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INTRODUZIONE
In occasione della mostra “i Tesori nascosti. Tino di Camaino, Caravaggio, Gemito”,
curata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e conclusasi lo scorso luglio a Napoli, i miei
studi magistrali hanno trovato un eccellente epilogo grazie alla scoperta di un vero e
proprio gioiello plurisecolare dell’architettura sacra partenopea, incastonato nel cuore
della città e venuto alla luce solo negli ultimi anni. La Basilica di Santa Maria Maggiore,
questa la splendida cornice in cui si è svolto l’evento, ha risvegliato in me un
inaspettato spirito di appartenenza verso la mia città ed il bisogno di conoscere la
storia e le ragioni che spinsero gli scrittori moderni ad esaltarne ogni suo aspetto.
Le origini e le vicende della chiesa di Santa Maria Maggiore sono state il punto di
partenza di questa ricerca da cui ho avviato un’indagine delle fonti cronachistiche,
storiografiche e letterarie che, dal Cinquecento ai primi del Novecento, hanno lasciato
una traccia di questo edificio sacro ed hanno offerto spunti di riflessione intorno alla
topografia urbana e alla cultura popolare napoletana. L’imponente costruzione, posta
al centro della città, è il frutto di una serie di ristrutturazioni di un sito che affonda le
proprie radici nell’antichità greco-romana. Essa infatti, sorge sui ruderi di un tempio
pagano, come testimoniano i frammenti di laterizi e le epigrafi visibili sia nei
sotterranei della Basilica che nel campanile situato nella piazzetta Pietrasanta.
Sulle orme della sterminata bibliografia legata al genere della descriptio urbis, è stato
possibile aggiungere un ulteriore tassello al mosaico della guidistica cittadina
partenopea tanto che il Complesso di Santa Maria Maggiore ha rappresentato un
passaggio obbligato negli itinerari disegnati dagli scrittori di cose sacre. Nelle guide
turistiche e nei testi di narrativa ecfrastica il concetto di convivenza/compresenza del
tracciato “antico” con il “nuovo” si dichiara come exemplum di stratificazione storica e
di eccellenza culturale.
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Il presente studio intende appunto verificare l’attendibilità di queste opere, ricercando
conferme o smentite – per quanto possibile – in altre fonti, come documenti
d’archivio o riviste specializzate. L’imago urbis risulta essere il collante per un’analisi
antropologica dell’evoluzione del viaggio tra generi e sottogeneri letterari, dove la
narrativa ecfrastica degli edifici sacri di Napoli, quali chiese, conventi e monasteri, si fa
portavoce di un nuovo modo di raccontare ed intendere la città. Attraverso le
testimonianze letterarie che includono la chiesa di Santa Maria Maggiore nei registri
delle fabbriche religiose napoletane, l’obiettivo della mia ricerca è stato quello di
analizzare il tentativo, da parte di questa generazione di scrittori, di raggiungere la
percezione visiva attraverso la scrittura.
Concepiti secondo la logica dell’elogium, le descrizioni urbane offrono un quadro
mirabile della monumentalità di Napoli che è visibile nelle vestigia antiche e moderne a
memoria di un’eredità greco-romana onnipresente. La centralità della Chiesa di Santa
Maria Maggiore rispetto all’impianto primitivo urbano ha spinto la letteratura di
viaggio ad osservare questo edificio nei suoi vari aspetti storico-religiosi affinché si
potesse offrire un’immagine della città quanto più completa e veritiera.
L’incidenza che l’architettura sacra e civile ha rappresentato nel panorama della
guidistica partenopea è stata sottoposta ad uno scrupoloso esame per comprendere i
germi e le tendenze che hanno determinato e la nascita della guidistica cittadina e il
sottogenere letterario della narrazione ecfrastica. L’elaborato è pertanto strutturato
seguendo una cronologia lineare delle scritture di viaggio che nel corso di quattro
secoli hanno inserito questo monumento sacro come una delle più vivide ed
affascinanti testimonianze del passato greco-romano della città. Ad un primo
confronto tra i testi risulta evidente, a livello contenutistico, la somiglianza tra le
svariate descrizioni che si fanno della chiesa. Da Benedetto Di Falco, che rappresenta
l’iniziatore di questo genere, al manoscritto autografo di Pasquale Ventre, pubblicato
per la prima volta nel 2012 a cura della professoressa Marielva Torino, una notevole
quantità di scrittori si appresteranno alla descrizione di questo antichissimo edificio
partendo sempre dalla storia delle sue origini ed offrendo un vero e proprio tableau
3
vivant della città che ancora oggi, a distanza di secoli, ci sembra assolutamente attuale.
