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esistenza, con le teorie della domanda e dell'offerta, riassumendo alcune sue definizioni
diffuse nella letteratura internazionale ed in quella italiana ed esponendo alcune sue
caratteristiche costitutive. Particolare attenzione viene posta al suo sviluppo nella
società italiana, riassumendone le fasi di crescita, i tratti distintivi, i diversi tipi di
organizzazioni che lo compongono e presentando brevemente la legislazione che ne
tratta. L'analisi si sviluppa esponendo i diversi modelli di relazione esistenti tra Stato e
terzo settore ed alcune delle sue caratteristiche problematiche. Il capitolo termina con
l'esposizione dei risultati di due ricerche sulle dimensioni del terzo settore in Italia ed in
Lombardia, che vorrebbero dare un'idea concreta dell'entità di questo fenomeno nel
nostro paese e nella mia regione.
Il secondo capitolo ha come tema il volontariato e la sua prima parte è dedicata ad
una breve esposizione di come le trasformazioni sociodemografiche, del mercato del
lavoro e dell'immigrazione, incidano sulla domanda/offerta di solidarietà. Dopo una
descrizione delle principali fasi dell'evoluzione del volontariato in Italia, il capitolo
prosegue presentando le definizioni, le caratteristiche del fenomeno in questione ed
alcune tipologie delle associazioni e dei volontari stessi. Vengono inoltre esposti i dati
del secondo rapporto della FIVOL e quelli di una ricerca sui giovani volontari lombardi
tratta dal volume di Lucia Boccaccin intitolato "Terzo settore: i mille volti del caso
italiano". Infine viene dato spazio anche alla legge quadro sul volontariato n. 266/1991,
che costituisce un importante riconoscimento formale del fenomeno.
Per comprendere l'ambito operativo e i legami con il S.S.N. dell'associazione di
volontariato sanitario su cui verte la mia tesi, non si può prescindere dalla presentazione
dell'evoluzione del concetto di primo soccorso e dalla descrizione del Sistema Sanitario
d'urgenza ed emergenza attivo sul territorio italiano. Di questi temi si occupa il terzo
capitolo, mostrando come dagli anni '90 in avanti venga considerato "paziente" una
persona colpita da patologia acuta, non all'atto della sua accettazione ospedaliera, bensì
nel momento stesso in cui la sua richiesta di soccorso perviene agli organi preposti.
Inoltre la sua sopravvivenza non è più ritenuta strettamente connessa alla velocità,
intesa come rapido arrivo del mezzo di soccorso sul posto ed altrettanto rapido trasporto
dell'infortunato in ospedale, bensì l'obbiettivo prioritario è diventato quello di creare sul
luogo dell'evento, intorno al paziente, un' "isola" di assistenza professionale, che per
quanto possibile possa stabilizzarne le condizioni.
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Su questi due concetti si fonda l'organizzazione e l'azione sul territorio nazionale
del Sistema Sanitario d'urgenza ed emergenza (S.S.U.Em), che viene descritto in questo
capitolo, presentando le sue due componenti costitutive, cioé la centrale operativa e la
rete territoriale, e mostrando le tre fasi sulle quali si sviluppa un'intervento di 118,
ovvero la fase di allarme, del soccorso extraospedaliero ed intraospedaliero. L'ultimo
paragrafo del capitolo è dedicato alla presentazione del S.S.U.Em in Lombardia, con
particolare attenzione al quello della provincia di Brescia, che è anche quello di
riferimento dell'associazione Valtenesi Soccorso.
Il quarto capitolo, dopo un'introduzione sul volontariato sanitario, si concentra
interamente sulla descrizione dell'organizzazione Valtenesi Soccorso, che svolge la sua
azione nel campo dell'assistenza sanitaria d'emergenza. Viene preso in considerazione il
territorio dove opera, la sua storia, l'organizzazione interna, le sue finalità principali, i
militi che ne fanno parte e le fasi che compongono i suoi interventi. Il capitolo si
conclude accennando all'importanza crescente della formazione dei volontari e
descrivendo sia il "sistema di formazione a cascata", previsto dalla legislazione
regionale lombarda, sia la formazione all'interno di Valtenesi Soccorso.
Con il quarto capitolo termina la prima parte descrittiva della mia tesi, mentre con
il capitolo quinto ha inizio la seconda parte compilativa di ricerca.
