- - II
l’insieme di mezzi, risorse, politiche, obiettivi con cui impresa cerca di realizzare la propria
missione [Coda, 1988].
Una strategia si giudica efficace se possiede dei requisiti minimi, ovvero se è esplicita e
consapevole, orientata al futuro, rivoluzionaria, democratica ed orientata al valore [Mintzberg,
1996].
La nozione di strategia si differenzia dal concetto di pianificazione strategica in quanto la
pianificazione è la procedura formalizzata per produrre un risultato articolato, sotto forma di
sistema integrato di decisioni, dove formalizzazione significa: scomporre, articolare e razionalizzare
il processo attraverso il quale le decisioni vengono prese ed integrate nelle organizzazioni
[Minzberg, 1970]; Pianificare, infatti, è una procedura decisionale che non definisce il rapporto
azienda/ambiente, compito della strategia, ma che fornisce un contenuto razionale condiviso in
termini di processo e di risultato [Rugiardini, 1979].
La pianificazione strategica è pertanto il processo attraverso il quale viene formalizzata la
strategia e proprio in merito alla domanda “come si può formulare la strategia?”, la teoria aziendale
ha risposto attraverso due diversi approcci: la Scuola progettuale e la Scuola emergente.
La prima guidata da Ansoff, Steiner, Lorange, afferma che la strategia è il risultato di un
processo formalizzato di elaborazione strategica dal quale si genera il piano strategico; la risposta
fornita alla domanda di cui sopra riguarda il come si dovrebbe formulare la strategia ovvero
mediante un processo definito, che si qualifica come ottimale per ogni azienda.
La seconda all’opposto, guidata da Mintzberg, Quinn, Normann, risponde alla domanda
“come viene formulata concretamente e di fatto la strategia?”, attraverso lo studio di ciò che
effettivamente accade dentro all’azienda, secondo la quale la strategia è il risultato di tre diversi
processi interrelati: i processi cognitivi degli individui, i processi sociali ed organizzativi che
consentono la comunicazione interna e lo sviluppo del consenso; i processi politici relativi alla
creazione, alla detenzione, al trasferimento del potere all’interno dell’organizzazione [di Antonio,
1998]. Secondo questa teoria quindi le strategie elaborate sono puramente emergenti ovvero si
originano all’interno dell’azienda sulla base delle conoscenze e delle necessità che si presentano in
relazione all’ambiente di riferimento.
In realtà il processo di formazione della strategia nelle imprese si colloca in una posizione
intermedia rispetto a questi due estremi, in quanto le linee strategiche di fondo, ovvero la visione
aziendale viene definita, formalizzata ed esplicitata dal vertice (direzione generale), mentre le
decisioni e le azioni da assumere per realizzare gli obiettivi prefissati sono delegate ai responsabili
che operano ai diversi livelli gerarchici, sulla base delle loro conoscenze e della loro esperienza
(strategie ad ombrello).
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Dopo aver esposto la divergenza di vedute tra le due teorie di cui sopra, nel secondo capitolo
verranno illustrati i diversi modelli strategici che sono stati elaborati dalla teoria aziendale e che si
posizionano in un punto intermedio tra i due estremi rappresentati dalla strategia pura emergente e
la strategia pura deliberata. Il modello strategico prevalente nell’azienda può essere individuato
sulla base degli attributi che qualificano il suo processo strategico, ovvero sulla base delle risposte
fornite dall’impresa a specifici problemi (dilemmi) inerenti la progettazione della strategia (quali: il
grado di complessità della stessa, il grado di unicità, il grado di controllo ….).
In una situazione ambientale complessa e dinamica le aziende si trovano nella necessità di
dare maggior ordine e maggior visibilità ad un’attività che hanno sempre svolto, informalmente, ma
con modalità spesso non coordinate, integrate ed opportunamente esplicitate, mediante
l'elaborazione del piano strategico e pertanto attraverso lo svolgimento del processo formale di
pianificazione strategica. Il terzo capitolo è dedicato quindi all’analisi delle fasi che costituiscono il
processo formale di pianificazione strategica così come formulato dalla scuola progettuale ma
attribuendo al medesimo il ruolo individuato da Mintzberg di strumento per creare condivisione in
merito agli obiettivi prefissi ed orientare i comportamenti delle risorse che operano all’interno
dell’azienda verso il raggiungimento di quanto predisposto dalla direzione; l’elaborazione del piano
consente all’azienda, inoltre di presentarsi sul mercato con un progetto chiaro e delineato
esplicitamente, poiché l’improvvisazione non è più fonte di un vantaggio competitivo sostenibile in
un contesto ambientale dinamico e turbolento quale quello attuale, nel quale le imprese sono
costrette ad operare.