È stato interessante, a questo proposito, considerare i fattori che hanno spinto la
letteratura di viaggio ad orientare l’interesse verso lo spazio urbano: sarà dimostrato
come la ricca quantità di testi nati da questo particolare genere letterario, avesse, in
nuce, l’obiettivo di infondere curiosità e al contempo di tramandare la memoria degli
ambienti perduti, nascosti e ritrovati di Napoli. In questo senso la Basilica di Santa
Maria Maggiore si concede all’elaborazione narrativa degli scrittori di cose sacre
offrendo di volta in volta validi spunti per una ricognizione storica e topografica,
piuttosto che una discussione filosofica tra un cittadino e un forestiero. L’analisi
dell’evoluzione ontologica del viaggio, che da pellegrinaggio religioso verso la
Terrasanta assume, dal Cinquecento, carattere laico, ha permesso di rilevare
l’inversione di tendenza attuata dalla letteratura periegetica fino a crearne un vero e
proprio genere letterario. L’approccio assolutamente nuovo degli scrittori
cinquecenteschi riflette l’avvincente storia della Basilica mariana, la quale si fa
testimone materiale delle nuove dinamiche antropiche, storiche e culturali dovute
anche alla trasformazione urbanistica della città. Dalla triade letteraria della prima
metà del XVI secolo, rappresentata da Di Falco, De Stefano e Tarcagnota, il capitolo
si conclude con la Cronica del gesuita Araldo, fondamentale testimonianza
dell’apparato religioso napoletano così come si presentava alla fine del Cinquecento.
Tenendo presente che nella seconda metà del XVII secolo si assiste ad un cruciale
passaggio che vede protagonista l’edificio pomponiano, il quale da basilica
paleocristiana s’apre al cantiere barocco di Cosimo Fanzago, sarà analizzata la
narrativa ecfrastica seicentesca dalla Napoli sacra di Cesare d’Engenio Caracciolo,
passando per l’indagine dissacratoria del De Lellis e la guida tascabile del Sarnelli, per
finire alle fortunate Notitie di Carlo Celano. Oltre a raccogliere le testimonianze
letterarie dei lavori che stravolgeranno completamente l’architettura di Santa Maria
Maggiore, saranno rilevate differenze e congruenze tra le opere di questo secolo,
cogliendone l’originalità e l’apporto nuovo che hanno significato per l’immagine della
città e per la produzione guidistica meridionale.
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Infine, la disamina di questi testi, che nel Settecento hanno seguito il flusso
portato dai viaggiatori del Grand Tour, toccherà gli orizzonti storiografici della
produzione ottocentesca fino alle guide turistiche del Novecento. Da Domenico
Antonio Parrino a Bartolomeo Capasso, la produzione di questi due secoli è stata
foriera di preziosi contributi che spaziano da ricognizioni tautologiche a documenti
inediti, da mappe iconografiche a speculazioni teologiche intorno ai misteri della
Napoli antica. In questa sede, è risultato fondamentale, ai fini della nostra discussione,
il contributo delle Vite di Bernardo De Dominici, che ha fornito un’ekphrasis delle
opere d’arte presenti in Santa Maria Maggiore e degli artisti che vi hanno operato.
Particolare attenzione è stata rivolta all’architetto Cosimo Fanzago, fautore della
fabbrica barocca ed exemplum del nuovo spirito culturale ed artistico napoletano.
Infine, una parentesi è stata aperta sulla scrittura di Bartolomeo Capasso, la cui Napoli
greco-romana ha permesso di concludere il discorso sul Complesso di Santa Maria
Maggiore e di sottolineare i nuovi orizzonti storiografici dell’Ottocento.