Oggetto specifico della ricerca esposta in questa tesi è la presentazione
dell'associazione di volontariato sanitario, prima nominata, con sede a Padenghe sul
Garda, in provincia di Brescia, e l'analisi della sua attività. Questa organizzazione
nonprofit oltre a lavorare, come si è già detto, nell'ambito dell'assistenza sanitaria
d'emergenza, si occupa anche di viaggi programmati, cioé trasferimenti tramite
ambulanza senza carattere d'urgenza. La ricerca che verrà in seguito presentata vuole
indagare alcune aree tematiche relative alla sua attività, sia per fornire un quadro più
dettagliato del suo operato e favorire in questo modo una comprensione specifica del
mondo del volontariato sanitario, sia per trarre delle indicazioni che potranno essere dei
punti di partenza in vista di un possibile miglioramento dei servizi offerti.
Questi sono, in breve, gli argomenti che verranno trattati: una presentazione da
più punti di vista, in considerazione della complessità e della vastità dei temi.
Per quanto concerne invece la ricerca bibliografica, le difficoltà incontrate sono
state, da un lato, il districarsi tra un'abbondante produzione di letteratura sugli
argomenti trattati nei primi due capitoli; di contro la scarsità di pubblicazioni, unita ai
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problemi di reperimento dei testi, riguardanti il sistema del 118. Molte informazioni, su
quest'ultimo tema, sono invece state ricavate da internet. Mi sono servita delle
biblioteche Frinzi e del DUSS di Verona, della biblioteca Sormani e dell'Università
Cattolica di Milano; colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato
nella raccolta del materiale.
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I CAPITOLO: Il Terzo Settore.
1.1 II TERZO SETTORE NELLE SOCIETÁ AVANZATE O NELLE
SOCIETÁ IN VIA DI SVILUPPO?
Negli ultimi dieci anni una quantità crescente di pubblicazioni e di ricerche è stata
dedicata ad un fenomeno che è stato compendiato nella espressione “Terzo Settore”. Si
tratta di un insieme di formazioni sociali emergenti, la cui importanza ha dato luogo ad
approfondimenti atti a descriverne la struttura, le finalità e i modi di agire
(Donati,1996). Il Terzo Settore (d’ora in avanti T.S.) è un fenomeno che si sta
imponendo sia nelle società avanzate che in quelle in via di sviluppo. Nelle ultime, esso
può essere compreso e spiegato come prodotto della differenziazione societaria in
condizioni di crescente complessità sociale. Nelle società avanzate, dove il mercato e lo
Stato sono già sviluppati e differenziati, emergono esigenze "altre" ed il T.S. si presenta
come fenomeno che cresce in diffusione ed importanza, ma soprattutto che, emanando
dalle relazioni sociali, mostra un’intrinseca imprevedibilità. Comincia ad essere un
protagonista in un numero crescente di ambiti, dai servizi educativi, formativi, a quelli
sociali e sanitari, ma anche in quelli sportivi, culturali ed ecologici. Dunque si occupa
(Barbetta, 1996) sia dell’area dei servizi di welfare (sanità, assistenza, educazione), sia
di servizi collettivi e di utilità pubblica. è importante comprendere che non si tratta di
contesti di carattere patologico, ma di interventi nel normale operare nella vita
quotidiana della comunità.
Molti autori definiscono il T.S. come prodotto della crisi del welfare (vedi "dibattito
teorico") altri come derivato dalle carenze o patologie del mercato. Donati suggerisce di
considerarlo come un terzo punto di vista, non un “di più” rispetto alla società, ma una
realtà intrinseca ad essa.
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1.2 DIBATTITO TEORICO INTORNO ALL’ESISTENZA DEL T.S.
Esistono due approcci principali che spiegano la genesi e l’esistenza del T.S.:
• dalla parte della domanda, attraverso le cosiddette teorie del fallimento
• dalla parte dell'offerta, sulla base del suo carattere partecipativo e delle motivazioni
etiche religiose degli attori sociali che lo compongono.
