INTRODUZIONE
Il comparto della produzione mondiale di energia si trova in una fase di transizione e
viene chiamato ad affrontare prove molto impegnative. In uno scenario in cui le riserve di
combustibili fossili vanno via via diminuendo, si assiste ad una sempre crescente richiesta
di energia. L’impiego delle fonti energetiche tradizionali è reso sempre più arduo sia dai
maggiori costi sia da problemi di carattere ambientale. La crescita della domanda mondiale
di energia, soddisfatta in misura prevalente da combustibili fossili, ha come conseguenza
un aumento di emissioni di gas serra con gravi ricadute sul nostro ambiente. Il 16 febbraio
2005, con la ratifica da parte della Russia degli accordi sottoscritti a Kyoto, il Protocollo è
diventato operativo in quanto i Paesi che hanno aderito superano il 55% delle emissioni
complessive dei Paesi sottoscrittori. Si impone pertanto a tutti i Paesi che hanno ratificato
il Protocollo di Kyoto la messa in atto di provvedimenti finalizzati alla riduzione delle
emissioni di gas serra al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. In questo contesto il
settore della refrigerazione può contribuire, mediante una corretta progettazione,
un’adeguata scelta dei componenti, una razionale gestione di esercizio ed una accurata
manutenzione, a perseguire gli obiettivi di Kyoto. Tra i tanti fenomeni di alterazione
dell’ambiente risultano oggi particolarmente avvertiti quelli della distruzione dell’ozono
stratosferico e dell’effetto serra; tra i responsabili un posto di rilievo è occupato dagli
impianti a compressione di vapore, utilizzati nei sistemi di refrigerazione e
condizionamento. È noto, infatti, che numerosi sistemi convenzionali di refrigerazione e
condizionamento fanno uso ancora oggi di fluidi sintetici come i clorofluorocarburi
(CFC) e gli idroclorofluorocarburi (HCFC), i primi già messi al bando ed i secondi in via
di sostituzione, poiché è scientificamente dimostrato che tali fluidi, utilizzati nei cicli a
compressione di vapore, sono tra i maggiori responsabili della distruzione dello strato di
ozono stratosferico e dell’aumento della temperatura media terrestre allorché vengono
rilasciati in atmosfera. Nel 1973, infatti, i chimici Frank Sherwood Rowland e Mario
Molina iniziarono a studiare l’impatto dei CFC sull’atmosfera terrestre e constatarono
1
l’azione distruttiva catalitica dell’ozono stratosferico dovuta alla scissione delle molecole
dei CFC e HCFC. La separazione di queste, per mezzo della radiazione ultravioletta,
rilascia atomi di cloro responsabili, assieme a quelli di Bromo (per i fluidi R12 e R13),
della catalizzazione dell’ozono.
Sono quindi stati sintetizzati e immessi nel mercato, a partire dagli anni Novanta, fluidi
sintetici sostitutivi privi di cloro (e bromo) della famiglia HFC (idrofluorocarburi). Questi
fluidi possono essere considerati simili per derivazione ai precedenti HCFC, ma privi di
cloro: le loro molecole derivano infatti dagli idrocarburi metano (CH
4
), etano (CH
3
-CH
3
)
o propano (CH
3
-CH
2
-CH
3
) per sostituzione di atomi di idrogeno H con atomi di fluoro
F, sostanzialmente con l’importante effetto di ottenere composti non infiammabili o per
lo meno fluidi con ridotta infiammabilità, quando la sostituzione riguarda solo la metà o
meno degli atomi di idrogeno presenti nell’idrocarburo di partenza. Non contenendo
atomi di cloro e/o bromo, questi nuovi refrigeranti sintetici non sono lesivi per la fascia
stratosferica dell’ozono.
Peraltro il problema della sostituzione dei vecchi fluidi frigorigeni sintetici non può
ritenersi avviato a definitiva soluzione considerando il solo contesto della lesività per la
fascia dell’ozono stratosferico. Negli ultimi tempi infatti un’ulteriore, e per molti versi più
grave, emergenza ambientale, anch’essa a carattere globale, attira l’attenzione di scienziati
e legislatori, per i catastrofici effetti che può avere sull’evoluzione del clima del nostro
pianeta.
Si tratta naturalmente dell’effetto serra antropico (cioè causato dall’attività umana),
fenomeno che consegue dall’emissione in atmosfera di gas che ne riducono la trasparenza
alle radiazioni termiche infrarosse e conseguentemente ostacolando, da parte della terra, la
possibilità di disperdere verso lo spazio, attraverso radiazione nell’infrarosso, una potenza
termica equivalente a quella ricevuta per radiazione solare. Le conseguenza dell’effetto
serra è, come noto, il mutamento del clima globale con le previste catastrofiche
conseguenze (aumento del livello medio dei mari, desertificazione delle zone temperate,
aumento in frequenza e intensità dei fenomeni atmosferici estremi ecc.).
