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Percezione autistica: una singolare forma umana dell'esperienza del mondo
Come conciliare l'esperienza interna e l'espressione corporea per intervenire al meglio
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Prefazione
Uno dei relatori del Master sull'autismo che mi ha colpito maggiormente è stato il professor Cuva
che in sede di una lezione ha fatto un'affermazione con la quale mi trovo molto in accordo:
"l’autismo è un campo estremamente complesso e pieno di controversie come anche molto ricco e
stimolante quindi ogni persona che decide di immergersi in questo mondo, o meglio in questi mondi,
ha una motivazione che va compresa, in primis rispetto a sé stessi, perché determina la visione e il
contributo che poi potrà dare". Per questo motivo ci tengo a dedicare qualche riga proprio a questo
argomento. Nel corso dei miei studi in filosofia, soprattutto di filosofia morale; filosofia della
psicologia; ermeneutica artistica e neurocognizione, ho iniziato ad appassionarmi alla psichiatria e
a conoscere diversi disturbi mentali e del neurosviluppo tra cui l'autismo. L'autismo mi aveva colpito
in particolare perché faceva sorgere in me tante domande sull'essere umano e la socialità. Come
scrive Aristotele nella "Politica" l'uomo è per definizione un animale sociale in quanto tende ad
aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Espandere le mie conoscenze sull'autismo mi
ha portato a domande come: la socialità è un istinto primario o è frutto di altre esigenze? Chi
definisce le regole di una relazione? E cosa vuol dire veramente essere in relazione con qualcuno?
Una delle grandi difficoltà nel capire a fondo un disordine di questo tipo è che nello spettro ci sono
persone con un funzionamento mentale molto alto e con abilità speciali che sono però incapaci di
interagire con l'altro. Al fine di comprendere meglio questa condizione ho deciso di approfondire il
mio interesse per la psichiatria e le scienze cognitive e ho iniziato un percorso in psicologia. Mi sono
immersa nella lettura di articoli scientifici, manuali e libri autobiografici sull'autismo. Durante
questo percorso di studi, incuriosita dall'aspetto reale, umano, concreto e non solo accademico ho
iniziato a lavorare con Lily, una bambina autistica di sei anni non verbale, e in seguito con altri
bambini. Mi è piaciuto moltissimo e i bambini che ho conosciuto e con cui ho lavorato mi hanno
aiutata e ispirata su molti aspetti, e lo fanno tutt'ora. Passare del tempo con loro mi ha insegnato
nuovi modi di comunicare, condividere lo spazio e interagire con l'altro. Mi hanno insegnato
linguaggi affascinanti che non possono essere espressi a parole. Ho capito che incontrare questi
bambini e ragazzi è stato l'inizio di uno scambio meraviglioso e di un'esplorazione di altri mondi che
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mi hanno cambiata e mi hanno arricchita come persona. Avendo continuato poi i miei studi in
ambito psicologico è arrivato un punto nel quale ho sentito la necessità di approfondire le mie
conoscenze ed elaborare la mia esperienza sull'autismo, per questo motivo ho considerato il Master
in linea con i miei obiettivi. A conclusione di questo percorso ho scelto di approfondire l'aspetto
sensoriale perché nel corso della mia esperienza ho notato che è un canale fondamentale per capire
meglio il mondo dei bambini e ragazzi con cui lavoriamo e per migliorare la loro qualità di vita. Dato
che è un campo che può essere visto da molti punti di vista ed è molto ampio lo restringerò alle
seguenti domande per chiarire il mio focus di ricerca. Le tre domande che ho deciso di pormi in
questo approfondimento sono: come conciliare la ricerca scientifica e la diagnosi con l’esperienza
soggettiva dell’individuo per intervenire al meglio? Qual è la correlazione tra sintomi core
dell'autismo e le disfunzioni o particolarità sensoriali? Qual è la connessione tra l’esperienza interna
del bambino e l’espressione corporea?
Inizierò con un'introduzione sull'autismo, poi riassumerò la ricerca svoltasi fino ad ora a riguardo
delle basi neurologiche dell'autismo e in particolare dell'aspetto sensoriale, poi passerò alla parte
osservativa ed esperienziale. In seguito presenterò un caso sul quale svilupperò un piano di
intervento, e in conclusione svilupperò alcuni punti cardine dei metodi proposti nel piano di
intervento, il DIR-Floortime e il metodo Feuerstein.