1) Il primo approccio comprende alcune teorie economiche che spiegano l’esistenza del
T.S. sulla base dell'emergere di una domanda sociale a cui né il settore pubblico né il
settore privato sanno dare una risposta adeguata, ciò spiega la singolare denominazione
di "teorie del fallimento". Lo sviluppo recente del T.S. sarebbe dovuto quindi non
soltanto alla "qualità morale" delle organizzazioni nonprofit ma anche alla loro capacità
di fornire beni e servizi di pubblica utilità. Secondo tale teoria questi servizi rispondono
ad una domanda in eccesso nei paesi in via di sviluppo e ad una domanda
particolarmente differenziata nei paesi sviluppati.
Questo approccio individua anche due caratteristiche tipiche del T.S., che sembrano
spiegare perché esso superi i fallimenti dello Stato e del mercato: la prima è il vincolo
di non distribuzione dei profitti, che esclude un comportamento opportunistico o
burocratico nei confronti dei clienti e da cui deriva una speciale affidabilità delle
organizzazioni nonprofit; non a caso si deve proprio a tali teorie l’introduzione nel
lessico scientifico del termine nonprofit. A questo si può obbiettare che tale
caratteristica non è però garanzia sufficiente circa la qualità dei beni e dei servizi
offerti.
La seconda caratteristica consiste nell’obbiettivo delle organizzazioni nonprofit non è la
massimizzazione dei profitti quanto quella dei beni o servizi che producono. Questo
supera la critica sopra citata e mostrando la loro particolare attenzione per la qualità e
l'efficacia delle prestazioni erogate.
I limiti principali delle teorie del fallimento sono quelli di focalizzare la loro ottica
esclusivamente sulla domanda e di considerare scontata la corrispondenza tra la
domanda, quindi i bisogni dei destinatari, e una produzione di servizi che la soddisfi
adeguatamente.
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2) Il secondo modello si focalizza invece sull’offerta. Suoi sostenitori teorizzano che le
organizzazioni di T.S. non si caratterizzano tanto per l'assenza di lucro quanto piuttosto
per il loro essere "manifestazioni della comunità"; sono associazioni intermedie, che
consentono alle comunità (religiose territoriali ecc.) di trovare risposte autosufficienti ai
loro problemi, prevedono una qualche forma di partecipazione volontaria ed evitano il
rischio di un’eccessiva penetrazione dello Stato nella vita sociale. Queste, che sono le
teorie dell'azione volontaria, hanno il proprio limite nel non spiegare perché degli
imprenditori debbano impiegare tempo e capitale nel promuovere organizzazioni da cui
non potranno trarre alcun profitto.
La risposta a tale obbiezione è fornita da James (James, 1986) che chiama i promotori di
tali organizzazioni "imprenditori religiosi", ovvero individui la cui motivazione ad agire
non è il profitto economico ma le finalità morali e religiose. L'assenza dello scopo di
lucro non è così il punto di partenza di queste organizzazioni, ma la conseguenza del
loro orientamento ideale. James arriva a dimostrare che l’esistenza del T.S. trova la sua
giustificazione dalla capacità di tali imprenditori sociali nel mobilitare risorse e
consenso. Infatti, il settore nonprofit avrebbe uno sviluppo superiore in quei paesi dove
esistono comunità religiose ricche ed indipendenti dallo Stato, mentre resterebbe di
dimensioni limitate dove le comunità religiose sono poco diversificate e strettamente
collegate ad esso.
I limiti di entrambi gli approcci consistono nella loro unilateralità e nel non considerare
che gli aspetti da loro analizzati convivono e si intrecciano (Ranci,1999).
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1.3 DEFINIZIONI DEL T.S.
1.3.1 Terminologie internazionali.
Prima di cominciare la trattazione di un argomento è utile definirne i confini, in
particolare, trattando di T.S. sarà utile prendere in esame le sue diverse definizioni.
Nel cercare una definizione di T.S. occorre premettere che esiste una costellazione di
termini e di concetti affini. Occorre anche aggiungere che ogni definizione è
socialmente (cioè politicamente, economicamente, storicamente, culturalmente, ecc.)
determinata; si fornirà un quadro generale delle principali terminologie in uso in Italia e
non solo (Colozzi, Bassi, 1995).
Esaminando la letteratura internazionale emergono le seguenti diciture terminologiche:
Nonprofit sector. Questo è un termine nato in contesto nord americano nella metà degli
anni ottanta, di chiara matrice economica, secondo cui le organizzazioni così chiamate
non opererebbero per generare profitti per i loro proprietari e l’eventuale profitto
derivante dalle loro attività non potrebbe essere distribuito ai membri
dell’organizzazione stessa.
