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INTRODUZIONE
Correva l’anno 1984, quando Khairallah metteva in evidenza la comparsa e
l’espansione veloce del termine “raisonnable” nell’ordinamento francese. Un
fenomeno che, a parer dell’Autore, avrebbe comportato sì “l’avantage d’une
souplesse qui assure tout autant une meilleure adaptation de la règle aux
circonstances infinement variables de chaque espèce”, ma che avrebbe altresì
seminato nel diritto “mille germes d’insécurité et d’imprévisibilité”. Ad oggi, questa
constatazione sembra più che mai attuale, come evidenziato da numerosi studiosi di
diritto privato e comparato, italiani e non, la cui attività costituisce il punto di
partenza per questa analisi, la quale condurrà, inevitabilmente, a confermare quanto
detto in ouverture.
Parlare di standard di ragionevolezza significa parlare di concetto relativo, che
assume un diverso significato a seconda dell’ordinamento giuridico nel quale opera,
composto dei propri valori e delle proprie ideologie. In questo senso, ben più stretto
era il legame della ragionevolezza con la buona fede di diritto romano, in quanto
moralità, fede e diritto erano spesso ricondotti ad unità; mentre, da un punto di vista
sincronico, diversa è la portata del concetto in un sistema di diritto codificato come
quello continentale rispetto al rilievo che essa assume in un sistema di common law.
La ragionevolezza, da sempre considerata come una “nozione opaca, allusiva,
polimorfa e sfuggente”, ha sempre avuto qualche rapporto con il diritto e rivestito in
esso una certa importanza, mentre molto più recente e nient’affatto scontato è il suo
rilievo nel diritto contrattuale. Non v’è dubbio che fino all’inizio degli anni Novanta
la storia della ragionevolezza nel nostro ordinamento è stata pressoché circoscritta al
diritto costituzionale, con le dottrine dell’interpretazione costituzionale e con il suo
ruolo di ”tertium comparationis” e, per certi versi, al diritto amministrativo. La
ragionevolezza è stata spesso accostata al principio di eguaglianza, ex art. 3 della
Carta Costituzionale, e, in modo particolare, al binomio “giustizia/equità”.
Diversamente, allo stato attuale delle cose, è possibile ormai affermare che lo
standard di ragionevolezza goda di una piena cittadinanza nel diritto privato
internazionale, europeo, e nazionale.
6
Lo scopo precipuo del presente lavoro sarà quello di qualificare, innanzitutto, la
ragionevolezza all’interno delle categorie dogmatiche e concettuali più familiari al
nostro ed agli altri sistemi giuridici appartenenti alla tradizione giuridica
continentale. Da questa analisi, condotta principalmente lungo le righe del Capitolo I,
si ricaveranno delle considerazioni importanti. Il preludio alle conclusioni alle quali
si giungerà al termine dello stesso è, certamente, costituito dalla qualificazione che si
è deciso di attribuire alla ragionevolezza: non principio, non clausola generale, bensì
standard. Parlare di standard, a nostro avviso, significa rendersi consapevoli della
dimensione ultranazionale del concetto in esame e delle origini dello stesso. Ci si
chiederà, infatti, se la ragionevolezza rinvenga i suoi fondamenti nel diritto romano,
nel diritto dell’Unione europea, ovvero nella common law angloamericana,
anticipando, già in questa sede, che la soluzione non sarà così scontata.
Il Capitolo II sarà interamente dedicato al ruolo della ragionevolezza nel processo di
armonizzazione europeo e transnazionale. La creazione di un mercato unico aveva
richiesto, sin dalle sue origini, regole uniformi che consentissero di “abbattere le
frontiere” alla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Dal punto di
vista giuridico, il processo di armonizzazione europeo si presenta come un processo
lento e graduale, che tende verso un Codice Europeo dei contratti, ma che
sistematicamente viene vinto dalle perplessità politiche ed accademiche. Nonostante
questa difficoltà, il diritto europeo ha certamente influenzato il diritto dei contratti,
anche per mezzo dello standard di ragionevolezza. Esso, infatti, rappresenta forse il
tentativo meglio riuscito di costruire un “ponte sulla Manica”, di superare, cioè,
quelle differenze linguistiche e concettuali che da sempre tengono divise “le due
anime divise” della tradizione giuridica occidentale: la common law, con la sua
regola del precedente, i suoi canoni efficientistici, la sua logica snella e veloce; la
civil law, con l’eleganza dei suoi codici, la preminenza delle sue Costituzioni, il
ruolo fondante della legge scritta e della sua interpretazione.
