Michele Miconi - 17-11426 - AU7T5 17T5
Introduzione
Durante il mio percorso di studi ho avuto l’opportunità di trattare in modo particolare
materie scientifiche ed economiche e per questo motivo ho deciso di approfondire un
argomento che unisce il marketing, la chimica, la fisiologia e gli studi relativi ai creative
media affrontati durante il percorso di studi in Sae Institute Milano.
Oggi assistiamo a continui e molteplici cambiamenti che costringono le aziende ad attuare
nuove strategie di mercato per raggiungere i consumatori in modo più diretto ed efficace.
Molte multinazionali infatti stanno sfruttando delle tecniche di ricerca che uniscono la
neurologia al marketing tradizionale, reinventando completamente il concetto di traditional
marketing: il neuromarketing. Tale disciplina risulta essere in fase di crescita e diffusione a
livello internazionale e viene impiegata dai top brand per lo studio dei prodotti e del
mercato. È quindi questo un settore di studio in cui c’è ancora molto da sperimentare e
scoprire e nel quale è ancora possibile apportare un proprio contributo.
Si è scelto di approfondire tali studi attraverso un elaborato che sia in grado di trattare
approfonditamente l’argomento con il fine di dimostrare come queste nuove tecniche
possano fornire un aiuto rilevante nella comprensione di prodotti emozionalmente
coinvolgenti da parte delle industrie creative operanti nel settore del sonic branding. Il
concetto emozionale risulta essere infatti alla base dei processi decisionali riuscendo
pertanto a influenzare le vendite e determinando il successo o l’insuccesso di un brand,
per il quale tale componente è necessaria per spiccare nel groviglio delle informazioni di
cui sono quotidianamente bersagliati i consumatori.
L’intera ricerca aiuterà a comprendere se questo nuovo approccio può effettivamente
aiutare gli addetti del settore a migliorare i propri prodotti testandone l’efficacia o
l’inefficacia ancor prima del lancio. Si ritiene infatti di particolare importanza per un sound
engineer o sound designer comprendere come con queste nuove tecniche di analisi
possano dare una visione più approfondita sia del prodotto che del consumatore. In
questo modo si offre la possibilità al professionista di operare con delle linee guida
strutturali ed artistiche, creando un prodotto su misura per il brand cliente.
La ricerca bibliografica sul tema non ha prodotto risultati notevoli: gli studi specifici legati al
settore neuromarketing applicati al sonic branding risultano pressoché nulli. Si è però
rilevato che ad oggi molteplici aziende non utilizzano un sonic branding, in quanto lo
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ritengono ancora inutile e poco determinante all’interno del piano di marketing, vista la
scarsa possibilità di verificarne il funzionamento e l’effettivo ROI (Return on investment).
Partendo da un caso studio che non utilizza un sonic branding si tenterà di comprendere,
se effettivamente il suono migliora la percezione della brand identity, studiando grazie a
test neuroscentifici come la presenza del suono stimoli particolari risposte emozionali che
il solo logo aziendale non sviluppa nell’intervistato.
Il focus principale è quello di dimostrare, comprendendo le effettive differenze, se il logo
non sonoro sia migliore o peggiore di quello con sonic branding, differenziando questa
scelta anche in base alla tonalità e comprendendo come una modifica della stessa possa
alterare la percezione emozionale della brand identity. Oltre a questo sarà possibile
confrontare le risposte consce ed inconsce degli intervistati verificando se esse risultano
discordanti tra loro e dimostrando se effettivamente gli intervistati siano consapevoli della
scelta anche a livello inconscio. Un ulteriore approfondimento volto principalmente a
verificare le risposte consce avrà il fine di comprendere come il coinvolgimento
emozionale si differenzi anche in base all’età e al sesso.
Per realizzare l’intera ricerca si dovranno produrre due versioni del sound differenziandolo
nella tonalità usufruendo di una struttura esterna per realizzare il test di neuromarketing,
presso il centro di ricerca della fondazione GTechnology di Milano accreditata a livello
nazionale. Si è scelto di utilizzare la metodologia di ricerca utilizzata nei test di
neuromarketing condotti dalla Oxford University (Lindstrom, 2013).
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1. Il Neuromarketing
1.1. Neuroeconomia
Negli anni Novanta per la prima volta si iniziarono a condurre degli studi sull'economia
comportamentale. Con questo termine si definì tale disciplina come una branca specifica
dell'economia in grado di comprendere all'interno delle componenti più realistiche, legate
alla psicologia del pubblico, modelli di comportamento alternativi rispetto alla teoria
economica standard.
Le crescenti scoperte in ambito neuroscientifico applicate alla psicologia (Jeannerod,
1997) videro una possibile apertura applicativa anche in campo economico, sancendo a
fine anni Novanta la nascita della neuroeconomia (Loewenstein et al. 2008).
Gli economisti sono stati infatti i primi a proporre il termine neuroeconomia, cogliendo
l'esigenza di comprendere i processi di decisione utilizzando le tecniche usate nella
psicologia cognitiva e neuroscientifica (Tversky & Kanheman,1974).