Accanto alla definizione della missione e dei valori guida aziendali, il processo formale di
pianificazione strategica prevede l’esplicitazione e la comunicazione a tutte le risorse della propria
visione, ovvero il posizionamento nel mercato desiderato dall’azienda per il futuro di medio-lungo
periodo, al fine di generare condivisione in merito ed orientare il comportamento delle persone
verso il raggiungimento della meta prefissa; inoltre presupposti per l’elaborazione di una strategia
efficiente sono l’analisi dell’ambiente esterno (concorrenza allargata di Porter, interazione
concorrenziale dinamica) ed interno all’azienda (risorse tangibili, intangibili, competenze e routine
organizzative attraverso la catena del valore di Porter) per individuare le minacce e le opportunità
nonché i punti di forza e debolezza dell’impresa.
Dopo aver analizzato approfonditamente la situazione nella quale l’azienda si trova ad
operare, completata con la definizione del suo posizionamento strategico sul mercato di riferimento
(attraverso l’uso di modelli matriciali, quali: “la matrice BCG”), l’impresa esplicita il
posizionamento desiderato nel mercato, il quale deve essere coerente con la visione comunicata alle
risorse umane ed individua gli obiettivi strategici funzionali al raggiungimento di quanto prefisso.
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Queste fasi portano l’azienda a delineare varie alternative strategiche, tra le quali si sceglie quella
più idoneea per la propria specifica realtà operativa (attraverso criteri quali: il reddito, i valori
guida).
All’implementazione della strategia segue il controllo strategico inteso sia come meccanismo
operativo a disposizione dell’azienda per svolgere la propria attività con efficacia ed efficienza sia e
soprattutto come processo che non si risolve nel mero controllo del grado di raggiungimento ex-post
di quanto prefisso ma soprattutto per valutare la validità degli obiettivi predisposti ex-ante in
riferimento al contesto interno ed esterno all’azienda che muta molto velocemente (meccanismo di
feed-back) o per anticipare eventuali cambiamenti in atto nel mercato (meccanismo di feed-
forward). Per rendere applicabili questi principi teorici al contesto aziendale sono stati elaborati
degli strumenti a supporto del controllo strategico tra i quali i più diffusi sono quelli della “balanced
scorecard” [Kaplan e Norton, 2000]; tuttavia, per l’importanza e per la vastità dell’argomento del
controllo strategico, al medesimo si è dedicato un capitolo a parte, il quarto.
Dopo aver analizzato il processo teorico di pianificazione strategica si espone il caso pratico
della Cassa Rurale di Tuenno – Val di Non, una Banca di Credito Cooperativo dinamica,
innovativa, protagonista di tre fusioni per incorporazione negli ultimi otto anni, di cui l’ultima nel
1999; dal punto di vista dimensionale conta 80 dipendenti, 3.000 Soci, 13 Filiali di cui la più
recente aperta nel maggio del 2001, nel nuovo Centro Direzionale. I dati patrimoniali al 31/12/2001
evidenziano 1.085 milioni di mezzi amministrati, con una raccolta complessiva di 774 miliardi
composta da 352 miliardi di raccolta diretta e 422 miliardi di raccolta indiretta, e 311 miliardi di
impieghi.
La Cassa Rurale di Tuenno – Val di Non è la Banca di Credito Cooperativo più grande in
Valle di Non la cui quota di mercato rispetto alle altre Casse Rurali presenti nel territorio è pari al
42,06% degli Impieghi, al 39,59% dei Depositi ed al 56,26% del Risparmio Gestito [dati al
31/12/2000 - Fonte: Ufficio Casse Rurali della Federazione Trentina delle Cooperative].
La Cassa Rurale di Tuenno – Val di Non ha implementato il processo formale di
pianificazione strategica, per la prima volta nel 1999, in quanto la dinamicità del contesto
competitivo nel quale la stessa si trovava ad operare ha imposto l’esigenza di giungere sul mercato
con un preciso e consapevole progetto al fine di difendere il proprio vantaggio competitivo
sostenibile (essere una banca radicata sul territorio, promotrice dello sviluppo economico e sociale
della Valle di Non).
Il caso pratico è stato esposto introducendo la storia della Cassa Rurale, i motivi che hanno
indotto la stessa ad implementare un processo di pianificazione strategica, gli attori coinvolti e la
metodologia seguita per lo svolgimento del medesimo; si è proseguito poi con l’esposizione delle
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diverse fasi in cui si articola il processo di pianificazione strategica e degli strumenti a supporto
dello stesso, per giungere infine a verificare se la strategia elaborata attraverso questo processo
formale può essere considerata efficiente con riferimento agli attributi formulati in teoria al riguardo
[de Antonio, 1998].
