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Introduzione
La metafora (dal greco μεταφορά, “trasferimento”, derivante a sua volta dal
verbo μεταφέρω “trasportare”, “portare oltre”) è stata oggetto di interesse in
ambito umanistico fin dall'antichità in quanto figura retorica, spesso ridotta a
semplice funzione decorativa di testi letterari e poetici; “a device of the poetic
imagination and the rhetorical flourish – a matter of extraordinary rather than ordinary
language” (Lakoff & Johnson, 1980:3).
La svolta si ha alla metà del XX secolo con l'avvento delle scienze
cognitive, che entrano di diritto anche nel dibattito linguistico e lo inquadrano
in una cornice più scientifica ed empirica. La metafora si svincola dagli studi di
tipo tradizionale e acquista una dignità in quanto potente strumento di
indagine in campo cognitivo, psicolinguistico e neurolinguistico. Il punto di
svolta è certamente il lavoro di George Lakoff e Mark Johnson: Metaphors we live
by, del 1980 (successivamente ampiamente criticato e ridimensionato nella
portata della sua importanza teorica). In esso si introduce la teoria della
metafora concettuale (Conceptual Metaphor Theory, CMT) secondo cui le
metafore sono pervasive nel linguaggio quotidiano degli esseri umani, in
quanto collegamenti tra domini concettuali radicati nel nostro corpo e nella
nostra esperienza (embodied). Tali collegamenti sono in grado di strutturare il
pensiero e vari aspetti della vita delle persone. In seguito a questo importante
spartiacque, innumerevoli saranno le ricerche sulla metafora, il modo in cui è
percepito, elaborato, prodotto, realizzato in diverse forme sintattiche e molti
altri aspetti, affrontati da punti di vista afferenti a discipline che vanno dalla
filosofia, alla psicologia, alle neuroscienze, sempre rimanendo in contatto con la
linguistica.
Nonostante il proliferare di studi, la metafora rimane sfuggente e
indefinibile in modo preciso, nelle parole di Prandi (2007: 1):
L’aspetto più interessante della metafora è di essere di volta in volta tutte
queste realtà diverse: l’estensione del significato di una parola, un concetto
condiviso, un sostituto, l’interpretazione di un conflitto concettuale. Non ci
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sono teorie sbagliate della metafora, ma solo teorie parziali, tutte
supportate da dati empirici, nessuna esaustiva, cioè capace di giustificarli
tutti.
Nel vasto panorama attualmente esistente, a partire dagli anni '80 del
Novecento, grande rilievo assumono le ricerche facenti ricorso ai corpora nel
tentativo di analizzare il fenomeno-metafora. Tale approccio (soprattutto se
coniugato alla linguistica computazionale) permette di utilizzare dati reali e
molto consistenti, anziché soltanto esempi inventati o frutto di introspezione
dell'autore, sicuramente meno affidabili e indagabili sistematicamente. Nel
presente lavoro faremo riferimento a dati empirici, estratti dal corpus web
itTenTen
1
.
.
È importante specificare che non ci occuperemo qui di fenomeni spesso
accostati alle metafore e ad esse connessi: metonimie ed espressioni
idiomatiche. Pur collocandoli in uno spazio contiguo all’universo metaforico,
riteniamo che meritino una trattazione a parte. Pertanto, a questo proposito,
rimandiamo ai lavori di Glucksberg (2001), Cacciari e Tabossi (2014), Panther e
Radden (a cura di) (1999).
L’elaborato è diviso in due parti. Nella prima parte si introducono le
moderne basi linguistiche delle teorie sulle metafore (Capitolo 1): cognitivismo,
metafore concettuali, blending e Teoria Neurale della Metafora; inoltre si
riassumono gli esperimenti e le teorie psicolinguistiche da noi reputati
fondamentali per arrivare alla seconda parte: gli studi di Gentner e France
sull’Ipotesi della Mutabilità del Verbo, l’idea della Double Reference di
Glucksberg e soprattutto l’esperimento di Torreano, Cacciari e Glucksberg
sull’astrazione e gli usi metaforici dei verbi (Capitolo 2). Nella seconda parte
(costituita dal Capitolo 3) si passa quindi a descrivere il cuore di questa tesi,
cioè il test da noi costruito e somministrato per studiare la metafora predicativa
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1
Il corpus di maggiori dimensioni disponibile per l'italiano, lemmatizzato e annotato, che
contiene più di due miliardi e mezzo di parole da testi scaricati dal web nel 2010.
