I
INTRODUZIONE
Il presente lavoro è volto ad analizzare i processi che hanno accompagnato le
istituzioni italiane al conseguimento dell’unificazione amministrativa, avvenuta nel
1865. Il contesto storico su cui l’argomento poggia è ampiamente noto, in quanto
rappresenta le origini del nostro Stato nella sua forma unitaria; tuttavia, come
evidenziato da molti autori da cui il lavoro ha tratto idee e spunti, il settore
dell’amministrazione e, nello specifico, dei rapporti vigenti tra il centro governativo e la
periferia sono caratterizzati da una carenza di approfondite analisi storiografiche.
Questa mancanza è stata colmata, in un primo momento, negli anni Sessanta del
Novecento, soprattutto in occasione del centenario dell’Unità d’Italia: sono proprio gli
studi realizzati in questo periodo a rappresentare una efficace base di partenza per la
realizzazione di questo lavoro. Analisi più recenti hanno certamente offerto un
contributo nel completare la visione d’insieme del problema, permettendo di tenere in
considerazione anche gli ultimi sviluppi di un argomento sempre vivo nel dibattito
pubblico.
In virtù di quanto premesso, la nostra analisi partirà con l’esaminare le
istituzioni francesi nel periodo che va dalla Rivoluzione all’impero di Napoleone, con
tutte le innovazioni che queste fasi hanno comportato per la pubblica amministrazione
in generale. La decisione di abbracciare un periodo così ampio all’interno di un unico
lavoro è stata ispirata da un’affermazione di Piero Aimo, il quale, introducendo il suo
saggio, si esprime come segue: «in ogni frattura e scansione storica – specialmente sotto
il profilo della pubblica amministrazione - non vi è mai contrapposizione netta o rigida
tra modelli diversi. Essa porta con sé il retaggio, anche ideologico-culturale, delle
epoche precedenti».
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Tale affermazione è stata confermata per intero durante tutto lo svolgimento del
lavoro, poiché è innegabile che l’esperienza napoleonica in Italia, nonostante la sua
relativamente breve durata, abbia rappresentato un punto di riferimento costante per
tutti coloro i quali avessero idee simili all’imperatore francese, soprattutto in funzione
dell’unificazione nazionale. Ciò è valido sia in chiave positiva, ma anche da un punto di
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Cit. in P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia. Dal 1848 a oggi, Roma, Carocci, 2010, p. 17
II
vista contrario: alla base di molte correnti ideologiche italiane, infatti, verteva il rifiuto
di tornare ad abbracciare determinate disposizioni autoritarie vigenti sotto Napoleone.
Con tali premesse, il lavoro è proseguito seguendo una linea di continuità che ha
permesso di analizzare, nel dettaglio, la reazione del Regno di Sardegna all’invasione
napoleonica; questo è un punto interessante, in quanto offre un’ulteriore conferma a
quanto affermato poche righe fa: lo Stato sardo, che sotto il governo di Napoleone si era
visto imporre la legislazione e l’amministrazione francese nella sua forma originaria, al
termine dell’epopea napoleonica decise di recuperare il suo retaggio ideologico-
culturale, dimenticando, però, il retaggio sociale che era subentrato nel frattempo.
Napoleone, infatti, aveva favorito l’ingresso nelle amministrazioni locali della
borghesia, la quale, ora, non aveva nessuna intenzione di retrocedere al ruolo di
comprimario cui era sottoposta in precedenza: ciò costrinse, nei modi che si vedranno
nella tesi, il legislatore sardo a prendere in considerazione il recupero
dell’amministrazione napoleonica e la concessione di sempre maggiori spazi a questa
nuova classe sociale. L’ascesa della borghesia ha caratterizzato la storia socio-politica
europea nella prima metà dell’Ottocento ed anche in ambito amministrativo ha avuto un
impatto determinante: ai fini della nostra analisi, essa rileva soprattutto nei rapporti tra
centro e periferia. Il 1848 è l’anno in cui la borghesia completò la sua ascesa a nuovo
ceto dominante e, nel Regno di Sardegna, a questa data è associata la concessione dello
Statuto albertino e, in forma provvisoria, l’emanazione del primo testo organico
sull’ordinamento comunale e provinciale.
