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Capitolo 2 – Tipologia di misure cautelari
Passando all’esaminazione delle misure cautelari, esse si distinguono in:
1. personali: comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di
determinazione nei rapporti familiari e sociali;
2. reali: impongono il divieto di disporre dei beni mobili o immobili.
2.1 Le misure cautelari personali
Le misure cautelari personali, a loro volta, si distinguono in:
1. misure coercitive: comportano una limitazione della libertà personale;
2. misure interdittive: determinano una compressione di facoltà e diritti,
anticipando l’effetto di alcune specifiche pene accessorie;
3. misure di sicurezza: sono applicate provvisoriamente a scopi cautelari.
2.1.1 Le misure cautelari personali coercitive
Le misure cautelari coercitive sono enumerate nel codice in ordine di afflittività
crescente e vanno dal divieto di espatrio alla custodia cautelare in carcere.
Le misure coercitive, a loro volta, si distinguono in:
1. misure obbligatorie;
2. misure custodiali.
1. Le misure obbligatorie sono le seguenti:
il divieto di espatrio;
l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria,
l’allontanamento dalla casa familiare
il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
il divieto o l’obbligo di dimora.
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Il divieto di espatrio
Con il divieto di espatrio il giudice ordina all’imputato di non uscire dal territorio dello
Stato senza una previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria procedente, disponendo le
opportune ulteriori iniziative occorrenti per assicurare effettività a quel divieto, come,
ad esempio, il ritiro del passaporto e di altri documenti validi per l’espatrio. La misura
coercitiva del divieto di espatrio può essere applicata in presenza di una ragionevole,
concreta ed attuale probabilità, data da occasioni prossime e favorevoli che l’indagato
faccia perdere all’estero le proprie tracce e deve fondarsi su elementi e circostanze di
fatto, non necessariamente rivelatori di una condotta prodromica all’espatrio, bensì
idonei a conferire significativa consistenza al “periculum libertatis”.
La misura coercitiva del divieto di espatrio può essere applicata nei casi in cui si
procede per uno dei delitti previsti dall’art. 280 c.p.p. quando dagli atti emerga un
concreto ed attuale pericolo che l’imputato si dia alla fuga all’estero, in caso di pericolo
di reiterazione del reato, ma non per soddisfare le esigenze cautelari previste dall’art.
274 lett. c c.p.p. Per l’applicazione di questa misura vanno rispettati i criteri generali
previsti per qualunque altra misura: a tal fine, in relazione alle esigenze di cautela da
soddisfare, possono essere valorizzati: la latitanza all’estero dell’indagato, il
trasferimento all’estero dell’indagato prima dell’inizio del procedimento penale, la
personalità dell’indagato e la natura dei reati per i quali si procede.
L’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Applicando tale misura prevista dall’art. 282 c.p.p., il giudice impone all’imputato di
presentarsi in giorni ed ore prestabilite presso un ufficio di polizia giudiziaria. Tale
misura, per la cui attuazione il giudice deve tener conto anche dell’attività lavorativa
dell’imputato e del luogo di abitazione dello stesso, consiste nella presentazione
dell’interessato presso una stazione dei carabinieri o presso un commissariato della
polizia di Stato e con l’apposizione di una sottoscrizione in un registro in cui si dà atto
di ciascuna presenza del prevenuto. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che
in materia di misure cautelari, pur dovendosi affermare l’immediata applicabilità della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4
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Novembre 1950, e della prescrizione in essa contenuta relativa al diritto al godimento
della vita familiare, tuttavia, tale principio non può ritenersi contrastante con l’obbligo
di presentazione alla polizia giudiziaria, poiché il principio previsto dalla Convenzione
internazionale persegue fini programmatici e può essere superato in caso prevalgano
interessi contrastanti, quali l’ordine pubblico nazionale o la prevenzione dei reati.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha affermato che in seguito al passaggio in giudicato
della sentenza di condanna tale misura, già applicata al condannato, perde efficacia; in
tal caso, l’estinzione della misura opera di diritto, senza che sia necessario alcun
provvedimento che la dichiari.