È ben noto come la causa principale dell’effetto serra antropico sia l’emissione in
atmosfera di anidride carbonica CO
2
, causata da tutti i processi di combustione di
combustibili fossili e derivati. Dall’era preindustriale (~1800) il contenuto in atmosfera di
anidride carbonica è passato da 280 a 370 ppmv (parti per milione in volume), con tasso
2
attuale di crescita superiore a 1 ppmv/anno. Oltre all’anidride carbonica, sono importanti
gas a effetto serra antropico il metano CH
4
, gli ossidi di azoto NO
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e altri prodotti
naturali.
Tuttavia anche molti prodotti sintetici, creati recentemente dall’uomo attraverso processi
di sintesi chimica, ma originariamente estranei all’ambiente naturale, presentano un effetto
serra non trascurabile; tra questi fluidi ricadono anche tutti i refrigeranti sintetici, non solo
di vecchia generazione come i CFC e gli HCFC, ma anche i nuovi fluidi sintetici HFC.
L’attitudine di ogni fluido a generare effetto serra antropico, se emesso in atmosfera, è
rappresentata, in termini relativi rispetto all’anidride carbonica assunta quale riferimento,
dal valore dell’indice GWP (Global Warming Potential) che gli compete. Per esempio il
refrigerante HFC-R134a è caratterizzato da valore GWP=1300; ciò sta a significare che,
valutato usualmente nell’arco temporale di 100 anni, l’effetto serra antropico creato da un
chilogrammo di HFC-134a emesso in atmosfera equivale a quello di 1300 kg di CO
2
(fluido che, in quanto riferimento, ha valore convenzionale GWP=1).
L’elevato effetto serra del fluido HFC-134a (e in generale di tutti i refrigeranti sintetici)
rispetto all’anidride carbonica sulla base di ugual massa, è spiegabile col fatto che i
refrigeranti sintetici (e altri fluidi di sintesi) incidono negativamente proprio nella
cosiddetta fascia di trasparenza atmosferica (intervallo di lunghezza d’onda nel campo
infrarosso compreso tra 8 e 14 µm), ove l’anidride carbonica, anche se presente in
concentrazioni elevate, non può avere effetto. Ciò spiega la ragione per cui i refrigeranti
sintetici possono fornire contributo non trascurabile all’effetto serra antropico, anche con
concentrazioni in atmosfera di ordini di grandezza inferiori rispetto a quella corrente
dell’anidride carbonica.
Un’alternativa all’utilizzo di fluidi sostitutivi sintetici HFC è il ricorso ai cosiddetti fluidi
naturali, cioè quei prodotti normalmente presenti nell’ambiente naturale, e dei quali quindi
si conoscono tutti gli effetti anche a lungo termine. Tra questi fluidi alcuni sono già am-
piamente utilizzati come refrigeranti in applicazioni specifiche, come l’ammoniaca NH
3
,
fluido dalle proprietà termodinamiche ideali, ma che pone problemi di sicurezza per le sue
caratteristiche di (moderata) infiammabilità e tossicità (gruppo di sicurezza B2); si
tratterebbe quindi di estenderne l’utilizzo ad altri settori, oltre a quelli tradizionali (celle di
conservazione di derrate alimentari, impianti industriali, piste di pattinaggio) in condizioni
di accettabile sicurezza. Altri fluidi naturali, dalle ottime proprietà termodinamiche e
3
termofisiche come refrigeranti, sono alcuni idrocarburi (HC-290 propano; HC-600 buta-
no; HC-600a isobutano; HC-1270 propilene), che presentano tuttavia a loro volta alcuni
problemi riguardanti la sicurezza a causa della loro elevata infiammabilità (gruppo di
sicurezza A3).
