Introduzione
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Motivazioni
L’interesse per questo studio deriva direttamente da un’esperienza di
lavoro da me fatta come educatore presso ASPeF Mantova (Azienda Servizi alla
Persona e alla Famiglia del Comune di Mantova), della quale sono dipendente
dal luglio 2010. L’esperienza in oggetto ha avuto inizio nel giugno 2015, quando
sono stato inserito all’interno del Progetto RSA Aperta: un progetto di Regione
Lombardia teso a sostenere a domicilio, con interventi integrati multidisciplinari,
persone affetta da demenza certificata, per dare sollievo ai familiari ed
evitare/ritardare l’inserimento in strutture residenziali.
1
Il compito dell’educatore
in questo contesto è sostenere la persona malata attraverso varie attività di
stimolazione, in base alle specifiche esigenze e alle personali predisposizioni, al
fine di mantenere le capacità residue il più a lungo possibile.
Il lavoro svolto con un utente in particolare ha offerto lo spunto per questa
tesi. Con questa signora, che chiamerò col nome di fantasia di Catherine
2
, ho
svolto una sperimentazione utilizzando come attività l’arte giapponese del
disporre i fiori, detta ikebana. La sperimentazione dell’ikebana come attività si è
esaurita gradualmente dopo 5 mesi; il lavoro di sostegno con l’utente è ancora in
atto, con due incontri a settimana di 90 minuti. Durante il periodo di
sperimentazione si è fatto anche altro, per evitare che l’esperienza divenisse
monotona, inoltre dall’ikebana si è potuti passare ad altre tipologie di attività che
alternassero il percorso di stimolazione pur mantenendo una linea guida.
Ho scelto di rivedere e rivalutare attentamente la sperimentazione fatta
con Catherine perché i risultati ottenuti sono stati soddisfacenti e ritengo che da
1
Ho avuto precedenti esperienze di lavoro con utenti affetti da demenza di Alzheimer dal settembre 2009
al dicembre 2010 all’interno del Progetto Sperimentale Alzheimer Domiciliare, con ASPeF e Fondazione
Mons. Arrigo Mazzali. Il progetto finanziato dalla Fondazione CariVerona coinvolgeva il Comune di
Mantova, ASPeF, Fondazione Mazzali, l’ASL, l’Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova e la
Provincia di Mantova.
2
Ho scelto “Catherine” ispirandomi alla Catherine Maheu del Germinale di Emile Zola, poiché questo è
il romanzo preferito della signora con cui ho intrapreso l’esperienza di attività basata sull’Ikebana.
Introduzione
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questa esperienza possano trarre beneficio sia gli addetti ai lavori sia le persone
affette da AD (Alzheimer’s Disease: malattia di Alzheimer).
L’attività che ho svolto utilizzando l’ikebana come tecnica terapeutico-
riabilitativa per il malato di AD è nuova, poiché non ci sono specifiche
sperimentazioni.
3
Sottolineo che, come altre tipologie di attività, questa è stata
adottata come semplice strumento di stimolazione: infatti l’ikebana consente
determinate forme di esercizio alla persona malata. Essendo ogni utente diverso
per capacità e attitudini, nel mio caso l’ikebana è stato una scelta studiata per la
persona stessa che necessitava di essere stimolata. Il contesto e le operazioni che
compie la persona assieme a chi l’assiste sono la novità: per il modo con cui
vengono presentati i diversi compiti atti alla realizzazione dell’ikebana e per la
tradizione esotica che pervade tutta l’attività.
La parte iniziale della tesi centrata sulla malattia è stata un’occasione per
ristudiare e approfondire molte tematiche, come ad esempio lo stigma del malato,
il ruolo della famiglia, le attività/tecniche di stimolazione. Questo mi ha
consentito di contestualizzare la sperimentazione e rivedere gradualmente le
attività esistenti per capire ancor meglio dove abbia agito la stimolazione con
l’ikebana e individuare i possibili campi che rimangono inesplorati.
Approfondire la conoscenza dell’ikebana è stato importante poiché ancora
molto può essere estrapolato da questa tecnica ai fini dell’attività di sostegno al
malato. Tuttavia questo studio mette in luce anche i limiti terapeutici che può
avere una pratica come l’ikebana, che non era stata concepita allo scopo di
stimolare la persona affetta da AD. Ulteriori limiti vanno applicati alla pratica
stessa per renderla adattabile al contesto della malattia.
