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INTRODUZIONE
Stimolare la vita, lasciandola però
libera di svilupparsi, ecco il primo
dovere dell’educatore
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.
Quando, all’inizio del quarto anno universitario, hanno invitato noi
studenti a scegliere l’ambito nel quale portare avanti il progetto di tesi, avevo già
le idee molto chiare: sarebbe stata la storia, una delle discipline che maggiormente
mi entusiasmano. L’incontro con voci autorevoli della didattica di tale disciplina e
le ore intense di attività in classe seconda hanno aumentato, giorno dopo giorno,
la consapevolezza che il desiderio e la voglia di sperimentarmi nell’insegnamento
della storia per trasmettere la mia passione non sarebbero bastati. Su quali
motivazioni profonde avrei basato l’intero progetto?
Per cercarle, ho ripercorso gli anni felici dell’ infanzia, fino a comprendere
l’origine della mia passione per la storia. Il primo emozionante contatto è
avvenuto grazie al tempo dedicato all’ascolto dei racconti dei nonni: un tempo
denso di sentimenti e affetto, un tempo fatto di pazienza e attenzione, un tempo di
condivisione tra due generazioni. L’entusiasmo e la vivacità, che mi hanno
accompagnata nei primi viaggi nel passato, hanno fatto nascere in me un forte
interesse per la storia, alimentato negli anni successivi dall’incontro fortunato con
alcuni docenti liceali, innamorati dell’insegnamento e aperti alle novità.
L’esperienza da tirocinante e il lavoro di educatrice presso il doposcuola
della mia città mi hanno permesso di conoscere un’infanzia sotto alcuni aspetti
visibilmente cambiata rispetto alla mia. Infatti, il tempo di condivisione tra
bambini e nonni sta diventando un privilegio di pochi: i primi passano gran parte
delle ore a scuola e, all’uscita, sono già pronti per la prossima attività
sportiva/didattica della giornata; i secondi, alzata l’età per andare in pensione,
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MONTESSORI M., Educare alla libertà, Milano, Mondadori, 2008, p. 45.
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sono ancora impegnati nel lavoro oppure hanno l’esplicita mansione di
accompagnare i nipoti da una parte all’altra della città.
Entrambe le generazioni sono state coinvolte dai ritmi frenetici della
società attuale e trovare un momento per fermarsi e raccontare risulta, dunque,
un’ardua impresa. Inoltre, il tempo lento dell’ascolto è sempre più difficile da
promuovere in bambini abituati fin dalla nascita alla velocità delle nuove
tecnologie e alla visione del mondo multitasking: si parla, spesso, di un
ingrandimento del divario generazionale tra i nati nel secolo scorso e i cosiddetti
“nativi digitali”.
A partire da queste considerazioni generali sulla società attuale in continua
e rapida trasformazione, ho scelto come obiettivo cardine del mio percorso ciò che
viene indicata da Aurora Delmonaco - e da altri storici - come una delle finalità
principali dell’insegnamento della storia: il desiderio di “stabilire una
comunicazione affettiva fra le generazioni e costituire le basi di una memoria
sociale, di passare dalla storia come scenario esterno alla storia come esperienza
interiore che può essere evocata e rivissuta empaticamente”
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Uno scopo che possiede un duplice significato: affettivo e storico. Un
significato affettivo, innanzitutto, in quanto mira a consolidare il legame ricco di
sentimenti tra nonni e nipoti; tale legame sembra che si stia affievolendo e la
scuola, attraverso la progettazione di percorsi didattici sulla storia locale, potrebbe
- o dovrebbe - tutelarlo. Un significato storico, in secondo luogo, in quanto
l’ascolto delle testimonianze dirette aiuta i bambini ad immergersi nel passato e
immedesimarsi nei protagonisti del racconto: comprendono così che la storia non
corrisponde alla descrizione sintetica dei manuali, ma è fatta di esperienze di
persone in carne e ossa, che sono vissute nel passato, che vivono nel presente e
che vivranno nel futuro.
La resa concreta di tale obiettivo attraverso la progettazione delle attività
didattiche ha portato con sé una seconda domanda fondamentale: il mio obiettivo
sarebbe stato interessante per la classe e si sarebbe inserito adeguatamente nel
contesto scolastico incontrato? Grazie a un continuo confronto con la tutor e a
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DELMONACO A., Il laboratorio di storia, in Bernardi P. - Monducci F. (a cura di),
Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Torino, Utet, 2012, p. 32.
