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Introduzione
Nell’attuale scenario mediorientale persistono problematiche e divergenze
di varia natura che, alla luce della rilevanza di tale area nell’ordine internazionale,
contribuiscono incessantemente alla destabilizzazione regionale e alla
trasformazione continua delle posizioni acquisite dalle potenze leader,
incrementando così il livello di incertezza già insito nella storia del Medio Oriente.
Pur considerando il peso specifico dei molteplici fattori in gioco e della
commistione di variabili esogene ed endogene, l’Islam e l’Islamismo ricoprono un
ruolo preminente nei processi politico-identitari del mondo arabo e non,
dimostrandosi una chiave di lettura di primaria importanza per comprendere in una
prospettiva alternativa gli eventi salienti della regione.
Mentre l’Islam, per ovvie ragioni, rimane ancorato a legami ancestrali e
primordiali
1
, l’Islamismo esula da meri aspetti teologici e, proprio per questa sua
natura, trova la propria origine non solo in fondamenti puramente religiosi, ma
anche e soprattutto nell’era più moderna del mondo islamico. Pertanto l’attività
politica e la mobilitazione popolare nel nome dell’Islam sono di natura recente e
sono emerse in risposta ad una serie di novità e cambiamenti radicali risultanti dal
contatto con le potenze occidentali (già a partire dal XVIII secolo), ree di aver
contaminato l’ordine socio-politico con i propri modelli democratici, rendendo
progressivamente più difficoltosa la formazione autoctona di Stati forti in armonia
con i precetti della Sharia.
Una conferma è rintracciabile nell’attuale retorica degli islamisti a sostegno
della partecipazione di larghi segmenti di popolazione che sarebbero altrimenti
rimasti apolitici in vari Paesi islamici. Questo ha avuto certamente effetti
1
Brown ha osservato: “Piuttosto che un diritto di stampo divino, l’Islam è giunto a
riconoscere un bisogno di approvazione divina per il diritto. La tradizione islamica, in effetti,
afferma che la necessità di governo per l’umanità è così preponderante da mettere in secondo piano
la qualità e la forma di governo stesse”. Si veda: L.C. Brown. Religion and State: The Muslim
Approach to Politics, Columbia University Press, New York, 2000.
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destabilizzanti poiché, se da un lato ha contribuito in gran parte a ridare sostanza
alla cultura politica, dall’altro ha messo a serio rischio l’establishment dei governi
più deboli.
È tipico dell’Islamismo attuare un’estremizzazione dell’accezione politica
dell’Islam e fornirsi della fede come una velatura per diffondere una determinata
ideologia; risulta quindi prioritaria non tanto la formazione di una struttura politica
basata su ideali di esclusiva natura religiosa, quanto piuttosto un’agenda politica
guidata e ispirata dalla religione in un’ottica modernista
2
.
In diversa misura a seconda delle necessità e capacità, analizzando la
propaganda dei partiti e dei movimenti islamisti, si nota come questi utilizzino un
linguaggio molto vicino a quello del Corano ricorrendo con frequenza a concetti
che, non a caso, possono acquisire un’utile ambivalenza: la crucialità e l’integrità
dell’Umma, ovvero la comunità di tutti i musulmani che si scontra con il timore
della Fitna (la ribellione) che, in chiave moderna, rappresenta la minaccia anarchica
alla quale è preferibile una qualsiasi forma di potere e controllo. Inoltre, oggi
l’Islam politico riceve la propria legittimità e credibilità dall’associazione del
termine jihad alla resistenza contro il dominio estero sui territori e sui popoli
musulmani, in vista di un utopico ritorno alla purità della Golden Age.
L’Islam politico non opera nel vuoto e le variabili ad esso esterne,
principalmente la natura dei regimi interni e la sostanza della politica estera delle
maggiori potenze, hanno un sostanziale impatto nell’emersione, nella popolarità e
nella durevolezza dei pensieri, dei movimenti e dei partiti islamisti.
Lo scenario che più mostra una certa connessione tra l’ideologia islamista e
le recenti politiche regionali del Medio Oriente è la Nuova Guerra Fredda, in cui
Iran e Arabia Saudita si dimostrano i leader indiscussi,
rappresentando nella
maniera più assoluta una divisione in “blocchi” sotto diversi punti di vista
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.
2
C. Winter, U. Hasan, The Balanced Nation: Islam and the Challenges of Extremism,
Fundamentalism, Islamism and Jihadism, in Philosophia, 2016, 44:667–688.
3
F. G. Gause, III, Beyond Sectarianism: The New Middle East Cold War, in Brookings
Doha Center Analysis Paper, 2014, No. 11.
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Il primo riguarda la grande scissione interna all’Islam che di per sé a livello
storico-religioso ha vissuto in una relativa buona convivenza ma che, sommata a
divisioni identitarie e politiche, è sfociata nel settarismo che vede contrapporsi la
maggioranza sunnita ad ovest del Golfo Persico e la minoranza persiano-sciita ad
est, complicando una distinzione tra fattori religiosi e non all’interno dei conflitti.
Ovviamente sarebbe fallace e fuorviante ricondurre il tutto ad una
semplificazione di questo tipo. È altresì corretto affermare che lo stretto rapporto
tra sfera religiosa e sfera decisionale abbia influenzato, e tutt’ora influenzi
largamente, numerose dinamiche, trovando un punto d’incontro sotto l’ala
dell’ideologia.
