123 
 
CAPITOLO IV 
IL DENVER MODEL 
 
 
 
«[...] Denver Model at the University of Colorado  
Health Sciences Center. 
 Il modello sostenuto da Sally Rogers 
 utilizza strategie che rientrano nell’ “approccio evolutivo”.  
In particolare, viene enfatizzato il ruolo del gioco,  
inteso come modalità di apprendimento».
161
 
 
4.1 Premessa 
 
Le Linee Guida della SINPIA, inseriscono il Denver Model fra le 
strategie ad approccio evolutivo,
162
 distinguendo queste modalità 
d’intervento da quelle di tipo comportamentale, che traggono le loro 
origini dall’ABA di Lovaas. 
 
 La SINPIA contrappone i metodi ad approccio evolutivo a quelli 
comportamentali e descrive tali approcci in questo modo: 
                                              
161
 SINPIA, Società Italiana di Neuropsichatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Linee guida 
per l’autismo, Trento, Ed. Erickson, 2005, p. 79. 
162
 Ibidem, p. 77 (“I modelli, che fanno riferimento a tali approcci sono il“Denver Model at 
the University of Colorado” (Rogers et al., 2000), il “Heath Sciences Center Developmental 
Intervention Model at The George Washington University School of Medicine” (Greenspan et 
al., 1999) e la “Thérapie d’Echange et de Développement (TED) de l’Université François 
Rabelais, CHU de Tours” (Lelord et al., 1978; Barthélèmy et al., 1995)”.
124 
 
«[…] Gli approcci evolutivi (o interattivi) si muovono in una cornice 
concettuale completamente differente rispetto ai precedenti. Nella 
filosofia di questo tipo di programmi è implicita l'importanza della 
dimensione emozionale e relazionale in cui si realizza l’agire del 
bambino».
163
 
E la cornice concettuale completamente differente è bene illustrata.  
Innanzi tutto nelle Linee Guida della SINPIA è rilevata la sostanziale 
differenza riguardo la concezione dell’ambiente: nei programmi 
d’intervento secondo i principi comportamentali adottati nell’ABA, 
l’ambiente è uno spazio fisico strutturato, nel quale attivare il 
trattamento.  
Nelle strategie ad approccio evolutivo invece, l’ambiente assume una 
valenza terapeutica, poiché è il luogo privilegiato d’interazione, 
conoscenza, scambio, crescita e sviluppo. Secondo l’approccio evolutivo 
è nell’ambiente che si realizza l’agire del bambino, nelle sue dimensioni 
emozionali e relazionali.  
Quello evolutivo è un approccio che si caratterizza come centrato sul 
bambino e messo in atto per favorire la sua iniziativa, la sua 
partecipazione attiva, la sua espressione.
164
  
Le aree dell’emotività, delle competenze comunicative, delle funzioni 
cognitive sono considerate come elementi di un sistema in continua 
evoluzione, che s’influenzano reciprocamente ed evolvono 
contemporaneamente.  
                                              
163
 Ibidem, p. 76. 
164
 Ibidem.
125 
 
Lo sviluppo è considerato come un sistema dinamico, aperto e che, in 
relazione all’apporto esperienziale, si attesta via via su livelli funzionali 
progressivamente sempre più evoluti. 
 In quest’ottica quindi, gli approcci evolutivi, considerando inscindibili le 
aree cognitiva, emozionale, comunicativa e relazionale, operano non solo 
applicando tipologie di tecniche prefissate ma muovendosi in relazione 
alla visione di un soggetto inserito nel suo ambiente, con il quale si 
relaziona e dal quale riceve stimoli essenziali al suo sviluppo globale.
165
 
Le Linee Guida della SINPIA illustrano come trattamenti per i DSA ad 
approccio evolutivo una serie di  
«[…] modelli di presa in carico che hanno superato i confini geografici 
in cui sono stati ideati e vengono applicati in diverse parti del 
mondo».
166
 
