Mickey Rourke, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e a fare il Wrestler
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INTRODUZIONE
Per chi nasce negli anni Novanta, come nel caso di chi scrive, il nome Mickey Rourke
dice poco. C’è pertanto un divario sostanziale tra chi lo vede emergere come star negli
anni Ottanta e chi lo vede apparire per la prima volta nei Duemila, quando trova il
successo proprio in relazione al suo passato. Questo lavoro nasce dalla volontà di
tracciare il profilo di una star che proprio per questo motivi risulta unica nel suo
genere, capace di grandi cambiamenti, non solo fisici. Un divo che invita a rileggere
e rivalutare la sua stessa storia in relazione ad ogni nuovo passo, decretato non solo
dallo sviluppo di ruoli nel mondo del cinema, ma da atteggiamenti ed apparizioni
controversi e, nella loro unicità, straordinari. Non si tratta di una versatilità voluta,
piuttosto di una capacità di adattabilità costretta sempre a rinnovarsi. Rourke non può
essere solo un attore, solo un boxer, solo un uomo di spettacolo: è una figura
complessa.
A determinare il continuo sbalzo di attenzioni che ne circonda l’immagine è
all’origine la sua difficoltosa infanzia, che può essere letta in molteplici modi. Che si
tratti di un momento da dimenticare o di una serie di fondamenta da ristrutturare,
risulta comunque essere una fase determinante, in cui si celano alcune delle
motivazioni che costituiscono il punto di partenza per le sue scelte. Certo è che
l’uomo che oggi appare davanti alle videocamere è il risultato di un’evoluzione
imprevedibile, che rende ogni suo gesto degno di un’analisi. È dunque la molteplicità
di fatti, comportamenti, ruoli, silenzi e controversie ha generare curiosità attorno a
questa presenza.
Ripercorrerne la storia è stato prima di tutto causa di grande sorpresa e ha
permesso di individuare in lui uno dei casi più emblematici e particolari dell’uomo di
spettacolo del nuovo millennio, capace di generare attrazione e richiamo nonostante
immerso in una continua bufera. Eppure il suo passato, che trova continuità nel
presente, si lega in maniera paradossale a quello di alcuni divi del cinema che lo
hanno preceduto, come vedremo sia nel primo che nel terzo capitolo. Pur essendo
riservato (ha concesso sì e no una decina di interviste in quarant’anni) Rourke è in
ogni caso capace di destare scandalo con la minima mossa, ispirando o disgustando
fans, giornalisti, spettatori e critici.
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Riflettendo sulla sua condizione risulta legittimo chiedersi quanto i suoi ruoli
incidano sulla sua stessa vita o al contrario quanto essa entri nella rappresentazione
filmica. Una compenetrazione di piani interessante che si trova al centro della nostra
analisi, focalizzata anche sul trovare dei leitmotiv che possano legare e costituire una
rotaia sulla quale studiare la sua figura. Il nostro percorso si sviluppa non a caso in
senso cronologico. Ciò che egli mette all’opera in un dato momento infatti, sembra
avere una ripercussione netta sul suo futuro e sull’esito del successo di ogni film.
Partiamo allora da una rapida panoramica dei suoi ruoli più celebri, interpretati
negli anni Ottanta, nel primo capitolo, con una riflessione maggiormente dettagliata
su due parti messe in scena successivamente ed estremamente significative, a occhio
di chi scrive, per la sua carriera di attore. In seguito ci focalizzeremo sul ruolo più
importante della carriera dell’artista, avvicinandoci ad esso a partire dall’utilizzo dei
corpi che Darren Aronofsky sviluppa all’interno dei suoi film. Ci sarà spazio per una
duplice analisi: quella sulla forma del film, che determina fortemente la riuscita del
ruolo del protagonista, e sull’interpretazione di Rourke stesso, valida come summa di
tutta la carriera. Nel terzo capitolo ci addentreremo su un aspetto che affianca quello
della recitazione: l’immagine di Rourke al di fuori dal “ring”, ovvero dal set
cinematografico; cogliendo alcuni degli aspetti più controversi della sua esistenza.