È utile chiarire che quest’ultima non costituisce il motore storico in senso
assoluto, ma un concetto intricato che può (ri)definire il comportamento degli attori
presenti nella scacchiera mediorientale, poiché rappresenta il mezzo maggiormente
plasmato dalle potenze per esercitare il proprio potere in politica interna e la propria
influenza nella regione. Infatti, l’ideologia permette ad uno Stato di giustificare il
proprio decision making e le alleanze, di accaparrare consensi e di mantenere
l’ordine interno perseguendo abilmente il soft power.
D’altra parte, è giusto sottolineare come questi due attori in particolare si
siano serviti e abbiano giovato della loro capacità di manipolare la questione settaria
e le varie sfaccettature ideologiche per tentare di sbilanciare l’equilibrio di potenza
a proprio favore. L’importanza del settarismo deriva dall’indebolimento o dalla
caduta dell’autorità statale dove, per varie ragioni, il settarismo è una parte
silenziosa dell’identità politica che esce allo scoperto solo quando le parti
interessate si muovono seguendo una dimensione identitaria condivisa che può
collegarsi a forme costruttive o distruttive di nazionalismo ed incoraggiare periodi
di conflitto o cooperazione con gli attori in gioco
4
.
Il secondo pilastro del blocco, di natura più pragmatica, è riscontrabile negli
scenari in cui Iran e Arabia Saudita hanno esplicitato le linee guida del proprio
4
T. Matthiesen, Shi’i historians in a Wahhabi state: identity entrepreneurs and the politics
of local historiography in Saudi Arabia, in International Journal of Middle East Studies, 2015, 47(1),
25-45.
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modus operandi. I grandi spartiacque dell’inasprimento del loro rapporto e
dell’aumento di tensione all’interno del mondo islamico sono senza dubbio tre: la
Rivoluzione Iraniana del 1979, la guerra in Iraq dal 2003 e le Primavere arabe del
2011. Questi eventi hanno ulteriormente rafforzato la volontà delle due potenze di
elevarsi ad unici egemoni nella regione.
È interessante vedere come ci sia una certa discrepanza tra gli obbiettivi
inziali degli attori e i loro mutevoli mezzi per ottenerli che si evidenzia però solo
nel lungo termine poiché, ogni qualvolta possibile, gli Stati ricorrono alla carta
dell’ideologia e del settarismo come fumo negli occhi per ricoprire o ritardare la
comprensione delle reali intenzioni. Lo dimostrano i repentini cambi di rotta negli
interventi di politica estera (il sostegno o meno a partiti e attori non statali, spesso
in contraddizione con l’ideologia di base), i balletti delle alleanze con le potenze
estere (da un lato la coalizione “saudita-occidentale”, dall’altro l’Iran con la “difesa
al più debole”) e, infine, le differenti reazioni alle minacce comuni che minano
l’integrità interna dello state power (le Primavere arabe, la situazione siriana e
yemenita).
A livello metodologico, il fatto che il Medio Oriente si trovi attualmente in
una situazione di multipolarità sia ideologica sia di potenza
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mostra la non
esaustività di un approccio puramente realista, totalmente focalizzato e fossilizzato
su concetti che richiedono certezze di fondo che la regione non può fornire. Il punto
che più frena una piena comprensione delle dinamiche è la considerazione degli
Stati come attori monolitici, così escludendo gli attori non-statali dall’analisi del
policymaking. In aggiunta, persiste una visione che, essendo fortemente incentrata
sull’egemonia, la sicurezza e la massimizzazione di potenza, non tiene conto nella
giusta misura del contesto in cui gli Stati agiscono e si alleano. Il caposaldo della
ricerca dell’equilibrio di potenza, invece, è stato messo in discussione da
comportamenti spesso irrazionali ed imprevedibili.
5
M. L. Haas, Ideological Polarity and Balancing in Great Power Politics, in Security
Studies, 2014, 23 (4): 715–53.
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Per quanto dissociato, un approccio costruttivista può non esservi in
conflitto, bensì si rivela complementare al realismo aggiungendo altri fattori
determinanti e contemplando aspetti di tutt’altro rango, quali la cultura, la religione,
l’identità nazionale e, appunto, l’ideologia. Secondo lo studioso Mark L. Haas, il
cosiddetto fenomeno dell’underbalancing – dato dalla difficoltà per uno Stato di
avere una reale percezione di una minaccia – è meglio definibile non attraverso il
settarismo o le capacità di comprendere la potenza altrui, ma dando la giusta
rilevanza alle differenze ideologiche stanti tra i vari attori che possono
rappresentare possibili alleati o possibili minacce.
L’elaborato si propone quindi di indagare attraverso questo duplice
approccio come la manipolazione dell’ideologia islamista possa essere al servizio
degli Stati del Medio Oriente che intendono allargare la propria sfera d’influenza e
come questa condotta, a seconda dei contesti presi in considerazione, possa
cambiare i toni del loro policymaking.
Dapprima verranno valutate separatamente le questioni di ordine interno di
Iran e Arabia Saudita, elencando gli elementi di maggiore rilievo riguardo la
relazione tra fattori di matrice etnico-religiosa e variabili più concrete: il
mantenimento dell’integrità statale, la difficile convivenza tra le varie fazioni in
lotta per il potere e la convenevole intensificazione del settarismo per far leva su
sentimenti di unità e identità nazionale.
Nella parte finale si cercherà, invece, di dare una risposta maggiormente
pragmatica, analizzando come la questione ideologica abbia ripercussioni anche
laddove i due attori partecipino ad un terreno di scontro secondo modalità d’azione
che permettono di denominarlo la “Nuova Guerra Fredda del Medio Oriente”: dalle
alleanze diametralmente opposte al supporto di attori non-statali, passando per la
reazione alle spinte democratiche fino a giungere ai conflitti in cui le due potenze
giocano un ruolo chiave.