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INTRODUZIONE
La presente tesi di laurea nasce dal desiderio di approfondire i numerosi
studi riguardanti un deficit sensoriale di grande importanza: la sordità.
Lo scopo del lavoro è cercare di analizzare i diversi approcci riabilitativi
applicati nel tempo dagli specialisti del settore, così da comprendere e valutare le
scelte operate per il recupero di un bambino ipoacusico.
Il soggetto non udente vive un mondo percettivo totalmente diverso da
quello posseduto dagli udenti e questo crea inevitabilmente dei problemi di
incontro e di comprensione.
In questa tesi si cerca di capire in che misura la società civile sia in grado
di rispondere di fronte all’esistenza di mondi percettivi differenti, attivando
processi di integrazione, ma soprattutto di inclusione, dei bambini affetti da
questo deficit all’interno degli istituti scolastici. Una reale inclusione è
realizzabile soltanto attraverso la ricerca di un legame, un ponte che unisca
l’universo dei bambini affetti da sordità a quello vissuto dalla maggioranza della
popolazione normodotata e viceversa.
Volgendo indietro lo sguardo, attraverso le varie epoche e le diverse
culture, si cerca di analizzare in che modo il bambino ipoacusico è stato trattato
nel tempo a seconda delle ideologie o delle credenze vigenti nei confronti
dell’handicap in questione.
I primi pregiudizi pervenutici sull’argomento risalgono all’antica Grecia.Il
popolo greco non comprendeva affatto la relazione tra sordità e mutismo: ne è
prova il passo del filosofo Aristotele, tra i primi a interrogarsi sulle origini del
linguaggio: “coloro che sono sordi sono in tutti i casi anche muti, possono cioè
emettere suoni ma non possono parlare”.
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La bassa considerazione in cui venivano tenute le persone non udenti si
comprende bene se consideriamo le parole ‘kophoi’ (sordo) ed ‘eneos’ (muto)
che in lingua greca corrispondono anche al significato di ‘stolto, stupido’.
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Aristotele, HistoriaAnimalium.
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Questa confusione di termini diede origine a un pregiudizio che si protrasse
per secoli: la persona ipoacusica veniva considerata priva di intelletto e quindi, di
conseguenza, ineducabile.
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Fortunatamente, col passare del tempo il pensiero si è evoluto, gli studi su
questo argomento si sono moltiplicati notevolmente, le informazioni si sono
diffuse, la mentalità si è modificata e la scienza e la società hanno imparato a
rapportarsi con maggiore consapevolezza ed informazione nei confronti della
sordità e dell’alterità in generale.
Oggi, la legislazione italiana affianca e supporta il bambino in condizione di
disabilità e, grazie alle agenzie sanitarie ed educative, prende in carico tutta la
famiglia per agevolare l’accettazione ed il superamento dell’handicap.
Nonostante ciò, la strada da fare è ancora lunga e gli studiosi sono alla
continua ricerca di nuove strategie per entrare in contatto col mondo della sordità.
Nello specifico, la tematica affrontata in questa tesi di laurea è divisa in tre
capitoli.
Il primo capitolo affronta una panoramica generale sulla sordità, sulla
storia dei sordi e sulle tutele.
All’inizio del capitolo si cerca di compilare un esauriente excursus storico
sull’educazione dei sordi fino ai giorni nostri: partendo dall’antica Grecia si passa
attraverso il congresso di Milano del 1880, periodo cruciale all’interno del nostro
ragionamento, che segna la svolta e la spaccatura tra i pensieri sull’educazione dei
non udenti.
Dopo i pregiudizi che, come abbiamo visto, appartenevano al mondo
antico, si è cominciato a capire che questo tipo di deficit non è legato ad un limite
riconducibile al livello cognitivo del soggetto, che al contrario si qualifica pari a
quello di un qualsiasi udente. Tutto ciò ha portato la comunità scientifica a
convincersi che il sordo potesse convivere col suo deficit ed essere riabilitato.
Infatti, rapportando le differenze tra il bambino udente e quello sordo, ci si è resi
conto che un bambino non udente, riabilitato a tempo debito, è in grado di
raggiungere obiettivi pari a quelli del gruppo dei coetanei.
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Porcari Li Destri, G. & Volterra V., Passato e presente. Uno sguardo all’educazione dei sordi in
Italia, Gnocchi Editore, Napoli 1995, pp. 3-5.
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Dopo questo excursus, che introduce l'approccio verso la sordità che si è
avuto nelle diverse epoche temporali, si analizzano tutti gli aspetti scientifici
legati all’eziologia, alle cause ed alle classificazioni dell’ipoacusia.
A questo punto vengono passati in rassegna tutti gli aspetti prettamente
scientifici che spiegano l’origine di questo deficit e quali siano le ripercussioni
sulla crescita e sullo sviluppo del bambino.