La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza 
si sofferma nella descrizione di questi tipi d’intervento terapeutico per 
l’autismo e ne analizza alcuni, nati in diversi Paesi. Fra questi è descritto 
il Denver Model. 
Il Denver Model at the University of Colorado è un modello di presa in 
carico per l’autismo, nato nell'ambito di un'esperienza pilota presso il 
Centro JFK dell’Università del Colorado a Denver, e che è stato poi 
implementato nei contesti naturali della famiglia e della scuola, e ha 
valicato i confini del Paese in cui ha avuto origine.
167
 
 
 
                                              
165
 Ibidem. 
166
 Ibidem, p. 77. 
167
 Ibidem.
126 
 
4.2 Origini del Denver Model - Teorie di riferimento 
 
Il Denver Model è un modello di presa in carico per bambini con disturbi 
dello spettro autistico in età prescolare (dai ventiquattro ai sessanta mesi) 
promosso, agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, da Sally 
Rogers
168
 e dal suo team all’interno dei programmi per le Disabilità dello 
Sviluppo dell’Università del Colorado Health Sciences Center 
(UCHSC), nella città di Denver, dalla quale il modello ha preso il nome.  
Il Denver Model ha pertanto sempre avuto un nucleo sperimentale al suo 
interno e ha avuto origine dagli studi di un’équipe di ricerca collegata al 
mondo universitario; la sua nascita è stata possibile grazie a iniziali 
finanziamenti pubblici ricevuti dalla UCHSC, che resero possibile la 
fondazione e la realizzazione del progetto nel 1981.
169
  
Essendo nato come un progetto di ricerca, il Denver Model si caratterizza 
quindi per lo stimolo al continuo sviluppo del modello. Il programma 
d’intervento dal 1981 ad oggi ha subito difatti un’evoluzione continua, 
grazie alla convinzione del gruppo di lavoro di dover proporre la 
maggior possibilità di servizi efficaci per ogni bambino e per la sua 
famiglia, con interventi basati sulle conoscenze più recenti e validate e 
                                              
168
 S. ROGERS, G. DAWSON, ESDM, Early Start Denver Model, Intervento precoce per 
l’autismo, Torino, Ed. Omega, 2010, p. 7. 
(“Sally J. Rogers è Professoressa di Psichiatria al MIND Institute, Dipartimento di Psichiatria 
e Scienze Comportamentali presso l' Università della California.  È impegnata in ricerche su 
diagnosi precoce e metodi di intervento per l'autismo e altri disturbi di sviluppo. È un pioniere 
nel campo del trattamento dell'autismo e ha lavorato alla ideazione e allo sviluppo del modello 
Denver. È una delle più illustri esperte nel settore dei DS”.) Informazioni tratte liberamente 
dalle Note sulle autrici. 
169
 V. GIUBERTI, DENVER MODEL, Approccio educativo globale ed integrato per bambini 
piccoli con autismo e le loro famiglie. (Il Report è stato pubblicato nel sito di Speciale 
Autismo. SpecialeAutismo.it è un Sito WEB, curato dal Centro Documentazione 
Apprendimenti di Forlì e dal Centro di Documentazione Educativa di Cesena, con la 
supervisione scientifica della Dott.ssa Paola Visconti). Il Report è consultabile integralmente 
alla pagina 
http://www.specialeautismo.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17006&idCat=17013&ID=
18353(ultima lettura agosto 2017).
127 
 
l’integrazione costante di nuovi approcci, in un’ottica di continuo e 
costante miglioramento.
170
 
 
Programma abilitativo e ricerca hanno quindi camminato insieme fin 
dagli inizi, offrendo in contemporanea servizi all’utenza e spunti di 
riflessione alla comunità scientifica, grazie agli studi, alle ricerche e alle 
teorie che l’équipe stessa ha elaborato, con una concettualizzazione 
specifica dell’autismo, secondo la quale verrebbe considerato come un 
deficit nell’abilità imitativa del bambino, che causerebbe difficoltà 
nell’area dell’intersoggettività.
171
  
 
Le teorie di base sulle quali si poggia il Denver Model sono le teorie 
evolutive diffuse nel secolo scorso, di cui alcuni studiosi furono 
maggiormente rappresentativi.  
Come la stessa Rogers, illustrando il programma del modello Denver e le 
sue basi teoriche, ricorda:  
«[…] un modello evolutivo euristico dell’autismo influenzato fortemente 
dal lavoro di Daniel Stern e dalle ricerche sulle prime fasi dello sviluppo 
infantile condotte durante gli anni ’70 e ’80».
172
 
 
Stern è stato il più illustre rappresentante dell’Infant Research, un’area di 
ricerca della Psicologia di Sviluppo, nata negli anni Settanta del secolo 
scorso, grazie alle teorie e ai nuovi approcci proposti da alcuni 
ricercatori. Uno dei precursori dell’Infant Research è stato Bowlby. 
 