Il nostro viaggio deve essere visto come uno studio che parte con un’unica
consapevolezza di base: quella di una presenza controversa, ma ancora tutta da
esplorare.
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Capitolo I
UNA CARRIERA INTERMITTENTE
1.1 Dall’Actors Studio all’affermazione
Nei primi anni Settanta, Philip Andre Rourke Junior (“Mickey” è un soprannome
datogli dal padre in onore del giocatore di baseball Mickey Mantle), appena
diplomatosi alla Miami Beach Senior High School, ritorna a New York, suo paese
natale, e viene ammesso nell’Actors Studio al primo provino. Si tratta dell’inizio di
una carriera che oggi conta oltre sessanta ruoli in quasi quattro decadi di professione.
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Negli anni Ottanta Mickey Rourke diviene una delle star più brillanti e ricercate
del cinema statunitense, ma al contempo la più tormentata. Le sue scelte, dalla
volontà di intraprendere la carriera di boxer professionista, agli interventi di chirurgia
plastica che ne seguirono, e che ne cambiarono totalmente l’aspetto, lo portano infatti
ad allontanarsi dal successo in maniera progressiva a partire dagli anni Novanta.
Come scrive Keri Walsh, autrice di una monografia sull’attore: «Rourke often seems
hounded by personal demons, […] but he is able to discipline his wild energy into
moments of acute insight.»
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La difficile infanzia, caratterizzata innanzitutto dal divorzio dei genitori, è uno
dei citati demoni di Rourke e gioca una funzione chiave nella comprensione dei ruoli
che interpreta. Come le altre esperienze, essa viene rifunzionalizzata dallo stesso
come strumento di eccezionale valore per conferire spessore ai propri personaggi.
Dopotutto il Metodo, appreso proprio durante gli anni di formazione presso l’Actors
Studio, si basa sull’utilizzo dell’esperienza e delle emozioni dell’attore, convertite e
impiegate come punto di partenza per la generazione di ruoli di forte emotività.
Professionalità e indifferenza dunque, le qualità messe in campo da Rourke.
Professionalità nei momenti in cui si mette al lavoro e regala performance
riconosciute e conosciute ancora oggi; indifferenza quando l’uomo cede ai propri
demoni. Sandro Monetti lo definisce non a caso: «One of the most colorful figures in
1. Voce Mickey Rourke in iMDB, <http://www.imdb.com/name/nm0000620/?ref_=fn_al_nm_1>.
2. Keri Walsh, Mickey Rourke, Palgrave Macmillan, London, 2014, p.1.
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film history.»
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, determinando dunque la presenza di uno spettro variopinto di
atteggiamenti e situazioni meritevole di un’analisi approfondita.
Abbiamo definito l’inizio del periodo di formazione artistica presso l’Actors
Studio come il punto di partenza della carriera di Rourke poiché si tratta di una tappa
fondamentale, che permette di comprendere a quale modus operandi l’attore abbia
fatto ricorso per immedesimarsi nei personaggi richiesti. Dopo un periodo iniziale di
avvicinamento alla pratica recitativa, Rourke viene seguito da Sandra Seacat, che
diviene sua mentore per almeno i successivi sei anni.
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L’attore è chiamato ad
affrontare i ricordi più dolorosi e reconditi della sua giovinezza ed è in questo
momento che iniziano a delinearsi una serie di fili rossi che caratterizzano poi la sua
esperienza cinematografica. La figura paterna, il rapporto con le donne e la ricerca
della propria sessualità sono per esempio tratti distintivi che i suoi personaggi, volenti
o nolenti, manifestano in molteplici casi.
Proprio per questo motivo gli anni dell’affermazione possono essere considerati
come la prosecuzione dell’esercizio accademico: Rourke applica gli insegnamenti
ricevuti e dimostra il proprio talento nella creazione di ruoli iconici. A posteriori
sembra infatti prematuro catalogare gli anni del successo come il momento più alto
della carriera dell’attore. Il raggiungimento della maturità arriva infatti, per chi scrive,
con la presa di coscienza di una carriera deviata dalla sua traiettoria originale e trova
compimento solo negli ultimi anni Duemila.
