Capitolo 2
L’importanza delle arti nella scuola di Tagore
2.1 Gli ideali della scuola
Rabindranath Tagore nacque il 6 maggio 1861 a Calcutta e fu un poeta, prosatore, musico,
pittore e pedagogista. Gli fu assegnato il Premio Nobel nel 1913 per l’opera Gitânjali.
Egli visse in un ambiente familiare caratterizzato da numerose attività culturali, artistiche e
religiose. Da giovane rifiutò di frequentare le scuole dove si praticavano umilianti castighi
corporali
18
e venne sottoposto all’insegnamento privato, però, non ne trasse alcun profitto. Egli
preferì trascorrere il tempo leggendo opere letterarie, facendo traduzioni e componendo musica per i
suoi canti in bengali. Recatosi in Inghilterra con il fratello, ebbe modo di conoscere la vita
occidentale, frequentando la scuola pubblica e interessandosi di latino, di letteratura inglese e
musica europea. Una volta tornato in madrepatria si dedicò esclusivamente all’attività poetica e
letteraria. Di Tagore ci rimangono scritti in tutti i generi poetici: migliaia di liriche, canzoni,
epigrammi e storie in versi. Nella prosa narrativa raggiunse un alto livello artistico, morale e
sociale. Scrisse romanzi, novelle, opere drammatiche e opere filosofiche (una decina). Scrisse
musica con l’intento di unire la forma musicale orientale e quella occidentale. Nell’arco della sua
vita tenne conferenze in tutto il mondo, incontrando i maggiori intellettuali del suo tempo. In India
aveva instaurato rapporti con Gandhi. Morì il 7 agosto 1941.
Quella di Tagore fu una vocazione educativa a fianco di quella artistica. Egli voleva conferire un
nuovo ideale all’educazione:
«è assolutamente necessario dare alla nostra educazione anzitutto qualche grande ideale. Il
principio dell’egoismo materiale, che impregna l’atmosfera del giorno d’oggi, non può suscitare in
noi una nuova vita, perché porta con sé una sfrenata passione che, bruciando, esaurisce e distrugge
ogni vitalità
19
».
La scuola di Santiniketan (“Casa della pace”), fondata nel 1901, rimase indipendente dall’aiuto
dello Stato finché Tagore rimase in vita. Prima di diventare una scuola era un asram, ovvero, una
comunità di meditazione di proprietà del padre. Tagore vi si recò con moglie, figli e alcuni amici,
dando vita a qualcosa di unico:
«Ogni descrizione di tale scuola è necessariamente inadeguata, perché i suoi elementi più
18
Giacomo Ottonello, Rabindranath Tagore. Principi educativi e scuole in Oriente, Armando editore, Roma, 1977, cfr.
in particolare il cap. 1.
19
Rabindranath Tagore, Antologia di scritti pedagogici, a cura di Giacomo Ottonello, La Scuola, Brescia, 1975, p. 32.
11
importanti sono l’atmosfera e il fatto che non è una scuola imposta ai ragazzi con autocratica
autorità. Ho cercato sempre di imprimere nelle loro menti l’idea che questa scuola è il loro mondo,
nel quale la loro vita dovrebbe reagire in modo pieno e libero
20
».
L’educazione, nella concezione tagoriana, è un aspetto continuo della vita e dovrebbe tendere
alla realizzazione della pienezza. La scuola si poneva come riconoscitrice di tutti i principi della
crescita, evitando l’utilizzo di metodi repressivi in casi d’indisciplina. Per risolvere tali casi, si
valutavano innanzitutto le cause che li avevano prodotti per poi eliminarle secondo metodi educativi
amorevoli e terapeutici. L’educazione, pertanto, richiedeva energie creative tese al miglioramento e
alla naturale espressione della vitalità della mente. Il maestro doveva trasmettere insegnamenti
ponendosi allo stesso livello degli allievi e riferirsi alla parte più umana e ricettiva in essi. Gli ideali
a cui si rifaceva la scuola erano quelli di «vitalità, libertà e pienezza
21
». Il nozionismo era bandito
perché non coincideva con il compito educativo di promuovere la mente ricettiva del bambino. Il
fine dell’educazione era quello di aiutare gli uomini e le donne a provare sentimenti di armonia con
le leggi dell’universo, liberi dalle passioni e dai pregiudizi. Per fare ciò, Tagore sosteneva la
necessità per la mente ed il corpo di crescere liberi da ogni ostacolo che ne limita la naturale
espressione. L’educazione non poteva rivolgersi ad una sola parte, l’intelletto, ma doveva tenere
conto della persona nella sua globalità e, quindi, comprendeva l’attenzione allo sviluppo della
dimensione corporea ed, infine, quella “in mezzo” tra intelletto e mente: il sentimento. Corpo e
mente per Tagore non sono separati, ma profondamente interrelati: l’uomo conosce attraverso la
mente e il corpo. La pienezza, terzo ideale della scuola, consiste nel riconoscere l’unità del vero (la
verità non è frammentata ma viene colta come un intero), la connessione tra i fenomeni, il proprio
valore e quello altrui, infine, il potersi esprimere liberamente.