Un’altra importante analisi che ha illuminato tale lavoro è quella realizzata da
Sidney Tarrow, da cui traiamo parole che ben sintetizzano la situazione italiana da
questo momento in poi. In riferimento a quel retaggio ideologico con cui abbiamo
aperto l’introduzione, egli ha affermato: «In Italia, lo sviluppo ideologico avvenne
molto più rapidamente dello sviluppo sociale o amministrativo. Tra il 1848 e il 1871 gli
eventi internazionali accelerarono l'unificazione politica prima che si addivenisse
all'unificazione culturale». Con tali premesse, Tarrow ha ricavato la conclusione che in
Italia vi fu «una penetrazione amministrativa debole, un dominio che si reggeva su un
misto di repressione e di clientelismo ed una coalizione molto più ristretta tra borghesia
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del nord e proprietari terrieri meridionali».
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E queste caratteristiche si evidenziarono sin
dal momento in cui, con la vittoriosa conclusione della seconda guerra d’indipendenza
italiana, tra il 1859 e il 1861 il Regno di Sardegna si trovò nella situazione di annettere
gli altri Stati della penisola, quali la Lombardia, la Toscana, l’Emilia, prima di passare,
dopo l’impresa garibaldina, ad annettere anche le province napoletane e siciliane.
La gestione amministrativa di queste delicate fasi è stata certamente influenzata
dalla tradizione istituzionale piemontese, tanto che coloro i quali si dimostravano
contrari a questo modo di agire, accusavano la classe dirigente sabauda di
“piemontesizzare” il paese; di estendere, cioè, trasversalmente e senza rispettare le
diverse tradizioni degli altri Stati, la legislazione del Regno di Sardegna a tutta l’Italia.
In realtà, l’unificazione italiana ha attraversato due fasi: una precedente alla legge del
17 marzo 1861, con cui Vittorio Emanuele II fu incoronato re d’Italia, ed una
successiva. La prima fase fu contraddistinta dalle annessioni al Regno di Sardegna,
realizzate tramite l’istituzione di governi provvisori negli altri Stati; furono queste le
circostanze in cui il Conte di Cavour si espresse con le celebri parole: «Tutte le
questioni relative al futuro ordinamento interno non hanno alcuna reale importanza
immediata a confronto della suprema ed urgente necessità di fare l'Italia per costruirla
poi».
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L’intento iniziale, chiaro, era quello di mantenere invariata la legislazione di ogni
nuovo ordinamento annesso al regno sardo, con la convinzione che in una fase di
successiva stabilità dello Stato unitario, le riforme sarebbero state accolte con maggior
naturalezza. Tra questa e la successiva fase, non vi fu alcun punto di rottura, proprio
rispettando la volontà di Cavour di evitare ogni turbamento alla solidificazione dello
Stato unitario. A dimostrazione di ciò, elementi di totale continuità con il regno sardo
appaiono: la conferma dello Statuto albertino, che da costituzione sarda diventò
costituzione italiana; il re, c h e si intitolò Vittorio Emanuele II, rispettando la
numerazione sabauda; la prima legislatura italiana, che fu in realtà considerata come la
numero VIII, mantenendo, anche in questo caso, la numerazione delle legislature sarde.
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2
S. Tarrow, Tra centro e periferia. Il ruolo degli amministratori locali in Italia e in Francia, Bologna, Il
mulino, 1979, p. 59
3
Cit. in S. Cassese, “Fare l’Italia per costruirla poi”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2, 2011, p.
306
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S. Cassese, “Fare l’Italia per costruirla poi”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2, 2011, p. 306
IV
È evidente, dunque, di come, almeno nella prima fase unitaria, potessero trovare
conferma le accuse di piemontesizzazione mosse nei confronti della classe dirigente
sabauda; tuttavia, va considerata la seconda fase di questo processo – che poi è il vero
fulcro di questo lavoro – che ha visto il susseguirsi di numerosi scambi di vedute e
dibattiti ideologici, imperniati sul dubbio se concentrare i poteri nelle mani del governo
centrale, oppure concedere autonomia alle amministrazioni locali, rappresentate dagli
Stati appena annessi. Il terzo capitolo della tesi è, infatti, quasi interamente dedicato alla
fase postunitaria, in cui i vari governi dell’epoca tentarono di riformare
l’amministrazione, riuscendovi soltanto in condizioni di eccezionale urgenza, occorsa in
seguito al trasferimento della capitale da Torino a Firenze. La legge che ne scaturì, la n.
2248 del 20 marzo 1865 e la sua tendenza centralista, fu soltanto la naturale
conseguenza di un percorso durato quattro anni in cui, come vedremo, ad avere la
meglio è stata la concezione di fare di necessità virtù, ed accontentarsi dell’unico
sistema amministrativo che garantisse un forte controllo al governo in una fase piena di
dubbi e incognite: con i dovuti adattamenti, il sistema instaurato fu quello napoleonico.