L’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria prevede che il giudice debba
considerare anche le esigenze dell’attività lavorativa della persona, tuttavia, le esigenze
cautelari devono essere privilegiate rispetto a quelle lavorative, da considerarsi queste
ultime solo nel caso in cui la soddisfazione non pregiudichi le esigenze social-
preventive poste alla base della misura.
L’allontanamento dalla casa familiare
L’ istituto di recente introduzione nel codice, disciplinato dall’art. 282 – bis c.p. prevede
che il giudice ordini l’immediato allontanamento dell’indagato o dell’imputato dalla
casa familiare, ovvero gli vieta di farvi rientro, disponendo che ogni eventuale accesso
debba essere preventivamente autorizzato dall’autorità procedente, la quale, può
stabilire particolari modalità di visita dei familiari. Inoltre, il giudice, può prescrivere
all’imputato di non avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla persona offesa, se
ciò dovesse risultare necessario per tutelare l’incolumità della persona offesa o dei suoi
prossimi congiunti: ciò purché la frequentazione non sia per l’imputato necessaria per
motivi di lavoro, poiché altrimenti il giudice può fissare particolari modalità di
frequentazione di quei luoghi, disponendo specifiche limitazioni. A riguardo, è stato
chiarito che è illegittima l’applicazione della misura cautelare dell’allontanamento a
soggetti estranei alla “casa familiare”, poiché l’estensione dell’operatività dell’art. 282 –
bis c.p.p. comporterebbe una violazione dei principi di legalità e tassatività che sono alla
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base delle misure cautelari (Cassazione, sez. V, 19 Marzo 2014, in C.E.D. Cass., n.
260565).
Inoltre, è stato chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione che il presupposto per
l’applicazione di tale misura è una situazione familiare che minaccia l’incolumità della
persona (Cassazione, sez. V, 15 Aprile 2010), n. 247084). Infatti, tale misura può essere
applicata anche quando manca la convivenza tra le parti e l’indagato abbia già
abbandonato il domicilio domestico (Cassazione, sez. VI, 3 Luglio 2008, n. 240664).
L’art. 282 – bis c.p.p. prevede un’ulteriore misura patrimoniale provvisoria ed
accessoria rispetto all’allontanamento dalla casa familiare: con tale misura il giudice, su
richiesta del pubblico ministero, può ordinare all’indagato o all’imputato il pagamento
periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, che, per effetto della misura
cautelare disposta, sono restate prive dei mezzi adeguati. In tal caso, il giudice
determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi
dell’obbligato, stabilendo modalità e termini del versamento, e può ordinare, se
necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di
lavoro dell’obbligato detraendolo dalla retribuzione a lui spettante.
Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Con tale misura, disciplinata dall’art. 282 - ter c.p.p., il giudice dispone il divieto di
avvicinamento prescrivendo all’indagato o all’imputato di non avvicinarsi a determinati
luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una
determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa. Inoltre, il giudice, in presenza
di particolari bisogni di tutela, può ordinare all’indagato o all’imputato di non
avvicinarsi a luoghi abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa
o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva, ovvero di
mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone; inoltre, può vietare
al destinatario della misura cautelare di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le
persone innanzi indicate. A tal fine, nel fissare le modalità del divieto di avvicinamento,
il giudice può tener conto anche dei motivi di lavoro ovvero delle esigenze abitative
dell’interessato, stabilendo eventuali limitazioni supplementari. Secondo un
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orientamento minoritario, la misura cautelare del divieto di avvicinamento previsto
dall’art. 282-ter c.p.p. può contenere anche prescrizioni riferite direttamente alla persona
offesa ed ai luoghi in cui essa si trovi, avendo un contenuto coercitivo sufficientemente
definito nell’imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della
quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all’accesso
dell’indagato (Cassazione, sez. V, 16 Gennaio 2013, n. 36887, in C.E.D. Cass., n.
