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Il presupposto di questo criterio distintivo è la considerazione
dell’azione in quello, tra i significati ad essa attribuiti, più
esteriore ed appariscente, ovvero nella sua accezione di titolo
azionario, e cioè il documento che incorpora la posizione di socio
e che è destinato alla circolazione.
La differenza tra azione e quota, nel sistema del codice, secondo
un criterio letterale, risiederebbe, pertanto nel fatto che mentre
nella società per azioni vi è un titolo circolante rappresentativo
della quota di partecipazione, nella società a responsabilità
limitata questo titolo circolante non c’è e non vi può essere.
Tuttavia, pur essendo, questo dell’azione come titolo azionario,
l’aspetto più appariscente, non sembra potersi configurare come il
carattere essenziale che la contraddistingue dalla quota. Infatti,
ad opera di una disposizione legislativa coeva al codice civile,
l’art. 5 R.D. 29 marzo 1942 n. 239, è attribuita alla società per
azioni la facoltà di deliberare che non si attribuiscano ai soci i
titoli delle azioni, evidenziandosi così il carattere solo
eventuale e facoltativo di tale emissione con la conseguenza che
la ricerca degli elementi caratterizzanti le azioni e le quote
vanno ricercati altrove.
A ben vedere, un elemento discriminante tra quota e azione si
ravvisa nel diverso criterio in cui può essere suddiviso il
capitale sociale. La quota è il risultato di una suddivisione del
capitale sociale in conseguenza di una pluralità di soci. Cosicché
ciascun socio avrà una quota di partecipazione e la parte che
ciascuno di essi ha nel capitale viene unitariamente considerata,
essendo unico il soggetto al quale i poteri e i diritti inerenti
alla parte di capitale fanno capo.
La quota, quindi, esprime la partecipazione di un socio nella sua
globalità e la posizione concreta di questo nella società e,
inoltre, facendo capo ad un'unica persona presenta la
caratteristica di essere unitaria . Dal carattere unitario della
quota afferente a ciascun socio discende l’unitarietà del rapporto
socio – società con la conseguenza che le vicende relative a
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questo rapporto riguardano la posizione di socio nella sua
interezza.
La suddivisione del capitale sociale, tuttavia, può operarsi anche
secondo un diverso criterio ossia prescindendo completamente dalle
persone dei soci ed essere attuata astrattamente nell’atto
costituivo sulla base di un’operazione aritmetica. Si opera così
una suddivisione del capitale, fin dall’inizio, in tante parti che
costituiscono ciascuna, in sé e per sé un complesso unitario di
diritti e di poteri. Queste parti sono le azioni.
L’azione, pertanto, non è la partecipazione sociale intesa come
posizione complessiva del socio nei confronti della società e
degli altri soci, ma piuttosto l’unità di misura della
partecipazione stessa. Più precisamente, un quantum minimo di
partecipazione, conseguente alla suddivisione statutaria del
capitale sociale in un numero predeterminato di unità del tutto
identiche. Ognuna di queste parti racchiude, ridotto ai minimi
termini, e pertanto non ulteriormente frazionabile, quel complesso
di posizioni attive e passive in cui si articola la partecipazione
sociale .
In sintesi si può dire che le azioni sono il risultato di una
suddivisione del capitale secondo un criterio astratto –
matematico prefissato ex ante nello stesso atto costitutivo; tutto
ciò a prescindere dalla variazione delle persone e del numero dei
soci.
La quota, invece, consegue ad una divisione del capitale riferita
al numero dei soci. Ne discende che le quote possono essere di
diverso ammontare e possono variare nel numero e di entità per
tutto il corso del rapporto di società in relazione alle
modificazioni quantitative del corpo sociale.
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La differenza essenziale tra quota e azione, possiamo ora
affermare, si ravvisa nel loro diverso determinarsi in relazione
alla persona del socio: la prima "deriva" dalla posizione del
socio, la seconda ne astrae completamente. Tutto ciò spiega la
ragione per cui il codice stabilisce l’impossibilità per la prima
e la possibilità, anzi la normalità, per la seconda di essere
rappresentate da un documento circolante.
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2. L’azione nelle sue accezioni terminologiche.
Analizzata una prima specificazione dell’azione rispetto alla
quota, è possibile proseguire l’indagine sui suoi caratteri
specifici partendo dalla considerazione secondo la quale il
termine azione sottende ad una triplice accezione concettuale,
intendendosi infatti, nel linguaggio del legislatore e degli
operatori, con tale espressione:
a. una parte del capitale sociale;
b. un complesso unitario di poteri (la partecipazione);
c. un documento che incorpora la partecipazione.
Analizziamo, ora, il primo di questi.
2.1. L’azione come parte del capitale sociale e il principio di
uniformità.
