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Introduzione
La tecnologia rappresenta uno dei principali motori del cambiamento,
intervenendo in qualsiasi ambito della vita sociale, dai rapporti interpersonali alla
comunicazione, dai rapporti con le istituzioni ai servizi per l’intrattenimento.
I contenuti di questi cambiamenti non escludono ovviamente le organizzazioni e,
all’interno di esse, nessun settore ne è escluso: dalla struttura aziendale sino alla
strategia.
Nelle pagine che seguono metteremo in luce le conseguenze che una vera e
propria rivoluzione tecnologica ha portato sul lavoro quotidiano del servizio clienti
di una piccola-media impresa dell’Alto Adige. Il focus della ricerca sarà intento a
sottolineare come le risorse umane svolgano un ruolo decisivo nel determinare il
successo o l’insuccesso di una tecnologia. Tralasciando le qualità e le funzioni che
lo strumento tecnologico è in grado di svolgere o meno, infatti, l’esito di tale
trasformazione è fortemente determinato dagli attori organizzativi che, con il loro
agire quotidiano, entrano in contatto con il nuovo artefatto.
I protagonisti dell’indagine sono gli operatori di call center, o meglio del servizio
clienti. Spesso considerato come un lavoro di poco prestigio sociale, mal retribuito
e frutto di frustrazioni, all’interno dell’EM Group gli operatori del servizio clienti
svolgono un ruolo vitale nei confronti del principale attore esterno con cui
l’organizzazione entra in contatto, ovvero il cliente.
Daremo molta attenzione al nuovo artefatto tecnologico introdotto in azienda,
concentrandoci non tanto sulle sue caratteristiche funzionali e operative, quanto
sulle modalità di utilizzo dell’artefatto all’interno del reparto. Si tratta quindi di
un’analisi di tipo relazionale tra tecnologia, utilizzatori e contesto d’uso all’interno
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del relativo sistema sociotecnico. La tecnologia sarà dunque considerata “in-uso”,
ovvero contestualizzata nel suo ambiente e al momento del suo effettivo utilizzo
[Bruni, Gherardi 2007].
La ricerca racconta la storia di Microsoft Dynamics AX (d’ora in avanti MDAX),
nuovo software gestionale introdotto all’interno dell’azienda, e del lento processo
di accettazione da parte del servizio clienti di questo nuovo artefatto. Come
spesso accade, le tecnologie non nascono “sicure e affidabili”, ma lo diventano col
tempo, nel loro sedimentarsi in routine e in pratiche. Vedremo come il software
presenti inizialmente notevoli difficoltà funzionali, inizialmente dovute a mancanze
tecniche, ma in parte dovute anche dalla mancanza di coordinamento del sistema
sociale e tecnologico in azienda, causato appunto dall’introduzione di questa
importante novità. Col passare dei mesi, l’interazione tra il software e suoi utenti
porterà al raggiungimento di un punto di equilibrio, frutto delle numerose
negoziazioni degli attori coinvolti sulle modalità del lavorare.
Se quindi il primo capitolo introduce il tema della relazione tra tecnologia e
organizzazione, facendo riferimento alla letteratura sociologica più recente, il
secondo capitolo approfondisce da una parte la metodologia adottata durante la
ricerca, e dall’altra, introduce le principali caratteristiche dell’organizzazione EMGI,
accompagnate da una piccola digressione sui suoi primi dieci anni di storia. Il
terzo capitolo vuole narrare lo svolgimento della ricerca e i principali risultati
ottenuti, mentre nelle conclusioni trarremo le riflessioni finali circa il lavoro
condotto.
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Capitolo 1: Tecnologia e organizzazioni
Nel presente capitolo rivolgeremo la nostra attenzione alla letteratura sociologica
in tema di tecnologia e organizzazione. In relazione all’organizzazione, la
tecnologia è stata considerata all’interno della letteratura sociologica a partire dalle
analisi di Marx prima e Taylor poi, ma solo a partire dalla seconda metà del secolo
scorso l’attenzione delle scienze sociali verso la tecnologia si intensifica. Da una
visione modernista [Hatch 2013] incentrata su una visione della tecnologia intesa
come insieme di macchine, strumenti e procedure indipendenti dal contesto in cui
operano, si passa ad una visione che enfatizza il modo in cui la tecnologia venga
influenzata dai processi di interazione e costruzione sociale.