La consultazione della rivista «Napoli nobilissima» è stato un supporto utilissimo per
avere una visione d’insieme di questa fortunata stagione letteraria e per poter
approfondire tematiche e peculiarità della narrazione ecfrastica di Napoli sacra,
nonché delle verità nascoste tra vicus Solis et Lunae. Ricercare la storia di Santa Maria
Maggiore ha significato scavare a fondo nei numerosi volti della città, riordinare – al
contempo – le testimonianze, spesso discordanti, degli scrittori meridionali ed
organizzare un itinerario ragionato. Al mondo in superficie, come abbiamo visto, si
apre la vertigine: laddove un tempo scorreva il Sebeto, la Città del Sole si oscura di
mistero e leggende dai contorni carichi di significati esoterici, misteriosi e disattesi.
Oggi, il favoloso edificio barocco, che solo da qualche giorno è stato finalmente
restituito alla città al termine di un lungo restauro, rappresenta non solo uno dei
luoghi-simbolo della Napoli antica e moderna, ma anche un centro polifunzionale che
ospita iniziative ed eventi (spettacoli, mostre, concerti) e promuove la cultura locale,
attirando, come al tempo dei nostri scrittori moderni, un numero sempre maggiore di
viaggiatori curiosi.
6
1.1.
Da Gerusalemme a Napoli.
La letteratura periegetica dai pellegrinaggi al Grand Tour
Quando parliamo di «letteratura di viaggio» intendiamo quel genere letterario che,
lungo secoli e secoli di storia, ha raccolto testimonianze ed impressioni di uomini che
si erano diretti verso paesi stranieri o luoghi inconsueti per conoscerne la topografia,
la storia, la cultura e le bellezze naturali. Le biblioteche di tutto il mondo conservano,
ad oggi, un numero esorbitante di epistole, racconti e resoconti di viaggio utili a
fornire informazioni di ogni tipo intorno ai luoghi visitati. Potremmo considerare lo
straordinario viaggio di Marco Polo in Oriente come l’atto di nascita di quella
letteratura odeporica che, da Il Milione
1
in poi, abbraccerà nuovi modi di intendere i
confini geografici e di raccontare ciò che si vede
2
.
Come è stato opportunamente osservato in un interessante saggio di Pasquale
Sabbatino
3
, la linea di tendenza seguita dagli scrittori europei fu di vedere la geografia
attraverso la letteratura
4
, attingendo dai testi antichi preziose informazioni e curiosità
sui luoghi, dalla mitologia all’epica, dalle Sacre Scritture ai grandi personaggi storici.
Fino a buona parte del XV secolo, il pellegrinaggio si prefigurò come un percorso
soprattutto spirituale per gli scrittori che si apprestavano a descrivere certi luoghi; è
interessante a tal proposito, segnalare che, contrariamente a quanto avviene oggi,
1
Nel 1298, nelle carceri di Genova, Marco Polo dettò al compagno di cella e cantastorie, Rustichello da Pisa,
il suo singolare viaggio da Acri a Pechino, via terra, e dalla Cina alla Persia e poi a Venezia, via mare.
2
In realtà, l’impresa compiuta dal mercante veneziano non fu la prima, bensì fu preceduta da quella di un
altro italiano, frate Giovanni da Pian del Carpine, che nel 1245 intraprese un viaggio da Kiev verso la
Mongolia come ambasciatore di Innocenzo IV presso l’imperatore dei Tartari. La testimonianza scritta di
questo viaggio ci è stata tramandata dallo stesso frate Giovanni attraverso l’Historia mongalorum, considerato
dalla critica come un trattato geo-etnografico ante litteram. Cfr. G. DI PIAN DI CARPINE, Storia dei Mongoli, a
cura di E. Menestò et al., traduzione di M. C. Lungarotti, CISAM, Spoleto, 1989.
3
Cfr., Scritture e atlanti di viaggio. Dal Medioevo al Novecento, Carocci Editore, Roma 2015.
4
Ivi, p. 7.
7
questi viaggi duravano dai sette ai dieci mesi o addirittura anni
5
. Il pellegrino europeo,
il «vecchierel canuto et biancho» cantato dal Petrarca, era il portavoce di una
millenaria vocazione al viaggio lungo il Mediterraneo, ma dal X al XV secolo questa
eredità si traduceva anzitutto come un pellegrinaggio religioso verso la Terrasanta,
luogo di ricerca spirituale e perfezionamento morale
6
.
