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INTRODUZIONE
La fede, la devozione e il misticismo sono solo alcuni dei sentimenti connessi
all’esperienza religiosa. Esternati sottoforma di canto, preghiera o semplicemente lode,
questi occupano una posizione rilevante nella vita quotidiana di ciascun “credente”,
santo e non.
Scrittori e poeti, ad esempio, celebrano e descrivono il loro personale rapporto con
Dio servendosi della parola scritta che, al pari della “Parola originaria” contenuta nella
Bibbia, è considerata da loro “creatrice” e “salvifica”.
Allora, esiste un legame tra la dimensione sacra e quella poetico-letteraria?
Sembrerebbe proprio di sì, o perlomeno è quello che si cercherà di dimostrare in questa
tesi, prendendo in considerazione, su tutte, l’esperienza mistica della poetessa italiana
Alda Merini.
Il presente lavoro – nato da un personale interesse nei confronti della poetessa
milanese – ha come oggetto di studio l’analisi del sentimento religioso (argomento,
finora, parzialmente sviluppato dalla critica) nella sua vasta produzione ‘poetica’.
Da sempre, si sa, l’esperienza del sacro ha ricoperto – e tuttora ricopre – un ruolo
determinante nella storia della letteratura italiana, poiché il dialogo con Dio risulta
essere non soltanto un valido motivo di sfogo ma, soprattutto, un’interessante occasione
di crescita e di maturazione, sia personale sia professionale.
Sulla base di tali riflessioni, il presente studio nasce dalla volontà di dimostrare
quanto premesso e si compone di tre capitoli e di due appendici.
Nel primo capitolo si è presentato un breve excursus sulla poesia religiosa italiana a
partire dal Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi (considerato il testo
inaugurale del filone poetico-religioso) fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per gli
autori – e le rispettive opere – di ciascun secolo.
Lo scopo di tale excursus è stato quello di evidenziare quanto, sin dalle origini, la
produzione religiosa sia stata connessa all’esperienza poetica; in seguito si è prestata
attenzione all’evidente affinità che intercorre tra la poesia e la teologia (e alla relativa
coincidenza di ruolo tra il poeta e il teologo-profeta), poiché entrambe queste discipline
attribuiscono un valore particolare alla Parola. Infatti, dallo studio condotto, è emerso
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che la parola poetica e quella profetica coincidono perfettamente, giacché il poeta –
come il profeta – è dotato di una sensibilità tale da fargli addirittura percepire per
tempo, e dunque “prevedere”, il futuro. In tal senso è apparso decisamente significativo
il richiamo alla figura letteraria di Dante Alighieri – il poeta-profeta per eccellenza – a
cui la stessa Alda Merini ha dichiarato di ispirarsi.
Infine si è posta attenzione anche alla poesia religiosa femminile, poiché, tra gli altri,
sono state soprattutto le donne le protagoniste indiscusse dell’esperienza mistica.
A tal proposito, dopo aver introdotto la distinzione tra due diverse forme di
misticismo – quello affettivo e quello speculativo –, si sono menzionate alcune autrici
(sante e non) dei cosiddetti testi “mistico-sacrali” (di cui fanno parte anche i diari, gli
epistolari e le lettere), riflettendo, in particolar modo, sui temi e gli stilemi ricorrenti di
questa loro interessante poetica.
Nel secondo capitolo, invece, si è esaminato più approfonditamente il sentimento
religioso di Alda Merini. Infatti, dopo aver presentato una breve biografia della
poetessa, incentrata sugli aspetti “mistico-sacrali” della sua esistenza, la ricerca si è
focalizzata dapprima sullo studio delle fonti mitologiche ed evangeliche alla quale
l’autrice milanese si è ispirata (nella sua poetica, infatti, mito e religione hanno
convissuto), per poi constatare l’esistenza di una vera e propria vena mistica meriniana
in relazione ad alcune sue liriche.
Di queste, poi, si sono analizzati i temi ricorrenti: ad esempio, l’esistenza di un
rapporto “dialogico e paritario” con Dio, il dualismo ossimorico anima-corpo, la
necessità di calarsi nelle tenebre per cercare la luce (quindi la salvezza) e la tendenza
dell’autrice ad identificarsi con alcune figure religiose, quali Maria e Gesù. Pertanto,
sulla base di questa analisi, è stato possibile individuare quelle che sono le “costanti”
(K) della poesia religiosa meriniana.
