1
Introduzione
In seguito a fenomeni come la globalizzazione, l’internazionalizzazione delle
imprese, i programmi di studio all’estero, lo sviluppo del turismo nella società
moderna, i contatti con le culture diverse dalla propria sono sempre più
frequenti.
Spesso, però, gli individui che decidono di recarsi all’estero, per una lunga
serie di fattori, soprattutto se soggiornano per un lungo periodo, si ritrovano
ad affrontare problemi di comunicazione interculturale in un ambiente non
familiare.
Questo fatto può provocare un forte senso di disagio e di disorientamento
dovuto alla perdita dei punti di riferimento abituali che, in letteratura, è
definito con il termine di “shock culturale”.
La tesi si prefigge di indagare il fenomeno dello shock culturale vissuto dagli
individui che, per motivi di studio o lavoro, si ritrovano a vivere in un nuovo
ambiente culturale, spesso molto diverso dal loro contesto di origine.
La ricerca compilativa sul fenomeno dello shock culturale nell’ambito della
comunicazione interculturale si suddivide in tre parti.
Nel primo capitolo sono riportati studi e ricerche condotte da studiosi che
hanno cercato di definire e analizzare il fenomeno partendo dal modello a
quattro fasi di Oberg degli anni Sessanta fino a modelli più recenti in cui si
indagano lo sviluppo di competenze interculturali necessarie per affrontare lo
shock culturale come, ad esempio, quello dell’antropologo Milton J. Bennett.
2
Nel secondo capitolo, invece, sono analizzate le cause dello shock culturale,
principalmente dovuto alle differenze tra la grande varietà di culture umane e
all’interazione tra individui provenienti da ambienti socioculturali molto
diversi fra loro.
Infatti, all’interno del capitolo, sono presentati e confrontati i principali
modelli che hanno cercato di classificare le culture presenti nel mondo, a
cominciare da quello di Hofstede, il più noto in letteratura.
Inoltre, come esempi di diversità culturale, sono utilizzate le differenze
presenti tra la cultura cinese e quella italiana, arricchite da riferimenti ai
modelli culturali proposti da vari studiosi.
Infine, nell’ultimo capitolo, sono presentati alcuni casi studio in cui si analizza
il fenomeno dello shock culturale dal punto di vista di studenti internazionali
e manager espatriati.
Oltre alla presentazione di ricerche empiriche condotte su studenti e manager,
sono introdotte anche alcune strategie e riflessioni, provenienti dalla
letteratura, su come i due tipi di campione possano affrontare in modo
efficace lo shock culturale, rispettivamente in ambito accademico e in ambito
professionale.
3
CAPITOLO 1: LO SHOCK CULTURALE
1.1 Che cosa è lo shock culturale
Termine coniato per la prima volta dall’antropologa statunitense Cora DuBois
nel 1951
1
, il fenomeno dello “shock culturale” fu in seguito definito ed
elaborato dall’antropologo canadese Kalervo Oberg.
Secondo Oberg (1960)
2
lo shock culturale deriva dall’ansia legata alla perdita
dei simboli e dei punti di riferimento familiari nelle diverse situazioni
quotidiane. Si tratta di una sensazione disagio iniziale che può essere
gradualmente superata. Questo fenomeno si verifica quando un individuo si
ritrova a vivere in un nuovo contesto culturale per un determinato periodo di
tempo, come nel caso di un soggiorno all’estero.
I sentimenti più comuni che derivano dal fenomeno sono:
Senso di impotenza.
Frustrazione.
Rabbia.
Isolamento.
Insicurezza.
Ansietà.
Nostalgia di casa.
Sentimenti di ostilità e rifiuto nei confronti della cultura ospitante.
3
1
Du Bois, Cora. "Culture shock." Midwest regional meeting of the Institute of International
Education, vol. 28, 1951.
2
Oberg, Kalervo. "Cultural shock: adjustment to new cultural environments." Practical
Anthropology, 7, 1960: pp. 177-182.
3
Confronta Oberg, K. art.cit. con Castiglioni, Ida. La comunicazione interculturale:
competenze e pratiche. Carocci, 2005.
4
1.1.1 Le quattro fasi di Oberg
Oberg (1960) descrive lo shock culturale come una malattia con i propri
sintomi, cause e cure. L’antropologo parte dal presupposto che, entrando in
contatto con una cultura diversa, gli individui automaticamente si
percepiscano come estranei all’ambiente e di conseguenza provino un
sentimento di frustrazione e ansia, chiamato appunto “shock culturale”.
4
Ma questa sensazione negativa può essere affrontata e superata passando
attraverso una serie di fasi che portano l’individuo a sentirsi a proprio agio
nella cultura del paese ospitante.
Sebbene questa teoria oggi risulti obsoleta, tuttavia la maggior parte degli
studi successivi e delle teorie moderne sullo shock culturale fanno sempre
riferimento all’articolo di Oberg come uno dei primi studi in cui si descrive
l’adattamento a nuovi ambienti culturali.
Si deve a Oberg infatti l’individuazione delle quattro fasi dello shock culturale
che possono verificarsi negli individui che entrano in contatto con nuove
culture
5
:
1. La fase della “luna di miele” (honeymoon stage): in questo stadio, che
può durare da qualche settimana fino ad alcuni mesi l’individuo ha
ancora la mentalità del turista: visita i principali luoghi di interesse del
paese ospitante, si focalizza principalmente sui lati positivi della nuova
cultura, e, se rientrasse subito in patria, potrebbe riportare di avere
trascorso un’ esperienza piacevole all’estero, seppure molto
4
Oberg, Kalervo. “Cultural Shock: Adjustment to New Cultural Environments.” Practical
Anthropology 7, 1960: pp. 177-182.