La tecnologia è quindi vista non come strumento esterno e autonomo del lavoro,
ma in relazione alla struttura sociale e agli attori che ne sono a contatto. Da
quest’ultimo punto di vista, essa viene intesa quale risultato di complessi processi
sociali, che portano la tecnologia ad essere una “tecnologia in uso” [Suchman et
al. 1999; Bruni e Gherardi 2007].
Nell’era post-moderna il rapporto tecnologia-organizzazione diventa sempre più
interrelato, al punto che riconoscere il confine tra lavoro umano e lavoro delle
macchine risulta oggi sempre più difficile. Le interrelazioni si intensificano a tal
punto che le organizzazioni possono essere considerate ambienti
tecnologicamente densi [Bruni e Parolin 2014], dove il lavoro di attori e tecnologie
procede in simbiosi e solo il loro corretto allineamento consente l’articolarsi dei
processi organizzativi.
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1.1. La tecnologia in sé
Tradizionalmente negli studi organizzativi, la tecnologia è intesa come elemento a
sé stante: un insieme di strumenti, procedimenti o conoscenze necessarie a
raggiungere uno scopo. La tecnologia assume quindi la forma di attrezzature,
metodi di produzione e know-how necessari all’ottenimento di un risultato.
In questa visione si concretizza il concetto di “tecnologia in sé” [Bruni e Gherardi
2007], che vede la tecnologia come completamente slegata dal suo ambiente di
utilizzo e dai suoi utilizzatori, autonoma e impermeabile ad influenze esterne.
In un approccio modernista all’organizzazione [Hatch 2013], in particolare, le
performance di un’organizzazione non dipendono esclusivamente dalla sua
struttura sociale, ma anche dalla tecnologia impiegata per la produzione.
In questo contesto si instaurano alcune ricerche significative. Joan Woodward
[1958] ad esempio analizza cento aziende alla ricerca della variabile che possa
garantire livelli più elevati di performance. Nel suo percorso classifica le aziende
con cui entra in contatto sulla base della complessità tecnologica adottata,
arrivando alla conclusione che sia la complessità del processo produttivo
impiegato, ovvero del nucleo tecnologico, a determinare le maggiori differenze tra
il successo o l’insuccesso di un’organizzazione. Sulla base di questa esperienza,
Woodward propone di classificare le tecnologie secondo la seguente tipologia,
suggerendone la ricetta più adatta al successo:
tecnologie di produzione di singole unità o piccoli lotti, come i lavori
artigianali ad esempio. Devono caratterizzarsi da una ridotta estensione del
controllo, pochi livelli di management e processo decisionale decentrato per
avere successo.
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tecnologie di produzione di grandi lotti o di massa, come ad esempio le
grandi fabbriche di produzione. Devono avere un esteso controllo e
processi decisionali centralizzati per avere successo.
tecnologie a processo continuo, come gli impianti di raffinazione del petrolio
o il trattamento dei rifiuti liquidi. Devono avere ridotto controllo, processi
decisionali decentralizzati, ma numerosi livelli di management per avere
successo.
I risultati della ricerca mostrano come i livelli di performance derivino dalla
combinazione di stile organizzativo e manageriale, forma organizzativa adottata e
tipologia di tecnologia utilizzata. Ad ogni tecnologia corrisponde quindi uno stile
manageriale e organizzativo più adatto, che garantisce il raggiungimento di
migliori performance.
Sullo stesso percorso si pone anche James Thompson [1967], il quale perfeziona
la tipologia di tecnologie proposta dalla Woodward, includendovi anche le
tecnologie impiegate per produrre servizi, che invece la sociologa britannica non
aveva considerato. Nel modello di Thompson le organizzazioni sono classificate
sulla base del livello di standardizzazione degli input e degli output, nonché su
quello del processo di trasformazione. Thompson propone quindi di classificare le
tecnologie in:
tecnologie a collegamento lineare che includono sia la produzione di massa
che il processo continuo identificato dalla Woodward.
tecnologie di mediazione che servono i clienti facendo da intermediari
all’interno di una transazione, come le banche o le assicurazioni.
tecnologie intensive che caratterizzano luoghi come i pronti soccorso degli
ospedali o nei laboratori di ricerca.
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Thompson sottolinea come le diverse tecnologie si differenzino per il grado di
standardizzazione degli input e output, ma anche dei processi di trasformazione.
Nelle tecnologie a collegamento lineare ad esempio la standardizzazione è
massima sia negli input e output che nei processi di trasformazione, il classico
esempio sono le fabbriche di produzione che si servono di catena di montaggio.