Per meglio comprendere quali sono le conseguenze nello sviluppo del
bambino non udente, esso viene raffrontato con quello del bambino udente.
Vengono quindi illustrate le scelte riabilitative, che si dividono in due grandi
blocchi: da una parte l’utilizzo della Lingua dei Segni Italiana (L.I.S.) e dall’altra
l’oralismo puro (l’utilizzo della sola lingua parlata). Tra questi due blocchi, che si
pongono ai due poli opposti, esistono diverse possibilità che comprendono la
combinazione di entrambe le modalità di comunicazione.
Dopo l’introduzione al mondo della sordità esposta nel primo capitolo, col
secondo capitolo si entra nel vivo della trattazione, analizzando le strategie
migliori per affrontare la disabilità all’interno dei due ambienti fondamentali per il
bambino: la famiglia e la scuola, due punti focali, soprattutto nello sviluppo del
bambino non udente.
Il bambino non è solo, nasce all’interno del nucleo familiare d’origine.
Tutti i componenti del nucleo familiare rivestono inevitabilmente un ruolo
importantissimo nella crescita del bambino sordo, come di ogni altro bambino.
Prendere in carico tutta la famiglia, informarla, tutelarla e supportarla
nell’accettazione dell’handicap del proprio figlio è essenziale sia per il bambino
con handicap che per sostenere lo stesso nucleo familiare, rafforzandolo.
Non solo il bambino ma tutta la famiglia è coinvolta nelle discriminazioni
e nelle incomprensioni che quasi inevitabilmente si creano col resto del mondo;
essa deve essere quindi preparata ad affrontare una situazione che è fuori dalla
normalità. Per questo motivo nascono una serie di agenzie di supporto che
cercano di ovviare all’innesco di tutti quei processi che turbano e che vanno a
ledere l’integrità della famiglia, dettagliatamente analizzati nel secondo capitolo
del presente lavoro.
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Il secondo luogo analizzato è la scuola d’infanzia, che rappresenta, in età
prescolare, la prima tappa nella quale il bambino entra in contatto con la società.
Relazionandosi col gruppo dei pari, il bambino è inevitabilmente portato a
confrontarsi e quindi a prendere consapevolezza della sua disabilità. La famiglia
vive allo stesso tempo con entusiasmo e paura il primo ingresso nella scuola da
parte del figlio e deve essere anch’essa preparata, il piø possibile, a sostenere e
supportare il figlio affetto da sordità.
Nel secondo capitolo sono inoltre esaminate le due principali tecniche
riabilitative per i bambini ipoacusici all’interno della scuola d’infanzia, nello
specifico: il bilinguismo e l’oralismo puro.
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Nella parte finale del capitolo vengono analizzate le figure che
maggiormente ruotano intorno al bambino ipoacusico a scuola: l’assistente alla
comunicazione e l’assistente alla comunicazione verbale; due figure che
camminano su binari paralleli con lo stesso scopo ma con metodologie totalmente
diverse. Per quanto riguarda l’assistente alla comunicazione verbale, viene
presentata l’associazione Onlus F.I.A.D.D.A. che da anni a Roma ed in Italia
forma questa figura per permettere agli alunni ipoacusici di avere il giusto
sostegno scolastico.
La tesi si conclude con il terzo capitolo che entra nel vivo della trattazione
portando in analisi le metodologie pedagogiche utilizzate all’interno delle scuole
comuni e presso gli istituti specializzati per non udenti; tra tutti l’I.S.I.S.S.
Magarotto di Via Nomentana, che da anni lavora per l’integrazione tra bambini
non udenti ed udenti. In tutto il mondo esistono istituti speciali per non udenti, che
per anni hanno assicurato una giusta educazione per i bambini ipoacusici. Questo
tipo di istituti è sempre stato accusato di ghettizzare ed emarginare tali bambini,
alimentando quella che è detta ‘comunità sorda’ e allontanandola inevitabilmente
dal mondo udente.
L’istituto è dotato infatti di una scuola bilingue che accorpa bambini non udenti e
bambini udenti, educandoli attraverso due lingue: quella orale e la L.I.S.. La
nascita di questa particolare scuola ha dato avvio a ulteriori dibattiti che si
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Il bilinguismo si basa sulla conoscenza di due lingue: la lingua dei segni e la lingua parlata;
l’oralismo invece è la scelta riabilitativa che da al bambino la possibilità di accedere
esclusivamente alla lingua parlata.
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interrogavano su quanto la stessa fosse davvero inclusiva; il suo operato è stato
rapportato a quello delle normali classi di una scuola pubblica, dove i bambini non
udenti sono accompagnati dal sostegno e dall’assistente alla comunicazione
verbale che integra, in classe, il lavoro fatto durante le terapie e media la
comunicazione tra il bambino sordo, il gruppo dei pari e le insegnanti.
