1
INTRODUZIONE
Le relazioni sindacali relative al comparto agricolo rappresentano un caso
peculiare dell'esperienza contrattuale italiana. Ci sono diverse ragioni che
concorrono a determinare la singolarità di questo settore: ad esempio, si
può affermare che da esso non consegue tanto una contrattazione di
categoria ma, piuttosto, di comparto economico in aggiunta, più che
misurare il semplice conflitto tra capitale e salario, nel settore primario
le relazioni sindacali regolano la ben più complessa distribuzione del
reddito agricolo, al quale concorrono profitti dimpresa, sussidi alla
produzione, sostegni comunitari, trasferimenti assistenziali e
previdenziali; inoltre, esso consta lanomala presenza di due distinti Ccnl,
laddove uno riguarda gli operai e laltro gli impiegati e i quadri; o ancora,
giacché il settore agricolo è caratterizzato da una struttura produttiva e
occupazionale intrinsecamente precaria, condannata a espandersi e a
contrarsi in relazione al naturale succedersi delle stagioni e dei cicli della
coltivazione, nonché in seguito allandamento del le condizioni
metereologiche e dei mercati (ancor meno prevedibili).
Ad ogni modo, nel corso della trattazione emergono, a poco a poco, le
numerose tipicità che caratterizzano la contrattazione collettiva in
agricoltura, incluso limpegno delle parti sociali finalizzato al contrasto del
fenomeno dellintermediazione illecita di manodopera (c.d. caporalato,
approfondito nel terzo capitolo.
Lesposizione si articola, dunque, secondo un criterio cronologico,
attraversando le principali tappe che hanno caratterizzato levoluzione
delle relazioni sindacali del comparto, a partire dal secondo dopoguerra
sino alla presentazione della piattaforma di rinnovo relativa al Ccnl valido
2
per il quadriennio 2018-2021 (unaltra peculiarità del settore è proprio la
durata quadriennale del Ccnl, nonostante laccordo interconfederale de l
15 aprile 2009 abbia stabilito che la consuetudine sia il contratto triennale).
Tuttavia, a causa della necessità di circoscrivere lambito di s tudio, si è
considerata soltanto la contrattazione riguardante gli operai agricoli e
florovivaisti, che, comunque, rappresenta la più importante del settore,
coinvolgendo essa ben il 97% dei lavoratori dipendenti.
Si intraprende, quindi, nel primo capitolo, lanalisi delle tre fasi storiche
che hanno caratterizzato le relazioni sindacali in agricoltura a partire dal
secondo dopoguerra, per approdare poi, nel susseguente capitolo, ad un
esame più approfondito del rinnovo territoriale relativo al quadriennio
2012-2015 e del Ccnl sottoscritto il 22 ottobre 2014. A seguire, nel terzo
capitolo, si trova il focus inerente al fenomeno dellintermediazione illecita
di manodopera (particolarmente diffuso in questo settore), necessario a
introdurre le difficoltà negoziali riscontrate nel successivo rinnovo
territoriale (a seguito dei cambiamenti apportati allart. -bis dalla L.
199/16), esaminato nel quarto capitolo assieme alla piattaforma
rivendicativa (presentata dai sindacati alla controparte datoriale a fine
settembre 2017) concernente il Ccnl valido per il quadriennio 2018-2021.
Infine, nelle conclusioni, si illustrano le odierne prospettive della
contrattazione collettiva in agricoltura e dellazione di contrasto al
fenomeno del caporalato.
3
CAPITOLO I
La storia della contrattazione collettiva in
agricoltura dal secondo dopoguerra al 2010
Dal secondo dopoguerra al 2017 sono stati 22 i patti e i contratti stipulati per la
regolamentazione delle condizioni di lavoro degli operai agricoli e florovivaisti.
Inizialmente, la disciplina contrattuale per i braccianti era separata da quella
per i salariati fissi 1
, finché nel 1970 si stabilì l'unificazione delle due
contrattazioni, poiché entrambe le categorie di lavoratori furono ricomprese nella
più ampia famiglia degli operai agricoli. Analogamente, anche la manodopera
dipendente delle aziende florovivaistiche è stata soggetta a una contrattazione
autonoma dal 1961 al 1977; tuttavia, a partire dal 1979, quest ultima è stata
accorpata, sul piano contrattuale, agli operai agricoli
2
. Già da questa premessa si
può comprendere la complessa evoluzione che ha caratterizzato la storia della
contrattazione collettiva in agricoltura e, dunque, per fare ordine nella
trattazione, si considerano tre fasi
3
:
- La prima, che va dal 1945 al 1975, caratterizzata da un tipo di
contrattazione decentrata, durante la quale la provincia rappresenta il
terreno primario di svolgimento delle trattative.