In merito alla metodologia seguita per l’elaborazione della tesi, si precisa che la prima parte
del lavoro è stata predisposta attraverso la rassegna della bibliografia più importante [Andrews,
Minzberg, Porter, Hamel e Prahalad] riguardante il processo attraverso il quale si elabora la
strategia, mentre la seconda parte è stata sviluppata: sulla base della conoscenza diretta della Cassa
Rurale di Tuenno – Val di Non, in veste di Banca che opera sul territorio nel quale risiedo e con la
collaborazione del Responsabile dell’Ufficio Marketing ed Organizzazione, il Dott. Lorenzo
Rizzardi, il quale riveste il ruolo di Planner nell’elaborazione del processo di pianificazione
strategica della Banca.
- 1 -
1. IL CONCETTO DI STRATEGIA
1.1. La strategia di impresa: definizione, contenuti e caratteristiche.
1.1.1. Definizione di strategia.
Il termine “Strategia” deriva dal Greco “στρατηyεω” che significa “condurre le forze
armate” da cui comando nell’esercito e perizia nell’arte militare; nella sua originaria
accezione la Strategia è la scienza che ha per scopo l’utilizzazione efficiente delle risorse (il
potenziale bellico di un Paese), per la determinazione di una posizione di vantaggio (vincere
la guerra).
Alcuni principi di natura strategico militari si ritrovano in campo aziendale, nei primi
anni sessanta, anche se tuttora, manca una definizione generalmente accettata del concetto di
strategia, così come non sono definiti in modo univoco i confini di ciò che essa comprende,
nonostante si trovi al centro degli studi di Management.
Con il termine strategia, generalmente, si intende il modello d’interazione esistente o
desiderato tra l’azienda e l’ambiente; con il termine “azienda” ci si riferisce ad un’entità, che
attraverso la produzione e lo scambio di beni e servizi, si trova in continua relazione
economica, sociale e culturale con il mondo circostante, strutturata in un insieme ordinato di
elementi che la compongono (l’assetto istituzionale, le combinazioni economiche,
l’organismo personale, il patrimonio, l’assetto organizzativo e l’assetto tecnico).
Il termine “Ambiente” si riferisce sia al micro-ambiente (sintetizzato dal modello delle
cinque forze competitive di e si svolgono i processi di gestione operativa ed i processi di
gestione strategica [Coda, 1988].
Il concetto di Porter [1987]: fornitori, potenziali entranti, concorrenti, Acquirenti,
Sostituti ), sia al macro-ambiente (formato dall’ambiente tecnologico, politico, sociale, fisico,
economico, demografico).
La strategia viene a coincidere, quindi, con le caratteristiche fondamentali riconoscibili
nel rapporto che l’impresa realizza o vorrebbe realizzare con il proprio ambiente di
riferimento e si traduce nell’impostazione che l’impresa da o vorrebbe dare alla propria
attività ed al cui interno maturano strategia, sopra esposto, sottende la visione di impresa
come sistema aperto
1
che nello svolgimento della propria attività economica continuamente
1
Sistema in quanto l’Impresa viene concepita come un’entità complessa ed unitaria che integrando in modo finalizzato in se
stessa un numero più o meno elevato di componenti o sottosistemi, assume una propria specifica identità ed una propria
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interagisce con l’ambiente esterno; la specificità di un’azienda consiste, dunque, nella
capacità di produrre un’originale combinazione dei suoi fattori di produzione e delle sue due
anime imprenditoriale e manageriale in modo da realizzare uno specifico comportamento
finalizzato o performance, in relazione al contesto ambientale nel quale essa opera.
In pratica con la strategia si cerca di stabilire un orientamento prospettico di fondo da
seguire nelle scelte riguardanti la struttura interna e le relazioni con l’ambiente, ed in
particolare con il settore di diretta attività.
Ogni impresa possiede una strategia, un modello di interazione esistente o desiderato tra
la propria azienda e l’ambiente in cui opera, al fine di raggiungere un vantaggio competitivo
sostenibile, cosciente o implicito, di successo o insuccesso.
L’attività strategica viene svolta con alcune similitudini ma anche con delle differenze
da azienda ad azienda, dovute alla loro natura, alla loro struttura, alla cultura ed anche alle
controparti sia interne sia esterne. Non si considera in questa sede, il processo d’analisi
strategica che conduce o dovrebbe condurre alla formazione della strategia in quanto oggetto
di studio del prossimo capitolo.