Tale termine, che ha il merito di essere estremamente sintetico e di tracciare una netta
demarcazione con le imprese che operano nel mercato, mostra il suo limite di
considerare un solo fattore o elemento interpretativo.
Nel nostro paese esso sta godendo di una certa popolarità sia in ambito scientifico che
normativo (ad.es. è citato agli art. 2 e 3 della legge quadro del volontariato, Legge n.
266/1991), con il significato di gratuità delle prestazioni fornite da parte dei membri
delle associazioni ed anche gratuità dell'agire dell'organizzazione, che deve avere fini
solidaristici.
Caritable sector. Questa espressione nasce e si sviluppa in Inghilterra, designando
quelle organizzazioni che si costituiscono per rispondere a finalità caritative. La loro
peculiarità è quindi nella missione delle attività che svolgono, dirette a chi si trova in
stato di necessità e bisogno.
Questo termine rimane confinato ai paesi di common law,(paesi con sistema giuridico di
origine anglosassone, basato sull'autorità dei precedenti) ma l’idea che le organizzazioni
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con fini solidaristici debbano godere di un status particolare trova riscontro nelle
legislazioni anche di altri paesi. In Italia ad esempio, nella legge sul volontariato (Legge
n. 266/1991) si concedono agevolazioni sulla base di specifiche finalità, mentre nelle
legge sulla cooperazione si fa riferimento proprio ad attività rivolte a soggetti
svantaggiati (Legge n. 231/1991).
Il limite di tale definizione risiede nel fatto di considerare solo attività legate
all’assistenza, tralasciandone altre di recente costituzione, attive in campi diversi come
quello turistico o culturale.
Philantropic sector. Usato prevalentemente in ambito anglosassone, in particolare negli
Stati Uniti, indica i flussi economici che volontariamente vengono trasferiti verso il
settore, in termini di denaro o beni immobili, donati volontariamente da singoli,
famiglie o imprese per fini di pubblica utilità: questa espressione pertanto non può
essere usata per indicare l’intero settore.
Nei paesi dell’Europa occidentale esso non ha avuto diffusione; il termine stesso
"filantropia" è stato abbandonato per descrivere comportamenti altruistici, di
dimensione collettiva/sociale, e sostituito dal termine "solidarietà".
Informal sector. Utilizzato anche questo in ambito prevalentemente anglosassone, non
vuole indicare l'intero settore, ma solo le organizzazioni più destrutturate. Il termine
contrappone i due concetti di organizzazione formale ed informale, attribuendo ad
entrambi delle particolari valenze.
Nello specifico, le organizzazioni formali si caratterizzerebbero per "scarsa rispondenza
nei confronti dell'ambiente, una tendenza all’espansione indiscriminata, la
spersonalizzazione degli interventi, lentezza nell’espletamento delle funzioni, scarso
impegno e coinvolgimento degli operatori" (Colozzi, Bassi 1995, pag.26); mentre
organizzazioni di carattere informale mostrerebbero caratteristiche opposte. Il termine
vuole riferirsi anche a due modalità d'azione differenti: le organizzazioni di T.S.,
contrariamente alle altre, oltre a fornire servizi, mirano anche al coinvolgimento ed alla
partecipazione degli utenti, puntando quindi sulla qualità dei rapporti. I suoi punti
deboli sarebbero sia la presenza di casi che smentiscono la definizione stessa, sia la
difficoltà di inglobare un fenomeno così complesso usando un solo fattore di
riferimento.
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Third sector. Questa definizione si è sviluppata in Europa a partire dalla metà degli anni
settanta. In seguito alla crisi del welfare ci si è resi conto che una parte considerevole
dei beni e servizi di pubblica utilità era prodotta proprio dal T.S.. Con questa
espressione si inserisce pertanto un criterio classificatorio che ha in sè un elemento di
negazione, definendolo cioè come “nè Stato nè mercato”, ma parallelamente si
introduce anche una necessaria correlazione tra i tre settori auspicando, tra essi, una
futura equiparazione per quanto riguarda la loro importanza nella società. L’utilizzo del
termine in ambito anglosassone avviene invece sul finire degli anni ottanta, seguendo
l’uso europeo. In Italia l’attributo "terzo", come sfera intermedia tra lo Stato ed il
mercato, ha riscosso ampio successo; all’aggettivo si accompagnano i termini di
dimensione o settore o sistema.