1
Col termine braccianti si intendono i lavoratori assunti a tempo determinato c.d. Otd,
mentre i salariati fissi sono gli operai assunti a tempo indeterminato c.d. Oti.
2
M. D“LESSIO, “La contrattazione collettiva per gli operai agricoli e florovivaisti dal secondo
dopoguerra ad oggi , in Osservatorio nazionale sulle dinamiche retributive degli operai agricoli, Roma,
Fondazione Metes, Rapporto 2017, p. 17.
3
P. PAPICCIO, La contrattazione collettiva in agricoltura (1945-2010), Roma, Fondazione Argentina
Altobelli, 2012 – p. 19.
4
- La seconda, che va dal 1976 al 1994, durante la quale la contrattazione
nazionale ha assunto un ruolo di maggior centralità, mentre quella
territoriale è stata circoscritta ad un ruolo meramente integrativo.
- La terza, che va dal 1995 al 2016, identificabile grazie alla riqualificazione
del contratto territoriale, sopraggiunta in seguito alla riforma della
struttura contrattuale.
1.1 . La prima fase (1945–1975)
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l'economia italiana risultava
prevalentemente di stampo agricolo. La struttura fondiaria era caratterizzata
dalla presenza della grande azienda capitalistica nel nord del Paese (le cascine
della Pianura Padana), che era condotta, secondo lordinamento colturale ,
mediante la manodopera di salariati fissi o saltuari (questi ultimi detti anche
braccianti avventizi o giornalieri); percorrendo lo Stivale verso sud, invece, si
sarebbero trovati i sistemi della mezzadria e della colonia, fino a giungere nel
Meridione, dove era più diffusa l'azienda latifondista, caratterizzata
dall assenteismo della proprietà e dalla gestione della stessa da parte di fiduciari,
variamente denominati a livello territoriale. Di seguito, si danno brevi cenni circa
le citate forme di conduzione dellattività agricola.
Per cominciare, le cascine erano grandi fattorie situate al centro delle aziende
agricole, normalmente di almeno 40-50 ettari, talvolta superiori ai 100 (nella
pianura irrigua le aziende delle cascine avevano una dimensione media di 70
ettari). All'interno della cascina erano presenti stalle, fienili, granai, caseifici,
5
pozzi, fontane, forni, scale, magazzini, mulini ed abitazioni dei contadini riunite
in un'unica struttura. La pianta di questa struttura risultava il più delle volte
quadrangolare. Al suo centro era situata la corte (cortile o aia), attorno alla quale
si trovavano i vari edifici agricoli. Nelle cascine più grandi si potevano incontrare
anche due o tre corti; in tal caso erano dette "a corte multipla". Talvolta quelle più
grandi comprendevano anche il mulino, l'osteria, una piccola chiesa e in certi casi
perfino una scuola. Tali complessi erano sparsi in mezzo alla campagna, distanti
qualche chilometro dai centri abitati e dalle altre cascine; qualora fossero più
isolati, tendevano ad assumere l'aspetto di vere e proprie fortezze, data la
presenza di grosse mura perimetrali. Talora, questi apparivano fortificati con
fossati, ponti levatoi e torri. Le cascine erano molto diffuse in tutta la Pianura
Padana, dalla Lombardia al Piemonte centro-orientale e, in minor numero, anche
in Emilia-Romagna
4
.
La mezzadria invece, era un contratto agrario che prevedeva lassegnazione di
un fondo agricolo (podere), costituito dalla terra idonea alla produzione e dalla
casa di abitazione per la residenza stabile del coltivatore (mezzadro o colono) e
della sua famiglia, da parte di un proprietario o affittuario terriero (concedente).
Le dimensioni del podere erano commisurate alle capacità di lavoro della
famiglia colonica, la quale simpegnava a lav orarlo e a dividere a metà col
concedente spese, prodotti e utili. In Italia i primi contratti di mezzadria
comparvero in Toscana nel IX secolo, ma fu solamente nel XII secolo che la
mezzadria divenne una forma contrattuale prevalente in Toscana, Emilia-
Romagna, Marche e Umbria, meno presente nelle aree collinari delle altre regioni
centro–settentrionali
5
.
Per quanto riguarda la colonia, invece, per il codice civile del 1865 essa era
sinonimo di mezzadria; la distinzione tra i due contratti fu operata dalla dottrina
4
M. BELLOSSI, A. CASTIGLIONI, La cascina lombarda, Istituto Agrario Mendel, ottobre 2014 –
Sitografia n. 1.