1. Introduzione
Il termine autismo viene dal greco autos, per se ipse, che significa "se stesso o per se stesso". Si
riferisce alla solitudine e all'isolamento, alludendo a come appaiono ai normotipici le persone con
autismo. Ma, come mostrerò più avanti, testimonianze autobiografiche come le narrazioni Dawn
Prince-Hughes (2002, 2004), Donna Williams (1992, 2003, 2004), Temple Grandin (1996) e Naoki
Higashida (2007) rivelano, invece, il loro forte desiderio di connettere e comunicare con gli altri e di
condividere le loro diverse esperienze emozionali con il mondo. Il termine autismo è stato coniato
da Bleuler nel 1911 per definire i sintomi di schizofrenia, ma è stato usato per la prima volta nella
sua accezione moderna nel 1938 da Hans Asperger in una conferenza sulla psicologia infantile. Nel
1944, ha identificato, in quattro ragazzi, un pattern di comportamenti e abilità che include
"mancanza di empatia, scarsa abilità nel formare amicizie, conversazione a una via, intenso
assorbimento in un interesse specifico e movimenti goffi". In seguito Leo Kanner ha pubblicato una
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descrizione di 11 bambini con similarità comportamentali nel 1943 dove ha introdotto il termine di
early infantile autism.
Il professor Cuva, sempre in una lezione svoltasi nel corso del Master, ha dato questa definizione:
“L’autismo è un disturbo del neuro-sviluppo biologicamente determinato che si traduce in un
funzionamento mentale atipico che accompagna il soggetto per tutto il suo ciclo vitale” riferendosi
alle linee guida SIMPIA, 2004. Cuva ha anche sottolineato che il termine autismo nasce dalla
psichiatria con Bleuler come uno dei sintomi chiave della schizofrenia per sottolineare che,
nonostante ora le cose siano molto cambiate, bisogna tener sempre presente che è un argomento
così complesso anche perché oscilla tra disabilità e follia. Il quadro clinico dell'autismo viene definito
usando criteri comportamentali. Si può misurare solo attraverso espressioni esterne che sono un
gruppo molto variabile di sintomi e comportamenti e che sono influenzati da fattori multipli genetici
e epigenetici come l'educazione; l'ambiente; e le abilità individuali. Lo spettro quindi è molto ampio
ed eterogeneo. Non solo varia in termini di sintomi ma anche di severità. Da una parte ci sono le
persone autistiche a basso funzionamento che hanno comportamenti problema auto-lesivi, vivono
in uno stato costante di ansia e paura, e non possono esprimersi attraverso il linguaggio o altri mezzi
di comunicazione. Dall'altra parte ci sono le persone con autismo ad alto funzionamento e fieri di
esserlo perché lo considerano un altro tipo di identità, e allo stesso tempo anche una disabilità
(Solomon, 2012). La tensione tra identità e malattia non è esclusiva all'autismo ma, in questa
condizione, il conflitto è particolarmente estremo. Per alcuni genitori e persone autistiche, l'idea
che l'autismo non sia un'avversità potrebbe essere un insulto alla loro sofferenza; altri concepiscono
la condizione in termini più positivi come una ricca differenza. Per esempio, attivisti sostenitori della
neurodiversità come Jim Sinclair, Jim Sinclair, Ari Ne’eman, Camille Clark, Amanda Baggs e altri
rigettano l'etichetta e ogni tentativo a trovare interventi finalizzati a curare l'autismo (Autism
Speaks; Solomon, 2012). Riguardo a questo problema, Jim Sinclair (1993) afferma: “L'autismo è un
modo di essere, è pervasivo". Quindi, non può essere sradicato perché si sradicherebbe la persona
stessa. Anche John Elder Robinson (2007) ha una posizione simile: “la cura può è essere la malattia
stessa, quando porti via quello che è percepito come sbagliato puoi togliere anche il dono di quella
persona". Sulla stessa linea ma in termini più delicati, Roy Richard Grinker afferma: "L'autismo è
meno una malattia che va nascosta che una disabilità che va accomodata; è meno uno stigma, che
fa sfigurare una famiglia che una variazione dell'esistenza umana" (Grinker, 2007). Io mi trovo
d'accordo con Simon Baron-Cohen che crede che: "L'autismo è sia una disabilità che una differenza.