Si è cercato di dimostrare che, per quanto la comunità sorda sia forte e
radicata, non è necessaria, perchØ la persona non udente può tranquillamente
convivere con il suo deficit e vivere con il mondo udente.
Nella parte conclusiva del capitolo, si osserva da vicino la crescita di una
bambina sorda profonda, durante i due anni trascorsi all’interno della scuola di
infanzia.
Per ragioni di privacy, all’interno del progetto, le si è assegnato il nome
fittizio ‘Aurora’, scelto per rappresentare la sua reale solarità e il suo grande
desiderio di imparare ogni giorno cose nuove.
Nell’arco dei due anni della scuola d’infanzia, Aurora è stata seguita
dall’assistente alla comunicazione verbale, importante figura illustrata nel primo
paragrafo del terzo capitolo. L’assistente alla comunicazione verbale viene
formato all’interno dell’associazione Onlus F.I.A.D.D.A. (Famiglie Italiane
Associate per le Difesa dei Diritti degli Audiolesi), che lavora da anni sul
territorio italiano per l’inclusione delle persone sorde nelle scuole e sostiene con
fervore la cultura oralista con in il motto: “ascoltami e parla con me!”
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.
Per rendere la ricerca oggettiva, si è voluto sottoporre agli Assistenti alla
Comunicazione Verbale che lavorano presso l’associazione, un questionario che
permetta dimostrare che la tipologia didattica utilizzata è effettivamente efficace
per raggiungere risultati simili a quelli di Aurora.
Alla fine del presente lavoro, con l’aiuto della preziosa esperienza di
Aurora, si è scelto di andare controcorrente e di dimostrare con convinzione che
l’oralismo rappresenta l’opzione riabilitativa migliore in ragione di una serie di
specifici motivi. Infatti, se da un lato l’oralismo rappresenta una scelta importante
e rischiosa, che prevede un lungo e faticoso percorso educativo, dall’altro si rivela
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www.fiadda.it.
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fondamentale per una completa e armonica inclusione dei soggetti affetti da
sordità all’interno della società.
Il bambino non udente può e deve essere dotato della lingua parlata come
suo primario strumento comunicativo, soprattutto perchØ essa è generata in modo
innato, per esposizione.
Attraverso il percorso di crescita intrapreso da Aurora e con l’analisi del
questionario, si è infine riusciti a dimostrare che affinchØ questa scelta riabilitativa
risulti vincente è necessario protesizzare precocemente e correttamente il
bambino. Solo attraverso l’ausilio delle protesi egli possiederà gli strumenti che
gli consentiranno di convivere in armonia con il suo deficit e di superarlo con
successo, riuscendo a raggiungere quella stessa serie di obiettivi richiesti al
gruppo dei suoi coetanei udenti.
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CAPITOLO I
STRATEGIE E PERCORSI DI CRESCITA
NEL BAMBINO IPOACUSICO
1.1 L’educazione dei non udenti: excursus storico e scelte
riabilitative.
“La storia della sordità infantile nella pedagogia clinica, e in particolare
della riabilitazione linguistica del bambino sordo, è stata contrassegnata
dall’avvicendarsi di correnti di pensiero opposte. In alcuni periodi si è osservato
il prevalere del cosiddetto metodo “oralista”, che sosteneva la necessità di
insegnare ai sordi a parlare utilizzando la voce, per non restare esclusi dalla
comunicazione dei soggetti udenti. In altri momenti invece ha avuto maggior
fortuna la tesi che sosteneva la maggiore utilità di apprendere un vero e proprio
linguaggio alternativo, il linguaggio dei segni”.
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In passato la persona non udente era totalmente emarginata dalla società,
ghettizzata e relegato ai margini della società. La sordità non era considerata grave
tanto per la causa ma piuttosto per gli effetti che provocava. Infatti le persone che
non era in grado di avere una produzione linguistica erano muti e considerati
quindi dei minorati mentali. Questa esclusione dalla società portava realmente
queste persone a diventare degli inetti mentali per mancanza di stimoli culturali,
sociali ed educativi.
¨ difficile definire se ed in che termini nell’antichità fosse presente una
comunità sorda, o se il non udente venisse considerato all’interno della società.
Le testimonianze sono molteplici a partire dagli scritti biblici, passando poi
per la comunità Ebraica, Romana e Greca che da sempre mostrano segni di
pregiudizi verso le persone sorde.
Grandi autori come Platone ed Aristotele parlavano di opinioni contrastanti a
riguardo. Infatti interessandosi dello studio del linguaggio, consideravano
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Laura Polsoni, La comunicazione del bambino sordo.