A tal proposito, l’immedesimazione con il sacro è proprio uno degli argomenti
principali dei componimenti dell’autrice milanese, in particolar modo di quelli composti
tra il 2000 e il 2007. Dallo studio condotto, ad esempio, è emerso che Alda Merini sente
di assomigliare, per aspetti diversi, alla Vergine Maria per la comune esperienza della
maternità (che ha visto entrambe vivere nel dolore e nella solitudine); a Gesù Cristo per
la “Passione” subìta (lui sulla croce, lei in manicomio) ed, infine, a San Francesco per
l’umiltà e la semplicità mantenute di fronte a Dio. Ulteriore “costante” individuata è
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stata l’ampio ricorso da parte della Merini ad un registro medio, dialogico e colloquiale
anche laddove la poetessa sembra rivolgersi al divino. Infine, è parso evidente anche
l’impiego di alcuni ossimori – o meglio, dicotomie –, quali corpo-anima o terreno-
divino, allo scopo di dimostrare quanto i due poli, seppur opposti, non possono fare a
meno l’uno dell’altra per esistere.
Successivamente si è posta attenzione anche al linguaggio e allo stile meriniano:
analizzando la terminologia usata, le figure retoriche impiegate (ossimori e metafore), la
tipologia dei versi scelta e la frequente alternanza tra prosa e poesia si è giunti alla
conclusione che, sia la lingua sia lo stile della Merini, sono stati lo specchio della sua
fragile interiorità e che questi hanno anche subìto l’influenza di alcuni modelli letterari,
tra i quali il già citato Dante, il tedesco Rilke, l’orfico Dino Campana e l’americana
Emily Dickinson.
Riflettendo sul ruolo di tali autori – e sulla loro incidenza poetica in Alda Merini –
anche nel presente capitolo è emersa, in particolar modo, la forte affinità tra l’autrice
contemporanea ed il “Sommo Poeta”: in entrambi, ad esempio, si registra l’alternanza di
prosa e poesia, allo scopo di rendere comprensibile ed aulico al tempo stesso qualunque
testo; in entrambi si trova la predilezione per l’utilizzo dell’endecasillabo (o verso
melopea), giudicato come il più elegante ed armonioso tra tutti i versi ed, infine, in
entrambi si registra il ricorso ad un registro linguistico “ibrido”, caratterizzato, cioè,
dall’incrocio e dalla mescolanza fra termini “alti” e “classici” e vocaboli più umili e
quotidiani.
Tale analisi ha fatto dunque emergere lo stretto legame tra la poetica meriniana e
quella dantesca, portando alla luce anche la forte inclinazione della Merini verso quel
“plurilinguismo” e quel “pluristilismo”,
1
di cui, secondo Gianfranco Contini, Dante ne è
stato certamente l’iniziatore.
Infine nel terzo capitolo, dopo una breve presentazione delle opere meriniane – le
quali sono state collocate all’interno del suo “universo poetico” sottoforma di punti
cardinali – si è proceduto ad analizzare alcune poesie – facendo particolare attenzione
1
Si attribuisce al filologo e critico letterario Gianfranco Contini l’individuazione di due diverse linee che
attraversano l’intera tradizione letteraria italiana. In Varianti e altra linguistica (1955) il filologo mette in
contrapposizione il monolinguismo, che riflette la lingua “alta” di Francesco Petrarca fino a Giacomo
Leopardi, da un lato; e il plurilinguismo, che da Dante arriva fino a Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo
Pasolini, dall’altra. Il plurilinguismo dantesco si riflette a sua volta nello stile, che proprio per la sua
varietà di genere prende il nome di pluristilismo.
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alla loro dimensione strutturale, linguistica e tematica – contenute in quelle che sono
tutt’oggi considerate le raccolte “cristologiche” di Alda Merini. In particolar modo sono
state oggetto di analisi le poesie maggiormente connotate da un forte sentimento
religioso, vale a dire quelle in cui i rimandi e le allusioni alla dimensione sacra sono
maggiormente presenti. Si è condotta su di esse un’analisi prevalentemente stilistica,
ponendo attenzione all’uso e alla disposizione di versi, parole, rime e metafore, affinché
risulti chiaro che la scrittura della Merini non è altro che la “rappresentazione visibile”
della sua anima. Inoltre dall’analisi è emerso anche che la poetessa milanese, da brava
“alunna” dell’Alighieri quale si riteneva, tende a strutturare i suoi testi – soprattutto le
ultime raccolte poetiche – in maniera concentrica, in modo tale da creare un continuum
tematico tra essi allo scopo di arrivare al cuore dell’argomento, ovvero la fede. Quella
della Merini, quindi, è sì una poesia concentrica, ma è anche e soprattutto una poesia
ciclica poiché i suoi componimenti più recenti, proprio in virtù del fil rouge religioso
che li lega, si richiamano a vicenda. Anche in Dante infatti, così come in Eugenio
Montale, si assiste ad un continuum ed a una corrispondenza tematica simile, a
dimostrazione della forte affinità che pone in relazione questi diversi grandi poeti.