                                              
170
 Ibidem. 
171
 Ibidem. 
172
 S. ROGERS, G. DAWSON, ESDM, Early Start Denver Model, Intervento precoce per 
l’autismo, Torino, Ed. Omega, 2010, p. 39.
128 
 
4.2.1 John Bowlby –Teoria dell’attaccamento 
 
Rogers, nel far riferimento a Stern, si riferisce al noto psicoanalista 
statunitense che ha il merito di aver operato una sintesi tra la psicoanalisi 
e i metodi sperimentali, nello studio e nelle ricerche sullo sviluppo 
dell’età evolutiva, soffermandosi in particolar modo sulla relazione 
madre-figlio.
173
 La relazione madre-bambino è stata analizzata 
all’interno della Psicologia dello Sviluppo da numerosi autori che hanno 
teorizzato, fin dagli inizi del 1900, in relazione al processo di sviluppo 
sociale.
174
 Nel manuale di Canestrari leggiamo: 
«[…] Il comportamento dell’uomo si sviluppa e si struttura attraverso i 
contatti di relazione con le altre persone, che fanno parte dell’ambiente 
dell’individuo. Il processo di socializzazione inizia sin dalla primissima 
infanzia…».
175
 
Processo di socializzazione che si definisce come: 
«[…] Quel processo mediante il quale gli individui acquisiscono le 
conoscenze, le abilità, i sentimenti e i comportamenti che li mettono in 
grado di partecipare, quali membri più o meno efficienti, alla vita 
sociale».
176
 
                                              
173
 Stern Daniel Norman. Psichiatra e psicanalista statunitense (1934 - 2012). Laureatosi in 
medicina presso l'Albert Einstein College, si specializzò in psichiatria. Ha unito l'attività 
clinica a quella di direttore di ricerca presso la Cornell University di New York. Docente di 
psicologia all'Università di Ginevra e professore di psichiatria alla Cornell University. Nel 
2007 gli è stata conferita dall'università di Padova la laurea Honoris Causa in Psicologia 
chimica-dinamica. In The interpersonal world of the infant. A view from psychoanalysis and 
developmental psychology (1985), che vuol essere un tentativo di giungere a una sintesi tra i 
dati della infant research e quelli della clinica psicanalitica, tra il "bambino osservato" e il 
"bambino ricostruito", S. approfondisce lo studio dei processi interattivi di natura sociale, dei 
"momenti di libero gioco" fra madre e bambino. Informazioni tratte liberamente 
dall’Enciclopedia Treccani alla pagina http://www.treccani.it/enciclopedia/daniel-norman-stern 
(ultima lettura agosto 2017). 
174
 R. CANESTRARI, Psicologia generale e dello sviluppo, Bologna, Ed. Clueb, 1993, 
Capitolo 19. 
175
 Ibidem, p. 551. 
176
 Ibidem, p. 551.
129 
 
Una delle teorie più rilevanti in quest’ambito, fra le più significative 
riguardo la relazione madre-figlio, è quella di Bowlby, che ebbe origine 
da un incarico ricevuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. 
La Commissione Sociale delle Nazioni Unite, nel 1948 avviò un progetto 
di studio sui bambini senza tetto, che suscitò l’interesse dell’OMS. 
L’OMS affidò poi a Bowlby l’incarico di pubblicare un Rapporto sulla 
situazione dell’infanzia abbandonata, basato sui dati raccolti dagli esperti 
di vari paesi. 
Il Report ebbe un’enorme risonanza: pubblicato dall’OMS nel 1951, con 
il titolo Maternal care and mental healt, fu tradotto e diffuso in tutto il 
mondo.
177
 
