Introduzione
La tragedia europea del novecento è prima di tutto memoria collettiva e deve
essere ricordata per questo. Nella vicenda della campagna di Russia c’è qualcosa che va
oltre alla ricostruzione storica dei singoli eventi e alla scientificità storica dei fatti. Tutti
noi individui siamo parte di un unico popolo di un grande continente: abbiamo vissuto
insieme quell’identica tragedia. È chiaro però che nonostante tutto questo, il mondo non
ha saputo portare avanti la negazione della guerra stessa.
Nel corso degli anni è stato scritto molto rispetto alle guerre che hanno messo il nostro
mondo in ginocchio per buona parte del secolo scorso. Tralasciando i manuali di storia,
che si riferiscono a quegli eventi parlando specificatamente dei dati statistici, è bene
ricordare prima di tutto quegli autori che hanno vissuto in prima persona i fatti e nella
loro formazione hanno quindi potuto maturare una linea pacifista.
Mi riferisco in particolare a due donne che grazie alla loro tenacia hanno studiato i fatti
schierandosi apertamente contro il militarismo. La prima è l’autrice pacifista Vera
Brittain che, nella tragedia della perdita di tante persone care durante entrambi i
conflitti, ha saputo descrivere con una solennità e dolcezza abbagliante la perdita di una
generazione intera causata dalla distruzione di vite umane innocenti. La seconda donna
cui mi sono ispirata è l’austriaca Bertha V on Suttner che visse in nome della pace e morì
prima ancora che scoppiasse la Grande Guerra. L’autrice ha saputo profetizzare le
conseguenze della politica della guerra preventiva e del riarmo, nella denuncia delle
azioni belligeranti e delle industrie che promuovono la vendita delle armi. Ricordando
una sua lettera del 1893: «Non è stato l’abbandono dei fossati e dei ponti levatoi che
hanno messo fine alla reciproca guerra di faida dei feudatari; è stata piuttosto la fine del
sistema di faida, con la pace, prima imposta, poi diventata costume, che ha reso inutili i
fossati ed i ponti levatoi».
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Ho avuto inoltre modo di riflettere sulla testimonianza storica dei fatti anche
grazie all’emozionante ritrovamento della lettera che un alpino scrisse alla sua famiglia
Cit. da B. VON SUTTNER, Giù le armi! Fuori la guerra dalla storia, a cura di Annapaola Laldi edizione
1
gruppo Abele. pg 31.
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dal fronte pochi giorni prima della “Grande Ritirata”. Proseguendo nelle mie ricerche ho
avuto l’opportunità di incontrare due reduci della Campagna di Russia, che mi hanno
raccontato la loro esperienza diretta e hanno contribuito a rendermi partecipe
dell’insensatezza della guerra e dell’importanza di creare una nuova coscienza
antimilitarista, in un approccio storiografico basato prima di tutto sulle testimonianze
dirette.
Pare strano pensare che proprio in un momento tanto al di fuori della quotidianità come
la guerra, l’uomo possa avere riscoperto la solidarietà e aver posato fiduciosamente le
armi. Sono stati i gesti compiuti nelle condizioni più inumane che hanno riacceso la luce
dell’amicizia potendo denunciare così l’assurdità di ogni conflitto armato. I grandi
poteri spinsero alla guerra ma il corso della storia è tale che sono le piccole mani, gli
uomini comuni nella loro quotidianità e nei loro eroismi personali che muovono le sorti
del mondo.
La storia non può essere distaccata dalla passione, la vita stessa è prima di tutto
passione e la storia non può certo parlare un linguaggio diverso da chi vive in lei. La
ricostruzione degli eventi non può certo prescindere dal dolore che ognuno ha vissuto
sulla propria pelle: le testimonianze dirette vanno ascoltate, utilizzate e riportate con
estrema cura per completare quelle lacune che le tracce materiali e le documentazioni
scritte non sono in grado di formare.
