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INTRODUZIONE
I crediti – secondo la definizione fornita dall’Organismo Italiano
Contabilità – “rappresentano diritti ad esigere, ad una scadenza
individuata o individuabile, determinati ammontari di disponibilità
liquide da clienti o da altri soggetti”.
Nella realtà aziendale, essi costituiscono parte del patrimonio grazie al
quale le imprese possono svolgere e proseguire la propria attività in
un’ottica di lungo periodo. Non rappresentando, però, disponibilità
liquide certe ma solo “sperate”, è ovvio che i crediti, al fine di definire
un’appropriata strategia aziendale basata su aspettative, sono tra le
attività maggiormente sottoposte a stime e valutazioni riguardo alla loro
esigibilità. Una congiuntura economica negativa, come quella attuale, si
traduce spesso sia in un rischio di credito per le imprese creditrici sia in
una stretta creditizia per le imprese che necessitano di liquidità. È allora
chiaro che ciò influenza le politiche adottate dagli amministratori in sede
di redazione del bilancio d’esercizio al fine di rappresentare in modo
veritiero la situazione economica e finanziaria. La “tutela” per le imprese
riguarda sia la possibilità di dedurre eventualmente la perdita sul credito
(ormai inesigibile) dal reddito imponibile sia la possibilità di
smobilizzare in via anticipata i crediti cedendoli ad operatori
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specializzati (cd. factoring), assicurandosi così liquidità immediata.
Anche in quest’ultimo caso, però, un minore incasso rispetto al valore
nominale del credito farebbe emergere una perdita. Questo
“meccanismo” di deduzione fiscale della perdita sul credito rappresenta
da sempre uno strumento di utilità primaria per le imprese che vantano
crediti di difficile esigibilità, in particolar modo per gli enti creditizi le
cui attività principali consistono, appunto, nell’erogazione di
finanziamenti. Il fine è ovviamente quello di ottenere un beneficio fiscale
in termini di imposte sul reddito che possa “compensare” la perdita sul
credito non incassato. Tuttavia, non sempre le norme fiscali convergono
con quelle civilistiche, soprattutto in relazione alla deducibilità o meno
dei costi imputati a conto economico, sia si tratti di svalutazioni sia di
perdite.
Obiettivo del presente lavoro è proprio quello di mostrare il complesso
legame tra norme civilistiche e norme fiscali e di capire, quindi, come le
imprese possano reagire al presunto rischio di credito ed alla successiva
(eventuale) certezza dell’inesigibilità dello stesso. L’argomento è
analizzato prima sotto il profilo contabile-civilistico e poi sotto il profilo
fiscale, sottolineando la maggiore libertà concessa dalle norme
civilistiche rispetto alla rigorosità delle norme fiscali, ma anche come
talvolta queste ultime risultino di difficile interpretazione.
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Nel primo capitolo viene fornito innanzitutto un quadro generale sulle
fonti del diritto contabile per le imprese nazionali. In particolare, si mette
in evidenza come le norme principali contenute nel Codice Civile spesso
sono affiancate ed integrate – attraverso un rinvio espresso di
quest’ultimo – dall’Organismo Italiano Contabilità (OIC), il quale è
preposto all’emanazione dei principi contabili che le imprese nazionali
devono seguire al fine della redazione di un corretto bilancio di
esercizio. Oltre a ciò, l’OIC funge da armonizzatore tra disciplina
nazionale e disciplina internazionale, in quanto partecipa
all’elaborazione dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS), emanati
dallo IASB. In alternativa, le imprese hanno comunque facoltà di
adottare e seguire i principi contabili internazionali; facoltà che diventa
obbligo, in base alla Legge, per determinati enti, come ad esempio le
banche o altri enti creditizi, intermediari finanziari e imprese
assicurative. Detto ciò, vengono sottolineate allora le sostanziali
differenze, riguardo alla definizione ed alla classificazione dei crediti in
bilancio, tra disciplina nazionale ed internazionale. In particolare, si
mostra come il Codice Civile ed i principi contabili nazionali risultino
più precisi e dettagliati rispetto ai principi contabili internazionali, i quali
fanno rientrare i crediti nella più vasta categoria degli strumenti
finanziari, classificati, di conseguenza, in base a criteri differenti.
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Il secondo capitolo si concentra su tre aspetti fondamentali, in ambito
civilistico, riguardanti l’iscrizione dei crediti in bilancio: la valutazione,
la svalutazione e la disciplina della cancellazione dei crediti dal bilancio.