Noi dobbiamo trovare il modo per alleviare la disabilità e allo stesso tempo rispettare e valorizzare
la differenza." (Research Autism, 2015). Inoltre, più studio e lavoro con persone autistiche più mi
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rendo conto che tutti abbiamo dei tratti autistici, la sola differenza sta nell'intensità in cui li
manifestiamo e li viviamo. Infatti Happè ha affermato: “Time to give up on a single explanation for
autism” (Happè et al., 2006) ovvero, è tempo di mettere fine alla ricerca di una singola spiegazione
per l'autismo.
Non si può però negare la necessità e l'utilità di una definizione clinica che espongo di seguito.
Secondo il DSM-IV (APA, 1994), l'autismo è stato definito un disordine pervasivo del neurosviluppo
e comprendeva una triade di sintomi:
1. Menomazione della reciprocità sociale
2. Menomazione del linguaggio/comunicazione
3. Repertori ristretti e ripetitivi di interessi/attività
Nel DSM-V (APA, 2013), il termine Disordini dello spettro autistico è stato introdotto come un
termine generale che include quattro disordini che erano separati nel DSM-IV. I quattro disordini
sono: il disordine dello spettro autistico; l'Asperger; il disordine disintegrativo dell'infanzia; e il
disordine pervasivo dello sviluppo o non altrimenti specificato. Diversi livelli e sintomi di severità
sono considerati in due domini core:
A. Deterioramento persistente nelle comunicazioni sociali reciproche e nelle interazioni sociali
B. Schemi comportamentali ripetitivi e ristretti
Entrambi i domini contengono dei punti esplicativi sulla manifestazione dei sintomi.
La diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” richiede la presenza di almeno tre sintomi esplicati
nella categoria A e di almeno due nella categoria B (Muggeo, 2012).
Nel DSM-V è inoltre specificato che:
C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare
completamente manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacità).
D. L'insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano.
La diagnosi richiede la specificazione della la gravità ovvero il livello di aiuto richiesto e l'impatto sui
livelli di funzionamento personale per ciascuna area sintomatologica (A e B), la presenza o assenza
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di disabilità intellettuale correlata, di compromissioni del linguaggio (ricettivo ed espressivo), e di
condizioni mediche o genetiche associate.
Nella categoria B troviamo un punto riguardante l'iper o ipo-reattività agli stimoli sensoriali o
interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell'ambiente: apparente indifferenza al
caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo annusare o
toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti roteanti. Questo aspetto non era presente nel DSM-
IV (APA, 1994). Come sottolinea Nardocci (2016), Asperger aveva già individuato i disturbi della
percezione sensoriale, tattile e uditiva grazie alla cura nell'osservazione dei suoi casi e all'ascolto
delle famiglie: "Molti di questi bambini hanno un'avversione che può diventare abnorme per certe
sensazioni del tatto, magari per il velluto, la seta, l'ovatta, il gesso; non tollerano la ruvidezza delle
camicie nuove, dei calzini rammendati; non sopportano il taglio delle unghie e la spiacevole
sensazione che ne segue è motivo per cui in queste occasioni si giunge a scene pesanti. [..] Anche
verso i rumori questi bambini sono spesso ipersensibili, talvolta proprio quelli che in altre situazioni
sono così completamente assenti e insensibili a ciò che accade attorno a loro, anche al frastuono."
(Asperger, 2003, p. 92).
Nonostante ciò, solo negli ultimi trent'anni è aumentato molto l'interesse per questo aspetto e
quindi anche la ricerca svoltasi in questo ambito. Grazie a questo aumentato interesse è stato
individuato che i disturbi sensoriali sono presenti nel 70-80% delle persone autistiche (Volkmar et
al., 1986; O'Neill, 1995; Baranek et al, 2006; Ben-Sasson et al., 2008; Dawson & Watling, 2000; Kientz
& Dunn, 1997; Dunn et al., 2002; Liss et al. 2006; Myles et al., 2004; Watling et al., 2001) ed è stato
ipotizzato da molti che le differenze nell'elaborazione sensoriale potrebbero contribuire o essere
alla base di deficit in aree sociali più complesse, e di sintomi cognitivi e comportamentali che
definiscono l'autismo (Boyd et al., 2010; Foss-Feig et al., 2012; Hilton et al., 2010; Jones et al., 2003;
Watson et al., 2012). Kern et al. 2007 riportano che tutte le modalità sensoriali primarie (uditiva,
visiva, tattile e orale) sono compromesse o presentano differenze rispetto alla norma nell'autismo.