Con il suo Report Bowlby mosse una decisa critica ai vari istituti per 
l’infanzia, nidi, ospedali, e ipotizzava che la privazione prolungata di 
cure materne potesse avere gravi conseguenze nello sviluppo e nella 
formazione, compromettendo l’avvenire dei soggetti.
178
 
La Monografia di Bowlby
179
 è considerata fondamentale per lo studio 
della relazione madre-bambino e da essa sono scaturite importanti 
riflessioni della comunità scientifica internazionale: è un lavoro che 
comprende sia l’esposizione di un’abbondante letteratura criticamente 
esaminata dall’autore, sia i risultati delle basilari e originali ricerche 
condotte da Bowlby stesso o in collaborazione con altri. 
Gli studi di Bowlby hanno avuto a seguire la loro massima 
concretizzazione con la Teoria dell’attaccamento. 
                                              
177
 J. BOLBY, M. AINSWORT, et al., La carenza delle cure materne, Roma, Ed. Armando, 
1979. 
178
 Ibidem. 
179
 J. BOWLBY, Maternal care and mental healt, Ginevra, Ed. OMS, 1951 
 (tradotta in Italiano nel 1957 dall'Editrice Universitaria Firenze con il titolo «Cure materne e 
igiene mentale del fanciullo»).
130 
 
L’autore, con la sua Teoria dell’Attaccamento
180
, considera la ricerca 
della vicinanza o del contatto, con un altro essere della propria specie, 
come una predisposizione innata, e in questa ricerca di relazione sociale 
il bambino è attivo fin dalla nascita, mettendo in atto i comportamenti di 
attaccamento che Bowlby distingue in due classi: 
 di segnalazione: pianto, sorriso, vocalizzazioni; 
 di accostamento: aggrapparsi, seguire.
181
 
Comportamenti comunicativi che, se ascoltati, compresi e soddisfatti 
nelle loro richieste, offrono al bambino una base sicura, che Bowlby 
definisce 
 
«[…] La caratteristica più importante dell’essere genitori: offrire una 
base sicura da cui un bambino possa affacciarsi al mondo esterno e a 
cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul 
piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se 
spaventato».
182
 
 
 
 
 
                                              
180
 J. BOWLBY   
Attaccamento e perdita, L’attaccamento alla madre, Torino, Ed. Bollati Boringhieri, 1972. 
Attaccamento e perdita, La separazione dalla madre, Torino, Ed. Bollati Boringhieri, 1975. 
Attaccamento e perdita, La perdita della madre, Torino, Ed. Bollati Boringhieri, 1983. 
181
  R. CANESTRARI, Psicologia generale e dello sviluppo, Bologna, Ed. Clueb, 1993, 
Capitolo 19. 
182
 J. BOWLBY, Una base sicura, Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, 
Milano, Ed. Raffaello Cortina, 1993, p. 10.
131 
 
4.2.2 Da Bowlby all’Infant Research 
 
La Teoria dell’Attaccamento di Bowlby, ha dato una svolta in quella che 
era in precedenza la visione dell’infanzia e lo studio dello sviluppo del 
bambino. 
Bowlby, infatti, spostò l’attenzione dalle attività intrapsichiche 
individuali allo studio scientifico delle relazioni reali, inserite in un 
contesto ambientale complesso e variabile, osservate e analizzate nelle 
loro manifestazioni comportamentali.
183
 
Bowlby integrò l’approccio psicoanalitico con i contributi della 
Psicologia dello Sviluppo e di altre discipline allora emergenti quali la 
Cibernetica, l’Etologia, le Scienze Cognitive.
184
 
Descrisse così il suo tentativo di cambiamento, in quello che fino a quel 
momento era stato l’approccio classico nello studio dello sviluppo 
infantile: 
 
«[…] Se perciò la psicoanalisi deve diventare quella scienza naturale 
basata su validi principi biologici che Freud riteneva dovesse essere, 
esistono validi motivi perché vengano effettuati cambiamenti radicali 
almeno riguardo ad alcuni dei suoi assunti. La teoria che io sostengo, 
basata sui principi neodarwinisti e sui lavori attuali nel campo della 
psicologia dello sviluppo e della elaborazione delle informazioni nella 
specie umana, è il tentativo di attuare un cambiamento del genere».
185
 