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numerose ore di osservazione in situazione, ho potuto conoscere i bambini rispetto
ai loro punti di forza e di debolezza, dai quali avrei dovuto necessariamente
partire per far sì che il percorso si legasse agli altri elementi del contesto.
La fortuna maggiore è stata trovare un’insegnante impegnata nella
sperimentazione delle metodologie didattiche attive: gli alunni, al mio ingresso in
classe, stavano imparando a collaborare con i compagni per lo svolgimento del
lavoro di gruppo e a rispettare il proprio turno di parola durante le conversazioni.
Un’ulteriore aspetto positivo - e la conferma di essermi inserita nella classe adatta
- è stata la scelta della destinazione per l’uscita annuale: il Museo dei Giocattoli di
Cormano. Per collegarsi alla visita didattica, la mia proposta è stata dunque
incentrata su due temi principali, la scuola e i giocattoli; essi, inoltre, sono stati
scelti quali aspetti della vita quotidiana più vicini ai bambini stessi.
Quali modalità didattiche avrebbero contribuito a dare valore e importanza
al mio percorso? Grazie alla formazione ricevuta in università, il punto di partenza
della progettazione delle mie attività era chiaro: il bambino in tutto se stesso, con
le sue capacità e le sue difficoltà, deve essere il centro del processo di
insegnamento-apprendimento. Per molti insegnanti, questo principio cardine della
didattica non è ancora così ovvio; lo era e lo è, invece, per la mia tutor. Dunque,
cosa potevo portare di nuovo in un contesto classe in cui tutte le teorie studiate
sembravano aver già trovato una realizzazione concreta?
A volte, però, l’apparenza inganna: l’osservazione delle lezioni di storia e
del comportamento dei bambini durante il lavoro di gruppo, mi ha permesso di
portare alla luce alcuni aspetti poco approfonditi e verso i quali avrei potuto
indirizzare le mie proposte. Per tenere insieme da una parte l’obiettivo di
impostare l’insegnamento della storia su una sperimentazione attiva e dall’altra la
necessità di sviluppare la collaborazione spontanea tra compagni, ho creato le basi
per introdurre nel contesto classe un elemento di novità, il laboratorio storico.
Innanzitutto, la scelta è ricaduta su un laboratorio, quale contesto
privilegiato in cui il bambino impara attraverso l’azione in prima persona,
attraverso prove e errori, ma soprattutto attraverso la stretta cooperazione con il
gruppo dei pari. In secondo luogo, è stato avviato un laboratorio di storia, basato
sulla messa in atto di una ricerca storiografica adattata a livello didattico: ho
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scelto, infatti, di aderire all’ipotesi di alcuni autori, secondo i quali essa favorisce
negli alunni lo sviluppo di una serie di competenze generali, spendibili nella vita
di tutti i giorni. Concretamente, la predisposizione di determinate condizioni
contestuali ha favorito la nascita spontanea nella classe della modalità di ricerca
storiografica, come risposta ai quesiti posti dalla storia.
Il presente lavoro vuole essere un’analisi approfondita delle numerose
sfaccettature che l’obiettivo iniziale ha assunto durante lo svolgimento del
percorso e delle direzioni inaspettate - ma sempre positive - che i bambini hanno
dato con i loro interessi e curiosità.
Nel primo capitolo presento una parte iniziale dedicata ad un’attenta
riflessione teorica sugli elementi costitutivi del laboratorio storico; nella seconda
metà, ho scelto di dare rilievo alle caratteristiche del contesto scolastico, alle
scelte pedagogiche della tutor e alle metodologie utilizzate che hanno influito
favorevolmente sull’attuazione del laboratorio stesso.
Il secondo capitolo, cuore di tutto l’elaborato, è articolato in molteplici
paragrafi: dopo un opportuno approfondimento teorico sul significato
dell’obiettivo principale, in ciascuno di essi prendo in considerazione una singola
valenza che l’obiettivo stesso ha assunto durante il progetto. Le attività didattiche
e i risultati ottenuti sono stati analizzati secondo i seguenti punti di vista: il senso
del tempo per i bambini, l’importanza della storia locale e l’adattamento didattico
della ricerca storiografica.
Nel terzo capitolo riprendo, in modo più organico, la riflessione
sull’impiego didattico delle fonti storiche già accennata nei capitoli precedenti,
approfondendo in modo particolare la percezione dei bambini rispetto alla loro
utilità e la specificità delle fonti orali, in quanto è la tipologia cardine intorno alla
quale è stato costruito il percorso.
