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Introduzione
«I limiti del mio linguaggio
significano i limiti del mio mondo.»
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Questo lavoro affronta la complessità dell’approccio traduttivo nei confronti del
discorso politico, avvalendosi di un esempio specifico: l’impianto retorico dei
discorsi dell’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sottoposto al
processo traduttivo in lingua francese. La traduzione è uno strumento di
comunicazione fondamentale, poiché ha il ruolo di trasferire l’informazione al di là
dei confini nazionali, oltre a quello di tessere relazioni tra individui e nazioni. In
effetti, molto spesso, le reazioni di un paese rispetto alle dichiarazioni elaborate da
un'altra nazione, non sono altro che la conseguenza delle informazioni recepite
tramite la mediazione della traduzione. Per questa ragione, la traduzione del
discorso politico è una materia da affrontare in chiave analitica, al fine di
comprendere come venga espressa la «sensibile» informazione di carattere
diplomatico, sia nel testo di partenza (TP) pronunciato dall’oratore, sia nella
versione tradotta nel testo d’arrivo (TA). Ogni discorso politico possiede particolari
fattezze e strategie sottostanti, determinate dalla personalità e dall’ideologia del
locutore e il traduttore ha l’obiettivo e il compito di riprodurli, al fine tutt’al più di
ridisegnare l’immagine sociale della personalità politica. Con l’intenzione di fornire
un’analisi di interesse quanto più attuale, si è ritenuto utile affrontare il discorso di
un personaggio politico di spicco a livello internazionale, il presidente americano
in carica Donald Trump. Tali discorsi in lingua inglese sono stati tradotti in
moltissime lingue, ma questo studio si propone di fare fronte alla traduzione svolta
in lingua francese, seguendo lo spunto fornito dalla traduttrice parigina Bérengère
Viennot, che ha esposto le difficoltà che l’eloquio di Trump pone al traduttore,
soprattutto a quello di lingua francese, poiché abituato ad una prassi retorica
1
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, prop. 5.6, 1922
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intranazionale ben distante dalle particolari abitudini espressive del presidente
statunitense. Le fondamenta del lavoro si poggiano sugli studi elaborati in materia
traduttologica. Si è ritenuto necessario fornire, nel primo capitolo, un ampio quadro
teorico inerente alle teorie e alle tecniche della traduzione, poiché utili a
comprendere la complessità del lavoro e delle scelte che il traduttore è chiamato a
mettere in atto. Lo sguardo rivolto al concetto di traduzione e alle procedure che
questa implica, ci permette di accedere ad un universo in cui le variabili sono
molteplici, legate ad aspetti prettamente linguistici, ma anche culturali e ideologici.
Questo consente di allontanarci dalla percezione della traduzione come attività di
scontata trasposizione, attualizzabile secondo un unico criterio. Le tecniche
traduttive esposte saranno impiegate come utili strumenti analitici in virtù
dell’analisi del TA nel terzo capitolo. Nel secondo capitolo è stata adottata una
prospettiva di studio orientata all’esame del discorso politico, in quanto realtà
testuale molto articolata, contestualmente e situazionalmente determinata, permeata
da un’ideologia e trasmessa da una lingua specificatamente connotata. Tali
caratteristiche linguistiche sono state esposte al fine di tracciare un ritratto
approfondito dell’intricata rete di peculiarità che il traduttore non può esimersi dal
considerare. La lingua, soprattutto in questa ottica, ha un impiego sociale e politico
poiché riproduce le dinamiche di potere e le ideologie. Possediamo degli strumenti
teorici per approfondire queste «trame», ovvero gli studi nel campo della «Critical
discourse analysis», che ci presenta dei modelli utili ad addentrarsi nelle
potenzialità del «discorso», ponendo un attento sguardo sulle strategie, sulle scelte
che l’oratore applica e sul valore che esse assumono. Tali considerazioni verranno
poste in relazione ai «Translation studies», al fine di evidenziare l’importanza di
un’accurata presa di coscienza, da parte del traduttore, delle responsabilità che
assume nel procedimento traduttivo di un discorso di natura politica. Per questo si
propone una discussione inerente a tali responsabilità e alla posizione che il
traduttore assume nell’affrontare la «riscrittura» del testo politico. Se abbiamo
posto l’attenzione sulla lingua del discorso politico, nel terzo capitolo osserviamo
da vicino le caratteristiche dell’idioletto di Trump, che viene riconosciuto
unanimemente come un linguaggio scarno dal punto di vista lessicale e sconnesso
in termini testuali, questi, secondo molti traduttori, sarebbero fattori probanti, per
5
associazione, di una presunta povertà di pensiero. Osservare le tendenze della
“lingua di Trump” è un procedimento da cui il traduttore non può prescindere,
poiché costruisce una valida idea sulle propensioni retoriche del parlante e sul senso
che esse detengono, consapevolezza fondamentale ai fini delle scelte traduttive da
applicare. Proprio allo scopo di osservare quali siano le scelte maggiormente
ricorrenti nelle traduzioni francesi, si offrono degli esempi estrapolati da un corpus
ottenuto attraverso la ricerca, su quotidiani o riviste online, delle trascrizioni dei
discorsi di Trump e delle corrispettive traduzioni francesi, a loro volta fornite da
giornali consultabili in rete. I testi trattano argomenti disparati, di politica interna o
internazionale, discussi in diversi contesti pubblici, tra i quali conferenze stampa,
interviste, summit e meeting. Nel TA si osserveranno, dunque, la prevalenza o meno
di interventi plasmanti e condizionanti del traduttore o, diversamente, approcci
neutrali rispetto al testo di partenza.