5
R. POLIDORI, Paesaggio e integrazione le eredità della mezzadria per la P“C del futuro , in
Agriregionieuropa, anno 9°, n.32, marzo 2013 - Sitografia n. 2.
6
sulla base degli usi, rispetto ai quali la stessa legge aveva carattere sussidiario. Il
codice civile del 1942, diede poi risalto alla differenziazione tra colonia e
mezzadria, dedicando ai due contratti distinte sezioni del capo intitolato
all'impresa agricola nel Libro del Lavoro. Però, definendo la colonia come il
contratto mediante il quale il concedente ed uno o più coloni si associano per la
coltivazione del fondo e l'esercizio delle attività ad esso connesse (al fine di
dividere gli utili e i prodotti), il codice civile del 1942 attribuiva a tale istituto un
contenuto tanto ampio da abbracciare tutta la vasta serie dei rapporti parziari di
coltivazione, dai confini dell'affitto a coltivatore diretto (con canone
rappresentato da una quota di prodotti), al rapporto di lavoro con partecipazione
agli utili in natura. La stessa mezzadria vi era compresa, tantoché essa si
prospettava come un sottotipo di colonia. In realtà, tale distinzione è più
manifesta se considerata dal punto di vista economico, che non sotto il profilo del
diritto; al giurista la mezzadria appare, per l'appunto, una specie di colonia
qualificata dalla presenza di taluni elementi che ne fanno la più elevata forma di
associazione nell'esercizio dell'impresa agricola. Tra questi, l'assunzione del
socio lavoratore da parte della famiglia colonica, il conferimento di tutto il lavoro
alla famiglia, la più larga partecipazione del colono all'impresa con apporto di
quote di capitale, la tendenza a porre in condizioni paritarie concedente e
mezzadro nella partecipazione agli utili e alle spese. Elementi però che presi
separatamente si possono ritrovare anche nella colonia parziaria; in ultima
analisi, sembra che l'indice di distinzione sia espresso dal carattere familiare
dell'impresa mezzadrile, e quindi dalla presenza di un ordinamento colturale più
complesso che è il podere, idoneo a fornire (con la quota colonica) il reddito
necessario a chi lo abita, richiedendo soltanto il lavoro alla famiglia coltivatrice
6
.
Infine, lazienda latifondista, tipica dellItalia centro -meridionale, era
caratterizzata da terreni agricoli di grandi dimensioni, solitamente mal coltivati
6
Colonia parziaria, in enciclopedia Treccani - Sitografia n. 3.
7
e adibiti a colture estensive (spesso alternate al pascolo). I latifondi erano
utilizzati per colture tradizionali, senza particolare cura all'innovazione. In
queste realtà produttive, nella maggior parte dei casi, il proprietario si
preoccupava soltanto di ottenere una buona rendita. Per questo motivo,
l'agricoltura praticata nei latifondi risultava spesso arretrata. I latifondi erano
particolarmente diffusi nellItalia centro -meridionale, dove i vari latifondisti
vivevano lontani dalle loro terre e risiedevano nelle città (soprattutto a Napoli e
Palermo). In Italia, dopo la riforma agraria del 1950, i latifondi non potevano
superare i 300 ettari (c.ca 3 km²). Prima di allora non erano rari, soprattutto nel
Meridione, latifondi che superavano i 1.000 ettari (c.ca 10 km²). A partire dalla
riforma, il latifondo è andato progressivamente scomparendo, quasi al punto di
non esistere più. Nel Mezzogiorno, particolarmente significativo era il caso della
Sicilia, che fino alla riforma aveva un'agricoltura totalmente basata sul latifondo.
Infatti, prima del 1950, i latifondi con estensione superiore ai 500 ettari (c.ca 5
km²) erano 228. Per di più il 20.6% dei terreni agricoli dell'isola erano di proprietà
dei 282 maggiori latifondisti siciliani. Fino alla riforma del 1950 alcuni latifondisti
possedevano migliaia di ettari. Celebre è il caso della famiglia Torlonia, che
possedeva i terreni agricoli abruzzesi della Piana del Fucino; si trattava di un
latifondo di oltre 14.000 ettari (140 km²) che venne ripartito tra 5.000 famiglie di
contadini senza terra. Analogamente, il superamento del latifondo si consolidò
per effetto di frazionamenti spontanei o successioni ereditarie.
Infine, il Parlamento italiano diede un ulteriore contributo all'attenuazione del
fenomeno con la L. 440/78 (cui fecero seguito norme regionali di attuazione),
relativa alle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate, che
sarebbero state assegnate ai richiedenti disposti ad assumersi lonere di coltivarle
(in forma singola o associata)
7
.
7
Latifondo, in enciclopedia Sapere – Sitografia n.4.