Infine, nel quarto capitolo prendo in considerazione un’ultima valenza
dell’obiettivo principale, quella metacognitiva, focalizzandomi esclusivamente sul
prodotto finale, ritenuto espressione concreta dei principi teorici e delle
convinzioni personali presentate nei capitoli precedenti, nonché un degno
compimento, cognitivamente ed emotivamente coinvolgente, per i bambini di
seconda.
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CAPITOLO 1
IL LABORATORIO STORICO E I FATTORI DI
CONTESTO CHE LO FAVORISCONO
Per imparare a pensare, bisogna dunque
esercitare le nostre membra, i nostri sensi, i
nostri organi, che sono gli strumenti
dell’intelligenza
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La scelta della disciplina storica come ambito in cui proporre il progetto di
tirocinio del quarto anno è stata dettata da una passione personale per questa
materia. Una passione che è nata sia grazie ai racconti dei nonni ascoltati durante
l’infanzia, sia grazie al fortunato incontro con professori liceali entusiasti del loro
lavoro e innamorati della storia. Prima di iniziare il tirocinio, non avendo alcuna
esperienza pregressa nell’insegnamento di questa materia, ho cercato di ripensare
in modo critico alla formazione storica che io stessa ho conosciuto durante i miei
studi, individuando aspetti positivi e negativi. Le lezioni di storia erano
caratterizzate prevalentemente dalla lettura del sussidiario, accompagnata dal
completamento di varie schede di comprensione e da qualche occasionale disegno.
L’elemento cardine erano le lunghe serie di date che, fin dal principio, hanno
accompagnato l’intera durata dei miei studi e messo a dura prova la capacità - e
soprattutto la volontà - di imparare tutto a memoria.
Il contesto in cui ho svolto il tirocinio, invece, mi ha dato la possibilità di
conoscere l’insegnamento sotto un’altra prospettiva. Ho preso parte alla vita di
una classe energica, vivace, costantemente coinvolta nel processo di
insegnamento-apprendimento attraverso domande stimolanti e attività interessanti.
Ho incontrato un’insegnante attenta ai bisogni dei propri alunni, capace di
sostenerli nel proprio percorso di crescita e di divertirsi insieme a loro. Durante le
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ROUSSEAU J. J., Emilio, Brescia, La Scuola, 1981, p. 36.
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lezioni di storia, non ho più ritrovato né date da imparare a memoria, né il
sussidiario, né le schede da completare.
Di fronte a un’impostazione didattica così diversa da quella che ho
conosciuto da bambina, mi sono posta una domanda che ha rappresentato la
chiave di volta del percorso di studi: durante le lezioni di storia, passavo il mio
tempo esclusivamente sul sussidiario? C’è qualche episodio particolare che
ricordo con più affetto? La risposta è positiva: ciò che rivivo con maggiore
chiarezza sono le visite didattiche ai musei, l’arrivo in classe dei genitori che
raccontano i nostri primi anni di vita, la pergamena egiziana fatta con le nostre
mani e tante altre attività.
In mezzo ai mille dubbi che ancora riempivano la mia mente, ecco un primo
punto fermo da cui partire per strutturare il progetto: la consapevolezza che i
bambini ricordano maggiormente non le lezioni frontali, vuote e ripetitive, ma le
esperienze di cui essi stessi sono stati protagonisti. Il contesto privilegiato in cui
un bambino può essere attivo nel processo di insegnamento-apprendimento è il
laboratorio. Durante le ore di tirocinio, dunque, ho scelto di predisporre le attività
in modo da promuovere una didattica laboratoriale.
A livello teorico, numerosi autori si sono preoccupati di trovare una
definizione convincente del termine laboratorio. Ciononostante, esso rischia
ancora di essere frainteso: spesso si crede che il laboratorio possa esistere
esclusivamente in uno spazio attrezzato al di fuori della classe, in cui vi sono gli
strumenti e i materiali per proporre attività speciali. Più opportuno, invece,
potrebbe essere utilizzare l’espressione “mente laboratoriale” e, partendo da essa,
arrivare a parlare di stili laboratoriali. La “mente laboratoriale” si forma
direttamente sul campo: è una mente le cui operazioni cognitive si manifestano
nel saper fare; una mente che segue la naturale predisposizione ad apprendere
attraverso l’esperienza diretta
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MATTOZZI I., La mente laboratoriale, in Bernardi P. - M o n d u c c i F . ( a c u r a d i ),
Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, Torino, Utet, 2012,
pp. 14-17.