2
1. Introduzione
Il presente lavoro intende approfondire il processo di affermazione dell’attrice fra Cinque e
Seicento, con particolare attenzione al patrimonio culturale posseduto dalle donne e
all’influenza che esso ebbe sul repertorio della Commedia dell’Arte. Dopo una breve trattazione
della condizione femminile cinquecentesca, verrà analizzata l’ascesa delle comiche sulle scene
e le motivazioni poste alla base dell’evento, individuandone i due nuclei principali in stimoli
economici e desiderio di emancipazione. Si passerà poi ad indagare la provenienza di queste
donne e il loro probabile legame con l’ambiente cortigiano delle meretrices honestae. Preso
quindi atto della formazione accademica e letteraria della componente muliebre della
Commedia si evidenzierà come sia stato l’ingresso del femminile nelle compagnie di attori
professionisti ad arricchire il repertorio della Commedia dell’Arte di una componente “seria” e
lirica, fino a quel momento mancante. Infine verranno analizzate, con l’ausilio di documenti
del tempo, le specificità dell’attorialità femminile che colpirono già i contemporanei: la
facondia, il lamento, la pazzia e l’en travesti. Il risultato sarà un quadro dell’attrice composito,
da un lato lodata come poetessa nell’improvvisazione, dall’altro apprezzata per la sua versatilità
e sensualità come performer. Un’attorialità legata a filo doppio con la poesia e il mondo
dell’Accademia.
3
2. La donna in scena: l’attorialità femminile nella Commedia dell’Arte
2.1 Attrici alla ribalta
‹‹Mio signore, ella potrebbe essere una meretrice. Perché difatti molte fra costoro non sono né
vergini, né vedove, né mogli››
1
(V, 1, 388).
Come messo in luce dalle parole di Shakespeare, nel 1603 la considerazione che si aveva delle
donne dipendeva ancora strettamente dal rapporto che le legava all’universo maschile. Esse
venivano considerate essenzialmente sul piano della “rispettabilità”, che possiamo anche
tradurre come sottomissione all’altro sesso
2
.
Mentre il “raggio d’azione” maschile poteva estendersi dagli ozi agli uffici pubblici,
consentendo di “inciampare” in comportamenti lascivi senza destare scandalo, per la donna si
delineava un orizzonte assai più limitato: le mura domestiche, le mura di un convento, gli ordini
del padre, gli ordini del marito, il ruolo di figlia, il ruolo di madre.
L’argomento è trattato con esemplare chiarezza da Bernadette Majorana quando, analizzando
la condizione della donna italiana cinquecentesca, afferma che la “modestia”, virtù cardine di
una donna rispettabile, ‹‹si identifica con lo stare rivolti verso se stessi, silenziosamente, con
gli occhi bassi, il gesto composto, non ampio, non vistoso, la voce moderata, la parola non
eloquente››
3
.
Eppure proprio a questo periodo di oscurantismo del femminile risale la comparsa della donna
sulle scene. L’attore Pier Maria Cecchini nel 1616 scrive che ‹‹non son cinquant’anni che si
costumano donne in scena››
4
, datando pertanto la nascita del fenomeno delle donne attrici
intorno al 1560. La testimonianza dell’attore è comprovata dal fatto che il primo documento a
noi pervenuto attestante l’esistenza di una comica risale a quegli anni. Nel 1564 a Roma viene
firmato il contratto di una compagnia di attori professionisti e in esso figura un nome femminile.
È quello di Lucrezia senese, unica donna a comparire nel documento, accanto a sei attori
5
.
Stiamo assistendo alla nascita della Commedia dell’Arte.
1
William Shakespeare, Misura per misura, 1603 in Eric A. Nicholson, Il teatro: immagini di lei in Natalie Z.
Davis, Arlette Farge (a cura di) Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Bari, 2002, p. 298.
2
Nicholson, Il teatro: immagini di lei p. 298
3
Bernadette Majorana, Finzioni, imitazioni, azioni: donne e teatro in Gabriella Zarri (a cura di) Donna, disciplina,
creanza cristiana dal XV al XVII secolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1996, p. 124.
4
Pier Maria Cecchini, Brevi Discorsi Intorno Alle Comedie, Comedianti e Spettatori, 1616 in Ferdinando Taviani,
Mirella Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII e XVIII
secolo, La casa Usher, Firenze, 1982, p. 334.
5
Taviani, Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, p. 334.
4
Una forma primigenia di Commedia dell’Arte, intesa come teatro di professionisti organizzati
in compagnie, vide la luce già nel primo Cinquecento, ma si trattava di una versione ancora
“parziale” di se stessa ‹‹una commedia che - rispetto a quella che trionferà dagli anni Settanta
in poi - è ancora dimezzata e unilaterale››
6
. Essa presentava già un elemento chiave del nuovo
teatro, ossia la volontà di professionalizzazione dei suoi membri, eppure mancava di qualcosa.