La parte del capitale sociale che l’azione rappresenta costituisce
il valore nominale della stessa, determinato sulla base dell’atto
costitutivo. Tale valore nominale essendo il risultato, come si è
visto, di un’operazione aritmetica, deve essere uguale per tutte
le azioni.
Il valore nominale si pone quindi quale connotato essenziale e
tipico dell’azione, strettamente correlato al capitale sociale,
nel senso che la somma del valore delle singole azioni deve
corrispondere all’entità del capitale sociale.
Questo principio è testualmente affermato nell’art. 2348 c.c.
primo comma, ove si stabilisce: "le azioni devono essere di uguale
valore e conferiscono ai possessori uguali diritti", e viene
generalmente denominato principio di uniformità.
Il principio di uniformità assolve, in primo luogo una funzione
essenziale dal punto di vista patrimoniale. Individua, infatti,
l’importo minimo del conferimento del socio, pertanto, essendo
vietata l’emissione di azioni per un importo inferiore, ai sensi
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dell’art. 2346 c.c., fornisce al contempo uno strumento di
salvaguardia dell’integrità del capitale stesso.
In secondo luogo l’azione, intesa come minimo statutario di
partecipazione è assunta quale unità di misura di quei diritti
inerenti alla partecipazione i quali, per loro natura, sono
suscettibili di esercizio in misura quantitativamente diversa;
basti pensare ad esempio, alla partecipazione agli utili, alla
ripartizione del patrimonio sociale in fase di liquidazione e al
diritto di voto per i quali, le discipline dettate dagli artt.
2350 e 2351 c.c. non possono che fondarsi sul presupposto di una
uniformità del valore nominale. Proprio quest’ultimo aspetto può
fornirci più chiaramente la ragione del principio di uguaglianza
del valore nominale delle azioni poiché, "se tali diritti vengono
riconosciuti, in base alla somma delle azioni possedute, diviene
logicamente imprescindibile l’esigenza che vi sia omogeneità dei
dati da sommare".
2.2. L’azione come complesso unitario di poteri. Princìpi di
indivisibilità e di inscindibilità delle azioni.
L’azione rappresenta il risultato di una decisione organizzativa
della società che, come si è visto, in essa stabilisce l’unità
elementare dell’organizzazione societaria alla quale corrisponde
un complesso unitario di diritti e poteri. Come tale, l’azione è
indivisibile e pure indivisibili sono le posizioni soggettive che
alla stessa sono inerenti.
L’art. 2347 c.c., primo periodo, afferma espressamente questo
principio presupponendo la valenza organizzativa che assume la
predisposizione di partecipazioni - tipo; con la conseguenza che
la loro eventuale divisione o frazionamento possono conseguire
solamente ad una modifica statutaria.
In caso di comproprietà di azioni l’art. 2347 c.c. detta una
disciplina che si preoccupa di evitare il frazionamento delle
posizioni sociali assicurando che ne rimanga unitario il loro
esercizio. Questo articolo, infatti, impone, con riferimento agli
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aspetti attivi della partecipazione, che "i diritti dei
comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante
comune" e , in relazione agli aspetti passivi, che le
comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società, in mancanza
del rappresentante comune, ad uno dei comproprietari, sono
efficaci nei confronti di tutti.
Da ciò si desume un ulteriore connotato dell’azione quello della
c.d. inscindibilità ossia l’impossibilità di scomporre le varie
posizioni giuridiche che la partecipazione azionaria riassume e di
una loro attribuzione a soggetti diversi.
Spesso i concetti di indivisibilità e inscindibilità sono stati
considerati come due manifestazioni di un medesimo modo di essere,
tralasciando, tuttavia di evidenziare le peculiarità che le
qualificano come due profili sostanzialmente diversi e
inconfondibili.
Possiamo notare, infatti, come la indivisibilità consegua ad una
scelta organizzativa per la quale con le azioni si individuano
preventivamente le partecipazioni- tipo le cui imputazioni
soggettive permettono di misurare quantitativamente la
partecipazione del socio. La inscindibilità, invece, attiene ai
rapporti reciproci tra i diritti dei soci e prospetta il problema
se, posto che questi diritti assolvano una funzione unitaria, sia
ammissibile l’eventualità che la loro titolarità si articoli tra
soggetti diversi. Il principio di inscindibilità riguarda, perciò,
questioni di generale connotazione della partecipazione azionaria
che si sottraggono anche all’autonomia statutaria, mentre il
principio di indivisibilità, imponendosi solamente ai soci, non
impedirebbe una modifica dell’atto costitutivo volta al
frazionamento delle azioni.
Una trattazione non eccessivamente superficiale del tema
dell’inscindibilità implica considerazioni di carattere generale
sulla partecipazione sociale in cui la varietà e la complessità
dei problemi che si generano non pare opportuno trattare in questa
sede che ha carattere necessariamente introduttivo.