Ulteriore dato emerso dallo studio condotto è la tendenza poetica della Merini a
introdurre, in modo quasi ossessivo, nella sua produzione poetica elementi naturali e/o
musicali: i fiori, l’aria, l’acqua e i riferimenti, anche cromatici, alla stagione
primaverile; così come gli strumenti musicali quali la cetra o il flauto. Con molta
probabilità la poetessa si serve di questi elementi metaforici allo scopo di “cantare” la
sua rinascita, il suo ritorno alla vita dopo la “catabasi” (dal greco κατάβασις, “discesa”)
infernale del manicomio; un’esperienza devastante che, però, non le ha impedito di
lottare e resistere, tanto che questo suo “titanismo” è diventato un interessante topos
della sua scrittura e della sua poesia.
Ma, come si è anticipato, il presente lavoro si compone anche di due appendici: nella
prima si sono volute inserire alcune pagine di “scrittura creativa”, più precisamente un
monologo (da me scritto), che è stato ideato allo scopo di ripercorrere, in modo più
originale e personale, la vita della celebre poetessa milanese, permettendole (e
permettendomi!) di “raccontare” come e perché in lei sia emerso così fortemente il
bisogno di Dio; nella seconda, invece, si è scelto di inserire una lettera immaginaria
realizzata da Claudio Cianfaglioni, il quale, con l’ausilio di alcune citazioni poetiche
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della stessa Merini, ha evidenziato in maniera decisiva lo stretto legame “parentale” che
congiunge la poesia alla religione: esse, non a caso, sono da sempre considerate “arti
sorelle”.
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CAPITOLO I
POESIA E RELIGIONE: DUE “ARTI SORELLE”
«Scusatemi di scavalcare così di frequente il piano dell’anima per rintracciare la strada della
tecnica, o viceversa. Ma sono così diversi i piani? Non sono esse, forma e sostanza, quando si
tratta di vera poesia, fuse l’una nell’altra per medesima necessità? Insieme fuse, non le trasporta
a commuoverci un medesimo furore? […] Oggi il poeta sa e risolutamente afferma che la
poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è una bestemmia.»
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1.1 La poesia religiosa: da San Francesco ai giorni nostri
Il sentimento religioso – vale a dire quella forza interiore che da sempre ha spinto
l’uomo a cercare Dio – , la contemplazione delle meraviglie da Lui create, il bisogno di
dialogare con “colui che tutto può” sono solo alcuni degli argomenti toccati dai più
importanti autori del panorama letterario italiano.
Ma quando si può iniziare a parlare di letteratura o, più precisamente, di poesia religiosa
in Italia? E ancora, è possibile individuare un momento preciso per stabilire la sua
nascita? A fornirci le risposte a tali domande è stato il critico e filologo italiano Giorgio
Petrocchi che, nel suo celebre saggio intitolato Il sentimento religioso all’origine della
letteratura italiana (1996), ricorda che la stessa nascita della lingua volgare (dal latino
vulgus “popolo”) avviene nel campo dell’esperienza religiosa.
Infatti è in seguito al Concilio di Tours (813), voluto fortemente da Carlo Magno
affinché la predicazione religiosa – fino ad allora svoltasi in lingua latina – avvenisse in
“rustica romana lingua”, che si attesta la nascita delle lingue neolatine (anche dette
romanze) e la conseguente diffusione di una predicazione popolare: il messaggio
religioso e la parola di Dio diventano così di immediata comprensione ai più, e si assiste
a un rapido processo di cristianizzazione.
Sulla base di tali considerazioni, perciò, la letteratura italiana non ha potuto – e tuttora
non può – essere tagliata fuori da tale fenomeno, anche per via dell’importante funzione
2
Giuseppe Ungaretti, Sentimento di Dio, in Il problema di Dio, (a cura di) G. Savio e T. Gregory, Roma,
Editrice Universale di Roma, 1949, pp. 338 sgg.
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didattico-culturale che ricopre, tant’è che con il passare del tempo in molti si sono
cimentati nella stesura di testi religiosi.
In particolar modo è la poesia di contenuto religioso – composta in lingua volgare – ad
affondare per prima le sue radici. Essa fiorisce nel corso del Duecento in alcune regioni
italiane, e tra queste è l’Umbria, insieme a tutta la fascia adriatica («qui, fra Abruzzi e
Marche, facendo centro nell’Umbria francescana, fiorisce una tutt’altra poesia e
letteratura»
3
), a ricoprire un ruolo fondamentale mediante l’attività poetico-religiosa di
San Francesco d’Assisi, una delle figure cardinali della spiritualità cristiana medievale
nonché autore delle Laudes creaturarum (Cantico delle creature o di frate Sole).