Si può affermare comunque che in qualsiasi azienda, a prescindere dalla dimensione e
dal grado di razionalità assunto dal Management nel prendere decisioni, è presente una
strategia a livello di impresa; una visione strategica deve esserci anche se la direzione
dell’azienda la dovesse negare in quanto l’improvvisazione non assicura la sopravvivenza
dell’impresa, anzi, ne mina l’esistenza.
La definizione data di strategia rappresenta solo una delle tante dimensioni che
caratterizzano il concetto di strategia, piuttosto complesso; analizzando le definizioni espresse
da numerosi studiosi di management si possono individuare le altre dimensioni che prese in
considerazione nel loro insieme offrono un quadro di riferimento più completo. Al riguardo la
strategia :
ξ è un modello decisionale coerente, unitario e integrato [Mintzberg, 1987 e Gluek,
1976];
ξ determina ed esplicita lo scopo dell’impresa in termini di lungo periodo, programmi
d’azione e priorità di allocazione delle risorse [Chandler, 1976];
ξ interessa tutti i livelli gerarchici dell’impresa (corporate, business e funzionale) [Ansoff,
1965 e Andrews, 1980];
capacità di interazione con il contesto in cui si colloca. Aperto in quanto l’Impresa interagisce con il proprio ambiente di
riferimento, cambiando ed integrandosi costantemente di fronte alla dinamicità ed all’evoluzione dello stesso.
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ξ si sforza di conseguire un vantaggio difendibile nel tempo in ciascuno dei business in
cui opera, rispondendo alle minacce ed alle opportunità esterne nonché ai punti di forza
e debolezza interni [Porter, 1980];
ξ seleziona i business in cui l’azienda opera o sta per entrare [Learned, Christensen,
Andrews e Guth, 1965];
ξ definisce la natura del contributo economico che l’impresa intende dare ai propri
“Stakeholder”, ovvero ai soggetti portatori di interessi nei confronti dell’azienda. [Hax e
Majluf, 1991 - pag. 10].
“La strategia è l’arte e la scienza di influenzare lo sviluppo a lungo termine di
un’impresa” [Chandler, 1976].
1.1.2. Ampiezza del concetto di strategia.
Un punto particolarmente dibattuto in dottrina, riguarda l’ampiezza del concetto di
strategia, ossia se fare strategia significa predisporre i mezzi idonei al raggiungimento di certi
obiettivi già delineati o piuttosto porre in essere sia i fini, sia i mezzi per il loro
conseguimento.
Nella sua originaria accezione militare, il concetto di strategia accolto era quello
“ristretto” in quanto l’obiettivo era predefinito: sconfiggere l’avversario e vincere la guerra.
Un concetto simile di strategia è stato accolto anche in campo aziendale da studiosi
come Ansoff, Hofer, Schendel e Grant, per i quali la strategia di un’impresa comprende i
principali mezzi per raggiungere dei fini dati, vincoli ambientali permettendo. L’impresa
deve, innanzitutto dotarsi di un sistema di obiettivi, raggiungibili singolarmente e nel loro
complesso, per poi in un momento successivo ed ad un livello gerarchico inferiore,
predisporre una strategia che ne consenta la realizzazione. I principi di base di tale
impostazione sono: l’organizzazione di tipo gerarchico verticale in aziende di grosse
dimensioni; il successo come obiettivo principale; l’attribuzione di molta importanza
all’impiego delle risorse. La formazione della strategia si basa invece su tre elementi
essenziali: la formulazione di obiettivi di lungo periodo semplici ed unanimi, la conoscenza
profonda dell’ambiente competitivo e la valutazione obiettiva delle risorse.
L’impresa a differenza dell’esercito, però, si trova di fronte a delle scelte più articolate
che coinvolgono molte più risorse, oltre a doversi confrontare quotidianamente con un
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contesto ambientale dinamico ed in continua evoluzione. In merito, il comportamento delle
imprese viene accostato a quello di un organismo vivente che non solo agisce per raggiungere
dei fini ma trova anche la propria ragione nella scelta delle modalità di funzionamento da
adottare [Coda, 1990].
La strategia diventa, pertanto, un concetto ampio, l’impostazione di mezzi ed obiettivi a
volte anche non chiaramente distinguibili tra loro, frutto di molte variabili quali: l’identità
personale, il sistema organizzativo, la visione di mercato, ciò che l’azienda vuole diventare e
come vuole diventarlo. Questo è la nozione di strategia interpretato da Chandler, Andrews,
Coda, Hax e Majluf per i quali la medesima è un modello di interazione tra impresa ed
ambiente in vista del raggiungimento del “successo imprenditoriale” dove quest’ultimo non è
definito a priori ma è parte integrante del modello al cui interno trova definizione [Coda, 1988
- pp. 24 e ss.].