La neuroeconomia si presenta infatti come una materia interdisciplinare che unisce
neurologia, economia, psicologia, medicina, matematica e scienza. Il suo scopo è quello di
descrivere i processi biologici che avvengono durante le decisioni di natura economica, andando così ad approfondire tutte quelle componenti legate ai processi decisionali, quali
l’attenzione, il pensiero strategico e le componenti legate alla personalità.
Questi indici possono essere ottenuti grazie all’ausilio del rilevamento dell'attività corticale.
Come si può evincere da recenti studi svolti per individuare i comportamenti di consumo
delle persone, grazie all’utilizzo di alcune particolari tecniche come la brain imaging, ci si è
spinti ben oltre la semplice rilevazione della risposta comportamentale, ma ottenendo una
vera visione del cervello e del funzionamento delle sue componenti (Mast & Zaltman,
2005). Nelle sezioni successive si andranno ad affrontare e descrivere tutti questi
processi, definendo come avvengono sia a livello pratico che fisiologico.
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1.2. Origine Neuromarketing
La conoscenza è fondamentale in ogni tipologia di processo, poiché garantisce che il
risultato sia positivo, e qualora si tratti di un prodotto, può migliorarne le condizioni a
favore di chi ne beneficia. Per questo, come anticipato nel capitolo precedente, queste
nuove tecniche aiutano gli operatori del settore a migliorare l'efficacia di prodotti e servizi,
facendo combaciare quest'ultimi con i processi decisionali dei potenziali clienti.
Con l'ascesa delle neuroscienze e lo sviluppo delle moderne tecnologie, chi opera
attualmente nel settore marketing ha disposizione degli strumenti in grado di determinare
come sviluppare un prodotto più compatibile o appetibile per il cliente e per il mercato di
riferimento.
Il neuromarketing, nato negli U.S.A., è apparso per la prima volta in modo strutturato nel
2002, quando alcune aziende americane di consulenza ne fecero un business.
Il termine "Neuromarketing" è stato coniato da Smidts nel 2002 rappresenta un campo
interdisciplinare in evoluzione che unisce diverse discipline incentrate sul comportamento
dei consumatori: la neuroscienza, la psicologia e l'economia classica (Lewis & Bridger
2005, pp.36).
Per questa nuova disciplina è di notevole importanza la comprensione dei diversi
comportamenti del cervello attivati durante i vari processi d'acquisto, in grado di definire
come avvengono le decisioni consce ed inconsce che influenzano le nostre scelte.
Si è infatti scoperto che i soggetti non sono in grado di dare una valutazione obiettiva di se
stessi, e in molti casi non comprendono quali siano le loro emozioni reali. (Murphy et al.,
2008)
Lo scopo del Neuromarketing è quindi quello di studiare le preferenze dei consumatori
(Murphy et al., 2008) e le risposte fisiologiche del corpo umano, attraverso l'applicazione
delle neuroscienze cognitive, con il fine di predire, comprendere e spiegare le componenti
individuali. Questi processi tentano infatti di definire cosa avviene nella mente del
consumatore prima e dopo l'acquisto, prendendo in considerazione la scelta, la decisione
e gli eventuali effetti a breve e lungo termine (Young, 2002). Durante questi studi si
rilevano le varie reazioni emozionali e il modo in cui consumatori rispondono ai vari stimoli
d'acquisto, in quanto una corretta comprensione di queste fa si può risultare d’aiuto nella
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pianificazione di eventuali strategie di marketing e nella creazione di prodotti che possano
entrare nella memoria a lungo termine del cliente.
Nel termine neuromarketing possiamo dunque far rientrare uno studio di tutti i processi
mentali, espliciti e impliciti, e dei comportamenti dei consumatori realizzati attraverso i
paradigmi e i modelli conoscitivi delle neuroscienze (Droulers & Roullet, 2007).
1.3. Ricerche
Per comprendere a fondo la prima ricerca effettuata in questo campo, risulta di
fondamentale importanza dare una definizione di “preferenza”: con questo termine si
indica una scelta che caratterizza l'atteggiamento o il comportamento in corrispondenza di
una valutazione positiva (solitamente fondata su motivi di importanza, convenienza e
gradimento).
Si ritiene che le preferenze siano direttamente legate ad uno stato emozionale che
anticipa il nostri comportamenti. Esse infatti vanno ad influenzare ogni aspetto della nostra
vita, dalla scelta di una canzone alle interazioni sociali con i nostri amici.
Da un punto di vista neuropsicologico, la preferenza si basa certamente su dei fenomeni
psicologici legati all'apprendimento, al livello culturale e alla conformità sociale (Monahan
et al., 2000, Berridge, 2004).
Uno degli studi più conosciuti sulle preferenze è quello pubblicato nel 2004 da Samuel Mc
Clure docente di Neuroscienze presso il Baylor College of Medicine (Houston, Texas) e
altri colleghi (McClure et al., 2004). Il lavoro in questione prevedeva una degustazione di
due bevande di marca differente, Coca Cola e Pepsi, da parte di alcuni soggetti , la cui
attività celebrale sarebbe stata esaminata in un secondo tempo con l'fMRI (una tecnica
che definiremo in seguito).