Tutto è analizzato prima dal lato dei principi contabili nazionali poi da
quello dei principi contabili internazionali, evidenziando anche qui le
sostanziali differenze derivanti soprattutto dalla funzione che i primi ed i
secondi attribuiscono al bilancio d’esercizio. I principi contabili
nazionali sono infatti più rivolti alla tutela dei soci e dei terzi creditori
mentre gli IAS/IFRS sembrano prediligere la tutela degli investitori. Per
tale motivo il Codice Civile ed i principi contabili nazionali,
salvaguardando l’integrità del patrimonio, adottano come criterio
generale di valutazione dei crediti il valore di presumibile realizzazione,
mentre i principi contabili internazionali impongono, in sede di prima
iscrizione, di iscrivere gli strumenti finanziari al cd. “fair value” del
corrispettivo, cioè il valore corrente (di mercato) o di scambio. Si noti fin
da ora come la disciplina nazionale non faccia riferimento alla prima
iscrizione o alle successive, stabilendo unicamente che il valore di
iscrizione dei crediti deve coincidere in ogni caso con il valore di
presumibile realizzazione (il quale in particolare assumerà il valore
nominale nel caso in cui i crediti siano facilmente riscuotibili). Il valore
dipende, dunque, solo dal grado di esigibilità stimato e non dal tempo
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dell’iscrizione. Quando, infatti, esistono dubbi sulla riscossione dei
crediti si deve procedere, in ossequio al principio della prudenza, alla
svalutazione degli stessi stanziando un apposito “fondo svalutazione
crediti” ed imputando gli accantonamenti a conto economico in qualità
di costi. Eventualmente, se la perdita dovesse verificarsi in altri esercizi,
dovrà essere imputata preventivamente a tale fondo e solo l’eccedenza
sarà iscritta a conto economico in qualità di perdite su crediti. In maniera
del tutto differente, gli IAS/IFRS, in sede di seconda iscrizione,
impongono di valutare in ogni caso i crediti in base al criterio del costo
ammortizzato. È ovvio che qualora si tratti di un credito sicuramente
esigibile il valore iniziale al “fair value” dovrebbe coincidere con quello
scaturente dal criterio del costo ammortizzato. Ma la differenza più
rilevante si riscontra nella contrapposizione tra prudenza e certezza della
perdita: se, infatti, la disciplina nazionale consente di applicare
svalutazioni per perdite solo stimate, i principi contabili internazionali
non ammettono riduzioni di valore in assenza di prove oggettive tali da
far ritenere certa la difficile riscossione del credito. Infine, è trattata allo
stesso modo, dal punto di vista contabile, la cancellazione dei crediti dal
bilancio (“derecognition”), in quanto i nuovi principi contabili nazionali
hanno mutuato l’impostazione dagli stessi IAS/IFRS.
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Nel terzo capitolo il focus è incentrato sulla valutazione dei crediti in
ambito fiscale, mettendo in risalto la rigorosità delle regole riguardanti la
svalutazione e la deducibilità delle perdite su crediti, tramite anche un
esempio numerico. La rigorosità deriva da due aspetti: le limitazioni
quantitative poste dal Legislatore fiscale in relazione alla svalutazione
deducibile (derivante da stime) e le stringenti condizioni che debbono
sussistere, come i requisiti della “certezza” e della “precisione”, per far sì
che una perdita su un credito possa concorrere alla formazione del
reddito imponibile. L’alto tasso di dinamicità che da sempre caratterizza
la generalità delle norme fiscali ha portato, soprattutto negli ultimi anni,
al susseguirsi di diversi interventi normativi riguardo al tema in esame.
Ma ciò non è bastato a colmare, ancora oggi, i numerosi dubbi
interpretativi lasciati dal tenore letterale delle norme fiscali, con
conseguenti contrasti tra Amministrazione finanziaria, contribuenti e
Giurisprudenza. Tali dubbi riguardano un po’ tutte le fattispecie, anche
quelle che il Legislatore stesso elenca e considera come già contenenti i
requisiti sopra citati. Ad esempio, i principali problemi emersi
riguardano la competenza della deducibilità delle perdite,
l’individuazione della “modesta entità” dei crediti, ed anche la
determinazione di quegli elementi certi e precisi che consentirebbero di
dedurre le perdite. In quest’ultimo caso, infatti, l’Amministrazione
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finanziaria è parsa ancora più severa del Legislatore fiscale ed anche
della Giurisprudenza prevalente. Contrasti che permangono, in modo
coerente, anche relativamente alle perdite derivanti da debitori esteri, per
le quali non vi sono sostanziali differenze. Inoltre, viene evidenziato
come per i soggetti “IAS adopter” non si applichino tutte le norme fiscali
previste dal Tuir, relativamente ai requisiti da soddisfare per la
deducibilità, ma solo quelle relative ai limiti quantitativi.
Il quarto capitolo, infine, si sofferma prima su un importante atto
dispositivo sul credito, come la cessione, e poi su un aspetto ad esso
collegato qual è l’elusione fiscale o anche l’abuso del diritto. Viene
proposta inizialmente un’esposizione dal punto di vista del diritto privato
che regola più propriamente il contratto di cessione dei crediti, i
presupposti basilari e le differenze generali tra la cessione “pro soluto” e
“pro solvendo”. L’analisi prosegue poi dal lato delle imprese, le quali
hanno la possibilità di cedere i propri crediti, soprattutto commerciali, ad
operatori specializzati individuati da una Legge “ad hoc”. Si tratta del cd.
factoring, uno strumento a disposizione delle imprese che funge sia da
tutela, poiché consente di monetizzare in via anticipata un credito
ancorchè inesigibile, sia come alternativa al finanziamento bancario
caratterizzato ormai da una stretta creditizia. I vantaggi sono evidenti e
ciò giustifica il crescente ricorso, da parte delle imprese, a detto
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strumento. Anche in tal caso la cessione può avvenire garantendo il
pagamento del debitore o meno, e ciò comporta una differente
rilevazione contabile sia da parte del cedente sia del cessionario.
Vengono poi analizzate due fattispecie particolari sul tema della
cessione: la cessione dei crediti d’imposta, caratterizzata da evidenti
differenze e restrizioni rispetto a quanto prevede il Codice Civile, e gli
aspetti elusivi che possono celarsi dietro ad un’operazione di cessione,
soprattutto tra società appartenenti ad uno stesso gruppo. A tal proposito
va citato il recente Decreto Legislativo n. 128 del 5 agosto 2015, che ha
l’intento di ricercare le fattispecie elusive attraverso l’individuazione
degli abusi del diritto (in tal caso riguardo alla cessione del credito).