Dal punto di vista terminologico ci può però essere ambiguità perché può essere
confuso con il settore dei servizi, quello definito settore terziario. Alcuni studiosi sono
perciò, critici nei confronti dell’uso del termine “settore” preferiscono parlare di
“sistema”.
Independent sector. Nasce e si diffonde negli Stati Uniti nei primi anni Ottanta. Con
questa espressione ci si vuole riferire ad una indipendenza di tipo politico (facoltà di
selezionare la propria classe dirigente), di tipo sociale (capacità di determinare la
propria mission e il tipo di utenza a cui rivolgersi), di tipo economico (decidere come
impiegare le proprie risorse). Nella realtà però la delimitazione a cui il termine rimanda
è ambigua.
Voluntary sector. Termine usato nei paesi di anglosassoni, soprattutto in Gran Bretagna.
Allude a tre significati diversi: a) le organizzazioni si sono costituite volontariamente
per una libera scelta degli individui o dei gruppi che le costituiscono, dunque la
volontarietà si riferisce al legame tra i membri. Si può notare la differenza rispetto al
settore pubblico e "il contributo di tali organizzazioni alla società in termini di garanzie
di democraticità, di espressione della partecipazione, di veicolo per idee innovative in
ambiti di pubblica utilità"(Colozzi, Bassi,1995 pag.31).
b) Parte del lavoro svolto è gratuito, cioè fornito volontariamente. Il T.S. è il soggetto
organizzativo nel quale si ritrova la più elevata percentuale di volontari attivi, per
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questo si può dire che lui stesso, creando posti per tali figure, "produce" i volontari.
Esso si dimostra in grado di incanalare, all'interno delle sue strutture, le spinte
altruistiche provenienti dalla società.
c) Una parte delle risorse economiche di queste organizzazioni deriva da donazioni
volontarie di privati cittadini e/o imprese. La volontarietà è riferita in questo caso
all’atto di donare. Lo stesso discorso può essere fatto per la domanda potenziale insita
nella società di impiegare somme di denaro per fini solidaristici: il T.S. offre uno spazio
per la canalizzazione di tali risorse.
Private non-governmental sector. Il termine sottolinea sia il carattere privato che quello
non statale delle organizzazioni che comprende. Spesso si usa per indicare le
organizzazioni di aiuti internazionali verso i paesi meno sviluppati. Fuori dai confini
europei e nord americani indica l’insieme dei soggetti che si trovano al di là dello Stato
e del mercato. Pur utilizzando una sola caratteristica per identificare l’intero settore e
pur non consentendo di tracciare una distinzione con le imprese profit, che sono
anch’esse private e non statali, è capace di raccogliere in sè le forme di azione
organizzate, più o meno formali, sviluppatesi in quei territori.
Économie sociale. Il termine si sviluppa nei paesi di lingua francese, come Francia e
Belgio. Tra i due elementi che compongono la definizione, quello più significativo è
sociale. Esso richiama l'attenzione sulle finalità sociali che non sono così, in alcun
modo, subordinate a quelle economiche. Il settore ha beneficiato anche di un
riconoscimento giuridico da parte della stessa Comunità Europea: nel 1989 è stata
aperta nell’ambito di una Commissione della C.E.E. una sezione dedicata all’ économie
sociale.
Tracciando una considerazione conclusiva si può osservare come le definizioni
anglosassoni siano più interessate a delimitare operativamente il settore, in modo da
agevolare la raccolta di dati quantitativi per riflettere sulla consistenza ed estensione del
fenomeno; mentre le definizioni europee sembrano cercare un maggiore
approfondimento dal punto di vista teorico e analizzando le caratteristiche e funzioni
che il T.S. svolge per l’intera società (Colozzi, Bassi, 1995).
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1.3.2 Terminologie in uso in Italia.