Durante lo svolgimento di tale l’analisi furono proposte principalmente due situazioni: nella
prima i soggetti non erano a conoscenza del brand delle bevande, mentre nella seconda
venivano informati del brand della bevanda che stavano consumando. Applicando queste
due variabili, è stata riscontrata una preferenza per la Coca Cola quando i soggetti erano a
conoscenza del brand, mentre quando non conoscevano la marca inconsciamente
preferivano Pepsi.
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Con tale studio si è quindi dimostrato come il marchio Coca Cola, essendo un brand
leader del settore bevande, sia in grado di influenzare la scelta dei soggetti, provocando
l’attivazione di una zona cerebrale specifica, la corteccia pre-frontale, che come vedremo
in seguito è responsabile della gestione delle decisioni e dell'attenzione.
Fig.1. Neural correlates of behavioral preference for culturally familiar drinks. (McClure et al., 2004).
Applicando invece la seconda variabile, ossia quando i soggetti non avevano la
consapevolezza del marchio, le scelte risultavano distribuite in maniera equivalente.
Questi risultati vennero in seguito confermati da un altro studio eseguito da Hilk
Plassmass, nel quale dimostrò l’esistenza di relazioni tra la scelta delle marche, le
emozioni e il coinvolgimento personale: egli riscontrò infatti un aumento dell'attività
cerebrale dei soggetti che affrontavano marchi di leader affermati (Plassmann, et al.
2004).
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Un’ulteriore interessante studio è quello condotto dai ricercatori dell'Università della
California. La ricerca poneva l’obiettivo di determinare l'andamento dell'attività neurale di
elettori democratici e repubblicani durante l’osservazione di messaggi pubblicitari con le
immagini dei candidati legati alla campagna della elettorale 2004 (Kaplan et al, 2007).
Da questa ricerca si evince come le attività cerebrali differiscano in base alle preferenze di
immagine: se un soggetto vede cioè l’immagine del proprio candidato preferito la sua
risposta emozionale sarà diversa da quella che gli potrebbe suscitare l'avversario politico
non conosciuto. Tale studio dimostra che l'identificazione visiva di un volto conosciuto
attiva determinati processi cerebrali come regioni di corteccia dell’extrastriato (Kanwisher
et al.1997).
Questo studio è direttamente collegabile in ambito pubblicitario, in quanto molte
multinazionali ricorrono a personaggi famosi od influencer per i loro spot, con il fine di
trasmettere sicurezza, su prodotti e servizi offerti.
1.4. Le Emozioni
L’elevato livello di saturazione dei mercati attuali, ha obbligato le aziende a creare
elementi emozionali capaci di suscitare nel consumatore delle vere esperienze, che siano
al momento dell'acquisto o legate direttamente ad un prodotto. Molte imprese infatti
perseguono l'obiettivo di creare un universo simbolico atto a rafforzare o aggiungere
valore ad un determinato servizio o prodotto, venduto dall’azienda (Santucci, 2002;
Fornari, 1995).
Per comprendere a fondo quanto segue è dunque necessario dare una definizione alla
parola “emozione”, creando inoltre una classificazione per stabilire quante e quali siano e
come possano combinarsi per creare altri stati emozionali.
L'emozione è la risposta dell'organismo a situazioni in specifici contesti, costituita da
diversi processi organizzati gerarchicamente e operanti indipendentemente (Ladavas,
1995). Uno dei primi studi sul tema è sicuramente quello del 1896 dello psicologo Tedesco
Wilhem Wundt, il quale teorizzò che la variabilità delle emozioni era da collocare lungo tre
assi: della gradevolezza-sgradevolezza, eccitazione, calma, tensione e rilassamento
(Wundt,1986).
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Fig 2: Classificazione emozioni (Wundt, 1896).
Dopo varie ricerche nel 1984 due psicologi affermarono che: “tutti conoscono un’emozione
sino al momento nella quale non si chiede loro di darne una definizione precisa”. (Fehr e
Russel, 1984, p.65).
Successivamente, lo psicologo Robert Plutchik, realizzò una delle prime classificazioni
emozionali organiche, creando delle vere categorie a più combinazioni possibili: egli
affermò infatti che esistono otto emozioni di natura primaria universale, le quali combinate
fra loro, possono creare emozioni di natura secondaria e non più universali. Per fare un
esempio che chiarisca il concetto, possiamo pensare come molto spesso siamo in attesa
di un risultato, vivendo quindi una situazione di aspettativa: se la uniamo alla paura per un
probabile riscontro negativo, ecco che si crea l'ansia (Plutchik,1980).
Come nello studio precedente, tale modello si basa non solo su un elenco delle emozioni,
ma è sviluppato su tre piani dimensionali: estremi polari, somiglianza e intensità.
Muovendosi lungo l'asse polare di un’emozione fondamentale, troveremo verso il basso
un tipo di emozione simile a quella fondamentale di partenza ma con un’intensità minore.
Se alla tristezza si toglie intensità, si arriva alla pensierosi e alla malinconia; se si
aggiunge si arriva ad uno stato di angoscia (Plutchik,1980).
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