Come una figlia di questo processo di ravvicinamento delle legislazioni, ecco,
dunque, che si inserisce, con impatto dirompente, nel discorso giuridico europeo, la
riforma del diritto francese dei contratti e delle obbligazioni ad opera della
Ordonnance n. 131 del 10 febbraio 2016. Il discorso si sposterà, così, in Francia, ed
7
essa sarà la protagonista principale del Capitolo III. Posto che, da decenni, il Code
Napoléon aveva perso la grandeur che per secoli l’aveva caratterizzato, il legislatore
francese, sulla scorta dei principi europei di diritto contrattuale, ha predisposto, di
recente, un testo di riforma importante, sia per la quantità di articoli sui quali esso va
ad incidere, sia per le conseguenze ch’esso produrrà sul diritto nazionale degli Stati
membri dell’Unione. Riuscirà, ancora una volta, la Francia, a fungere da sistema
trainante in una prossima stagione di riforme? Sicuramente, l’esperienza francese è
da considerarsi un esordio degno di nota.
8
CAPITOLO I – LE ORIGINI DEL CONCETTO DI
RAGIONEVOLEZZA E LA RICERCA DEI SUOI FONDAMENTI:
TRADIZIONI GIURIDICHE A CONFRONTO
Lume v’è dato a bene e malizia
(Dante Alighieri)
1. Le radici romanistiche e filosofiche della ragionevolezza: rationabilitas e
razionalità
È opinione assai diffusa quella per la quale il concetto di ragionevolezza sia qualcosa
di “estraneo” alla tradizione giusprivatistica di civil law
1
e che vi sia stato
trapiantato
2
ad opera del processo di armonizzazione del diritto a livello europeo.
Senz’altro, come è stato messo in evidenza da autorevoli autori
3
, si è registrato un
forte incremento nell’utilizzo dello standard di ragionevolezza nei testi legislativi
continentali, dovuto proprio all’influenza della common law americana e
anglosassone, attraverso le direttive e i progetti di armonizzazione del diritto privato.
1
G. PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, Esi, p.
2.
2
La nozione di trapianto, inteso come trasferimento di una norma o di un sistema giuridico
da un paese all’altro o da un popolo all’altro, fu coniata da Alan Watson nel 1974 nel suo
libro “Legal Transplants: an Approach to comparative law”, come riflesso di quella moda
culturale che nel XIX secolo trasponeva sui fenomeni giuridici metafore delle scienze
naturali. Sul trapianto di norme e sui flussi giuridici, si vedano, ad esempio, G. AJANI, B.
PASA, Diritto comparato: Casi e materiali, Torino, Giappichelli, 2013, p. 102; V.
BARSOTTI, V. VARANO, La tradizione giuridica occidentale: testi e materiali per un
confronto civil law common law, Torino, Giappichelli, 2014, p. 16.
3
su tutti, S. ZORZETTO, Reasonableness, in The Italian Law Journal, vol. 1, Napoli, Esi,
2015, p. 107 e ss., per la quale “(the) extension of the reasonable especially in private and
contract law is said to depend on the increasing influence of American and English common
law, as well as the effect of international treating and general customs such as the well-
known lex mercatoria, where reasonableness is a long-standing notion”; così anche E.
NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Europa e
dir. priv., fasc. 4, 2012, p. 953 e ss., la quale analizza lo standard di ragionevolezza nel
diritto europeo alla luce delle direttive europee, dei progetti di armonizzazione, del Draft
Common Frame of Reference, sino alla Proposta di regolamento sulla vendita. In particolare,
l’Autrice ritiene che lo sviluppo e la diffusione dello standard di ragionevolezza sia dovuto
all’esigenza di dotarsi di “regole facilmente condivisibili”, che siano “familiari rispetto alla
maggior parte degli ordinamenti”. Del resto, l’articolo mette in evidenza come, in questo
processo, l’utilizzo di standard e di clausole generali possa aggregare il diritto degli Stati
membri, seppur valorizzandone le peculiarità nazionali, grazie alla caratteristica della
“flessibilità”.