1.1.3. Il contenuto e le caratteristiche della strategia.
Gli studiosi in Dottrina, anche in merito al contenuto della strategia, si trovano in
posizioni tra loro discordanti; secondo una prima impostazione, la strategia consiste in un
sistema articolato di decisioni e di indicazioni predeterminate e consapevoli, definite in
anticipo rispetto allo sviluppo delle azioni poste in essere [Hax e Majluf, 1991 - p.10,
secondo i quali la strategia è un sistema decisionale coerente, unitario ed integrato].
Secondo una seconda impostazione, la strategia è interpretata come il risultato della
successione di azioni intraprese, siano esse deliberate o intenzionali. E’ quindi il
comportamento prevalente di un’impresa che consente di stabilire quale sia il modello di
interazione con l’ambiente adottato e pertanto la strategia perseguita.
Da una terza ottica, diversa dalle precedenti, la strategia è la prospettiva che guida le
scelte e le azioni dell’impresa, che influenza il suo modo di percepire l’ambiente di
riferimento e la definizione del ruolo dell’azienda nel medesimo; la strategia è un sistema
formato da scelte ed azioni, alcune delle quali inconsapevoli ed intenzionali [Mintzberg e
Waters, 1985] e pertanto secondo questa impostazione si distinguono le “strategie deliberate”
dalle “strategie emergenti” che congiuntamente, danno forma al disegno strategico realizzato
dall’azienda.
In merito alle caratteristiche della strategia di un’impresa, la stessa può essere definita
come un insieme di scelte e di azioni che definiscono il posizionamento strutturale realizzato
o ricercato simultaneamente nei diversi mercati dell’ambiente di riferimento e con gli
- 5 -
interlocutori sociali al fine di raggiungere una condizione di equilibrio complessivo [Demattè,
1995 - pp. 84 e ss.].
L’ambiente di riferimento dell’impresa è composto, oltre che dal mercato di sbocco,
interpretato dalla necessità di soddisfare i bisogni del cliente e di competere con i concorrenti,
da una molteplicità di mercati: d’approvvigionamento delle materie prime, di know-how, del
lavoro, del capitale di credito e del capitale di rischio. L’impresa deve pertanto prestare
attenzione a tutte le dimensioni, a tutti i mercati di riferimento nonché a tutti gli interlocutori
sociali con i quali opera; il grado di complessità della strategia è direttamente proporzionale al
numero degli stessi.
La semplificazione, posta in atto dalle imprese in merito al processo decisionale
strategico per renderlo realisticamente gestibile, consiste nell’individuare dei sotto - insiemi di
mercati o singoli mercati nei quali sia possibile ed opportuno ricercare una condizione di
equilibrio parziale; quest’ultimo dev’essere ricercato simultaneamente in tutti i mercati, in
quanto lo squilibrio anche in uno solo di essi, può comportare lo squilibrio a livello di
impresa.
Seguendo questo percorso logico si giunge alla definizione di una strategia articolata su
più livelli; opinione largamente condivisa dagli studiosi in materia è quella che prevede tre
livelli al quale si articola il concetto di strategia: livello corporate, livello d’area strategica
d’affari (ASA) e livello funzionale. Alcuni autori, aggiungono un quarto livello, un meta
livello superiore agli altri: l’orientamento strategico di fondo (OSF), ovvero la prospettiva
dell’impresa, l’insieme di idee, valori, atteggiamenti, spesso impliciti ed inconsapevoli, ma
che di fatto informano tutte le scelte e le azioni strategiche [Coda, 1988]. I diversi livelli ai
quali si può articolare il concetto di strategia sarà più ampliamente descritto nel terzo capitolo
dedicato al processo formale di pianificazione strategica.
La strategia è uno strumento finalizzato alla creazione di un’identità d’impresa ed allo
sviluppo di una cultura comune che abbisogna di una struttura organizzativa adeguata e di un
sistema di conoscenze idonee per conquistare posizioni d’equilibrio nei vari mercati e con i
vari interlocutori con i quali essa opera. Il grado di reversibilità della stessa è quindi
tendenzialmente basso e nemmeno nel lungo periodo, spesso, si riesce ad implementare una
nuova strategia in quanto elementi ostativi (nelle persone: di mentalità, abitudini, diffidenza
verso il nuovo) rallentano l’introduzione del cambiamento radicale nel modo d’essere
dell’impresa.
