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Introduzione
La decisione che mi ha spinta a scegliere l’argomento del mio elaborato è stato un problema a
cui ho pensato a lungo. Tuttavia, la spiegazione poteva venire solo da me stessa e
dall’interesse che nutro per particolari tematiche: il XIX secolo, in tutte le sue caratteristiche,
è il periodo della storia che trovo più affascinante e interessante. Dalla letteratura, che durante
l’Ottocento raggiunge il suo massimo splendore, alla storia, alle usanze e ai numerosi
problemi sociali, si tratta di un periodo che ho avuto il piacere di analizzare sotto un punto di
vista ben preciso. Il mio interesse e amore per la letteratura non è mai stato scisso dal contesto
sociale in cui le opere venivano realizzate e, anche in questo caso, non è stata fatta eccezione:
per questo motivo ho scelto una tematica sociale e ho deciso di analizzarla all’interno della
letteratura europea del XIX secolo.
L’obiettivo di questa tesi di laurea è quella di fornire un’analisi, il più possibile dettagliata,
della figura dei minori trattata da alcuni dei più grandi scrittori europei dell’Ottocento,
mettendone in evidenza le condizioni, le sfaccettature e il diverso modo di raccontare questo
argomento dagli autori presi in considerazione. In questo modo, l’elaborato mira ad aprire lo
sguardo verso le numerose problematiche legate all’infanzia durante il XIX secolo in Europa
e ad avere una maggiore consapevolezza di come alcuni, importanti, romanzieri già avevano
considerato il mondo dei giovani come una tematica da trattare con cura e acceso interesse.
Attraverso la lettura sia dei testi presi in esame che dei saggi relativi ai romanzi, agli scrittori
e ai manuali riguardanti, più in generale, il periodo storico e la situazione letteraria, ho
elaborato uno scritto suddiviso in tre capitoli in cui ho esaminato le diverse modalità che gli
autori scelti hanno utilizzato, in alcune loro famose opere, per raccontare le problematiche
legate all’infanzia e, in generale, alla condizione sociale del loro Paese.
I tre capitoli della tesi si articolano nel seguente modo: il primo capitolo prende in esame
alcune opere dell’autore inglese Charles Dickens, Oliver Twist e David Copperfield, e
racconta le vicende dei protagonisti, con particolare attenzione alle condizioni sociali
dell’Inghilterra vittoriana.
Il secondo capitolo è strettamente legato al primo per quanto riguarda la modalità scelta di
analizzare l’opera e l’autore; ho scelto lo scrittore francese Victor Hugo e il suo capolavoro I
miserabili per analizzare la figura dei giovani e il loro legame con la rivoluzione, dopo
Napoleone. In questo caso, oltre a puntare l’occhio sulla società francese (Parigi in
particolare) raccontata nel romanzo, ho preso in esame il personaggio di Gavroche e il suo
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riassumere, in sé stesso, gli ideali rivoluzionari che hanno alimentato le sommosse avvenute
in Francia verso la metà dell’Ottocento.
Nel terzo capitolo mi sono spostata in Italia e ho scelto Carlo Collodi, con il suo romanzo per
ragazzi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Quest’ultimo capitolo ha, come i
precedenti, la sua attenzione sulle problematiche sociali che l’Italia, dopo l’Unità, si vedeva
ad affrontare, in particolare il problema dell’analfabetismo e della povertà di alcune zone del
Paese (principalmente la Toscana); tuttavia, a differenza del primo e del secondo capitolo,
questa terza figura di giovane rappresentate dei problemi dell’infanzia ha un’impronta molto
più allegorica rispetto agli altri, densa di significati nascosti e carica di principi morali che il
lettore si trova ad apprendere, durante la lettura, ed è, inoltre, un’immagine che ha dato inizio
allo studio pedagogico e ad analisi psicologiche riguardanti i minori.
Grazie a questo lavoro fatto di numerose letture e ricerche è stato possibile analizzare gli
importanti fattori che hanno spinto questi tre capisaldi della letteratura a trattare una tematica
particolarmente sensibile del loro tempo e del loro Paese, tutti e tre in modo differente, ma
efficace ed esaustivo.