9
Eppure, è altrettanto facile trovare autori che sono di un diverso avviso. Essi
ritengono, cioè, che la ragionevolezza non sia qualcosa di avulso dalla nostra
tradizione giuridica, ma che, al contrario, essa trovi le sue origini proprio nella
cultura romanistica. In modo particolare, è stato affermato che “considerare la
nozione di ragionevolezza estranea alla nostra cultura giuridica è il riflesso della
poca attenzione riservata da alcuni civilisti alla tradizione di diritto romano
4
”. Infatti,
sia nel diritto canonico che nello ius commune di epoca medievale, il concetto di
ragionevolezza (in latino, rationabilitas) è “profondamente impresso” nel pensiero
giuridico continentale e il suo utilizzo trova origine dell’antica Roma
5
. Nel diritto
romano, invero, è forte il richiamo al senso del giusto, dell’equo, della “domanda di
giustizia”, che ritroviamo, poi, anche nell’equity delle corti inglesi secoli più tardi.
“Rationem dicere”, per Cicerone
6
, significava appunto tenere un comportamento
razionale, lasciarsi condurre dalla ragione
7
. Non è un caso se di comportamento
razionale è possibile rinvenir traccia anche nella drammaturgia sofoclea (qualora si
voglia ricercare le radici della ragionevolezza in tempi ancor più antichi): “fa onore a
un uomo, per quanto sapiente egli sia, continuare ad imparare senza chiudersi
nell’ostinazione”
8
diceva Emone a suo padre Creonte per tentare di scongiurare la
condanna a morte di Antigone contro l’opinione diffusa della città
9
.
4
G. PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, op. cit., p. 2.
5
S. ZORZETTO, Reasonableness, op. cit., p. 109.
6
CICERONE, Oratur ad M. Brutum, 116: “Et quoniam in omnibus quae ratione docentur et
via primum constituendum est quid quidque sit nisi enim inter eos qui disceptant convenit
quid sit illud quod ambigitur, nec recte disseri umquam nec ad exitum perveniri potest,
explicanda est saepe verbis mens nostra de quaque re atque involuta rei notitia definiendo
aperienda est, si quidem est definitio oratio, quae quid sit id de quo agitur ostendit quam
brevissime; tum, ut scis, explicato genere cuiusque rei videndum est quae sint eius generis
sive formae sive partes, ut in eas tribuatur omnis oratio”.
7
G. WEISZBERG, Le “Raisonnable” en Droit du Commerce International, Université
Panthéon-Assas, Parigi, 2003, par. 7, consultabile in [http://www.cisg.law.pace.edu/cisg/bibl
io/reasonableness.html].
8
SOFOCLE, Antigone, v. 680.