Nel contesto italiano i termini usati sono principalmente cinque:
Terza dimensione. Il sociologo Ardigò elabora il concetto di terza dimensione tentando
di evidenziare uno spazio pubblico separato sia dalla dimensione pubblica statale, sia
dalla dimensione pubblica dell’economia. La terza dimensione raccoglie in sè una vasta
fenomenologia di pratiche e comportamenti, la cui caratteristica fondamentale è data
dalle modalità di produzione e fruizione di cui fa uso, in particolare, non conta tanto il
contenuto materiale del bene o servizio, ma il "come" e il "con chi" lo si produce e lo si
fa circolare. Si fa dunque riferimento alle relazioni ed alle modalità dei rapporti che
seguono i valori della reciprocità, solidarietà, condivisione, collaborazione (Colozzi,
Bassi, 1995)
Terzo settore. Il termine T.S. è di origine francese ed in Italia il primo a parlarne è
Corrado Paracone, mentre, si è visto prima, Achille Ardigò usa la denominazione terza
dimensione. è però possibile fissare una data in cui l'idea di T.S. esce dall’ambito della
riflessione solitaria di alcuni studiosi: fra il 26 ed il 30 luglio 1987 a Malosco in Val di
Non, la Fondazione Zancan organizzò un seminario sul tema "L'area del volontariato
organizzato oggi: quali ruoli specifici tra istituzioni e società." In quest’occasione si
utilizzò il concetto di T.S. per definire un'area più ampia di quella del volontariato,
comprendente cioè tutte quelle realtà private che, anche se non possono essere definite
come organizzazioni di volontariato in senso stretto, operano seguendo i principi di
solidarietà e socialità. L'anno successivo la stessa Fondazione Zancan collaborando con
il Centro studi del Consorzio CGM realizza una prima indagine sul T.S. nell'area di
Bassano del Grappa. Nel 1988 si tenne, organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, la prima conferenza nazionale del volontariato, dell'associazionismo e della
solidarietà sociale, che fu importante soprattutto per l'incontro simbolico realizzato da
queste tre realtà in una manifestazione di carattere istituzionale, pur non arrivando ad
una visione unitaria ed integrata del settore (Marocchi, 1997).
Il termine fa quindi il suo ingresso in Italia in epoca relativamente tarda; nello specifico
si può ricordare V. Cesareo in sociologia, che sottolinea l'orientamento altruistico delle
relazioni nel T.S., che determinano sempre un coinvolgimento personale degli attori, e
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P.Ranci in economia che puntualizza sul suo valore in termini di partecipazione al
benessere collettivo e sulla sua assenza di fini di lucro (Colozzi, Bassi, 1995).
Privato sociale. Questo termine è usato unicamente nell’ambito del contesto italiano; è
stato elaborato nella seconda metà degli anni Settanta da Donati. L’autore si fa
promotore di una teoria sociologica che legge la società come soggetto dinamico che si
muove attorno a quattro poli: Stato, mercato, privato-sociale e reti primarie. Ognuno di
questi quattro soggetti produce e scambia beni diversi: beni pubblici (prodotti dallo
Stato), beni privati (prodotti dal mercato), beni relazionali collettivi (prodotti dal
privato-sociale) e beni relazionali primari (prodotti dalle reti primarie). La sua
definizione di privato-sociale è la seguente: "sistemi di azioni organizzati sulla base di
motivazioni, regole, scopi e mezzi di solidarietà sociale, che godono del massimo di
autonomia gestionale interna, e possono anche essere strutturati in forma di impresa,
mentre sono completamente rendicontabili verso il sistema politico-amministrativo nel
quadro dei diritti di cittadinanza" (Colozzi, Bassi, 1995, pag.44).
Terzo sistema. Tale definizione si sviluppa in ambito economico e si utilizza
prevalentemente per rappresentare la componente più organizzata dei soggetti non
lucrativi, solidaristici: la cooperazione sociale. Si focalizza sul carattere imprenditoriale
e sulla valenza socio economica, la finalità di questi soggetti è però il benessere
collettivo piuttosto che il profitto d’impresa (Colozzi, Bassi, 1995).
