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2.1 Cenni storici sull’Arcipelago di La Maddalena
I territori di La Maddalena, delle sue isole e delle coste galluresi antistanti sono frequentati
dall’uomo da diverso tempo, non solo per le loro bellezze naturali, ma anche perché situate in
una zona del Mediterraneo favorevole agli scambi, vista la vicinanza con la Corsica. Si hanno
testimonianze già dal Neolitico, periodo al quale sono stati assegnati cronologicamente gli
utensili rinvenuti nella rias di Cala Villamarina dell’isola di Santo Stefano e all’interno di un
tafone nell’isola di Spargi. Le isole dell’Arcipelago furono successivamente frequentate dall’età
Nuragica fino ai Romani, i quali chiamavano le isole “Insulae Cunicularie” (da Plinio il Vecchio
nel “Naturalis Historia”) o “Ilva” (secondo Tolomeo), e successivamente “Fussa”, “Bucina”, e
isola “Bicinara”. Fu solo grazie al geografo Gian Francesco Fara, in epoca rinascimentale, che si
consolidò la denominazione di “Magdalena” che si trasformò poi in “Maddalena” da Alberto
della Marmora.
I primi abitanti stabili delle isole pare furono un gruppo di eremiti sotto l’ordine di San
Benedetto che vivevano in un monastero a Budelli dal 1198, anche se, però, non è mai stata
documentata con certezza l’esistenza del monastero.
Per avere notizie certe di una nuova presenza stabile nell’Arcipelago bisogna attendere fino
alla seconda metà del ‘600 quando un piccolo gruppo di pastori si trasferì dalla Corsica andando
a risiedere principalmente nella zona interna di La Maddalena, a Caprera e a Budelli. Il viceré di
Sardegna Roèro, Ercole Tommaso, marchese di Cortanze, rivolgeva alle isole denominate in quel
periodo “Intermedie”, il timore che i pastori corsi potessero appropriarsene. Allo stesso tempo,
poiché i pastori facevano ritorno in Corsica per registrare le nascite e per pagare i tributi, alla
Repubblica di Genova (che controllava la Corsica) poteva sorgere una pretesa di sovranità
sull’Arcipelago. Il 14 ottobre del 1767, il viceré della Sardegna conte Vittorio Lodovico d’Hallot
Des Hayes inviò così una spedizione militare nell’Arcipelago di La Maddalena allo scopo di
avere un maggior controllo della zona, soprattutto sul traffico illecito di grano e carni che tra le
isole e la Corsica si era instaurato, ma anche sulle frequenti visite dei pirati barbareschi nonchè
sui francesi. Furono quindi costruiti i primi fortini a Santo Stefano, Guardia Vecchia, Tegge,
Punta Rossa e Punta Sardegna. In risposta la Francia (poco dopo aver conquistato la Corsica)
inviò nell’Arcipelago il 22 febbraio del 1793 una flotta francese capitanata dal giovane
Napoleone Bonaparte, la quale però dopo soli quattro giorni dovette ritirarsi grazie all’insorgere
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della popolazione isolana insieme a quella gallurese, guidati dal marinaio maddalenino
Domenico Millelire.
La posizione strategica dell’Arcipelago di La Maddalena, data la sua centralità nel bacino
del Mediterraneo, è nota da tempo. Già nel 1803 l'ammiraglio inglese Nelson vi stabilì una base
navale composta da 13 navi e 2000 uomini per avere un maggior controllo sulla marina francese
che in quel tempo risiedeva a Tolone. Nel settembre 1873 una speciale Commissione, costituita
con il compito di avanzare delle proposte concrete sul miglior modo e sui mezzi più idonei con
cui Marina ed Esercito potessero efficacemente difendere i porti e le coste del nuovo regno
d’Italia, indicava l’Arcipelago della Maddalena come luogo di rifugio, rifornimento e riparazione
per l’Armata Navale e come base strategica per le operazioni nel Mar Tirreno. Nel marzo 1887
venne costituito il Comando di difesa locale marittima e venne disposto uno stanziamento
straordinario di 13 milioni di lire per le nuove fortificazioni ed i relativi armamenti. Venne
quindi ristrutturato tutto il sistema difensivo del territorio con l’aggiunta di fortificazioni in
calcestruzzo e ferro, di batterie di gran potenza, dell’Ospedale militare marittimo sussidiario,
fino ad arrivare all’inizio del Novecento ad avere un sistema di difesa pienamente operativo (52).