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La sfida che la gestione strategica impone al Management dell’impresa è la sua natura
duale: non è permesso competere oggi, senza, nello stesso tempo, prepararsi per il domani;
infatti, nel presente c’è il passato e nell’oggi è nascosto il futuro ed il successo a breve
termine è principalmente una caratteristica delle mosse a lungo termine, fatte in precedenza;
mentre la pianificazione del presente richiede un’organizzazione, quella del domani esige una
riorganizzazione, ossia se pianificare il presente significa adattare l’azienda per soddisfare le
esigenze del cliente sulla base di quanto definito in precedenza, la pianificazione del futuro
implica una re-definizione, un cambiamento radicale del presente, in modo tale da delineare la
visione strategica dell’azienda e quindi dove la stessa vuole giungere nel futuro attraverso la
definizione di un progetto preciso [Abel, 1994].
Il passaggio, doveroso, da una strategia funzionale alla visione strategica è un chiaro
indicatore della natura dinamica della stessa ed in quanto interprete della relazione tra impresa
ed ambiente essa deve mutare in relazione alle dinamiche ambientali, ponendo in essere un
comportamento pro - attivo o di adattamento allo stesso. La validità della strategia adottata,
così come l’efficienza della gestione operativa svolta, può essere misurata attraverso il
confronto tra i risultati conseguiti e quelli attesi o quelli raggiunti dai concorrenti.
Il ruolo della strategia, alla luce di quanto sopra, è chiaramente impostato nell’attività di
governo dell’impresa con il compito di indicare la direzione di marcia da seguire per il futuro
e generare tensione verso la sua realizzazione.
“La strategia si può dire bella se capace di coniugare le esigenze economico aziendali
(di efficienza, redditività, competitività, equilibrio finanziario) con quelle etico, sociali,
umanistiche (ad. es.: di rispetto delle persone, dell’ambiente)” [Coda e La Rocca, 1995 -
p.10].
1.2. Origini della Strategia: evoluzione dell’organizzazione e delle sue teorie.
Fino alla Rivoluzione Industriale, il lavoratore si definiva totale, poiché egli era un
artista: ogni prodotto costruito era diverso dall’altro, si utilizzavano attrezzature prettamente
manuali, l’organizzazione del lavoro era semplice ed il lavoro veniva svolto uno alla volta in
quanto il tempo per le consegne era lungo.
Dopo la Rivoluzione Industriale, si avvia la fase della manifattura, caratterizzata dalla
nascita della fabbrica, luogo dove venne accentrato il lavoro, in seguito allo sfruttamento di
due nuove fonti energetiche: il carbone ed il vapore.
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La nascita della fabbrica (qui intesa come un unico luogo nel quale si riuniscono più
persone che lavorano, resa possibile dalla scoperta di nuove fonti energetiche che permettono
di scaldare gli ambienti) origina una prima esigenza di organizzazione del lavoro, al fine di
incrementarne l’efficienza, anche se poca attenzione era dedicata alle risorse umane, sotto -
stimate e molto sfruttate; infatti la maggior parte del capitale era investito nell’acquisto di
materie prime. L’artigiano diventa operaio, al quale viene assegnato un compito preciso da
svolgere che sommato a quello degli altri, origina il prodotto finito; il lavoro rimane
prevalentemente manuale in quanto gli impianti sono scarsamente utilizzati.
Con la scoperta dell’energia elettrica si transita dalla fase della manifattura alla fase
della meccanicizzazione rigida con uno stravolgimento del lavoro di fabbrica: la macchina da
monovalente diviene polivalente e non è più solo un bastone per l’uomo ma diviene pari
all’uomo, con un conseguente aumento quantitativo e qualitativo del prodotto finito.
Lo sviluppo delle isole di produzione e del lavoro di gruppo, migliorano
l’organizzazione del lavoro: la manodopera è prevalentemente costituita da lavoratori
generici, con un’esigua incidenza del numero di impiegati e dei dirigenti sul totale degli
occupati, scarsamente qualificati e poco sindacalizzati; la funzione produttiva è preminente
rispetto alle altre funzioni aziendali e la presenza di mercati in espansione origina la necessità
di implementare una prima forma di organizzazione del lavoro, al fine di realizzare nuovi
livelli di produttività ed efficienza.