9
M. CUONO, Tra arbitrarietà e ragionevolezza. Riflessioni analitiche di teoria politica e
giuridica, intervento al XVII seminario italo-espagnolo-francese di Teoria del Diritto, 2011,
p. 6; sul punto, si veda anche F.G. SOURGENS, Reason and Reasonableness: the necessary
diversity of the common law, in 67 Me. L. Rev. 73, 2014, p. 73 e ss., il quale fa riferimento
alla tragedia di Antigone analizzandola in correlazione allo standard di ragionevolezza. In
modo particolare, l’Autore sottolinea come “reasonableness recognises that there is not one
absolute rule of conduct premised upon moral or religious command. Instead, law depends
10
Qualcuno
10
ha messo in evidenza come nel diritto romano ed intermedio la
ragionevolezza rileva principalmente come criterio interpretativo. In modo
particolare, si fa riferimento, nelle fonti, all’opinione del giurista Celso relativa ad un
problema di competenza territoriale e ad un altro parere concernente l’interpretazione
di una disposizione testamentaria. Altre tracce di questa considerazione le si
rinvengono in Ulpiano e Pomponio. Quest’ultimo, in particolare, utilizza il concetto
di rationabilitas con riferimento all’interpretazione di un contratto. Il termine
rationabilitas, però, non coincide perfettamente con l’espressione “standard di
ragionevolezza”, per una duplice ragione. La prima è che solo negli ultimi tempi si è
parlato di standard con riferimento alla ragionevolezza, mentre nella riflessione
giuridica che parte dagli anni Cinquanta e che ancora oggi permane nello studio di
tanti giuristi
11
, è ancora aperto il dibattito sul posto che questo concetto occupa nelle
categorie dogmatiche che sono più familiari alla nostra tradizione – si pensi ai
concetti di clausola generale, concetto indeterminato, principio. La seconda ragione è
esposta in maniera efficace e sintetica da Silvia Zorzetto nel suo saggio “La
upon the reciprocal regard for the interests of other – even particularly those others holding
different moral, religious, and political point of view”. Nello stesso articolo, l’Autore spiega
come ragionevole sia ciò che il popolo (the group) ritiene sia tale in un dato momento
storico. L’esempio che pone è quello della società spartana: ogni anno, gli efori (governanti e
membri delle magistrature spartane) dichiaravano una simbolica guerra agli iloti (schiavi e
soggetti destinati ai lavori agricoli) per formalizzare lo stato dei rapporti tra le due classi. In
quei giorni era lecito commettere aggressioni e torture nei confronti degli iloti senza che
questo comportamento venisse considerato riprovevole. Al contrario, questi erano atti
considerati “ragionevoli” al fine di raggiungere l’obiettivo di creare una città-stato potente ed
in salute. Non a caso, la società spartana è considerata dagli studiosi di Law and Economics
per queste ed altre regole che potremmo definire “efficientistiche”.
10
E. NALLI, Sui fondamenti romanistici del diritto europeo in materia di obbligazioni e
contratti, in Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, vol. 2, 2013, p. 6.
11
Sul punto, si vedano anche S. TROIANO, La ragionevolezza nel diritto dei contratti,
Padova, Cedam, 2005, p. 48 e ss., il quale si interroga per rispondere al quesito se la
ragionevolezza possa o meno essere intesa come “concetto giuridico indeterminato” o come
“clausola generale”; G. PERLINGIERI, op. cit., p. 114, il quale asserisce che, stante
l’impossibilità “di concepire concetti e nozioni isolatamente” e di equiparare o sovrapporre
la ragionevolezza alle tradizionali clausole generali, la ragionevolezza può allora essere un
“criterio utile per l’interpretazione e la concretizzazione delle c.d. clausole generali”. In un
altro articolo, successivo alla monografia di cui sopra, S. TROIANO, Ragionevolezza e
concetti affini: il confronto con buona fede ed equità, in Obbligazioni e contratti, Torino,
Utet, 2006, p. 692, l’autore osserva che “se è vero che la ragionevolezza non si identifica né
con la buona fede né con la diligenza (…) si può affermare che essa costituisce una
componente di riequilibrio che opera all’interno della buona fede e della diligenza e in
funzione complementare ad esse”.
11
ragionevolezza dei privati”
12
. L’autrice colloca il termine rationabilitas nel diritto
canonico, analizzandone la relazione con la ragionevolezza così come intesa nel
nostro ordinamento. L’originalità del termine rationabilitas, infatti, è da ricercare
innanzitutto nella speciale natura dell’ordinamento della Chiesa, dove elemento
giuridico ed elemento teleologico si fondono. Nel diritto canonico, la rationabilitas
viene intesa come coerenza ai valori fondamentali dell’ordinamento giuridico della
Chiesa e alla concezione di vita propria del cristianesimo e viene usata come criterio
di “ordine, misura, giustizia” per valutare quanto “razionabile” sia una consuetudine.