In forma di lauda (più comunemente detta “lode”) questo componimento in versi,
scritto in volgare umbro, ripete per ben otto volte la lode a Dio allo scopo di esaltare le
creature da lui volute e per questo giudicate intimamente buone: il sole, la luna e le
stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la terra e la stessa «morte corporale» (distinta da quella
«secunda», cioè dell’anima) vengono contemplate e venerate.
Il Cantico delle creature (1224) perciò è una lampante testimonianza di religiosità
spontanea attraverso il quale Francesco elogia la bellezza del Creato, mettendo in risalto
l’indiscussa capacità del Signore nel “fare grandi cose”.
Contemporaneamente, nel Duecento agisce in area umbra anche un altro grande
promotore della poesia religiosa: Iacopone da Todi.
Il Laudario di quest’ultimo presenta una forte componente mistico-ascetica attraverso la
quale si esprimono i caratteri tipici della spiritualità cristiana – ad esempio il timore di
Dio e della morte, il peccato, l’esortazione alla virtù e al pentimento – raggiungendo
toni alti di poesia evocativa in Donna de Paradiso, nota anche come Pianto della
Madonna (XIII secolo).
Il testo di questa lauda drammatica – scritta anch’essa in volgare – si presenta come un
concitato dialogo tra San Giovanni Evangelista, Gesù, la Madonna e la folla negli ultimi
momenti di vita di Cristo; ma ciò che più caratterizza i testi poetici di Iacopone da Todi
è il bisogno di una continua comunicazione con Dio; un bisogno che, come si vedrà,
sarà oggetto di poesia anche di autori contemporanei.
Accanto ai componimenti lirici del santo di Assisi e a quelli di Iacopone – considerati i
3
Carlo Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, p. 35. Qui l’autore
ricorda come, nel corso del Duecento, l’Italia fosse divisa in tre grandi aree letterarie: quella tirrenica,
quella appenninica e quella adriatica dove, per l’appunto, nacque la poesia religiosa.
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veri capostipiti di questo filone poetico – non sono da dimenticare altri interessanti testi
religiosi dell’epoca, come il Libro delle tre scritture del milanese Bonvesin de la Riva
– diviso in tre sezioni: la Scrittura rossa (metafora della Passione di Cristo), la Scrittura
nera (metafora dell’Inferno) e la Scrittura dorata (metafora del Paradiso) – e il Sermone
di Pietro da Bascapè che narra le vicende di Adamo ed Eva.
Nel Trecento sono i poeti “stilnovisti” come Guido Guinizzelli e Dante Alighieri ad
affrontare l’argomento religioso in relazione all’amore terreno per le rispettive donne;
tra le opere di questi in particolare si evince che «il cristianesimo è la fibra intima
dell’opera dell’Alighieri, dalla giovanile Vita nova, in cui Beatrice si manifesta alfine
come figura Christi, alla Commedia, costruita coniugando i generi della visione e del
viaggio oltremondano»
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; infatti il “sommo poeta” non perde occasione per sottolineare
quanto Beatrice, donna dalle molteplici virtù, ricopra il ruolo di figura “angelicata” per
eccellenza – e per questo risulta inevitabile che numerosi siano i richiami danteschi alla
sfera religiosa e al mondo ultraterreno: basti pensare, ad esempio, ad alcuni dei
personaggi citati dallo stesso Dante nella Divina Commedia, tra cui San Bernardo e la
Vergine Maria.
In conclusione, pur essendo principalmente un autore laico, il «profetismo di Dante»
5
è
ben visibile e rappresenta a tutti gli effetti «la rivalsa di un laico impegnato a fondo e
battuto sul terreno della battaglia di questo mondo […], non di un uomo che al mondo
abbia voltato le spalle»
6
.
Tuttavia nel corso del Trecento il sentimento cristiano si riflette per lo più nelle opere
scritte da veri religiosi: è il caso di santa Caterina da Siena, autrice di un intenso
Epistolario intriso di numerose metafore, ad esempio il sangue – che come il latte –
simboleggia la salvezza, l’amore sponsale per Dio, il cibo, la vita.
Di notevole interesse per la continua tensione fra le tentazioni terrene – rappresentate da
Laura – e quelle celesti è senza dubbio il Canzoniere di Francesco Petrarca, che culmina
4
Pietro Gibellini, Letteratura italiana e religione: uno sguardo panoramico, in Guido Baldassarri,
Valeria Di Iasio, Giovanni Ferroni, Ester Pietrobon (a cura di), I cantieri dell’italianistica. Ricerca,
didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo, Atti del XVIII congresso dell’ADI – Associazione
degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014), Roma, Adi editore, 2016, p. 10.
5
Carlo Dionisotti, op. cit., p. 59.
6
Ibidem.