Come dice lui stesso: «in pochissime scuole del mondo è stata data ai bambini tanta libertà
22
».
La libertà di svilupparsi in modo del tutto originale.
«Cercavamo di attuare un’altra forma di libertà: la partecipazione ai sentimenti dell’intera
comunità senza pregiudizi razziali o nazionalistici. Lo spirito dei fanciulli solitamente viene
imprigionato a tal punto da diventare incapace d’intendere la lingua e i costumi di altri uomini.
Questo ci costringe a cercarci l’un l’altro, a tastoni nel buio, a ferirci inconsapevolmente a vicenda
e a soffrire della più tremenda forma di cecità»
23
.
Nelle maggioranza delle scuole gli alunni sono costretti a stare seduti imparando per via
mnemonica. Tagore sosteneva una via più naturale per apprendere, che gli alunni stessi accettavano
con maggior piacere. La scuola omologante scoraggia la maturazione naturale dell’essere umano e
20
Idem, p. 112.
21
Idem, pp. 50-51.
22
Idem, p. 56.
23
Idem, p. 115.
12
ne limita l’espressione sin dall’infanzia. Così, si genera nell’animo umano molta insensibilità.
Tagore denuncia il fine utilitario della scuola che favorisce il culto del profitto anziché la curiosità
del ricercatore:
«Nella scuola il successo consiste nell’ottenere i punti più alti, sapendo il meno possibile. Questa è
una forma di deliberata slealtà verso la verità, di disonesta intellettuale, di folle inganno da cui la
mente viene incoraggiata a derubare se stessa. E’ fallace l’educazione che conduce al guadagno e
all’ambizione, invece che al desiderio di apprendere, ed è corruttrice la promessa di dare agio e
potere a chi ottiene certificati, come se la ricompensa fosse più importante del sapere stesso
24»
.
La studente che esce dalla scuola sa ripetere a memoria ma manca di forza di pensiero, di
immaginazione e di sensibilità nei confronti degli altri. Tale soggetto sarà la fonte di disunioni e
competizioni intorno a sé perché non è stata coltivata l’apertura relazionale; rimane chiuso in se
stesso: «chiudersi in se stessi equivale ad estinguersi, mentre il realizzarsi negli altri si risolve nel
rivelare se stesso
25
». La colpa della scuola è quella di aver tolto la responsabilità di essere se stessi.
La conseguenza di tali modalità di concepire la scuola, il suo fine prevalentemente utilitaristico e
volto all’accumulo di ricchezze esteriori, si ripercuote negativamente nella società:
«Una società dominata da avido spirito commerciale affievolisce i vincoli spirituali tra gli uomini.
La ricchezza è il carro di una tale società e il ricco ne è il conducente; il carro è tirato dalla gente
comune, che ad esso è legata da robuste catene, e il rumore che produce avanzando è considerato
segno del progresso della civiltà. Questa marcia trionfale del dio dell’acquisto della ricchezza non
porta gioia agli esseri umani, poiché non sentono alcun vero rispetto. Gli uomini se sono uniti
soltanto da un vincolo esteriore, si ribellano, come chiaramente si può vedere nella rivoluzione
sociale che tutt’ora rende oscuro il cielo europeo
26
».
Va modificato il modo in cui apprendiamo in vista di uno sviluppo globale e non parziale
dell’essere umano. Chi apprende dovrebbe apprendere le cose dall’interno e attraverso, per così
dire, “la propria pelle”: utilizzando la riflessione, l’osservazione e la sperimentazione. L’uomo
apprende veramente se tutto il suo essere è coinvolto. Bisogna incoraggiare la libera espressione
anche a costo di riguardare i nostri stessi ideali d’insegnanti. Non bisogna forzare l’allievo che non
senta di voler apprendere qualcosa:
«Quando iniziai la mia scuola, risultò che i miei ragazzi non amavano la musica, cosicché a
principio non impegnai alcun maestro di musica e non li forzai ad apprenderla. Davo
semplicemente l’opportuna possibilità a quelli di noi che avevano attitudini musicali. Questo
sortiva l’effetto che i ragazzi inconsapevolmente si formavano l’orecchio musicale. Quando poi a
poco a poco la maggior parte mostrò forte inclinazione e amore per la musica, e mi accorsi che
sarebbero stati disposti a sottoporsi ad un insegnamento formale, allora procurai loro un insegnante
di musica»
27
.
24
Idem. p. 60.
25
Idem. p. 79.
26
Idem. p. 77.
27
Idem, p. 111.