Dunque, una consuetudine è ragionevole quando, oltre ad essere conforme alla realtà
naturale, concorre alla promozione del bene comune. Nel diritto canonico, quindi, la
rationabilitas costituisce la ratio legis
13
del canone nel senso più pieno, cioè come
congruenza sostanziale del sistema, e realizza la perfetta congiunzione tra la lettera
della legge e lo spirito del diritto. Un po’ come scriveva Carlo Lavagna negli anni
Settanta con riferimento alla ragionevolezza: attraverso di essa “il guscio vuoto
rappresentato dalla prescrizione legislativa viene a volta a volta riempito di contenuti
normativi che variano (e devono variare) precisamente in relazione al possibile
evolversi dei contesti umani e in funzione della varietà della fattispecie”
14
.
Ciò che è emerso da un’attenta analisi delle prospettive fin qui esposte, è che coloro i
quali rinvengono le radici della ragionevolezza nel diritto romano, ricollegano questo
concetto a quello di certezza del diritto. Al contrario, un’altra considerevole parte
degli studiosi del diritto civile - ma non solo – ha individuato le radici della
ragionevolezza nella corrente di pensiero denominata “giusnaturalismo” o “dottrina
del diritto naturale”.
Secondo Hobbes il diritto di natura, che gli scrittori chiamano comunemente ius
naturale, è la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la
conservazione della sua natura, cioè della sua vita e conseguentemente di fare
qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il
12
S. ZORZETTO, La ragionevolezza dei privati. Saggio di metagiurisprudenza esplicativa,
Milano, FrancoAngeli, 2008, p. 66 e ss.
13
S. ZORZETTO, ibidem.
14
A. RUGGERI, Scritti in onore di Gaetano Silvestri, vol. 1, Torino, Giappichelli, 2016, p.
56.
12
mezzo più idoneo a questo fine
15
. Il libero arbitrio del quale ogni uomo è dotato,
consentirebbe dunque di poter discernere il giusto dall’ingiusto, il morale
dall’immorale, il ragionevole dall’irragionevole.
Emergerebbe, così, un ulteriore significato attribuibile al concetto di ragionevolezza:
ragionevole, secondo il giusnaturalista, sarebbe ciò che deriva dalla ragione, ciò che
consente di analizzare il mondo che ci circonda al di là dei pensieri morali
16
. Allo
stesso modo, molti anni più tardi, il filosofo tedesco Robert Alexy afferma che il
concetto di ragionevolezza ha una “funzione simile alla verità”
17
. Secondo l’autore, il
passo in avanti che deve essere fatto è quello di spostare l’attenzione da “chi è
ragionevole” a “cosa è ragionevole” ed approda all’espressione “ragionevole
certezza” per spiegare questo confronto.
Ora, il concetto di ragionevolezza ha senz’altro sollecitato l’interesse dei moderni
filosofi del diritto impegnati sia ad individuare i tratti semantici propri di questo
concetto, sia ad individuare i rispettivi confini con il concetto di razionalità
18
. In
questo senso, meritevole di una particolare attenzione è, ancora una volta, il lavoro
già citato di Silvia Zorzetto, la quale indaga sulle premesse filosofiche della
ragionevolezza nel pensiero giuridico, al fine di chiarirne il significato.
Un secondo punto di vista molto interessante è pure quello offerto da Erika
Giorgini
19
. L’autrice, infatti, sostiene che l’idea di ragionevolezza si afferma con
l’emergere del principio personalistico. Il porre al centro la persona determina
inevitabilmente la mancanza di un’idea standard di bene comune e, di conseguenza,
non si può determinare ciò che è ragionevole e ciò che non lo è senza considerare che
15
T. HOBBES, Leviathan, 1651, cap. XIV.
16
sul punto, G. RADBRUCH discorreva di “leggi che mancherebbero del senso di verità”.
17
M. CUONO, Tra arbitrarietà e ragionevolezza. Riflessioni analitiche di teoria politica e
giuridica, op. cit., p. 7.
18
P. LOI, Il principio di ragionevolezza e proporzionalità nel diritto del lavoro,
Giappichelli, Torino, 2017, p. 8.
19
E. GIORGINI, Ragionevolezza e autonomia negoziale, Esi, Napoli, 2010. Lo stesso è
commentato da S. ZORZETTO, Ragionevolezza, politica del diritto e semiotica giuridica.
Considerazioni in margine al libro “Ragionevolezza e autonomia negoziale”, in Diritto e
questioni pubbliche, n. 10, 2010, pp. 601 e ss.