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negativamente le persone sorde: leggiamo nel testo Storia degli animali la
seguente affermazione: coloro che sono sordi sono in tutti i casi anche muti,
possono cioè emettere suoni ma non possono parlare; e considerando che kophoi
(non udente) ed eneos (muto) vuol dire anche stupido si capisce bene che la
considerazione verso le persone sorde era molto bassa.
Questa confusione di termini utilizzata venne portata avanti per molti secoli e
quindi la persona non udente veniva considerata priva di intelletto e quindi
ineducabile.
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Anche per i Romani la concezione del non udente era legata al mutismo e
quindi, come sosteneva Aristotele questa condizione portava all’ineducabilità; ma
non mancano riferimenti all’intelligenza dei non sordomuti considerati abili pittori
e testimonianze che riferiscono che i muti potessero comunicare a gesti.
Questa testimonianza fa comprendere quindi che i gesti sono sempre stati
presenti nella cultura dei non udenti e che i non udenti potessero essere in grado di
leggere e scrivere. Quest’ultima affermazione la si evince dal Codice Giustiniano
(531 d.C.) che affermava che i sordomuti, divenuti per caso tali, possono
usufruire dei loro diritti civili a condizione che sappiano leggere e scrivere.
Questo fa comprendere come a quel tempo c’era un interesse per i diritti della
persona non udente e, però, non ricevendo alcuna istruzione questo fosse legato
agli ipoacusici post-linguali, mentre i prelinguali venivano ancora assegnati a
tutori che prendevano completamente il sopravvento sulla loro vita.
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L’ipotesi di un’istruzione per i non udenti nasce solo intorno al XIV secolo,
quando Bartolo della Marca D’Ancona conobbe un uomo completamente non
udente che però riusciva a comprendere subito la comunicazione dell’altro grazie
alla lettura delle labbra. Quindi Bartolo fu il primo a sostenere che i non udenti
potevano essere educati sia con i segni che attraverso la lingua orale.
Tra il XIV e il XV secolo le cose iniziarono a cambiare radicalmente grazie ai
casi di sordità presenti nelle famiglie reali, le quali chiesero ai migliori umanisti di
trovare un metodo riabilitativo per i loro figli.
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Porcari Li Destri, G. & Volterra V., Passato e presente. Uno sguardo all’educazione dei sordi in
Italia. Gnocchi Editore, 1995, Napoli, pp. 3-5.
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Ferreri G. Conti I., Lane H., Guida teorico-pratica per gli Educatori dei sordomuti e dei
logopedisti, disegno storico dell’educazione dei sordomuti, Scuola Grafica Padre Monti S.A.,
Varese 1966, p. 491.
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Questo passaggio portò un grande impulso in materia di sordità che coinvolse
negli anni tutte le persone con deficit uditivo.
La prima riabilitazione per bambini non udenti partì in Francia dal frate
benedettino Pedro Ponce de Leon (1520-1584) e da quel momento anche
insegnanti inglesi e tedeschi si interessarono alla sordità. Questo metodo
riabilitativo iniziava intorno ai 6 anni e consisteva nell’insegnare al bambino a
leggere il labiale dell’interlocutore (labiolettura) in modo da sostituire l’utilizzo
del canale uditivo con quello visivo.
Successivamente intorno al 1700, grazie all’abate francese Charles -
Michel De l’ÉpeØ (1712-1789), venne aperta a Parigi la prima scuola pubblica.
Questo passo aprì il secolo d’oro per l’educazione dei non udenti. De l’ÉpeØsi
avvicinò al mondo della sordità imparando le lingue dei segni dalle loro comunità
(LSF lingua dei segni francese) e successivamente inventò ulteriori segni per
arricchire questa lingua inserendo segni per le parti morfosintattiche della lingua
orale francese.
La sua tecnica innovativa prese spunto dall’intuizione secondo la quale i
non udenti avevano difficoltà ad articolare i suoni; quindi non erano muti, ma
semplicemente non sentendo la loro voce acuivano questa difficoltà di pronuncia,
ma erano completamente in grado di imparare la lingua scritta.
Dopo la sua morte furono istituite 21 scuole in Europa che seguivano il
suo metodo di insegnamento. I metodi utilizzati in Europa ed in Italia sono
riconducibili a due correnti di pensiero ben distaccate tra loro: il gestualismo e
l’oralismo. Entrambe le correnti a prescindere dalla condivisione o meno furono
molto importanti per l’integrazione della persona non udente nella società.
In America nei primi dell’800 il religioso Thomas Gallaudet si recò in
Francia per imparare la lingua dei segni e ritornato in America, con l’aiuto di
Laurent Clerc, massimo esponente della LSF, la riadattò alla lingua del posto
creando così l‘ASL (American Sign Language). La scuola dove veniva utilizzata
l’ASL è ancora famosa oggi con il nome di Gallaudet University che è una delle
piø famose università esistenti al mondo per i non udenti, specializzata
maggiormente negli studi umanistici.