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Utilizzeremo l’aggettivo “predicativa” nel senso anglofono del termine: come in
“predicative metaphors”, ampiamente riscontrabile nella letteratura da noi consultata (ad esempio
in Torreano, Cacciari, Glucksberg; 2005). Con questo aggettivo intendiamo riferirci a metafore
che si esprimono nel predicato verbale, tramite l’uso metaforico del verbo, e non a strutture
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in italiano. Dopo le necessarie spiegazioni sulla realizzazione dell’indagine, si
passa all’analisi e alla discussione dei dati. Nell’ultimo paragrafo del terzo
capitolo accenniamo alle prospettive future, gli aspetti della questione che per
essere approfonditi, meriterebbero ulteriori studi interamente dedicati. Alle
conclusioni finali, seguono due appendici: l’Appendice I riporta il set di frasi
impiegato per il test, l’Appendice II contiene una grande tabella, che altro non è
se non l’insieme completo di tutti i dati raccolti.
L’enigmatica domanda che campeggia nel titolo della tesi, è costituita da
una combinazione verbo/complemento oggetto trovata nel corpus itTenTen,
che quindi è stata realmente elaborata ed utilizzata. Nella nostra formulazione
si tratta ovviamente di una provocazione ad hoc, che useremo comunque come
spunto per cercare di comprendere un po’ di più i meccanismi che permettono
alla mente umana di servirsi in modo così naturale dell’affascinante strumento
che è la metafora.
metaforiche del tipo “A è B” (anche questo uso del termine si trova abitualmente, soprattutto
nella letteratura specialistica in italiano).
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I Parte
La metafora: principali quadri teorici
recenti e rassegna di alcuni studi
sperimentali
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1. La Metafora Concettuale e il Cognitivismo
Nel primo capitolo vediamo una rassegna essenziale e non esaustiva di
contributi sulla metafora ascrivibili al quadro teorico cognitivista. Dalla Teoria
della Metafora Concettuale di Lakoff e Johnson (1980), alla Teoria
dell’Integrazione Concettuale di Fauconnier e Turner (1994; 1996), fino ad
arrivare alla Teoria Neurale della Metafora con Feldman, Lakoff, Narayanan
(Feldman et al., 1996), Grady (1997) e C. Johnson (1997).
Il cognitivismo nasce negli anni ’60 in psicologia in contrapposizione al
comportamentismo. Il suo scopo è comprendere i meccanismi cognitivi della
mente umana, sottostanti alle varie funzioni del “computer-cervello”. In
linguistica, il pensiero cognitivista si oppone alla posizione prominente della
grammatica generativa di Chomsky e altri generativisti. Il linguaggio è
interpretato sulla base dei concetti, universali o specifici di una certa lingua, che
soggiacciono alle sue forme superficiali. La linguistica cognitiva aderisce a tre
principi fondamentali (Croft & Cruise, 2004: 1):
Nella mente non c’è una facoltà autonoma del linguaggio;
La grammatica è concepita in termini di concettualizzazione;
La conoscenza della lingua emerge dall’uso.
Inoltre, la linguistica cognitiva afferma che il linguaggio è incarnato
(embodied) e collegato ad un ambiente specifico: linguaggio e cognizione si
influenzano reciprocamente e sono entrambi inseriti nelle esperienze e
nell’ambiente dei parlanti.
Per la linguistica cognitiva, la metafora è molto importante, utilizzata
come prova empirica dei meccanismi cognitivi e ampiamente analizzata. Per
questo facciamo riferimento a questo quadro teorico e ne presentiamo le teorie
più importanti rispetto all’interpretazione della metafora nei paragrafi seguenti.
1.1 CMT: vivere attraverso le metafore
Come già accennato nell’Introduzione, il 1980 vede la pubblicazione
dell’opera più conosciuta del linguista cognitivo George Lakoff e del filosofo
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Mark Johnson: Metaphors We Live by (pubblicata in Italia con il titolo di minor
effetto “Metafora e Vita Quotidiana”). Si inaugura così la Teoria della Metafora
Concettuale, o Teoria della Metafora Cognitiva, per cui la metafora non è solo
un’espressione linguistica superficiale, ma un sistema di relazioni tra due aree
semantiche o domini (indicati dagli autori in maiuscoletto) che permette di
strutturare il pensiero e di comprendere un concetto per mezzo di un altro: “the
essence of metaphor is understanding and experiencing one kind of thing in
terms of another” (Lakoff & Johnson, 1980: 5). Al centro dell’attenzione non vi
sono più le metafore creative e “vive”, come succedeva nella visione
“decorativa”
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, ma quelle convenzionali e tradizionalmente considerate “morte”.
