo di leggere e di intendere il testo scritturistico. Si tratta di una
interpretazione della Bibbia in cui la storia – la littera – «diventa supporto di una
trasposizione continua a realtà soprastoriche di cui gli eventi terreni sono figura»
32
.
27
Cfr. Guthmüller 1997, 59.
28
Cfr. Guthmüller 1997, 47-48.
29
Si tratta di una rielaborazione delle Mythologiae di Fulgenzio secondo lo spirito della morale cristiana e a
scopo omiletico.
30
Oltre al metodo ermeneutico della simbologia per l’esegesi biblica, il Medioevo erediterà dai Padri della
Chiesa anche il metodo grammaticale, il trattamento della Scrittura con l’impiego delle risorse derivate dalla
grammatica latina: un metodo di lettura della Bibbia che attirerà, nel suo tempo, anatemi e opposizioni. I
grammatici esegeti, non contenti di sottolineare i solecismi biblici, pretenderanno di applicare alla Bibbia i
procedimenti della loro arte, di analizzare i termini e le proposizioni, di definire il senso in riferimento alle leggi
di Prisciano e Donato, di utilizzare la loro teoria dei tropi per valutare impietosamente le immagini di cui si
deliziavano gli interpreti mistici. Cfr. Chenu 1986, 105.
31
I Padri della Chiesa, a loro volta, recuperarono il metodo esegetico allegorico (frutto di formazione
alessandrina), formalizzato da Filone (I sec.) e perfezionato da Origene (II sec.): secondo Origene il testo biblico
presenta antilogie e contraddizioni, le quali vanno sanate accedendo ad un nuovo livello interpretativo, capace di
individuare l’autentico significato che le Scritture vogliono trasmettere. Ne deriva uno sdoppiamento, per cui “la
lettera”, ovvero il corpo del racconto, è di fatto disgiunto a supposto vantaggio di uno “spirito”, divenuto
eterogeneo alla lettera.
32
Cfr. Chenu 1986, 186-187.