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Capitolo 1
L’istituzione degli orfanotrofi e il lavoro minorile
Charles Dickens
“Oliver Twist” e “David Copperfield”
Tra il 1830 e il 1840 un nuovo genere si fa strada nella letteratura: il romanzo sociale. Il
sottogenere in questione nasce come reazione all’industrializzazione dilagante che stava
causando molti problemi sociali ed economici alle classi povere, le uniche che non avrebbero
tratto alcun beneficio da questi progressi. I romanzi sociali si rivolgevano alla classe media
borghese con l’intento di promuovere un cambiamento. Il più grande esponente di questo
orientamento è Charles Dickens (1812-1870). Ciò che caratterizza il suo stile è la presenza di
una spiccata vena satirica attraverso cui ritrae gli aspetti più degradanti della società. Il
realismo di Dickens è strettamente collegato al suo tempo e, soprattutto, alle sue esperienze di
vita, all’osservazione della realtà; infatti, pare che a dodici anni lavorasse in una fabbrica di
lucido da scarpe perché il padre era in carcere a causa di debiti. Nonostante la grande
attenzione ai fatti reali, Dickens attua delle strategie narrative che non sempre si accordano
con uno sviluppo plausibile delle storie, prediligendo troppo spesso un finale idilliaco.
Charles Dickens è, dunque, uno scrittore della realtà, coinvolto nella grande
industrializzazione dell’Inghilterra e ne evidenzia la parte più problematica, la faccia della
medaglia meno rosea del suo Paese. Nel fare tutto questo compie una piccola rivoluzione: è
infatti il primo a porre l’attenzione sull’infanzia e sui suoi problemi.
Nell’Inghilterra vittoriana si assiste a una situazione quasi surreale: ancora oggi si ricorda la
Victorian Age come un periodo della storia inglese pieno di prosperità, fatto di grandi
cambiamenti apportati dallo sviluppo industriale ed economico. Tuttavia, non si può, certo,
ignorare il lato oscuro dell’Inghilterra del XIX secolo: costituito dalla povertà e dalla lotta per
la sopravvivenza. In questa cornice storica prende corpo una vera e propria trasformazione
nel modo di osservare l’infanzia tanto da essere definita dagli storici e dagli intellettuali come
l’epoca o “secolo del bambino”.
In Gran Bretagna si assiste a una drastica spartizione sociale: da una parte c’erano i bambini
nati nelle classi più agiate che crescevano in una famiglia confortevole, accuditi e si
occupavano di ciò di cui ogni bambini avrebbe dovuto curarsi, cioè istruirsi e giocare;
dall’altra, c’erano i bambini delle classi più povere il cui destino era, spesso, già scritto: quelli
che venivano abbandonati ancora in fasce finivano accolti in istituti la cui funzione
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consisteva nel crescerli fino all’età in cui era possibile rispedirli in strada e, il più delle volte,
affidati a bottegai e piccoli commercianti per poter imparare un mestiere e guadagnarsi da
vivere da soli. Una vita simile attendeva i bambini nati in famiglie già numerose e composte,
normalmente, solo dalla madre e qualche fratello poiché i padri, in un periodo in cui la Gran
Bretagna era spesso impegnata in guerre, erano morti o in battaglia; questi bambini venivano
presto spediti dove c’era bisogno di forza-lavoro e il loro misero guadagno doveva servire a
sostentare la famiglia. C’erano anche casi in cui i bambini venivano venduti dai genitori ai
negozianti e bottegai per poter avere un ricavato con cui poter sopravvivere.
I bambini che si trovavano a vivere con i loro datori di lavoro avevano un misero vitto e un
angusto alloggio in cambio delle loro prestazioni; i giovani lavoratori vivevano e dormivano
in spazi molto stretti e spesso condividevano quelle misere superfici con altri bambini
apprendisti come loro. In questo contesto è chiaro che i bambini delle classi popolari
penetravano nel mondo degli adulti molto più in fretta di quanto succedeva ai bambini delle
famiglie agiate. Il piccolo lavoratore non possedeva giocattoli e se ne aveva era per eredità da
altri bambini (che lasciavano i giocattoli più vecchi e malconci) o perché se li costruiva da sé.