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Capitolo 1
La traduzione: il concetto, le teorie, le
tecniche
1. Il concetto di traduzione
E’ consuetudine considerare la traduzione un’arte, poiché è possibile comparare
diverse traduzioni di un medesimo testo originale, arrivando ad adottarne alcune
per la maggiore fedeltà e a rigettarne altre giudicate di cattiva fattura. Così come si
farebbe per due opere figurative che ritraggono il medesimo soggetto. E’ dunque
evidente che per un determinato testo non esiste un’unica soluzione, bensì si apre
una gamma di scelte davanti al quale il traduttore ha esitato prima di proporre la
propria soluzione. D’altra parte, questa non-univocità potrebbe essere causa di
un’esplorazione incompleta della realtà. Ciò ci può far supporre che se
conoscessimo meglio i processi che governano il passaggio da una lingua all’altra,
potremmo approdare ad un numero sempre maggiore di casi a soluzione unica. Per
questo è utile praticare in maniera riflessiva la comparazione tra due lingue, al fine
di rendere evidenti i caratteri e i comportamenti di ciascuna di esse. Un approccio,
questo, che ci porta al di là della dicotomia traduzione-arte, osservando questa, per
contro, come disciplina esatta che possiede delle tecniche e dei problemi che le sono
propri.
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A tal proposito nei capitoli successivi si affronteranno le teorie e le tecniche
applicabili al testo da «trasferire». Quest’ultimo termine si riferisce a quello che è
l’obiettivo della traduzione, ovvero far conoscere ad altri ciò che è stato scritto in
una lingua straniera, dunque colui che traduce ha il compito di far comprendere ai
riceventi un messaggio trasferito dal codice verbale di una lingua di partenza (LP)
2
Cfr. Jean-Paul Vinay, Jean Darbelnet, Stylistique comparée du français et de l'anglais: méthode de
traduction, Paris, Didier, 1977.
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al codice verbale della lingua di arrivo (LA). Questo è il paradigma tradizionale che
segue la configurazione LP-LA e riflette una delle tre categorie della traduzione che
lo strutturalista Roman Jakobson ha postulato, ovvero la cosiddetta “traduzione
interlinguistica”:
Intralingual translation or “rewording” is an interpretation of verbal signs by means of other
signs of the same language.
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Come riporta Scarpa (2008)
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la traduzione è quindi un’operazione di riformulazione
di un testo in una lingua A in un altro testo in una lingua B dopo aver stabilito una
gerarchia tra le diverse soluzioni traduttive possibili e aver scelto quella più adatta
alla specifica situazione comunicativa in cui avviene la traduzione. Si tratta di
un’operazione linguistica di transcodificazione e trasferimento, fondata su un
approccio che può essere contrastivo
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, per permettere al traduttore di identificare –
e quindi compensare – gli “squilibri” dovuti alle differenze formali tra le
lingue/culture, oppure funzionale (cfr. Taylor Torsello 1996, citati da Scarpa 2008),
per permettere al traduttore di
«cogliere il potenziale significato del testo da tradurre e trasferire quel potenziale
in un’altra lingua con i necessari adattamenti per il nuovo ricevente o gruppo di
riceventi».
Ad essere accolta da Borutti ed Heidmann
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è proprio una prospettiva che guarda
alle lingue/culture e al loro potenziale, definendo la traduzione esperienza di
conoscenza e dimensione di ricerca, poiché intesa come strumento che permette di
affrontare il problema dell’accesso (conoscitivo, comunicativo, affettivo) alla
differenza. Di fatti, la traduzione è la situazione esemplare in cui le forme
significanti prodotte dalle lingue e dalle culture mostrano la propria specificità e la
propria differenza, il che avviene in maniera evidente nel momento in cui realizzano
la vocazione ad uscire da sé, ovvero aprendosi al contatto con la lingua e con il
sapere dell’altro. Sono le lingue ad essere protagoniste: poiché la pluralità della vita
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Roman Jakobson, On linguistic aspects of translation, Harvard University Press, 1959.
4
Federica Scarpa, La traduzione specializzata, un approccio didattico professionale, Roma, Hoepli,
2008.
5
Cfr. P. Pierini, «Un modello didattico della traduzione», in Lo sviluppo della competenza
traduttiva, Orientamenti, problemi, proposte, Roma, Bulzoni, 2001
6
S. Borutti U. Heidmann, La babele in cui viviamo, traduzioni riscritture, culture, Torino, Bollati
Boringhieri, 2012.