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1.1 La Russia sovietica e l’esasperazione del conflitto
Nel 1939, anno d’inizio del secondo conflitto mondiale, la Russia Sovietica si trovava a
dover affrontare le volontà di autonomia e sovranità di Estonia, Lettonia e Lituania. Il
dibattito andò ben presto ad intrecciarsi con quello sui patti (in parte segreti) tra il
ministro sovietico Molotov e il tedesco Ribbentrop, firmati a Mosca proprio in
quell’anno.
I patti riguardavano la non aggressione tra le due potenze e la divisione delle aree di
influenza in Polonia e nel Baltico; consentivano alla Germania di proteggersi le spalle
ad oriente e, in caso di guerra, ottenere vantaggi territoriali (parte della Polonia) mentre
consentivano a Stalin di ottenere vantaggi territoriali, oltre a dare il tempo all’URSS di
preparare un’eventuale guerra difensiva contro Hitler.
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La sottoscrizione di un patto tra due potenze agli antipodi fu un chiaro indice di come
l’interesse, l’utilitarismo e gli sviluppi economici preventivati dai due capi di stato,
siano stati molto più forti dei loro ideali politici. L’accordo tra due potenze agli antipodi
è sicuramente il frutto di accordi strettamente economici. Risulta però nel complesso
assurdo, perlomeno a livello ideologico.
Con l’esplodere del conflitto saltarono, una seconda volta, quegli esili equilibri che
erano andati formandosi nel tempo. La produzione di armi e di equipaggiamenti per la
guerra ripresero moltiplicandosi e l’industria tedesca venne impiegata per la creazione
di nuove armi per la distruzione di massa. Intanto i soldati morivano a centinaia di
migliaia.
L’esercito tedesco attuò la tattica della guerra-lampo, basata sullo sfondamento con
l’uso coordinato dei mezzi corazzati e di aviazione. La Polonia occidentale e poi la
Norvegia e la Danimarca vennero occupate mentre l’Unione Sovietica occupò la
Polonia orientale ei paesi baltici. Le forze corazzate tedesche furono impiegate per
sfondare le linee di difesa Francesi e Inglesi.
N. V . RIASANOVSKY, Storia della Russia, Titolo dell'edizione originale A History of Russia, by Oxford
2
University Press, Ine. (esclusi i capitoli XLII, XLIII, XLIV),1984. Parti prima-sesta, RCS Libri S.pA,
Milano, 1989-2005. (Libro scaricato da archivio informatico), pg. 657.
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Nel giugno del 1940 anche l’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra. Infatti
pensando che la loro resa fosse ormai vicina, Mussolini voleva cogliere i vantaggi della
vittoria sacrificando una piccola quantità di uomini. A differenza degli alleati Tedeschi
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però gli Italiani subirono numerose sconfitte in Grecia e poi in Africa.
Le offensive di Hitler proseguirono contro l’Inghilterra e poi sul fronte orientale, dove
l’offensiva contro l’Unione Sovietica (con la rottura del patto Ribbentrop-Molotov)
iniziò il 22 giugno 1941.
L’avanzata tedesca e insieme ungherese aveva come obbiettivo la distruzione totale
dell’esercito avversario già ritiratosi a luglio al di là del Don.
Nei mesi successivi continuarono le offensive ma Hitler fu costretto a rallentare le
operazioni, anche a causa delle rigide condizioni invernali.
Nel 1942 le operazioni
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proseguirono, le potenze dell’Asse raggiunsero la loro massima espansione e proprio
nell’estate di quell’anno iniziò la grande battaglia di Stalingrad (oggi Volgograd).
F. BARBAGALLO, Storia contemporanea dal 1815 ad oggi, Carrocci Editore, collana Manuali
3
universitari, 2008AR. Libro scaricato da archivio informatico, pg. 89.
A. MASSIGNANI, Alpini e Tedeschi sul Don, Documenti e testimonianze sulla ritirata del Corpo
4
d’armata alpino del XXIV Panzerkorps germanico in Russia nel gennaio 1943, Gino Rossato Editore,
finito di stampare dalla Litovald di Valdagno nel mese di novembre 2004, pg 30.