A questa nuova esigenza risponde in letteratura, la Scuola Classica
2
di pensiero
organizzativo aziendale, sviluppatosi nella prima metà del novecento, di cui lo “scientific
management” inaugurato da Taylor e pertanto detto anche “Taylorismo”, il cui merito
principale è stato quello di aver creato la “catena di montaggio” [Taylor, 1967].
Questo rigoroso approccio all’organizzazione del lavoro trova il suo fondamento su una
circostanziata analisi dei tempi e dei metodi di lavoro, con esplicito riferimento alla funzione
produttiva ed in particolare al lavoro di officina, frutto di esperienze e ricerche effettuate in
ambito industriale.
L’impostazione organizzativa classica si colloca più propriamente sul territorio
dell’organizzazione del lavoro, privilegiando i problemi riguardanti la progettazione della
struttura organizzativa, i cui principi guida si sintetizzano nella specializzazione e nel
coordinamento del lavoro. Secondo il principio della specializzazione del lavoro, l’attività
aziendale deve essere suddivisa nelle sue tipiche attività omogenee o funzioni; ogni funzione
2
La Scuola classica di pensiero organizzativo aziendale si articola in due filoni di pensiero: la corrente dell’organizzazione
scientifica del lavoro o teyloristica e la teoria dell’amministrazione generale di Impresa.
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si struttura autonomamente, sulla base delle operazioni elementari che la caratterizzano e
viene assegnata a specifici posti di lavoro ai quali dovrà corrispondere una serie di compiti
elementari ripetitivi e standardizzati, in modo da favorire la velocità nell’esecuzione del
lavoro e di incrementare la sua produttività. Il principio del coordinamento prevede che
contemporaneamente alla fase di scomposizione venga attuata un’attività di ricomposizione
dei compiti per garantire l’unitarietà della gestione aziendale e dei suoi processi costitutivi.
Se Taylor si riferisce solo alla funzione produttiva, nelle sue analisi [Figura 1.1], Faylor
nella teroria “dell’amministrazione d’impresa” sviluppa le proprie osservazioni in rapporto
all’azienda nel suo complesso [Faylor, 1973 – Figura 1.2].
Figura 1.1 - L’organizzazione nell’officina Tayloristica [Taylor, 1967].
Figura 1.2 – Distribuzione delle abilità direttive ed esecutive nella struttura aziendale [Faylor,
1973].
Secondo questa teoria, infatti, dopo aver individuato le operazioni elementari ed averle
assegnate a specifici posti di lavoro, deve essere operata una coordinazione delle attività
attraverso un’aggregazione verticale degli organi, riunendo per es. singoli posti di lavoro in
squadre, le squadre in reparti, i reparti in officine, le officine in stabilimenti.
La struttura aziendale viene pertanto a configurarsi di tipo piramidale e plurifunzionale,
dove accanto agli organi “di line”, direttamente coinvolti nel conseguimento degli obiettivi
Responsabile della programmazione
del lavoro esecutivo
Responsabili della direzione e del
controllo del lavoro esecutivo
Esecutore 1 Esecutore 2 Esecutore 3
Esecutore 4
Esecutori
Struttura
Aziendale
Distribuzione
delle capacità,
delle competenze e dei
compiti di
natura esecutiva
Vertice Massima Minima
Base Minima Massima
Distribuzione
di abilità, capacità,
e di compiti di
natura
direttiva
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aziendali, vi sono gli organi “di staff” che prestano la propria consulenza ed assistenza ai
primi.
Alla Scuola Classica si deve attribuire il merito di aver accresciuto la rapidità e la
precisione nell’esecuzione del lavoro, assieme ad un miglioramento qualitativo del prodotto
offerto ed un incremento di efficienza ed efficacia operativa. Tuttavia, essa presenta anche dei
punti di debolezza di rilievo: l’impoverimento del contenuto del lavoro, una demotivazione
sostanziale degli addetti, il sotto-utilizzo delle capacità dell’individuo e lo sviluppo
dell’alienazione del lavoro, la concentrazione sui problemi organizzativi quali: il cronometro,
il banco dell’operaio, le funzioni direttive, cercando di dedurre dall’esperienza i principi
universali, dove i dipendenti sono considerati meramente dei soggetti passivi.
I punti di debolezza della teoria Classica, sono stati considerati e presi in esame dalla
corrente psico-sociologica, costituita da due filoni principali: il filone delle human relations
ed il filone della motivazione del lavoro, quest’ultima accentrata sugli aspetti psicologici e
sociali della vita lavorativa evidenziando il contenuto umano trascurato dalle scuole
precedenti [Goode e Hatt,1962].