Il 10 aprile del 1943 si ricorda il devastante bombardamento che provocò l’affondamento
dell’incrociatore Trieste nella Rada di Mezzo Schifo e il danneggiamento del similare Gorizia, a
sud di Caprera. I bombardamenti impattarono negativamente il fondale marino e in particolare
quello relativo al Trieste che è ancora oggi visibile grazie alle immagini Side Scan Sonar.
Con l’adesione dell’Italia alla NATO nel 1949 La Maddalena divenne uno dei nodi
principali del dispositivo militare Nato nel Mediterraneo. Dal 1972 al 2008 Santo Stefano, ha
ospitato una base americana di appoggio per sommergibili della Us Navy armati di missili a
testata atomica. Dopo che gli americani sono andati via, nell’isola è rimasta una base della
marina militare italiana, che custodisce sei chilometri di gallerie scavate nel sottosuolo, il più
importante deposito di ordigni bellici delle forze armate nazionali: munizioni, armamenti
individuali, mine, esplosivi ad alto potenziale, bombe, missili terra-aria e siluri (68).
Il destino, la vocazione, il seme culturale delle Isole Intermedie è stato sempre quindi la
navigazione e la virtù militare. Dagli anni ’60 però tutto questo è stato sconvolto da una nuova
economia del territorio basata sul turismo. Un turismo invogliato a scoprire le numerose bellezze
naturali, marine e terrestri, le quali dal 1994 sono preservate tramite l’istituzione del “Parco
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Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena”. Il tipo di turismo che si è andato a sviluppare però
non rivolge particolari attenzioni alla natura. Si è difatti scelto di perseguire il modello di
sviluppo della “Costa Smeralda” basato su un’intensa espansione urbana sulla costa. Alberghi,
villaggi turistici, bed and breakfast, campeggi, seconde case, porti turistici, sono stati edificati
per riuscire ad ospitare il sempre più crescente numero di presenze turistiche, il quale nell’anno
2016 si attesta a 511 mila presenze per Palau (a fronte di 4.207 residenti) e 169 mila a La
Maddalena (a fronte di 11.248 residenti). La presenza di un Parco Nazionale dovrebbe in qualche
modo limitare l’impatto umano per permettere una maggiore preservazione, tutela e
valorizzazione del territorio. Dal numero di autorizzazioni concesse per poter sostare nell’area
“protetta” sembrerebbe, invece, che gli obiettivi economici prevalgano su quelli ecologici. Nel
2017 sono state autorizzate 82 ditte adibite al noleggio e locazione di imbarcazioni le quali, nella
loro totalità, potrebbero portare fino 2302 persone al giorno nelle isole. Tre invece sono le ditte
composte da imbarcazioni più grandi autorizzate a trasportare fino 1000 persone (79). Questo
vuol dire che se tutte queste imbarcazioni, adibite al noleggio o al trasporto, fossero al completo,
le aree protette accoglierebbero 3302 persone al giorno, e cioè 198.120 persone in due mesi. A
questi numeri vanno aggiunti poi le autorizzazioni concesse ai diportisti privati: 16.714 nel 2011,
14.917 nel 2012 e 12.564 nel 2013 (79). Ciò sta a significare che se ciascuna imbarcazione
ormeggiasse una solta volta in una sola baia (ma così non è) si calerebbero ogni giorno 13.564
ancore. Questo tipo di turismo “di massa” ha in qualche modo accentuato la percezione che le
spiagge costituite da sola sabbia bianca siano quelle più “pulite” e quindi quelle meglio
governate. Si sono quindi attivate intense operazioni di pulizia su tutte le spiagge della Gallura,
con lo scopo di asportare non solo i rifiuti umani ma anche le “erbacce terrestri”, il legname
proveniente dal mare e il fogliame di Posidonia oceanica spiaggiato (la cosiddetta “banquette”).