3
Esistono degli studi che cercano di comprendere le reali potenzialità terapeutiche della pratica ikebana:
questi vengono presentati in questa tesi alla fine del secondo capitolo. Non esistono invece
sperimentazioni documentate riguardo l’utilizzo dell’ikebana come attività di stimolazione finalizzata al
mantenimento-riabilitazione di capacità nella persona affetta da malattia di Alzheimer.
Introduzione
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Problema di ricerca
L’utilizzo della pratica dell’ikebana come attività per il sostegno delle
capacità residue, nel malato di AD è deontologicamente giustificabile dai risultati
ottenuti. Accade però che tali risultati diano miglioramenti minimi e transitori sul
piano cognitivo, come avviene in generale per le tecniche di stimolazione volte
alla sfera cognitiva, secondo gli studi di Rabins.
4
Rispondere al perché non sia
meglio utilizzare tecniche/attività più note e collaudate è parte di questa tesi.
Si pone inoltre la questione della correttezza nei confronti della persona
malata che avrà a che fare con un attività così insolita e che difficilmente riuscirà
a comprendere fino in fondo nei suoi significati. Questa lacuna riguarda anche il
lavoro di chi stimola proponendo una pratica che egli non riuscirà completamente
a spiegare e far apprezzare alla persona malata. La tesi analizza quindi anche le
barriere culturali e patologiche che impediscono un contatto completo con la
pratica dell’ikebana.
Per quanto possano essere allettanti le sperimentazioni con attività nuove e
“stravaganti”, chi stimola la persona affetta da AD deve mantenere il controllo
dell’attività che sta svolgendo avendo chiari gli obiettivi e ponendo l’attenzione
sui giusti foci. Viene analizzato in questa tesi il progetto del lavoro con l’ikebana
partendo dall’analisi e dalla conoscenza della persona, per arrivare alla scelta
motivata dell’attività, e successivamente agli obiettivi, con conseguente verifica
del raggiungimento e dell’analisi dei risultati ottenuti.
Il problema di questa ricerca è la verifica dell’utilizzo dell’ikebana in
termini di risultati, appropriatezza e metodo.
4
Tali studi vengono presentati di seguito nel capitolo primo, paragrafo 1.3.
Introduzione
10
Ipotesi di lavoro
Partendo dall’illustrare il contesto della malattia si passa all’ambito
dell’Ikebana per arrivare infine al progetto che ha impiegato quest’ultimo in
ambito terapeutico-riabilitativo.
L’ikebana è stato una soluzione interessante che ha consentito di avviare
molte attività con Catherine, la quale altrimenti sarebbe caduta ulteriormente
nell’apatia e nell’astenia. Più che una tecnica di stimolazione, l’ikebana viene
presentato in questa tesi come un “vestito su misura” da adattare alla persona
malata.
L’ipotesi è che la pratica in ambito terapeutico-riabilitativo con malati di
AD sia attuabile, ma debba essere interamente plasmata sul malato. Può quindi
avere luogo l’utilizzo, purché esso rimanga in termini di sperimentazione con
continui adeguamenti basati interamente sulle necessità, le capacità e le attitudini
della persona.
Articolazione della tesi
Nel primo capitolo viene illustrata la malattia scoperta da Alois
Alzheimer. Partendo dai cenni storici ho voluto contestualizzare la malattia e lo
scopritore, per mostrare successivamente l’evoluzione degli studi sino ad oggi. Il
genio di Alzheimer rimane pressoché inalterato dopo oltre un secolo: ho
sottolineato attraverso testimonianze dirette il metodo di lavoro all’avanguardia e
il rispetto per i pazienti psichiatrici quali persone degne di attenzione e aiuto.
Agli studi pionieristici ho associato le più recenti scoperte che fanno chiarezza in
ambito anatomopatologico. Nella parte riguardante la diagnosi viene
principalmente considerato il manuale DSM-5, che è uno standard internazionale
unanimamente riconosciuto. Vengono di volta in volta sottolineati eventuali
dibattiti e controversie perché la malattia stessa è spesso oggetto di discussione
Introduzione
11
tra specialisti. Una parte importante riguarda l’analisi dello stigma del malato per
comprenderne le sofferenze soprattutto in termini di relazioni sociali. Vengono
analizzati il contesto familiare e la figura del caregiver (chi si prende cura del
malato). Infine vengono presentate le principali attività/tecniche di stimolazione.