 
                                              
183
 A. CARUSI, Psicologia e infant research, Napoli, Ed. Scriptaweb, 2005. 
184
 J. BOWLBY, Una base sicura, Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, 
Milano, Ed. Raffaello Cortina, 1989. 
185
 Ibidem, p. 63.
132 
 
L’approccio psicoanalitico aveva fino allora evidenziato l’importanza del 
rapporto madre-figlio e riconduceva ad esso gli eventuali disagi 
psicologici adulti.  
Questa ipotesi scaturiva dai dati che emergevano nelle sedute di 
psicoanalisi. Ciò che il paziente esprimeva durante la psicoanalisi, cioè i 
suoi pensieri, le sue emozioni erano il punto di partenza da cui, andando 
indietro nel tempo, si ricostruiva il vissuto infantile.  
Bowlby cambiò prospettiva, cercando di convalidare le teorie 
psicoanalitiche con i dati che emergevano dall’osservazione diretta del 
bambino, al fine di controllare la corrispondenza tra il bambino 
ricostruito durante le sedute di psicoanalisi e quello osservato nel suo 
contesto naturale.
186
 
Questo cambio di prospettiva segnò il passo negli studi sullo sviluppo 
infantile e gettò le basi per nuovi ambiti di ricerca. 
 
«[…] La figura più importante che da sola ha portato l’etologia 
all’attenzione degli psicologi dello sviluppo è John Bowlby. Negli anni 
Cinquanta in Inghilterra egli passò da un approccio di tipo freudiano ad 
uno di tipo etologico per quanto riguarda lo studio dell’attaccamento 
sociale tra il neonato e la persona che si prende cura di lui, e il suo 
lavoro pose le basi per la ricerca successiva in quest’area».
187
 
 
I suoi studi, influenzati anche dalle ricerche etologiche sugli animali nel 
loro ambiente naturale, diffusi in quel periodo, inaugurarono quindi un 
nuovo filone di ricerca, poi definito Infant Research. 
                                              
186
 Ibidem.  
187
 P. H. MILLER, Teorie dello sviluppo psicologico, Bologna, Ed. Il Mulino, 1992, p. 310.
133 
 
4.2.3 L’Infant Research 
 
L’Infant Research è quell’area di ricerca che si è sviluppata dagli anni 
Settanta del secolo scorso. Ha messo in luce l’importanza delle figure di 
riferimento e delle esperienze reali nell’ambiente per lo sviluppo del 
bambino. Alcuni rappresentanti di questo ambito di ricerche erano 
contemporaneamente psicoanalisti e ricercatori.  
Bowlby è colui che, con le sue teorizzazioni, causò quella spinta 
propulsiva verso un cambiamento di prospettiva nello studio dello 
sviluppo sociale, che si concretizzò poi con l’Infant Research, 
Bowlby, con lo studio commissionato dall’OMS, affermava che fosse 
essenziale per la salute mentale che il bambino avesse un rapporto caldo 
e continuo con la madre. Iniziò quindi indagini sistematiche sugli effetti 
della separazione dovuta a ricoveri in istituti di cura. Influenzato dagli 
studi degli etologi, teorizzò una base evoluzionistica dell’attaccamento 
alla madre.
188
 
L’attaccamento per Bowlby è, infatti, fattore indispensabile alla 
sopravvivenza della specie, poiché protegge i piccoli dai predatori e da 
altri pericoli. Fino allora invece la psicoanalisi sosteneva la teoria della 
pulsione secondaria, per la quale l’attaccamento è secondario al bisogno 
di essere nutrito. 
Gli studi stimolati dalle teorie di Bowlby, come quelli di Harlow con i 
cuccioli di scimmia, e quelli di Ainsworth, svolti sulle coppie madre-
bambino, offrirono una nuova visione dello sviluppo umano.
189
  
E soprattutto suggerirono nuovi metodi di ricerca, basati su dati empirici. 
                                              
188
 R. ZERBETTO, et al., Fondamenti comuni e diversità di approccio in psicoterapia, Milano, 
Ed. Franco Angeli, 2007.  
189
 A. FONZI, et al., Manuale di psicologia dello sviluppo, Milano, Ed. Giunti, 2001.