Femminilità. Le commedie di questo primo periodo appartenevano esclusivamente al filone
farsesco-buffonesco, ed erano il prodotto naturale di un teatro declinato tutto al maschile. Il
primo documento attestante questa precoce conformazione risale al 1545 e viene siglato a
Padova, davanti a un notaio, da una ‹‹fraternal compagnia›› di soli uomini
7
. L’inserimento delle
donne nelle compagnie sarà quindi un’aggiunta successiva, ma si rivelerà il tratto più peculiare
e fortunato di questa nuova forma d’arte.
‹‹La faccia femminile della Commedia dell’Arte, oggi la più dimenticata, rappresenta, con
ogni probabilità, il fattore determinante di quel processo per cui i teatri espressi dalle
compagnie italiane della fine del XVI secolo sono ancor oggi ricordati come un genere a
parte e quasi un archetipo di teatro››
8
.
Così ha scritto Taviani, e una concorde valutazione si riscontra nell’opera, più recente, di
Ferrone: ‹‹L’ avvento della donna sulla scena italiana è la più rilevante novità dello spettacolo
europeo del Cinquecento e uno dei fattori decisivi per la formazione del teatro dei
professionisti››
9
.
Per questo si è parlato di nascita della Commedia dell’Arte in concomitanza con la comparsa
della donna al suo interno. Meglio ancora sarebbe asserire che la Commedia nasca due volte,
davanti a un notaio nel 1545 e grazie alle sue donne, dopo gli anni ’60. Ecco i due nuclei
essenziali di questa forma spettacolare: la coscienza professionale, che permetterà il costituirsi
di una prima industria dello spettacolo, e la forza del femminile, che nutrirà e farà fiorire questa
industria.
Elemento fondante del nuovo teatro è la compagnia. Una struttura associativa pensata per
tutelare i suoi membri; è un bisogno di garanzie che spinge i primi comici ad unirsi tra loro,
6
Ferdinando Taviani, Mirella Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte. La memoria delle compagnie italiane
del XVI, XVII e XVIII secolo, La casa Usher, Firenze, 1982, p. 338.
7
Roberto Tessari, Commedia dell’Arte: la maschera e l’ombra, Mursia, Milano 1981, pp. 113-14.
8
Taviani, Schino, Il segreto della Commedia dell’Arte, p. 339.
9
Siro Ferrone, La Commedia dell’Arte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo), Piccola Biblioteca
Einaudi, Torino, 2014, p. 40.
5
accantonando la carriera da solista
10
. Compiuta questa scelta ottengono ulteriori benefici,
riuscendo a sfruttare il repertorio di ognuno per produrre un’offerta diversificata.
‹‹Nei primi decenni del XVI secolo il professionismo di molti attori fu imperfetto,
temporaneo e quasi sempre privo della concertazione e dell’organizzazione collettiva che
saranno poi i segni della fase matura della Commedia dell’Arte. Per un lungo periodo,
quelli che oggi chiameremmo semiprofessionisti praticarono, insieme a performances
individuali, mestieri diversi; per contro, la ricerca di più frequenti occasioni di lavoro li
spinse a migrazioni che avviarono un’importante contaminazione di repertori, gusti e stili
che rispondevano alle attese delle diverse udienze, e soprattutto prolungarono nel tempo la
loro pratica teatrale››
11
.
Questi primi attori professionisti sono quindi permeati dalla tradizione dei buffoni e dei
declamatori di piazza, eppure da essi si discostano. A questi uomini va il merito di aver
compreso che potevano trasformare la loro bravura in mestiere regolare, che le loro esibizioni
potevano essere vendute come merci, pur in assenza di un oggetto fisico da scambiare.
‹‹La Commedia dell’Arte nasce sulla piazza del mercato, sussidio di suggestione alla
vendita di oggetti il cui valore d’uso è perlomeno tanto dubbio da potersi costituire soltanto
grazie all’invenzione di un’aura magica che li circondi […] e, infine, fa di se stessa
l’autonoma protagonista d’un diverso mercato, dove all’illusione dell’oggetto magico
subentra la magia dell’illusione scenica››
12
.
Si è così venuta a delineare quella che Tessari definisce una ‹‹embrionale industria del
divertimento››
13
. Prima grande innovazione rispetto al panorama del tempo. Nata dalla
necessità, poiché ‹‹rimane comunque, motore primo del nuovo spettacolo, visibile o nascosto,
l’esigenza del “vitto”, e la genialità d’invenzione che la fame insoddisfatta scatena››
14
.
È in questo momento la Commedia un ricettacolo di materiali comici, farseschi e buffoneschi.
Un teatro d’azione e di burle.
Avrebbe potuto un simile teatro lasciare quella indelebile impronta di sé che la Commedia
dell’Arte ha impresso nella storia? Forse no.
10
Siro Ferrone, La Commedia dell’Arte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo), Piccola Biblioteca
Einaudi, Torino, 2014, p. 26.
11
Ivi, p. 130.
12
Roberto Tessari, La Commedia dell’Arte come forma di una embrionale industria del divertimento in Luciano
Mariti (a cura di) Alle origini del teatro moderno: la Commedia dell’Arte. Atti del convegno di studi di Pontedera,
Bulzoni, Roma, 1980, pp. 81-82.
13
Ivi, p. 80.
14
Ivi, p. 82.