I due ambiti volutamente non affrontati nel capitolo sulla malattia di
Alzheimer sono:
• il ricovero e le attività di stimolazione del malato presso RSA (Residenza
Sanitaria Assistenziale) e i relativi Nuclei Alzheimer;
• la terapia farmacologica.
Questa scelta è stata fatta in quanto il lavoro su cui verte la tesi è stato svolto
a domicilio e quindi, essendo il campo dell’AD molto vasto, ho preferito
restringere lo studio attenendomi il più possibile a tale contesto. Riguardo alla
terapia farmacologica, questa esula dalle normali attività o comunque rimane in
una dimensione marginale in cui l’educatore sovraintende all’auto-
somministrazione; la trattazione delle possibili terapie farmacologiche è
anch’essa un campo molto vasto che esula dal contesto dell’attività di
stimolazione del malato, implicando una serie di nozioni chimico-farmacologiche
non attinenti a questo lavoro.
Nel secondo capitolo viene presentata la pratica dell’ikebana. Partendo
dall’origine del termine si passa alla storia dell’evoluzione di quest’arte nei secoli
attraverso le diverse scuole. Vengono quindi analizzati i significati secondo la
cultura giapponese e le religioni associate alla pratica. Successivamente l’ikebana
è analizzato dal punto di vista tecnico-operativo per illustrare come venga
realizzato nei diversi stili secondo le varie scuole. Infine il capitolo affronta i
possibili campi di impiego e le applicazioni terapeutiche documentate.
Nel terzo capitolo viene presentata l’esperienza di stimolazione svolta con
Catherine mediante l’utilizzo dell’ikebana. Il primo paragrafo illustra il contesto
in cui si è svolta la sperimentazione. Viene poi descritto il caso di Catherine dalla
presa in carico all’analisi dei bisogni e delle sue capacità residue. Quindi il
Introduzione
12
progetto viene illustrato spiegando il metodo di lavoro e le scelte effetuata. Infine
vengono presentati i risultati raggiunti.
Metodologia
La tesi si sviluppa partendo dai due ambiti specifici, quello della malattia
di Alzheimer e quello dell’arte dell’ikebana, per rileggere l’esperienza che ha
permesso di far avvicinare questi ambiti altrimenti molto distanti e quasi
incompatibili.
Il lavoro di ricerca della tesi è volto alla comprensione di un’esperienza
sperimentale che ha dato dei risultati, i quali però necessitano di essere
contestualizzati e soppesati adeguatamente per non rimanere isolati e irrilevanti.
L’ikebana non può limitarsi ad essere una mera tecnica volta ad uno
scopo: non può essere spogliato completamente dei significati profondi che lo
caratterizzano, altrimenti la sua essenza si perde. Questa antica arte, mediante
l’analisi della sua storia e dei suoi significati spirituali, viene rispettata e così
evita di essere considerata soltanto una composizione floreale.
1. La malattia di Alzheimer
15
1.1 CONTESTO STORICO E ASPETTI MEDICO-SCIENTIFICI
La malattia di Alzheimer ha generato durante il XX secolo una sua storia
che, dalla scoperta alle evoluzioni negli studi ad essa dedicati e alle più recenti
ricerche, ha mantenuto un filo ininterrotto per oltre un secolo. Ciò si associa al
fatto che il progresso della scienza medica ha aumentato le aspettative di vita,
con la conseguenza però di dover approfondire lo studio delle patologie connesse
con l’età senile.
La malattia di Alzheimer è notoriamente connessa con l'avanzare dell'età
della persona
1
, ma il punto di partenza che portò lo psichiatra Alois Alzheimer
alla sua scoperta fu l’esatto contrario: il primo caso tipico da lui studiato, la
tristemente celeberrima Auguste D., era di soli 51 anni al momento del ricovero
nella Clinica per Dementi ed Epilettici di Francoforte sul Meno.
2-3
Questo portò
lo psichiatra a considerare inizialmente il caso come una demenza precoce di
origine vascolare (ateromasia: ispessimento dei vasi cerebrali): Alzheimer ebbe
esperienza di casi di deficienza senile osservati anni prima in pazienti molto più
vecchi.