Il filone delle “human relations” prende avvio da un’indagine sul campo compiuta da un
gruppo di studiosi guidato dal ricercatore Elton Mayo presso gli stabilimenti della “Western
Electric” di Hawthorne negli USA, al fine di verificare i motivi della profonda
insoddisfazione e quindi degli scarsi rendimenti riscontrati nei suoi addetti.
Il particolare contributo offerto dall’indagine consiste nell’aver manifestato per la prima
volta l’esigenza di progettare le strutture organizzative ed i relativi meccanismi di
funzionamento dell’azienda, valorizzando ed integrando le esigenze psicologiche individuali e
di relazione di coloro che ne fanno parte.
Se la corrente delle “human relations” ha sottolineato la capacità e la forza di
motivazione per gli individui e per i gruppi delle relazioni sociali, gli studi sulla motivazione
del lavoro o “teorie motivazionali” hanno messo in risalto la forza motivante e la
significatività organizzativa dell’auto - realizzazione personale e del contenuto del lavoro.
Il contributo più importante al riguardo è stato fornito da Maslow [1954], secondo il
quale sono i bisogni gli autentici fattori di motivazione individuale; le persone sono mosse,
nel loro agire, da una scala di bisogni da soddisfare, tra loro interdipendenti e gerarchizzati.
3
Nel dopoguerra, si sviluppa la scuola del “Management Sciences” o scienza della
direzione, con un orientamento prevalentemente socio-economico, sviluppatosi in
3
La scala dei valori inizia dal gradino più basso: i bisogni fisiologici, per poi salire verso i bisogni di sicurezza, i bisogni
sociali, i bisogni di stima ed in cima alla scala ci sono i bisogni di autorealizzazione.
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conseguenza agli apporti scientifici derivanti da discipline come la statistica, la matematica,
l’economia, la sociologia, l’informatica; questa corrente, chiamata spesso scuola della “ricerca
operativa” comporta l’applicazione di rigorosi metodi scientifici al processo decisorio delle
organizzazioni ed in particolare alle decisioni di routine.
Un rilevante contributo allo sviluppo delle scienze manageriali deriva dagli studi che
Simon [1997] sviluppa in un’ottica sistematica; secondo questo studioso, un approccio
razionale impone di prestare particolare attenzione più che alla specializzazione dei compiti,
alla progettazione delle strutture in senso orizzontale, ai processi decisionali che ogni membro
dell’organizzazione è chiamato ad assumere e quindi ai rapporti organizzativi di tipo verticale
ed ai relativi meccanismi di coordinamento.
Il processo organizzativo aziendale si evolve dopo gli anni sessanta, con lo sviluppo
dell’indirizzo sistematico, il quale concepisce l’azienda come sistema sociale cibernetico,
ossia come sistema che si autoregola rispetto a dati parametri ed obiettivi, manifestando sia
adattamenti successivi all’analisi degli scostamenti (feed-back), sia adattamenti rispetto a
nuove situazioni previste (feed - forward). La gestione dell’azienda comporta la gestione
integrata delle relazioni tra le sue componenti; il corretto funzionamento, l’ordine e
l’equilibrio aziendale derivano dalle scelte di integrazione tra le sue variabili costitutive:
risorse tecniche, finanziarie, umane, organizzative – gestionali [Coda, 1988]. Il concetto di
azienda come sistema aperto considera nella combinazione di queste variabili, il contesto
ambientale in cui si colloca ed in cui interagisce a livello micro ed a livello macro, dove
l’azienda si configura come un sottosistema di una realtà sistematica di più elevato livello di
cui è parte integrante e con la quale interagisce
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Dopo gli anni ottanta, si sviluppa la terza rivoluzione industriale, caratterizzata dal
progresso tecnologico, dove l’uomo viene sostituito dalla macchina e svolge solo una
funzione di controllo e si qualifica pertanto come “accessorio intelligente”; il computer è in
grado di sostituirsi al cervello umano, non solo attraverso la sua programmazione, in quanto
riesce ad effettuare delle scelte autonome in base all’esperienza abituale di lavoro, cambiando
i sistemi di produzione che da rigidi, si trasformano in flessibili poiché il computer di fronte
ad ogni nuova domanda è in grado di fornire una nuova risposta.
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Nell’ambito del filone sistematico, si è recentemente caratterizzata una particolare corrente: l’indirizzo situazionale.
Secondo questa corrente di pensiero non esistono principi organizzativi adeguati per ogni realtà aziendale e per ogni
situazione oggettiva; la progettazione delle variabili organizzative è condizionata dall’insieme di fattori interni ed esterni
all’azienda, rifiutando la ricerca di regole universali da far valere in ambito organizzativo.