Un’ulteriore opzione, oggetto di intensa ricerca in questi ultimi tempi e oggetto di questa
tesi, è l’utilizzo come refrigerante dell’anidride carbonica: CO
2
. Questo fluido ha ottime
proprietà di sicurezza e di rispetto per l’ambiente (ODP=0, GWP formalmente unitario,
ma che in questa applicazione può venire considerato nullo, in quanto verrebbe utilizzata
CO
2
sottratta all’emissione nell’ambiente naturale e non generata allo scopo). Tale fluido
ha temperatura critica bassa rispetto a quanto desiderabile da un refrigerante (circa 31°C)
e quindi induce in molte applicazioni all’esecuzione di un ciclo frigorifero transcritico
(cioè con trasformazione di rigetto del calore corrispondente al raffreddamento del
refrigerante gassoso ad alta pressione, senza condensazione), o con condensazione molto
prossima alla temperatura critica, e questo ha come conseguenza bassi valori del
coefficiente di prestazione energetica (COP) se si fa riferimento all’effetto frigorifero e ad
una macchina che preveda il rigetto di calore all’ambiente esterno senza perciò un suo
riutilizzo in un ciclo chiuso dell’aria. Altra conseguenza è l’elevata pressione di lavoro, ma
questo fatto non pone particolari problemi allo stato attuale della tecnologia.
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Fluido
ODP
(R11=1)
GWP
(a)
(CO
2
=1 100
anni)
Vita media
atmosferica
[anni]
Gruppo
sicurezza
ASHRAE
(b)
CFC
R11 1 4600 45 A1
R12 0.8 10720 102 A1
R113 0.9 6030 85 A1
R114 0.85 9880 300 A1
R115 0.4 7250 1700 A1
HCFC
R142b 0.043 2400 19 A2
R22 0.05 1780 12 A1
R124 0.026 620 6.1 A1
R123 0.012 120 1.4 B1
HFC
R23 0 12000 2600 A1
R143a 0 4400 52 A2
R125 0 3450 29 A1
R134a 0 1300 14.6 A1
R32 0 550 5 A2
R152a 0 122 1.4 A2
Halon
1301 (R13B1) 12000 6900 65 A1
1211 (R12B1) 5100 1300 11
HC
R290 0 20 3 A3
R600a 0 20 A3
Naturali
R717 0 <1 1 B2
R744 (CO
2
) 0 1 100 A1
Altri
R407C 0 1700 A1
R410A 0 2000 A1
R502 0.224 5490 A1
R404A 0 3260 A1
R507A 0 3900 A1
Caratteristiche ambientali e di sicurezza e di sicurezza di alcuni fluidi frigorigeni
(a) L’incertezza del GWP è del 35%
(b) ANSI/ASHRAE 34/2001. Il carattere alfabetico si riferisce alla tossicità del fluido (A= bassa tossicità; B= elevata
tossicità), mentre il carattere numerico riguarda l’infiammabilità (1= assenza di infiammabilità; 2= bassa
infiammabilità; 3= alta infiammabilità).
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CAPITOLO 1
CENNI STORICI
Durante la prima decade del ventesimo secolo, l’anidride carbonica (la cui designazione
ufficiale come refrigerante è R744) è stata ampiamente usata come refrigerante,
principalmente in applicazioni navali ma anche nel condizionamento dell’aria e nelle
macchine per la refrigerazione. Alexander Twining sembra essere stato il primo a
proporre l’anidride carbonica (CO
2
) come refrigerante in un suo brevetto del 1850, ma il
primo sistema operante con tale fluido fu costruito solo negli anni ’60 da American
Thaddeus S.C. Lowe il quale, però, ricevuto il brevetto nel 1867, non proseguì nello
sviluppo. In Europa, Carl Linde costruì una macchina operante con CO
2
nel 1881; in
Germania, Franz Windhausen apportò un consistente miglioramento tecnologico
brevettato nel 1886. Nel 1887, la compagnia britannica J. & Hall, acquistò il brevetto e
dopo ulteriori affinamenti tecnologici commercializzò le sue macchine attorno al 1890.
La prima applicazione di tali macchine fu nel settore navale dove la CO
2
dominò sugli
altri fluidi frigorigeni fino agli anni 1950-1960 (Figura 0.1).
In Europa, le macchine a CO
2
furono l’unica scelta disponibile date le restrizioni all’uso di
refrigeranti come l’ammoniaca NH
3
e l’anidride solforica SO
2
ritenute a ragion del vero
tossiche o infiammabili; negli Stati Uniti la CO
2
venne impiegata in sistemi di
refrigerazione dal 1890 e nel condizionamento dell’aria a partire dal 1900. I primo settore
riguarda piccoli sistemi di immagazzinamento, banchi di esposizione (es. pesce), negozi di
alimentari, sistemi per cucine e ristoranti, mentre il secondo riguarda navi da trasporto
passeggeri, ospedali, teatri, e ristoranti. La CO
2
venne preferita in questi settori
principalmente per motivi di sicurezza e non tanto per le sue prestazioni.
Un ulteriore sviluppo a livello meramente prestazionale fu ottenuto nel 1905 da Voorhees
con un compressore ad effetto multiplo.
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