Le tecnologie di mediazione utilizzano invece input e output non standardizzati
che si accompagnano a processi di trasformazione standardizzati, nelle banche e
nelle assicurazioni ad esempio i clienti hanno necessità molto variegate, così
come le soluzioni offerte possono essere molto articolate e personalizzate sulla
base delle necessità del cliente, il processo che porta a concludere un contratto è
tuttavia molto standardizzato con regole e procedure da seguire molto dettagliate.
Nel caso delle tecnologie intensive si raggiunge invece il massimo della non
standardizzazione sia negli input/output che nei processi di trasformazione, un
caso esemplare è in questo caso il pronto soccorso di un ospedale.
Forse volutamente Thompson non descrive la quarta tipologia, ovvero il caso di
input/output standardizzati con processi di trasformazione non standard, poiché
reputati poco efficienti.
Allo stesso modo anche Charles Perrow [1967; 1986] propone un suo modello di
analisi, questa volta però basato non sulla tecnologia dominante all’interno
dell’organizzazione, quanto sulla variabilità e analizzabilità dei compiti come
mezzo di differenziazione delle tecnologie. La variabilità descrive il numero di
eccezioni rispetto allo standard che si verificano nell’applicazione della tecnologia;
l’analizzabilità rispecchia la possibilità di spiegare con metodi analitici
un’eccezione al suo verificarsi. In questo modo propone la seguente
classificazione:
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tecnologie di routine, caratterizzate da bassa variabilità ed elevata
analizzabilità dei compiti, come nelle catene di montaggio delle fabbriche.
tecnologie artigianali con bassa variabilità e bassa analizzabilità dei compiti.
In questa classificazione rientrano tutti i lavori artigianali.
tecnologie ingegneristiche con elevata variabilità e analizzabilità dei
compiti. Si tratta delle tecnologie usate dai tecnici di laboratorio, contabili e
ingegneri.
tecnologie non di routine con elevata variabilità e bassa analizzabilità dei
compiti, come nei reparti ricerca e sviluppo o nei laboratori di costruzione di
prototipi.
Seppur in modo diverso, in tutti questi approcci la tecnologia è considerata quale
elemento che svolge un ruolo essenziale nel decretare le performance
dell’organizzazione. La tecnologia deve accordarsi in maniera armonica con
ambiente e struttura sociale di riferimento, ma nessuno dei tre autori evidenzia
ulteriori fattori di influenza sulla tecnologia, come il contesto di utilizzo o il rapporto
con gli utilizzatori.
Le diramazioni che gli studi sociologici in tema di tecnologia seguono è tuttavia
duplice. Se da una parte abbiamo appena analizzato la concezione della
tecnologia-in-sé, dall’altra esiste una prospettiva diversa che concepisce la
tecnologia non più oggetto slegato dal contesto e autonomo, ma fortemente
collegato all’ambiente nel quale viene impiegata e soprattutto ai suoi utilizzatori.
Nel prossimo paragrafo approfondiremo questa prospettiva.
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1.2. Un cambio di paradigma: la tecnologia-in-uso
Sino ad ora abbiamo visto come la tecnologia sia stata a lungo considerata come
elemento a sé, indipendente e autonomo. Ma sono sufficienti considerazioni di
senso comune per comprendere i limiti di una simile visione. Pensiamo
semplicemente alle figure dei manutentori o dei tecnici, il cui compito è quello di
prevenire o aggiustare i guasti che incorrono nei mezzi tecnologici. Ciò conferma
come la presunta autonomia della tecnologia non sia altro che un’aspirazione
spesso irraggiungibile, testimoniata dalla stessa esistenza di personale qualificato,
proprio per garantire il funzionamento di macchinari o attrezzature.
La visione della tecnologia come elemento autonomo e privo di influenze lascia
lentamente spazio ad un approccio maggiormente comprensivo, che situa la
tecnologia in un ambiente più complesso influenzato da trame sociali. Ci riferiremo
a queste prospettive designandole come “tecnologia-in-uso” e, di seguito andremo
ad analizzarne i principali approcci.
1.2.1. La costruzione sociale della tecnologia
La teoria della costruzione sociale della tecnologia (Social Construction of
Technology, SCOT) è un approccio che rientra all’interno di un quadro teorico
costruttivista, il cui principale merito è quello di aver posto l’accento sull’influenza
di fattori sociali sulla tecnologia. La tecnologia in questa prospettiva non viene più
vista quale elemento neutro e isolato dal suo contento, ma come il frutto
dell’intrecciarsi di complessi fenomeni sociali che contribuiscono in maniera
decisiva a costruire l’artefatto tecnologico. L’assunto di base è che non sia la