Il tema della peregrinatio ha sempre stimolato la fantasia poietica dell’uomo che
sentiva al suo ritorno l’esigenza di narrare e condividere le sue esperienze attraverso
racconti orali o per iscritto. Con il ritorno in patria, nella propria comunità religiosa e
culturale, il racconto del viaggio e addirittura l’esperienza sensoriale del «toccare e
vedere», diventavano exempla da diffondere e da proporre all’imitazione altrui.
In un notevole studio condotto da Amalia Federico sull’odeporica del pellegrinaggio
nelle varie epoche, riguardo a quella medievale, si osserva che:
Il pellegrino sembra compiere due viaggi, uno “fisico” e uno “metafisico”, il primo
fatto di strade, di villaggi, di città, di ospedali e alberghi, di fatica, insicurezza e di pericoli, di
cieli sereni e temporali, d’incontri con uomini e donne diversi, il secondo fatto di spiritualità
tesa alla meditazione sul senso del viaggio intrapreso, sul raccoglimento interiore e il
pentimento, sulla percezione della sacralità dei luoghi visitati, enfatizzato dalla ricerca e dalla
raccolta di ogni genere di reliquie, vere o false che fossero.
7
Gli ipsissima loca, i luoghi e gli oggetti visti e toccati del corpo storico di Cristo,
rappresentavano le mete di mesi e anni di cammino, spesso anche di un’intera vita.
La narrazione per verba e per exempla di questi luoghi (la grotta di Betlemme, il tempio, il
Sinedrio, il Calvario, il Sepolcro) era accompagnata anche da citazioni iconografiche.
Se da un lato il peregrinus basso-medievale assume nell’immaginario collettivo una tale
importanza da diventare addirittura un tòpos ricorrente nelle opere letterarie colte e
5
Ivi, p. 54.
6
Tra Due e Trecento si assiste infatti ad un intenso flusso di pellegrini dall’Europa e da tutta l’ecumene
cristiana verso la Terrasanta, luogo-simbolo della cristianità e meta ambitissima di scrittori e viaggiatori che
lasciavano una testimonianza della propria esperienza.
7
Cfr. A. FEDERICO, L’odeporica del pellegrinaggio dall’antichità alle soglie dell’età Moderna, Edizioni digitali del
CISVA, 2013, cit., p. 6.
8
popolari, dall’altro si attiva un vero e proprio processo di ierofania: la manifestazione
del sacro nei suddetti luoghi genera una letteratura che si serve di testi, guide,
testimonianze e racconti atti a fornire una solida attrezzatura per l’esperienza
intrapresa dal pellegrino-viaggiatore.
Bisogna considerare che a cavallo tra il XIV e il XV secolo, con l’indebolimento
dell’influenza occidentale in Oriente e il rafforzamento della potenza turca, il
pellegrinaggio in Terrasanta assunse un carattere quasi elitario: da fenomeno di massa
divenne un’avventura molto costosa da cui si rischiava di non fare più ritorno.
Con la caduta di San Giovanni d’Acri e dei Regni Latini d’Oriente, cambiarono
completamente le dinamiche antropiche legate ai pellegrinaggi nelle terre d’Outremer.
Riguardo all’intenzione, da parte dei narratori, di lasciare una traccia del loro
viaggio nelle proprie memorie, interessante è la tesi proposta da Jeannine Guérin
Dalle Mese, la quale afferma che «il viaggio in Terrasanta, quando diviene relatione,
diviene una sorta di cattedrale, costruita da pellegrini-narratori, che come certi
“artifices” vogliono scrivere e lasciare testimonianza del proprio nome sul loro sasso»
8
.
Queste relazioni di viaggio, vere o immaginarie che fossero, erano accolte
favorevolmente dal pubblico che amava ascoltare o leggere racconti e aneddoti di
civiltà e terre che non avrebbe mai conosciuto. Più ancora del viaggio in sé, l’interesse
nasceva dal gioco della scrittura, gioco che sviluppava la fantasia del lettore e la sua
capacità di immaginazione
9
.