Azione volontaria. Gli autori che approvano questo termine sono contrari a quei termini
citati in precedenza. In particolare rispetto ai termini di settore e sistema si obbietta che
dovrebbero essere utilizzati solo ad un livello molto elevato di astrazione, infatti
rilevarli empiricamente risulterebbe alquanto problematico. Nel termine terza
dimensione c’è invece un’equivocità di fondo che non consentirebbe di distinguere tra
reti solidaristiche informali (solidarietà primarie) ed area delle solidarietà associative
giuridicamente riconosciute (sfera delle solidarietà secondarie). Infine al termine
privato sociale si imputa di voler unificare realtà associative con logiche profondamente
diverse e con membri attivi in esse portatori di motivazioni molteplici e divergenti, al
punto di non poter essere accomunate. Secondo la proposta di tali autori bisognerebbe
focalizzarsi sui singoli aspetti dell’azione volontaria, in ambiti specifici (Colozzi, Bassi,
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1995). Secondo Ascoli, che cito integralmente occorrerebbe: "concentrare l’attenzione
solo su alcuni tipi, quali i gruppi di self-help e di mutuo-aiuto, o le organizzazioni e i
gruppi di volontari più o meno formalizzati, escludendo quindi dall’analisi dell’azione
volontaria il network informale di relazioni sociali di tipo primario da un lato, ed il
mondo cooperativo dall’altro, in quanto riconducibili a logiche e principi di natura
diversa" (Ascoli,1986, pag. 169).
Nel definire il nonprofit o T.S., si è visto, c'è una notevole confusione terminologica;
spesso accade di riferirsi a medesimi soggetti utilizzando termini diversi o che un stesso
termine richiami soggetti differenti.
Le denominazioni utilizzate nella trattazione successiva saranno nonprofit e T.S. La
prima è stata scelta sia per la sua popolarità crescente nel contesto italiano, sia per la
sua capacità intrinseca di tracciare una netta e chiara separazione con le organizzazioni
che operano nel mercato; la seconda è stata utilizzata con la stessa accezione usata da
Donati nel suo libro "Sociologia del terzo settore", spesso citato.
22
1.4 CARATTERISTICHE DELLE ORGANIZZAZIONI DI T.S.
P.Donati è uno degli autori che più hanno evidenziato l’originalità del fenomeno T.S.
nelle sue differenze specifiche rispetto agli altri. Fra le sue caratteristiche vi sarebbero
la sua originarietà, l’essere “sorgivo” poiché ha le sue proprie autonome fonti di
esistenza, costituzione e legittimazione (Donati,1996).
L’autore ha poi presentato alcune sue caratteristiche principali: ha una cultura propria,
una propria normatività, una propria operatività ed un proprio ruolo societario.
A) La cultura del T.S. assume in sé valori come altruismo, reciprocità, fiducia,
attenzione alla persona, solidarietà. Si mira al soddisfacimento dei bisogni altrui con
aiuti concreti e relazionati intersoggettivamente. La cultura del T.S. aspira così a
combinare le motivazioni ideali con azioni efficaci e stabili, rispondendo in questo
modo a bisogni sociali non occasionali, ma profondamente radicati nel sociale. Si può
parlare di "cultura della cittadinanza" nella quale non bastano sentimenti di mera
benevolenza, ma si ricercano precise assunzioni d’impegno in una rete di diritti e doveri
non occasionali(Donati,1996).
B) Per quanto riguarda la normatività, si può affermare che il T.S. crei ed utilizzi forme
autonome di scambio sociale. Prima di tutto va sottolineato il carattere prettamente
sociale, cioè relazionale, del T.S. Il sociale viene concepito come la matrice generativa
delle altre dimensioni (politiche, giuridiche, culturali, economiche) e quindi come il
substrato proprio del fenomeno. In particolare l’autore vuole sottolineare che il termine
“sociale”, in tale sede, significa “relazionale”, cioè di relazionamento tra le persone
umane.
Inoltre lo scambio tipico del T.S. mette in primo piano il valore d’uso, anzichè di
scambio di beni e servizi, e il carattere relazionale dello scambio stesso. Questo tipo di
scambio privilegia la relazione come tale, altamente intersoggettiva, basata sul concetto
di reciprocità, secondo il quale “si dà all’altro nell’aspettativa che l’altro darà, se e
come potrà”, in termini d’equivalenza simbolica, non materiale o di scambio monetario.
C) Una terza caratteristica è la propria operatività, secondo la quale il T.S. ha forme
organizzative proprie e l’ottimizzazione organizzativa consiste nel trovare il proprio
punto d’equilibrio fra i risultati e le risorse umane, considerando che un eccesso