5
Ibidem.
5
superficiale, e di avere un’opinione molto positiva del paese e dei suoi
abitanti.
2. La fase di crisi: questo stadio si verifica quando il visitatore straniero
decide di soggiornare per un periodo più lungo nel paese ospitante,
scontrandosi inevitabilmente con le difficoltà della vita quotidiana in un
contesto socioculturale differente. Nel periodo di crisi un individuo può
assumere un atteggiamento ostile e aggressivo nei confronti degli
abitanti del luogo, spesso dovuto alle loro differenze culturali. La serie
di emozioni negative causate dalle proprie percezioni negative può
portare chi le vive a rifugiarsi all’interno dei gruppi di connazionali e a
rinforzare la creazione di stereotipi negativi sulla nazione ospite e i suoi
abitanti. Se la crisi è superata efficacemente, si passa alla fase
successiva, in caso contrario, il soggetto potrebbe sentire l’esigenza di
rientrare in patria prima di avere una possibile crisi di nervi.
3. La fase di aggiustamento: superato il periodo negativo precedente, il
visitatore comincia ad aprirsi al nuovo contesto culturale. Migliorano le
conoscenze linguistiche, inoltre il soggetto sviluppa un atteggiamento
più ottimista di fronte ai problemi e agli inconvenienti che si presentano
durante il soggiorno all’estero.
4. La fase di adattamento e accettazione: in questo stadio il visitatore
accetta gli usi e i costumi locali come un altro possibile modo di vivere.
L’individuo ha cominciato a integrarsi nel nuovo ambiente e l’ansia che
caratterizzava la fase di crisi è scomparsa. Ritornando a casa,
probabilmente proverà un sentimento di nostalgia per il luogo e le
6
persone conosciute durante la sua esperienza all’estero, ai quali si era
abituato.
Castiglioni (2005)
6
, ispirandosi agli studi di Oberg e di altri antropologi,
ha elaborato uno schema (vedi figura 1) che rappresenta la situazione
emotiva dell’individuo dall’arrivo nel paese straniero fino al rientro in
patria. Come si evince dalla figura a stadi di euforia si alternano
frequentemente stadi di depressione.
Figura 1. La doppia curva di stress culturale. Fonte: Castiglioni (2005).
6
Castiglioni, I. La comunicazione interculturale: competenze e pratiche. Carocci, 2005:
p.114.
7
1.1.2 La teoria di Adler
Secondo Adler (1975)
7
, lo shock culturale non è visto invece come un disagio
iniziale da superare nel corso del tempo
8
, ma come un’esperienza di
transizione da un basso livello di consapevolezza culturale ad un alto livello di
consapevolezza culturale.
La sua definizione del fenomeno è la seguente:
«Lo shock culturale è soprattutto una serie di reazioni emotive legate alla
perdita di rinforzi percettivi provenienti dalla propria cultura, ai nuovi stimoli
culturali che possono avere poco o nessun significato e alla comprensione di
esperienze nuove e diverse. ».
9
Il modello dell’esperienza transizionale riprende il concetto di fasi proviente
dagli studi di Lysgaard (1955)
10
e, in seguito, di Gullahorn e Gullahorn (1963)
11
rappresentato dalla curva a U nel primo studio (vedi figura 2), la quale indica
gli alti e bassi dell’umore del visitatore che poi si è evoluta nella curva a W nel
secondo (confronta figura 2 e 3), aggiungendo la fase di rientro a casa,
7
Adler, Peter. “The transitional experience: an alternative view of culture shock.” Journal
of Humanistic Psychology, 15, 1975: pp. 13-23.
8
Vedi Oberg, K. “Cultural Shock: Adjustment to New Cultural Environments”. Practical
Anthropology, 7, 1960: pp. 177-182.
9
Traduzione italiana di «Culture shock is primarily a set of emotional reactions to the loss
of perceptual reinforcements from one’sown culture, to new cultural stimulii which have
little or no meaning, and to the misunderstanding of new and diverse experiences.» in Adler,
P. “The transitional experience: an alternative view of culture shock.” Journal of Humanistic
Psychology, 15, 1975: p.13.
10
Lysgaard, Sverre. “The Adjustment in a Foreign Society: Norwegian Fulbright Grantees
Visiting the United States”. International Social Science Bulletin, 7, 1955: pp. 45-51.
11
Gullahorn, John T.; Gullahorn, Jeanne E. “An extension of the U-curve hypothesis.”
Journal of Social Issues, 19(3), 1963: pp. 33-47.
8
utilizzando sempre come variabili la durata del soggiorno e l’umore e la
soddisfazione individuale (confronta fig. 1, 2, 3).
Infatti nelle due figure si possono confrontare i due modelli alla base degli
studi sull’adattamento culturale che riprendono sempre le quattro fasi di
Oberg (vedi par.1), il primo limitato all’esperienza all’estero e il secondo con
l’aggiunta dello shock culturale manifestato al rientro a casa, detto anche
shock culturale inverso, che sarà analizzato meglio in seguito.
Figura 2: Il modello della curva ad U. Fonte: Lysgaard (1955); Oberg(1960).