Più del 96% di bambini con autismo presenta iper o iposensorialità in domini multipli e questo può
portare a comportamento auto-lesivi e aggressivi soprattutto per chi non è in grado, attraverso il
linguaggio verbale o non verbale, di comunicare la propria sofferenza. Leekam et al. (2007) hanno
rilevato che più del 90% di bambini con autismo hanno anomalie sensoriali, inoltre che le anomalie
sensoriali sono pervasive e multimodali e persistenti nel corso della vita. Per questo motivo, molti
ricercatori hanno dimostrato che le persone autistiche mostrano un profilo sensoriale atipico e si
sono battuti perché questo aspetto fosse inserito nel DSM-V (Baranek et al., 2006; Mottron et al.,
2006; Rogers et al., 2003). Purtroppo però c'è ancora un consenso limitato sulle cause e manca un
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modello di riferimento per le anomalie sensoriali nell'autismo (Marco et al., 2011). Anche molte
testimonianze autobiografiche riportano esperienze sensoriali insolite come insensibilità al dolore
e risposte atipiche a stimoli uditivi, visivi, tattili e olfattivi (Bemporad, 1979; Cesaroni & Garber,
1991; Grandin & Scarano, 1986; Gerland, 2003; Williams, 1999). Il disagio causato da particolari
input sensoriali può causare comportamenti molto disturbanti e aggressivi sia in persone autistiche
ad alto funzionamento sia in quelle a basso funzionamento. In quest'ultimo caso il dolore non può
essere esternato e spiegato a parole. Il sovraccarico sensoriale può portare spesso a crisi nervose e
a crolli emotivi molto forti e capire qual è l'input che causa il disagio è essenziale per organizzare
l'ambiente e la routine di modo da minimizzare il più possibile le possibilità di dolore. Inoltre,
l'incapacità di porre fine alle crisi nervose e il rifiuto ad essere toccati può aumentare i problemi
sociali ed è straziante per i genitori che vogliono trasmettere il loro amore attraverso il tatto. I
genitori e gli stessi bambini hanno bisogno quindi di avere una spiegazione e di capire il modo in cui
fanno esperienza del mondo. Per questo ho deciso di affrontare questo argomento e di farlo sia da
un punto di vista clinico e scientifico sia da un punto di vista umano e fenomenologico.
Abbiamo visto la definizione diagnostica dell'autismo e i suoi limiti e ho presentato alcune delle
controversie che ruotano attorno a questa condizione. Per questi motivi non bisogna mai scordarsi
l'importanza di un modello bio-psicosociale dell’autismo che prenda in considerazione tutti gli
aspetti: biologico, fisiologico, neurale, psicologico e sociale. Ci tengo a sottolineare che oltre alla
definizione clinica, alla ricerca, e ai dibattiti che si sollevano c'è molto altro. Ovvero la quotidianità
delle persone che ogni giorno lo vivono. Il nostro ruolo di terapeuti ed educatori implica sia l'essere
informati, preparati e professionali, sia il tenere sempre presente che davanti a noi e soprattutto
con noi c'è una persona con un mondo da scoprire. Le testimonianze autobiografiche che ho
nominato in precedenza credo siano una bussola molto preziosa. Personalmente mi hanno portata
a ricercare sempre un miglioramento nella pratica giornaliera e a costruire una forte consapevolezza
della relazione che si crea con le persone che incontro.
Secondo un paradigma filosofico chiamato Embodied Cognition che adotto nella presente ricerca,
sia teorica che pratica, i pensieri, le metafore, e il linguaggio appoggiano le loro radici sulle
sensazioni e i movimenti del corpo. In altre parole, le più alte forme di astrazione conosciute sono
ritenute provenire ed essere radicate nella nostra esperienza corporea nel mondo (Lakoff &
Johnson, 2003). Come affermano, George Lakoff and Rafael Núñez (2011), grandi esponenti di
questa corrente di pensiero: “la vera struttura della ragione stessa viene dai dettagli del nostro