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1.2 La svolta di Hitler ad est e la situazione italiana
L’Italia fascista si alleò con la Germania nel 1939. L'invasione della Grecia da parte di
Mussolini fu un’iniziativa indipendente: iniziò infatti senza che Hitler ne fosse
informato. La decisione di invadere la Grecia contribuì ad accelerare l'attuazione delle
mosse del Reich nei Balcani, costituendo un motivo per rimandare il completamento del
suo programma occidentale e avviando così la decisiva svolta orientale delle campagne
di conquista.
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Probabilmente Mussolini temeva, se non avesse attaccato per primo, la perdita
dell’influenza su di un’area ritenuta di proprietà italiana (persa a seguito dei trattati di
pace alla fine del primo conflitto) e che avrebbe permesso un’ulteriore occupazione dei
Balcani. Hitler fu scosso per lo scarso interesse del "socio minore" nei suoi confronti e
per questa iniziativa che intralciava il suo programma. Temeva infatti che gli Italiani
interferissero in quella che doveva essere la sua sfera di influenza
Il 6 Aprile 1939 il corpo di spedizione Oltre-Mare Tirana guidato dal generale Guzzoni
investì il territorio albanese e la resistenza armata degli occupati non fu in grado di
respingere l’attacco. In pochi giorni il re Zog e il governo fuggirono in Grecia, mentre il
re Vittorio Emanuele III divenne regnante d’Albania. In ottobre le truppe della brigata
alpina Julia insieme alle divisioni Ferrara, Arezzo, Centauro e Venezia partirono alla
conquista della Grecia. Gli scontri cominciarono nelle prime ore del mattino del 28
ottobre. Passato il confine albanese le truppe si sparsero fino a Giannina e Metsovo. Le
notizie provenienti dal fronte parlavano di completa disorganizzazione, contribuendo ad
inabissare l’immagine di forza e capacità tattica di Mussolini.
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Finalmente, in aprile, la notizia di mettersi in marcia verso il confine greco: le truppe
tedesche avevano invaso la Jugoslavia e poi la Grecia obbligandola, di lì a poco, alla
resa.
B. H. LIDDELL HART, Storia militare della Seconda guerra mondiale, Milano, Oscar Storia Mondatori,
5
1997. Libro scaricato dall’archivio 24.000, pp. 66-68.
G. SABBATUCCI E V . VIDOTTO, Il mondo contemporaneo dal 1848 a oggi, di. AR. Gennaio 2012. Libro
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scaricato da archivio informatico, pp. 218-219.
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La Grecia fu invasa dai Tedeschi in poco più di tre settimane. Il popolo greco e quello
jugoslavo dovettero sopportare ingenti perdite. Il 1° maggio la Grecia era in mano ai
Tedeschi.
Il 5 maggio 1941 la grande sfilata per le vie di Atene sembrò sottolineare la miserevole
condizione dei soldati Italiani, di fronte agli Alpenjäger. Alcuni non furono nemmeno
chiamati a sfilare. «Effettivamente, di fronte a loro avremmo fatto una magra figura»
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ricordava l’alpino Mario Candotti.
La tragedia della Grecia per il momento finì per gli alpini della “Julia”. Ma il rientro in
patria non fu rapido come previsto. Le navi italiane che riportavano i soldati in patria
furono colpite da fasci di siluri dai sottomarini avversari. Il Galilea venne colpito e
affondato tra le isole di Zante e Cefalonia. «Tutti sanno che morire in naufragio è cosa
orrenda, ma giammai questi alpini, nati e vissuti sui monti» scrisse l’alpino Giulio
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Bedeschi, Quale orribile morte per uomini di monte e di bosco!
Le campagne italiane in Albania e in Grecia, furono il preludio della massiccia offensiva
tedesca contro la Russia, cui gli Italiani dovettero partecipare nella speranza di
risollevare le proprie sorti dopo la disfatta greca.
Cit. da M. CANDOTTI, Ricordi di un uomo in divisa, naia guerra resistenza, Istituto Friulano per la storia
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del Movimento di Liberazione I ristampa, copyright 1986 by I.F.S.M.L. -Udine. pg. 69.
Cit. da G. BEDESCHI, Centomila gavette di ghiaccio, Ugo Mursia Editore s.r.l. Milano, IX edizione
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2015, pg. 119.
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