257184). Inoltre, è pacifico che l’ordinanza che dispone la misura cautelare deve
necessariamente indicare in modo specifico e dettagliato i luoghi ai quali è inibito
l’accesso (Cassazione, sez. V, 4 Aprile 2013, n. 27798, in C.E.D. Cass., n.257697),
poiché, solo in tal modo il provvedimento cautelare assume una conformazione
completa che consente il controllo dell’osservanza delle prescrizioni funzionali al tipo
di tutela che la legge intende assicurare. Inoltre, il divieto di avvicinamento previsto
dall’art. 282-ter c.p.p. riferendosi alla persona offesa ed ai luoghi da essa frequentati,
privilegia la libertà di circolazione del soggetto passivo e consente alla persona offesa
di svolgere la propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta
di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza
che tale misura deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e la libertà di circolazione
e di relazione della persona offesa non trovi limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli
affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili (Cassazione, sez. V, 26 Marzo 2013,
n.19552, in C.E.D. Cass., n.25512). Infine, Il legislatore ha voluto garantire quelle
persone offese stabilendo non solo che i provvedimenti applicativi della misura
cautelare debbano essere comunicati all’autorità di pubblica sicurezza competente, per
consentire l’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, ma
anche alla stessa parte offesa, nonché ai servizi socio-assistenziali del territorio per
consentire a tali uffici di adottare adeguate forme di recupero e prevenzione.
Il divieto o l’obbligo di dimora.
E’ più articolata la misura del divieto o obbligo di dimora prevista dall’art. 283 c.p.p., in
quanto il giudice, considerate le particolari esigenze cautelari da soddisfare nella
fattispecie concreta, oltre alle esigenze personali, di lavoro e di salute dell’imputato, può
ordinare a quest’ultimo non solo di non allontanarsi dal comune di residenza ovvero di
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non dimorare e non accedere nel territorio di un altro comune, ma, può anche imporre
all’imputato di dimorare in un determinato comune o frazione, anche diverso da quello
di dimora abituale, se possibile nell’ambito della stessa provincia o della stessa regione.
Tale divieto di dimora di cui all’art. 283 comma 1 c.p.p. non deve necessariamente
avere una dimensione “comunale” analoga a quella prevista per la misura dell’obbligo
di dimora prevista dal comma 2 del predetto articolo, ma può riguardare anche un
ambito spaziale più limitato, in quanto, nella prima norma, il legislatore fa riferimento
al “dimorare in un determinato luogo”, senza alcun altra specificazione territoriale
(Cassazione, sez. VI, 2 Ottobre 2014, n. 260438).
Inoltre, nelle ipotesi di maggiore gravità ed allarme sociale, il giudice può anche
imporre all’imputato di non uscire dall’abitazione in alcune ore del giorno: in tal modo,
stabilisce una prescrizione accessoria rispetto a quella principale, che, per la sua
speciale afflittività, acquista una rilevanza quasi autonoma, tanto da essere stata definita
come misura degli arresti domiciliari “minori”. Tali provvedimenti vengono comunicati
dal giudice all’autorità di polizia competente, con delega a vigilare sull’osservanza delle
prescrizioni ed a fare rapporto al pubblico ministero di eventuali infrazioni. Infine, è
stato precisato che non dà luogo al ripristino, ai sensi dell’art. 307 comma 2 lett.a)
c.p.p., della più grave misura della custodia cautelare in carcere, la condotta di chi si sia
temporaneamente allontanato dal luogo indicato come quello di propria dimora,
dandone comunicazione all’ufficio di polizia giudiziaria presso il quale doveva
presentarsi ed ottemperando, quindi, all’obbligo di presentazione presso altro ufficio
indicatogli dal primo (Cassazione, sez. I, 2 Aprile 1996, in C.E.D. Cass., n. 204595).
Infine, è stato chiarito che l’obbligo di dimora è una misura coercitiva e non cautelare
detentiva. Da ciò ne consegue che non si può ipotizzare il delitto di evasione di cui
all’art. 385 c.p.p. in caso di violazione dell’obbligo perché l’evasione presuppone che
l’autore sia detenuto o legalmente arrestato (Cassazione, sez. VI, 5 Novembre 2003, in
C.E.D. Cass., n. 226933).
2. Le misure custodiali sono le seguenti:
gli arresti domiciliari;
il braccialetto elettronico;