È opportuno in ogni caso chiedersi cosa abbia spinto Rourke a scegliere il
Metodo. In un’intervista del 2008 l’attore ha indicato le star che lo avevano preceduto
di una decade sul grande schermo, tra cui Robert de Niro, Al Pacino e Harvey Keitel,
come i suoi modelli, definendoli letteralmente “gods”.
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Egli aspira a trovare la propria
strada sulla scia del successo ottenuto dai suddetti, protagonisti di una valorizzazione
di ruoli ambigui e innovativi, completamente indipendenti dall’immagine divistica
che fino agli anni Sessanta i grandi nomi del cinema avevano contribuito ad
affermare. Marlon Brando può essere considerato come l’iniziatore di questa
tendenza: il suo spirito ribelle e il suo grande talento lo conducono infatti sulla strada
3. Sandro Monetti, Mickey Rourke. Wrestling with Demons, JR Books, London, 2009, p. XII.
4. Jennifer Allen, Bad Boy: Actor Mickey Rourke is a hard case with a heart, «New York
Magazine», Novembre 1983.
5. Steve Garbarino, The Ressurection of Mickey Rourke, «Maxime Magazine», Dicembre 2008.
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dell’autodistruzione. Si tratta però di un processo consapevole, che passa per tre film:
Fronte del Porto (On the Waterfront, 1954), che lo lancia come divo; Il Padrino (The
Godfather, 1971), che presenta un uomo trasfigurato, grasso e vecchio, lontano dal
sex symbol impostosi solo quindici anni prima; e Apocalypse Now (Id., 1979), dove
l’attore abbandona totalmente la propria umanità e si trasforma in qualcosa di
spaventoso e demoniaco. La ribellione di Brando, il suo abbandono all’obesità senile
come forma di disprezzo, consente di decretare l’indipendenza dell’attore dal sistema
divistico hollywoodiano e funge da trampolino di lancio per la generazione
successiva. De Niro, Pacino, ma anche Jack Nicholson e Dustin Hoffman, inaugurano
gli anni Settanta con personaggi extra-ordinari: antieroi, perdenti, emarginati; lontani
e con la volontà di rimanere lontani dalla sovranità e dal glamour esclusivo riservati
a chi li aveva preceduti. Come spiega Cristina Jandelli:
I divi brutti, sporchi – e qualche volta cattivi come i poliziotti di Al Pacino nei
film di De Palma e i criminali del De Niro di Scorsese -, sembrano mettere una
pesantissima ipoteca sul concetto tradizionale di divismo. Con loro sparisce lo
splendore. L’immagine divistica tende a dissolversi per lasciare il posto a una
professionalità virtuosistica che non fa sognare ma all’inverso apre gli occhi
sull’altra America.
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Rourke vive la propria giovinezza osservando questi modelli e si distacca per
tale motivo dall’immagine divistica che prende piede negli anni Ottanta: quella degli
action-man, da Sylvester Stallone a Bruce Willis. Egli sviluppa al contrario una
sensibilità decretata, come abbiamo detto, dal proprio turbolento passato e si
guadagna la fama presso il pubblico e l’attenzione dei i critici. L’Actors Studio non
può dunque che essere un passaggio obbligato: la volontà di ripercorrere la strada dei
propri modelli e imitarne la gloria lo porta al ritorno a New York, dove la scuola
gestita da Lee Strasberg è una vera istituzione su cui sono puntati gli occhi del mondo.
Fondato nel 1947 a New York da Elia Kazan e da altri membri di quello che
fino ad allora era stato il Group Theater, una scuola di recitazione nata dopo il tour
del teorico teatrale Konstantin Stanislavskij negli USA, l’Actor Studio si basa
sull’applicazione del cosiddetto Metodo, ideato proprio dal teorico russo più di venti
6. Cristina Jandelli, Breve storia del divismo cinematografico, Marsilio Editori, Venezia, 2007, p.
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