4
1
Dal report 2015 dell'ADI, Alzheimer's Disease International, si nota la variazione consistente in punti
percentuale dell'incidenza di casi di demenza* in base all'aumento dell'età della popolazione studiata:
osservando nella Tabella 2.6 l'area geografica Europe Western, nella quale è compresa l'Italia, i dati
mostrano un aumento di circa sette volte l'incidenza se si considerano i parametri 60/64 anni e gli 80/84,
divisi in base al sesso: si passa da 1.1% a 7.8% negli uomini e da 2.0% a 14.6% nelle donne; è importante
notare che l'incidenza è quasi del doppio nelle donne rispetto agli uomini. Il valore complessivo nella
medesima popolazione mostra un aumento dall'1.6% al 12.4% considerando i medesimi parametri.
Questo tipo di tendenza è visibile in tutte le aree geografiche mondiali studiate. (ALZHEIMER'S
DISEASE INTERNATIONAL, World Alzheimer Report 2015, Londra, ed. ADI, 2015, p. 20).
Il termine demenza*, che verrà approfondito di seguito nel paragrafo 1.1.3, si riferisce a molteplici
patologie su base organica caratterizzate da deterioramento della memoria e delle funzioni intellettive. Gli
studi sino ad oggi compiuti rivelano che la malattia di Alzheimer è la causa primaria dei 2/3 di tutti casi di
demenza certificati.
2
BORRI Matteo, Storia della malattia di Alzheimer, Bologna, ed. Il Mulino, 2012, p. 36.
3
Auguste D. fu ricoverata il 16 novembre del 1901, come riporta la cartella clinica, annotazioni dott.
Nitsche: ANNO E GIORNO DI NASCITA: 1850, 16 MAGGIO. (MAURER Konrad, MAURER Ulrike,
Alzheimer. La vita di un medico, la carriera di una malattia, trad. dal tedesco, Roma, ed. ManifestoLibri,
2012
2
(1999), p. 28. [ed. or., Das Leben eines Arztes und die Karriere einer Krankheit, Monaco di
Baviera, ed. Piper, 1998]).
4
Ivi, p. 27. Il corsivo è degli autori.
1. La malattia di Alzheimer
16
Al giorno d’oggi non esiste una cura per la malattia di Alzheimer
5
: si
conoscono tantissime peculiarità sia per quanto riguarda la patogenesi e le cause
primarie, sia per le terapie sperimentali volte a rallentare la degenerazione dei
tessuti neuro-corticali; sono stati messi in atto moltissimi approcci non-
farmacologici per mantenere le capacità cognitive residue della persona (memory
training, terapie occupazionali, riorientamento spazio-temporale, etc). Va
sottolineato comunque che la scoperta e la classificazione psichiatrica e
istologica sono merito di Alois Alzheimer: egli fu il primo a riconoscere i tipici
sintomi e capire la singolarità della patologia nei suoi aspetti caratteristici; ancora
oggi, come verrà illustrato nei paragrafi seguenti, le definizioni da lui date della
malattia rimangono pressoché invariate.
1.1.1 Cenni storici su Alois Alzheimer e la malattia da lui scoperta
Il medico psichiatra Alois Alzheimer (1864-1915) deve la sua notorietà
principalmente a due episodi della sua vita: l’incontro con la paziente Auguste D.
nel 1901e la scelta del prof. Emil Kraepelin di dare il nome dello scopritore alla
malattia stessa. Nel 1910 Kreapelin nel secondo volume, Psichiatria Clinica,
della sua opera, Libro di testo per studenti e medici, inserì nel capitolo VII
(Demenza senile e presenile) il concetto di morbo di Alzheimer
6
per omaggiare il
collega ed amico.
7
5
Secondo il neurologo americano Peter J. Whitehouse, uno dei massimi esperti mondiali della malattia di
Alzheimer, la patologia non è del tutto distinguibile dai normali processi di invecchiamento cerebrale:
“sconfiggere l’Alzheimer definitivamente” equivarrebbe a sconfiggere la vecchiaia, intendendo
quest’ultima come una malattia degenerativa che può essere curata. (WHITEHOUSE Peter J., Il mito
dell’Alzheimer, Quello che non sai sulla malattia più temuta del nostro tempo, trad. dall’inglese,
Bergamo, Cairo Editore, 2011, pp. 22-23, e pp. 30-31. [ed. or., The Myth of Alzheimer's: What You Aren't
Being Told About Today's Most Dreaded Diagnosis, New York, ed. St. Martin’s Press, 2007]).
6
Alzheimerische Krankheit, BORRI, Storia della malattia di Alzheimer, op. cit., p. 73.
7
MAURER K., MAURER U., Alzheimer. La vita di un medico, la carriera di una malattia, op. cit.,
p. 205.