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simbolica delle società si esplica tramite le lingue. La traduzione dimostra di essere
un incontro di sistemi simbolici e quindi un modello di rapporto tra le lingue, in
quanto atto ed esperienza che per essere analizzata richiede l’accesso a più saperi e
a un saper fare. Per questa ragione la traduzione si presenta come uno spazio di
riflessione transdisciplinare che mette in campo problemi semantici (rapporto tra i
significati), problemi epistemologici (rapporto tra concetti e teorie), problemi
filosofici-ontologici (rapporto tra soggetti e culture). Borutti ed Heidmann
propongono dei quesiti ragionevoli e fondamentali al fine di approcciarsi ai
problemi che la situazione della traduzione pone, bisogna chiedersi, innanzitutto,
se ci siano delle componenti di significato che rimangono costanti nel passaggio da
una lingua all’altra, se ci debba essere corrispondenza tra i significati delle parole o
degli enunciati e quali siano, dunque, le unità di significato da considerare.
Basandosi su quanto detto da Frege (1892), citato da Borutti ed Heidmann (2012),
la traduzione deve impegnarsi a preservare sia le componenti del significato e le
condizioni del valore di verità degli enunciati, la «Bedeutung», sia il senso o
contenuto cognitivo delle parole, il «Sinn». Risulta problematico, per contro,
conservare gli elementi connotativi del significato (cfr. Morra 2009, citato da B. ed
H. 2012.). Secondo la prospettiva di Jakobson, potremmo dire che la traduzione
propriamente detta è un processo di trasposizione che produce un’equivalenza
sinonimica attraverso un’interpretazione.
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Trasposizione ma anche trasmissione di
messaggi, arrivando di conseguenza a connettere il lavoro della traduzione alla
funzione informativa e comunicativa della lingua. Egli afferma che la sinonimia
non comporti equivalenza tra le parole, ma che comporti, piuttosto, un’equivalenza
che definisce «interpretazione adeguata di messaggi», poiché non sussisterebbe
un’equivalenza assoluta fra le unità codificate.
Impiegando il termine “unità” è necessario rimandare il discorso alle osservazioni
di Vinay e Darbelnet (1977), riguardo l’identificazione di unità linguistiche sulle
quali opera la traduzione. Secondo il loro studio, è possibile identificare cinque fasi
analitiche attraversate dal traduttore nel passaggio dalla LP alla LA
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ovvero: 1)
7
Come argomenta U. Eco (Dire quasi la stessa cosa, Milano, Bompiani, 2003), Jakobson non sembra
identificare traduzione e interpretazione: piuttosto è l’attività di traduzione che implica
l’interpretazione.
8
Jeremy Munday, Introducing translation studies, Oxon, Routledge, 2016, p. 68
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l’identificazione delle unità di traduzione, 2) l’analisi del testo di partenza,
valutando il contenuto descrittivo, affettivo e intellettuale di tali unità, 3) la
ricostruzione del contesto metalinguistico del messaggio, 4) la valutazione degli
effetti stilistici, 5) la produzione e la revisione del testo d’arrivo. Ad ogni modo,
non è sufficiente, né credibile o funzionale tradurre orientandosi sulla base della
parola, poiché la stessa definizione di “parola” è argomento assai dibattuto. I limiti
tra le parole non sono netti, ed è per questo che non possono essere considerate
unità soddisfacenti da intendere come materiale traduttivo. Considerarle
aprioristicamente come unità impedisce di vedere chiaramente la struttura doppia
del segno (significato e significante), in cui il significante occuperebbe un posto
esagerato rispetto al significato. Il traduttore parte dal senso ed effettua tutte le
operazioni di trasferimento all’interno del campo semantico, la mera unità formale
non è perciò sufficiente per il suo lavoro. Secondo queste premesse, l’unità da
prendere in analisi è l’unità di pensiero, conformemente al principio secondo il
quale il traduttore debba tradurre delle idee e dei sentimenti, non parole prese
atomisticamente. Vinay e Darbelnet propongono di considerare come equivalenti i
termini “unità di pensiero”, “unità lessicologica” e “unità di traduzione”, in quanto
esprimono la stessa realtà, considerata da diversi punti di vista: le unità di
traduzione sono unità lessicologiche in cui gli elementi del lessico concorrono ad
esprimere l’elemento di pensiero predominante nel segmento dell’enunciato. Si può
inoltre considerare l’unità di traduzione come il più piccolo segmento
dell’enunciato in cui la coesione dei segni è tale da non dover essere tradotti
separatamente
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.
Le unità di traduzione vengono distinte dai suddetti autori secondo il determinato
ruolo che svolgono nel messaggio:
1) le unità funzionali, in cui gli elementi partecipano alla medesima funzione
grammaticale;
2) le unità semantiche, le quali presentano un’unità di senso;
3) le unità dialettiche, che articolano un ragionamento;
4) le unità prosodiche, in cui gli elementi partecipano ad una stessa intonazione.
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Vinay e Darbelnet, op. cit., p. 37