13
2.2 L’educazione estetica
L’educazione estetica è al centro della prassi pedagogica tagoriana ed è tanto più rilevante
quanto più la mente dell’uomo viene limitata dall’utilitarismo. Secondo Tagore, la musica e le belle
arti «sono tra i più elevati mezzi di autoespressione della nazione, senza i quali il popolo resta
muto
28
». L’attività artistica si fonda su facoltà irrazionali quali le emozioni, il sentimento e
l’immaginazione. I suoi effetti non si riconducono al semplice «piacere» ma alla «gioia che nasce
grazie all’attività creativa e alle emozioni che suscita il bello»; l’arte rappresenta la realtà
raggiungendo il «valore di bene grazie all’armonia che emana». La concezione estetica tagoriana è
di tipo mistico poiché il fine dell’arte è quello di «rivivere i moti interiori che l’hanno prodotta e i
significati di universalità e di unione col tutto». Essa fa sentire «il divino che è allo stesso tempo
immanente e trascendente
29
»; ci rende capaci d’immedesimarci nell’umanità e l’universo
favorendo l’immaginazione, il perfezionamento dell’espressione ed il sentire insieme. L’arte ha
anche la funzione di educare i sentimenti, perciò, il suo posto è altrettanto importante di quello
intellettuale per mantenere accese le forze creative dell’uomo. Tutte le espressioni di gioia
mantengono viva e creativa la forza dell’uomo.
La formazione estetica comprendeva le arti figurative, la musica, la danza ed il teatro. Tagore
invitava nella scuola artisti e consentiva ai suoi studenti di osservare e imparare da loro.
La danza, secondo Tagore, permette di esprimere ogni tipo di sentimento ma, essendo stati
abituati ad avere un rapporto conflittuale con il corpo, abbiamo perduto la capacità di esprimerci
mediante armoniosi movimenti corporei. Così, egli raccomandava ai ragazzi e alle ragazze di
utilizzare tutto il corpo per esprimere la perfezione del messaggio contenuto nelle parole. Per
festeggiare l’arrivo delle stagioni, egli compose parecchi festival nei quali la danza giocava un ruolo
eminente. Le rappresentazioni teatrali venivano ampiamente organizzate. Gli studenti partecipavano
come attori, musicisti, coristi, scenografi, costumisti e truccatori.
«Ho impegnato tutte le mie risorse per creare nell’asram un’atmosfera ideale. Venivano composti
canti, però non appositamente per menti giovanili, ma come li scrive un poeta per proprio diletto.
La maggior parte dei canti del mio Gitanjali, per esempio, furono scritti qui. Non appena escono
freschi, sono cantati ai ragazzi, che in larga quantità vengono ad ascoltarli. Li cantano poi nelle ore
di riposo, sedendo in gruppi, sotto l’aperto cielo, nelle notti illuminate dalla luna, oppure sotto
l’oscurità dell’incombente pioggia di luglio. I miei ultimi drammi sono stati scritti qui, e i ragazzi
hanno preso parte alla loro rappresentazione. […] Coloro che hanno visto questi ragazzi recitare le
loro parti nella rappresentazioni drammatiche sono rimasti colpiti dalla loro meravigliosa capacità
di attori. […] Frequentemente scrivono o improvvisano drammi essi stessi e ci invitano alle loro
rappresentazioni. […] Una certa quantità dei nostri ragazzi ha mostrato rilevanti capacità nel
disegno e nella pittura, sviluppatasi […] seguendo le loro inclinazioni e con l’aiuto di occasionali
28
Giacomo Ottonello, Rabindranath Tagore. Principi educativi e scuole in Oriente, op. cit., p. 97.
29
Idem, pp. 86-101.
14
visite di artisti che li hanno ispirati nel loro lavoro
30
».
La musica e l’arte quindi, secondo Tagore, dovrebbero avere un posto d’onore nel curriculum
scolastico e non soltanto «un indulgente cenno di riconoscimento
31
». Le diverse forme d’arte
presenti in vari luoghi dell’India venivano riunite all’interno della scuola.
Tagore sosteneva la messa in pratica di attività lavorative legate all’allevamento e all’agricoltura
sostenute dalla sapienza scientifica e adoperando i migliori mezzi per provvedere al sostentamento
autonomo della scuola e dei suoi studenti.
La scuola divenne un centro culturale che accoglieva tutte le discipline. Tutto doveva essere a
disposizione di tutti e ognuno era libero di seguire le proprie inclinazioni. La scuola tendeva alla
migliore educazione sociale: «l’esperienza della libertà individuale in un elevato contesto sociale;
l’atmosfera piena di fiducia; il curriculum vario ed elastico; le numerose attività extracurricolari; la
cura e l’interesse per le lingue asiatiche ed occidentali; la formazione di liberi gruppi di studio e
altre attività; l’autogoverno studentesco; lo spirito di ospitalità; la coeducazione; la vita all’aria
aperta e le possibilità di gioco; l’organizzazione di spettacoli teatrali e di feste
32
».
30
Rabindranath Tagore, Antologia di scritti pedagogici, op. cit., pp. 110-111.
31
Idem, p. 136.
32
Rabindranath Tagore, Antologia di scritti pedagogici, op. cit., p. XXXIII.
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