Il linguaggio quotidiano è infatti pervaso da espressioni metaforiche ricorrenti e
sistematiche, a cui la CMT si rivolge e che cerca di spiegare. Esse passano
comunemente inosservate proprio perché naturali e impiegate quasi del tutto
inconsciamente.
Vediamo da vicino un esempio di metafora concettuale citato più volte
dagli autori: ARGUMENT IS WAR (“LE DISCUSSIONI SONO GUERRE”)
4
. Una tale
relazione tra concetti, radicata in una certa cultura, porta all’emergere di
espressioni linguistiche corrispondenti, e ad un certo modo di filtrare la realtà.
Le espressioni metaforiche, molto numerose nella produzione linguistica,
sarebbero la prova dell’esistenza di metafore concettuali sottostanti, che invece
non appaiono esplicitamente. Nel caso dell’esempio riportato, ARGUMENT è il
dominio target, solitamente più astratto, concepito in base al dominio source
(WAR), tipicamente concreto, che fornisce le basi per la metafora. Si dice che idee
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Cioè la visione che relega la metafora al linguaggio letterario, a orpello ornamentale.
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In seguito Lakoff e Johnson ridimensioneranno l’irruenza di questa metafora
concettuale, come si legge nella postfazione dell’edizione del 2003 di Metaphors We Live by:
“Many readers have correctly observed that most people learn about argument before they
learn about war. The metaphor actually originates in childhood with the primary metaphor
ARGUMENT IS STRUGGLE. All children struggle against the physical manipulations of their
parents; and, as language is learned, the physical struggle comes to be accompanied by words.
The conflation of physical struggle with associated words in the development of all children is
the basis for the primary metaphor ARGUMENT IS STRUGGLE. As we grow up, we learn about
more extended and violent struggles like battles and wars, and the metaphor is extended via
that knowledge” (Lakoff & Johnson, 2003 [1980]: 265).
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e conoscenza dal dominio di provenienza sono proiettati (mapped) sul dominio
di arrivo (metaphorical mapping). La distinzione tra dominio astratto e dominio
concreto è intesa in senso lato, ci sono casi in cui i domini possono essere
entrambi astratti o entrambi concreti. Di fatto, il dominio source è più
correttamente definibile come quello più familiare, conosciuto e di semplice
comprensione.
Alcuni esempi di espressioni linguistiche che declinano la stessa metafora
concettuale (ARGUMENT IS WAR):
(1) Your claims are indefensible. (Le tue affermazioni non sono difendibili)
(2) He attacked every weak point in my argument. (Attaccò ogni punto
debole del mio ragionamento)
(3) His criticisms were right on target. (Le sue critiche centravano il
bersaglio)
(4) I demolished his argument. (Ho distrutto il suo ragionamento)
Secondo Lakoff e Johnson, le espressioni linguistiche provenienti dal
campo semantico della guerra che utilizziamo abitualmente parlando di
discussioni, controversie e litigi, non sono da leggere in chiave poetica o
retorica, ma letterale. Per noi gli “scontri” verbali sono guerre, pensiamo ai primi
nei termini delle seconde. In altre parole, alcuni fenomeni non potremmo
concepirli se non in termini metaforici: “We talk about arguments that way because
we conceive of them that way—and we act according to the way we conceive of things.”
(Lakoff & Johnson, 1980: 5). Il pensiero metaforico diviene quindi strumento
indispensabile all’elaborazione dei concetti, ci rende possibile afferrare quelli
astratti che forse non riusciremmo altrimenti a concepire.
Le metafore concettuali sono plasmate dalla cultura in cui viviamo: per
una popolazione ipotetica che vivesse le discussioni diversamente da noi, ad
esempio in modo meno conflittuale, non avrebbe senso il rapporto
identificativo tra ARGUMENT e WAR. Allo stesso tempo, queste discussioni non
sarebbero rappresentate come tali da parte nostra.
È dunque grazie a queste strutture concettuali che si creano i presupposti
del nostro modo di pensare, di conoscere e di agire. Molti ambiti specialistici,