Fra il XIII e la metà del XIV secolo i confini del mondo occidentale si erano
allargati e soprattutto gli italiani, che erano stati straordinari protagonisti di questa
epopea, crearono i presupposti affinché la letteratura, volgare e latina, fosse un
prezioso collettore di storie e conoscenze nel periodo cruciale dell’espansione
occidentale. La circumnavigazione dell’Africa e la scoperta del Nuovo Mondo furono
8
Cfr. J. GUÉRIN DALLE MESE, Io o lui? Il problema del narratore in alcune relazioni di viaggio del Trecento-Quattrocento,
in La letteratura di viaggio dal Medioevo al Rinascimento, Generi e problemi, a cura di S. BENSO ET ALIIS, Ed.
Dell’Orso, Alessandria, 1989, cit., p.10. Jeannine Guérin Dalle Mese è docente di Lingua, Letteratura e Civiltà
Italiana nell'Università di Poitiers ed ha dedicato la maggior parte delle sue ricerche alle relazioni di viaggiatori
italiani, principalmente in Oriente, dal Medioevo al Rinascimento: Il sultano e il profeta di Giovan Maria Angiolello,
Milano, Serra e Riva, 1985; Ègypte. La mèmoire et la rève. Itinèraires d'un voyage 1320-1601, Firenze, Olschki, 1991.
9
Ivi, p. 17.
9
due fattori assolutamente decisivi per l’apertura di quella stagione di viaggi che
avrebbe segnato il Quattro e Cinquecento. Mentre l’immagine del mondo cambiava e
alla vecchia Europa furono consegnate le giuste proporzioni, i progressi in campo
geografico trasmisero alla letteratura un ricco patrimonio di esperienze
10
.
Nel XV secolo, si sentì il bisogno di riportare Gerusalemme in patria: il
trasferimento delle sacralità orientali in Occidente ha fatto sì che si potesse parlare di
una Jerusalem traslata
11
, dato che il tradizionale viaggio, reale, in Terrasanta venne
soppiantato da pratiche devozionali alternative, come lo dimostra la presenza di
santuari e copie del Santo Sepolcro sorti in giro per l’Europa. La condizione di non
potersi più recare fisicamente nei luoghi della Passione, scatenò un nuovo modo di
intendere il pellegrinaggio di fede: si andava affinando la dimensione spirituale e
mistica ed il viaggio da fisico diventò “mentale”. Si affermò ben presto una forma di
pellegrinaggio interiore, non più verso i luoghi santi ma verso l’interiorità del fedele, il
quale era spinto a non venerare tanto la Jerusalem exterior, la Palestina, quanto la
Jerusalem interior, la propria fede personale
12
. In questo senso, trovata la via crucis
personale e intima, al di là del luogo ora contava l’azione del fedele
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. Questi viaggi
immaginari, cioè compiuti non fisicamente, ma intrapresi e conclusi restando allo
scrittoio della propria biblioteca, diedero origine a quello che Maria Serena Mazzi ha
definito «romanzo geografico, […] in cui l’invenzione del viaggio sembra essere un
espediente letterario per meglio catturare il lettore e guidarlo lungo l’esperienza
cognitiva». Dall’universo fisico di questi viaggi, che fondevano l’erudizione geografica
con l’esperienza diretta del pellegrino-scrittore, poterono essere soddisfatte le esigenze
del lettore basso medievale che sperava di trovare in essi un universo simbolico.
10
Cfr. P. SABBATINO, Scritture e atlanti di viaggio, cit., p. 7.
11
F. CARDINI, I viaggi immaginari, in Viaggiare nel Medioevo, a cura di S. GENSINI, Pacini Editore, Pisa, 2000, pp.
493-516.
12
Cfr. ID., Gerusalemme d’oro, di rame e di luce. Pellegrini, crociati, sognatori d’Oriente fra XI e XV secolo, Il Saggiatore,
Milano, 1991, p. 155.
13
Nell’Itinerarium ad sepulcrum Domini nostri Ihesu Cristi, epistola odeporica composta da Francesco Petrarca
intorno al 1358, si può constatare che il viaggio in Terrasanta, prefigurato virtualmente per l’amico Giovanni
Mandelli, è in realtà una sorta di viaggio nei luoghi dell’animo attraverso le tappe cristiane più significative che
da Genova conducono sino in Egitto. La particolarità di questo testo è quella di essere stato
compilato prima del compimento del pellegrinaggio, si tratta quindi di un testo «non retrospettivo ma
prospettivo». Cfr. J. GUÉRIN DALLE MESE, op. cit., 1989, p. 15.