Nell’elaborazione del lavoro, in conclusione, si è pensato di seguire un coerente
percorso storico, ponendo come basi le influenze che al nostro ordinamento sono giunte
dalla Francia napoleonica. Sarebbe stato, probabilmente, altrettanto apprezzabile dare
una panoramica più generale del sistema preunitario, per concentrarsi in maniera ancor
più specifica sulle istituzioni e sugli uomini protagonisti del quadriennio unificatore
1861-1865. In questi termini, vi è molto del materiale raccolto di cui non si è,
purtroppo, potuto tener conto: ci si riferisce, ad esempio, alle ideologie che hanno
influenzato il modus operandi della maggioranza moderata durante le concitate fasi
unificatrici, alla cui opposizione si ponevano i democratici, protagonisti – "sul campo" –
dell'unificazione nazionale. Tale approfondimento avrebbe garantito un'ideale linea di
continuità con quanto avvenuto successivamente al periodo trattato nella tesi. Giudizi
tendenzialmente positivi accompagnarono la disposizione del 1865, capace di assestare
l’ordinamento italiano su basi solide ma, sin dalla legislatura immediatamente
successiva, si dovettero affrontare nuove sfide, riguardanti l’annessione del Veneto
prima, e di Roma poi, portando nuovamente a chiedersi quale fosse il sistema migliore,
tra la guida centralizzatrice del governo centrale, oppure la concessione di maggiori
autonomie ai poteri locali. La seconda metà dell'Ottocento italiano è s t a t a , infatti,
V
caratterizzata da nuovi tentativi di porre mano alle disposizioni inaugurate con la legge
del 20 marzo 1865, nel tentativo di smorzare quella sua natura così marcatamente
centralista.
È evidente che molto altro ci sarebbe da scrivere, in quanto l'argomento
principale del presente lavoro altro non è che l'inizio del percorso amministrativo che
l'Italia unita ha attraversato sino ai giorni nostri, e su cui tanto continua a discutersi,
come ad esempio le recenti proposte riguardanti l'abolizione della Provincia. E come, ne
siamo certi, continuerà a discutersi in futuro.
1
CAPITOLO I
L’AMMINISTRAZIONE DEL REGNO DI SARDEGNA: TRA
ANCIEN RÈGIME E MODERNITÀ
1.1 L’amministrazione francese, dalla Rivoluzione a Napoleone
Per uno studio completo e puntuale della storia dell'amministrazione italiana, è
necessario porre la nostra attenzione su quanto accadde nella Francia post-
rivoluzionaria, tra il periodo della Costituente e l’epoca napoleonica. Noti gli eventi
politici del 1789, è qui utile addentrarsi sulle vicende amministrative che
caratterizzarono quegli anni, e di come esse abbiano avuto un ruolo attivo nello
sviluppo degli ordinamenti italiani.
Mi riferisco, in primo luogo, al decreto del 22 dicembre 1789, pensato per una
semplificazione dell'amministrazione francese – fin troppo articolata durante
l'ancien régime –, che divideva il territorio nazionale in ottantatré Dipartimenti, a loro
volta divisi in Distretti, Cantoni e Comuni. Premesso che il decreto era pensato «nella
fedele osservanza dell'indiscutibile e prioritario dogma dell'unità e indivisibilità dello
Stato», esso invertiva l'orientamento centralizzatore tipico dell’assolutismo monarchico,
adeguandosi ora «ai principi generali dell'uniformità e del decentramento».
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Oltre a
questi principi, è molto importante rilevare il riconoscimento del criterio elettivo per la
selezione degli organi, che in precedenza avveniva su nomina regia, delineando una
prima, forte, scossa di modernità al sistema amministrativo francese. Un chiaro esempio
di quanto appena descritto è il ruolo dell’organo di raccordo fra centro e periferia del
sistema: durante l’ancien régime, per questa speciale mansione il re nominava la figura
commissariale degli intendenti; ora erano gli elettori ad avere questa responsabilità,
assegnando il ruolo a dei funzionari, ai quali erano demandati compiti di consulenza,
informazione e vigilanza. I livelli di governo periferico elencati in precedenza, venivano
così organizzati: i Dipartimenti venivano guidati da un Direttorio esecutivo e un
Consiglio generale; i Distretti da un altro Direttorio e un Consiglio; mentre i Comuni
sottostavano al comando di un Corpo municipale e di un sindaco. Per quanto riguarda i
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P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia. Dal 1848 a oggi, p. 18