La strada, per questi minori, era l’unico luogo in cui potevano sfogare la loro giovane età, nei
pochi momenti in cui non erano impegnati nel lavoro, e lo facevano ritrovandosi tra di loro e
organizzando delle vere e proprie bande di giovanissimi. Ciò che la legge inglese cercò di
limitare era l’impossibilità, anche per i bambini lavoratori, di andare a scuola poiché
l’ignoranza era considerata la base su cui cresceva la delinquenza e l’ozio e, per questo
motivo, sin dal 1830, vennero avviate delle leggi sull’istruzione minorile obbligatoria, gli
Education Acts. Particolarmente importante è quello del 1870 che rese obbligatoria
l’istruzione primaria. Le scuole caritatevoli in cui i bambini proletari imparavano a leggere e a
scrivere erano organizzate in modo da lasciare il tempo ai ragazzi di lavorare e, inoltre, erano
un luogo in cui i proprietari di bottega, i commercianti e gli artigiani che cercavano
apprendisti, aiutanti e garzoni potevano trovare manodopera preparate.
Un grave problema legato all’impiego dei bambini nel duro mondo del lavoro era la crescita
della mortalità infantile: i bambini, infatti, malnutriti e impossibilitati a sottoporsi alle cure
necessarie, spesso si ammalavano di scarlattina, di morbillo e di altre malattie infettive (a
causa delle pessime condizioni igieniche in cui si trovavano) che in quelle condizioni così
disagevoli risultavano mortali; accadevano spesso incidenti sul luogo di lavoro poiché l’
ambiente lavorativo era privo di norme di sicurezza, in particolare si registravano fatali
incidenti coi bambini che lavoravano nelle miniere o che erano impiegati come spazzacamini.
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Anche le bambine erano impegnate nel lavoro non meno dei maschi; infatti nelle miniere si
potevano tranquillamente vedere delle giovani infanti che trasportavano il carbone, oppure lo
estraevano con il piccone. Inoltre, erano impegnate nel lavoro di nutrici e di filatrici, ma
quelle appartenenti alle famiglie più povere erano costrette già in tenera età (tra i nove e i
dieci anni) a prostituirsi. Infatti, l’epoca vittoriana era famosa per questa tendenza allo
sfruttamento della prostituzione minorile che a queste date era un fenomeno così diffuso da
essere considerato il grande male sociale del Paese.
In questo triste panorama non bisogna dimenticare anche il grande numero di bambini che,
nonostante tutto, non riuscivano ad essere impegnati in qualche lavoro e la loro attività
principale era mendicare per le strade; questi bambini spesso non avevano dimora poiché
orfani, oppure vivevano in condizioni disastrose con la loro famiglia; c’erano, poi, i giovani
delinquenti che avevano fatto del furto, della truffa e delle altre forme di criminalità il loro
lavoro e per le strade adescavano i più ricchi rubando quel che potevano, sia denaro che
fazzoletti, orologi e altri oggetti da poter rivendere.
Tutte queste figure, rappresentative non solo dell’Inghilterra, ma dell’intera Europa, fecero
nascere ben presto, negli intellettuali, il desiderio di denunciare il problema dell’infanzia
abbandonata a sé stessa o costretta a essere messa da parte poiché i bambini dovevano
diventare, presto, grandi a causa del lavoro e delle attività vergognose a cui si sottoponevano
(come rubare o prostituirsi), dunque divennero protagonisti della letteratura del XIX secolo,
indimenticabili personaggi nei romanzi di famosi scrittori di tutta Europa, primo fra tutti
Charles Dickens, ma anche Victor Hugo e, più avanti, De Amicis. Inoltre, erano famose e
diffuse le fiabe che contenevano una pesante denuncia contro l’abbandono, la povertà e la
miseria che attaccava i più giovani. Si pensi a questo proposito la celeberrima favola di Hans
Christian Andersen “La Piccola Fiammiferaia”.
Le tematiche dei romanzi di Dickens sono tutte a sfondo sociale e nella mente dei lettori
possono formarsi immagini che illustrano in maniera nitida quale era la situazione nel suo
tempo. Il breve e immortale racconto “Canto di Natale”, una delle sue opere più famose, è
una forte denuncia non solo alle condizioni di miseria della classe popolare, ma anche
all’atteggiamento di indifferenza che la borghesia assumeva nei confronti dei più poveri. Il
personaggio di Ebenezer Scrooge incarna, infatti, lo stereotipo, portato al suo massimo livello,
dell’uomo arricchito senza cuore, con le tasche piene di soldi e il petto vuoto; egli è un uomo
cresciuto in povertà, ma divenuto ricco grazie al suo apprendistato di contabile presso
Fezziwig, uomo benevolo e dall’animo gioioso, che il tempo ha contribuito a rendere sempre
più avaro, egoista ed accecato dall’avidità che sfrutta il suo impiegato Cratchit. Il parallelismo