Non si comprende però se questa visione sia ampiamente condivisa dal pubblico o sia condivisa
solo da una minoranza e se questa percezione sia spontanea oppure costruita artificialmente dai
tour operator e dai comuni costieri (7). Sta di fatto che ingenti quantità di materiali preziosi per
la protezione della spiaggia e delle coste, vengono ogni anno rimossi da mezzi meccanici e da
personale con poca competenza scientifica.
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2.2 Lineamenti geografici dell’area di studio
L’area di studio è compresa nelle seguenti carte IGM a scala 1:25000: n. 411 quadrante II -
Santa Teresa di Gallura-; n. 412 quadrante III -Isola Maddalena-; n. 428 quadrante IV -Palau- e
quadrante I -Porto Cervo-. Localizzata nel settore Nord-Orientale della Sardegna (Figura 2),
l’area oggetto di questa tesi comprende l’Arcipelago di La Maddalena, composto da sette isole
principali con isolotti minori e scogli affioranti e le coste galluresi antistanti. I tratti costieri
dell’area si presentano molto articolati e caratterizzati da un’alternanza di profonde baie e
promontori controllati strutturalmente dalle lineazioni tettoniche della regione. Il sistema costiero
è stato classificato come “coste a rias” e cioè valli di origine fluviale, impostate su discontinuità
strutturali principalmente N-S ed E-W. Fin dal terziario i sistemi fluviali sono stati controllati nel
loro sviluppo, oltre che dalla tettonica, anche dai cicli eustatici, con numerosi episodi di
regressione e trasgressione marina responsabili di ripetuti eventi erosivi e deposizionali, l’ultimo
dei quali di età tardo pleistocenico-olocenica. Le principali “rias” che caratterizzano la costa
gallurese comprese nel presente studio sono, da ovest verso est: Porto Pozzo, Porto Liscia, Porto
Puddu, Rada di Mezzo Schifo, Cala di Villamarina, Baia Saline, Golfo di Arzachena, Liscia di
Vacca (Figura 2).
Il reticolo idrografico è impostato sulle lineazioni tettoniche del basamento ercinico. I
principali corsi d’acqua, di carattere torrentizio, che sfociano sulla costa gallurese sono il Fiume
Liscia, il Rio Surrau ed il Rio San Giovanni.
La complessità e l’articolazione della costa viene ulteriormente confermata da una generale
irregolarità dei fondali, contraddistinti da scarpate sottomarine con pendenze tra 8 e 12° in
prossimità di P.ta Sardegna – P.ta Nido d’Aquila, da ampie piattaforme, come in Cala Stagnali
(Figura 3).
Gli elementi più importanti dell’area oggetto di studio risultano essere, il Canale di
Buccinara, situato tra la Sardegna e il settore meridionale dell’Arcipelago di La Maddalena e le
rade di La Maddalena e S. Stefano (Figura 3).
Il Canale di Buccinara presenta una direzione NW-SE nel suo tratto settentrionale che
diventa N-S nello stretto fra Capo d’Orso ed il promontorio di Monte Fico, ed infine W-E nel
suo tratto meridionale a sud dell’Isola di Caprera. La sua imboccatura di NW è delimitata in
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profondità dalla presenza di due importanti rilievi sommersi: la Secca di Mezzo Passo e la Secca
di Palau. Tra la Sardegna e l’Isola di Santo Stefano, il canale è ampio e con fianchi leggermente
asimmetrici, con pendenza maggiore a ridosso di Santo Stefano. I fondali del Canale sono
piuttosto uniformi e collocati ad una profondità compresa tra 40 e 50 m (12).
Le rade di La Maddalena e S. Stefano si presentano ben differenziate per morfologia e
planimetria. La Rada di La Maddalena si presenta grossomodo triangolare, ristretta alla sua
imboccatura dalle secche di Mezzo Passo e di Palau. Il talweg della rada decorre in senso ENE-
SSW da fondali di 5 m (Cala Chiesa) ad oltre 34 m (connessione Canale di Buccinara). La Rada
di S. Stefano si presenta più ampia e articolata della prima, con decorso N-S, profilo asimmetrico
e raggiunge una profondità di 40 m. La connessione con il Canale di Buccinara a S avviene per il
tramite di un’ampia sella sottomarina. Questa rada comunica a N con il mare aperto attraverso il
Passo della Moneta (12).
Fig. 3 – All’interno del riquadro: il Canale di Buccinara e relative batimetrie